Gozzi, Bernabè, Morselli, governo, UE
gioco delle parti sulla pelle degli operai
Negli ultimi giorni Taranto è stata meta di un “pellegrinaggio” di alti esponenti dei padroni, il pres. di Federacciai Gozzi, Timmermans della Comunità europea; e chi non è venuto ha rilasciato interviste, il Min. Urso, Fitto, Bernabè; così come si sono seguiti gli incontri a Roma col Min. Urso del Pres. Emiliano e del Sindaco Melucci, e con i dirigenti nazionali di Cgil, Cisl, Uil, e a Taranto dove è ripresa la trattativa sulla cassintegrazione.
Tutti hanno detto la loro, e dobbiamo esaminare quello che hanno detto; ma quella che è mancata è ancora, come sempre, la voce dei lavoratori. Sono mancate le assemblee generali degli operai di Acciaierie, come degli operai dell’appalto - anche qui serve un’assemblea generale fatta ai cancelli, che metta insieme le ditte in sofferenza e quelle che sono a casa. Sono mancati gli scioperi, sia nei reparti e nelle aree di Acciaierie come nelle ditte dell’appalto; sono mancate le manifestazioni, i blocchi
Finchè non si sente la voce dei lavoratori i giochi sulla loro pelle li fanno i padroni, Invitalia, Bernabè, Morselli, gli altri padroni dell’acciaio; li fanno i governi con i decreti che danno soldi ai padroni, senza ottenere nulla per i lavoratori; hanno ridato anche lo scudo penale.Così l’agitarsi degli ambientalisti si muove lungo il discorso facile della chiusura dell’ex Ilva, cosa che rende vano ogni rapporto reale tra operai e masse popolari, cosa che dà molto lustro a chi fa le interrogazioni e i documenti ma poi tutto rimane nelle mani dei governi, degli Emiliano, dei Melucci, dei parlamentari e dei notabili della Comunità europea, e nulla ne viene al miglioramento reale della salute e della sicurezza, del risarcimento dei lavoratori e dei cittadini colpiti da morti, malattie professionali, deterioramento della vita nei quartieri colpiti dall’inquinamento.
Quella dello Slai Cobas è una voce discorde in questa città, fuori e contro a fiera delle chiacchiere, delle ipocrisie, delle trattative e delle lotte pilotate. E’ la voce anticapitalista, la voce al servizio dell’autorganizzazione e dello scontro di classe e non del dialogo e della conciliazione.
E’ dal 15 gennaio, secondo le promesse della stessa Morselli e l’agitarsi in un bicchiere d’acqua delle
organizzazioni sindacali (“via la Morselli”…) che gli operai in cassintegrazione all’appalto alla fine non sono rientrati, con molte imprese ai limiti del fallimento, con una cassintegrazione permanente che contiene esuberi, licenziamenti, mobilità, e sfruttamento, mancanza di sicurezza, contratti differenziati e contratti truffa che dividono i lavoratori; con una gestione di piccolo cabotaggio di delegati bene intenzionati ma che non aggrediscono mai i problemi reali, importanti degli operai dell’appalto.
E in Acciaieria? I sindacalisti più presenti se la cavano con la denuncia di fatti concreti, ma sappiamo che non basta. Ad Acciaierie è stato firmato un accordo separato con padroni e governo da sindacati da sempre collaterali all’azienda come la Fim e dai neo collaborazionisti della Fiom che continuano a spacciare come grande risultato per i lavoratori l’accordo bidone che hanno firmato, e sono costretti ogni giorno a giustificarsi dicendo che va tutto meglio in termini di soldi, garanzie, rotazione, quando invece va tutto peggio.
Gli operai sono in cassintegrazione in un numero variabile secondo le esigenze di pura flessibilità e di uso degli operai, dentro i numeri imposti dall’azienda in modo unilaterale. Operai che non prendono un centesimo di integrazione, per una cassintegrazione che contiene già i numeri dei futuri esuberi.
