lunedì 29 giugno 2015

29 giugno - Morì d'amianto, i familiari chiedono un milione di euro



La Spezia - La storia inizia nell’aprile del 1983 quando Luigi D’Andrea, deceduto poi nel 2004, alla Spezia, a soli 42 anni, giura fedeltà alla Repubblica Italiana arruolandosi volontario nella Marina Militare.
Trattiene il respiro, è emozionato, felice. Finita la cerimonia fa ritorno a casa, convinto di aver fatto la scelta giusta. Gonfia il petto e passa una vita, ventisei anni, al servizio dello Stato. Non sa cosa gli riserverà il destino. Il suo sacrificio, la sua professionalità vengono “ripagati” con una malattia. Trascorrono solo pochi mesi dalla terribile diagnosi, «neoplasia polmonare», alla sua morte. La patologia è tipica dell’esposizione da amianto: D’Andrea si ammala dopo anni passati nei vani motore delle navi della Marina Militare. Ha due figli, un maschio e una femmina, e una moglie. I due ragazzi vengono privati del padre in una fase cruciale della loro vita, hanno appena vent’anni e tanto bisogno di entrambi i genitori a fianco. Il dolore e il rimorso aumentano quando vengono a sapere che decine di uomini imbarcati con il padre hanno fatto la stessa fine. Il processo penale viene incardinato davanti al tribunale di Padova. La famiglia è costretta a giocare anche la partita relativa al risarcimento. Si trovano a fronteggiare il ministero della Difesa, che non si vuole accollare tutte le responsabilità. La resa dei conti ora è vicina. La moglie e i figli, rappresentati dagli avvocati Enrico Conti e Barbara Spella, hanno citato in sede civile il ministero. I legali hanno già presentato il conto allo Stato, calcolando l’ammontare per ogni membro della famiglia D’Andrea: 291 mila euro alla moglie e ai figli 282 mila ciascuno. Del resto, il consulente tecnico nominato dal tribunale veneto ha redatto una perizia che non lascia spazio a molte interpretazioni: «La patologia riscontrata nel presente procedimento è da ritenersi causata da esposizione professionale ad amianto». I legali della parte offesa ritengono inoltre che «l’esposizione riguardasse sia l’ambiente di lavoro, sia l’ambiente di vita, per la presenza di materiali contenenti amianto negli spazi adibiti agli alloggi delle navi, dove il personale trascorreva importanti periodi di tempo». L’accusa sostiene che la Marina Militare abbia tante colpe in questa vicenda: non avrebbe informato «il personale, sia imbarcato che in servizio a terra, dei rischi per la salute, omettendo anche di sottoporre e far sottoporre con regolarità i dipendenti a controlli sanitari specifici».

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