sabato 3 ottobre 2015

3 ottobre - Il caporalato in salsa Toscana: sfruttamento di manodopera immigrata

da operai contro




GROSSETO – Cominciano ad arrivare alle 4 di mattina. Dieci, venti, trenta. In pochi minuti oltre cento. Arrivano a piedi o in bicicletta. Uomini e donne in cerca di lavoro. Romeni, bulgari, moldavi, bengalesi, albanesi, nel cuore della notte al distributore Esso sull’Aurelia. È qui che trovano i «caporali», pronti a smistare la manodopera nelle aziende agricole tra Siena e Grosseto. È la vendemmia low cost, tra i vigneti del Chianti e della Maremma. Cinquanta euro per una giornata di otto ore, che spesso diventano dieci. Sei euro l’ora, a volte meno, senza contratto, senza assicurazione, senza vestiti adeguati, senza niente. E alcuni dei nostri vini nascono dalle loro mani. Arrivano con lo zaino in spalla. Attendono quello che chiamano «padrone». «Vogliamo lavorare» ripetono. Sembra di essere a un centro per l’impiego. Clandestino però. A un chilometro appena dalle mura di Grosseto. Accanto al distributore c’è un bar, aperto 24 ore su 24, dove lavoratori e «caporali» prendono l’ultimo caffè, prima di partire alla volta dei vigneti. C’è un albergo, ci sono alcune case in costruzione. Tutti sanno ciò che cercano quegli uomini e quelle donne, ogni mattina, in questa area di servizio.
Lo smistamento dei lavoratori
Lo smistamento dei lavoratori ha inizio intorno alle 5: dieci da una parte, dieci da un’altra, quindici da un’altra ancora. I caporali gesticolano in mezzo alla folla, indirizzano gli aspiranti lavoratori verso i pulmini — circa una ventina — pronti a partire. È un meccanismo collaudato. I lavoratori parlano poco, qualcuno si inginocchia, si mette in disparte e prega. Vogliono solo vendere il loro lavoro. C’è silenzio. Gli sguardi sono severi. Chiediamo informazioni, ci fingiamo lavoratori in cerca di un impiego. Restano impassibili quattro donne romene, sedute sul ciglio della strada. Arriva un bengalese, sbuca dai campi all’improvviso. «Cinquanta euro» dice quando chiediamo il «salario». Cinquanta euro per otto ore, magari dieci. «Contratto? No, tutto a nero», dice lui. Poi aggiunge: «Lavoriamo nei campi, nei vigneti, spesso intorno a Siena». Intercettiamo un altro lavoratore. Risposte simili: «Contratto? Se lavori venti giorni, a volte te ne segnano due». E le aziende? «Italiane, tutte italiane», dice un ragazzo in attesa di essere reclutato. C’è chi spera, chi s’illude: «Se lavoro ancora un altro mese, il padrone mi ha promesso l’assunzione». Dicono che il padrone sia un signore albanese. «Chiedi a lui, il padrone è quello là», bisbigliano in tanti. «Vedi quell’uomo dentro al bar con la maglia bianca? Vai da lui, lui sa tutto».
Il proprietario dei vigneti
Alle 5,30, i pullmini sono già pieni. Motori accesi pronti a partire. Gli ultimi accordi, le ultime raccomandazioni. Poi si parte, nel buio della notte, verso i vigneti della Toscana. Vanno veloci le vetture dei lavoratori. Toccano punte di 160 chilometri orari lungo la superstrada Grosseto-Siena, superano le auto con sorpassi azzardati, è difficile stargli dietro. Seguiamo due vetture, percorrono la stessa strada fino a Poggibonsi, fermandosi soltanto una volta alla stazione di servizio prima di Siena. La prima vettura devia verso San Gimignano. Nel frattempo albeggia. La seconda auto prosegue verso l’empolese. Si ferma a Gambassi Terme, Chianti fiorentino. Il proprietario terriero, un signore toscano, li aspetta lungo la strada col trattore acceso, poi indica ai lavoratori i vigneti su cui cogliere l’uva. Sono le 7 quando i braccianti entrano in vigna. Nessun cartellino di riconoscimento, ai piedi le scarpe da ginnastica. Il proprietario dei vigneti lavora insieme a loro. Lo intercettiamo. Il suo terreno, ci spiega, viene coltivato da questi immigrati attraverso un contratto d’appalto con un’azienda gestita da un albanese. «È tutto in regola», dice l’uomo, che aggiunge: «Nei documenti del contratto, l’azienda albanese mi ha fornito e i nomi e i cognomi dei quattro lavoratori addetti ai miei vigneti». Peccato però, confessa pochi minuti dopo, che «non sempre arrivano le stesse persone a lavorare sui miei campi». E qualche volta, ne arriva pure qualcuno in più. Molti non segnati nel contratto di appalto e molti, come ripetono i lavoratori incontrati a Grosseto, in nero, senza assicurazione, a 6 euro l’ora. «Con questa crisi — ripete il viticoltore — è già un miracolo se riusciamo a sopravvivere». Poi aggiunge: «Mi farò carico di controllare la reale identità e provenienza di questi lavoratori».
Il business
Nel frattempo, il business continua, nel Chianti ma non solo. È il business dei «caporali», quelli della Toscana, quelli che reclutano manodopera in nero e la smistano, a notte fonda, in tutta la regione. Pochi, pochissimi, i controlli delle forze dell’ordine. E il guadagno va avanti: quello dei caporali, quasi sempre stranieri, e quello delle aziende agricole, italiane, indirettamente complici.
da un servizio
di Majlend Bramo, Jacopo Storni

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