E poi alla fine si arriva che vi sono operai, come quelli dell’Officine Mua che vengono contattati dai capi per svolgere turni di lavoro di 12 ore durante il fine settimana, per un non meglio specificato “presidio” in vista della ripartenza dell’Altoforno. Quindi, più ore di lavoro, mentre altri operai a parità di mansioni sono in cigs, e quindi nella stessa area ci sono lavoratori che smontano dalla notte dopo aver cominciato alle 19 della sera prima, mentre altri operai sono in cassintegrazione. E’ questa è la rotazione, Sig. Brigati?
Così, si rimette in movimento l’Altoforno, e sarebbe anche una buona notizia, ma la cosa incide quasi nulla sui numeri della cigs. Anzi, Acciaierie aumenta il ricorso alla cassintegrazione straordinaria senza neanche informare le organizzazioni sindacali. Gli impiegati degli Staff e gli addetti alla manutenzione sono passatoi da un giorno a due di cig e nel Magazzino generale agli operai è stata aumentata a più di 2 giorni, lo stesso per tecnici e operai delle manutenzioni Acc. 1 e 2, gestione rottami ferrosi, per gli addetti ai servizi sicurezza, personale, amministrazione, logistica e impiegati nell’area energia.
Giustamente, sottolineano i sindacati non firmatari dell’accordo, e lo aveva scritto più chiaramente lo Slai Cobas, non solo era un accordo bidone, ma non è stato neanche rispettato dall’azienda, come sempre fatto.
ANDIAMO A VEDERE ORA CIO’ CHE CI HANNO DETTO I “VISITATORI” DELLA NOSTRA CITTA’.
GOZZI
I discorsi più significativi li ha fatti il presidente della Federacciai, Gozzi, da diverse Tribune, discorsi che meriterebbero di essere letti integrali e commentati. Nell’assemblea di Federacciai a Milano. Gozzi è partito dal fatto che stavamo meglio quando stavamo peggio, con la fabbrica in mano a padron Riva, verso il quale – ha detto – “si è realizzato un esproprio senza indennizzo di una delle famiglie industriali più importanti d’Europa”. I padroni dell’acciaio non riconoscono ne morti, ne malattie professionali, ne inquinamento di interi quartieri; non riconoscono la barbarie di fascismo padronale della ‘Palazzina Laf’; non riconoscono un sistema di comando di fabbrica dentro cui si realizza la fabbrica caserma e la repressione degli operai che la mettono in discussione; non riconoscono le lotte fatte per difendere salute e sicurezza in fabbrica; non riconoscono le battaglie dei Battista, Rizzo, Ranieri (quando erano in fabbrica e combattivi) e tanti delegati e operai che hanno cercato di cambiare le cose, rimanendone schiacciati e isolati con la collaborazione dei Palombella, dei Fiusco, ecc. ecc,.
Non riconoscono i magistrati, da Sebastio a Todisco, che hanno inchiodati i Riva e i loro ‘soci’ alle loro responsabilità mettendo in luce nelle inchieste quello che realmente è avvenuto in questa fabbrica; non riconoscono il processo “Ambiente svenduto”, i suoi verdetti.
Loro riconoscono solo la “grande famiglia Riva” che ha fatto immensi profitti e li ha imboscati nei paradisi fiscali, tanto che al massimo si sono ricavati (ma si sono realmente ricavati?) 1 miliardo e 200 milioni, certamente non per bonifiche, risarcimenti, non per il futuro industriale e ambientale di questa fabbrica.
I padroni sono “assassini dentro”. E oggi trovano il coraggio, con il governo più amico di sempre, per dire ai lavoratori e alla città che questa situazione loro non l’hanno mai condivisa e il loro idolo è Riva, e quando pensano ad una nuova Ilva, pensano all’Ilva di padron Riva rifatta con le tendine rosa.
Gozzi ci dice che “il clima è migliorato. L’ambientalizzazione è completata”, e non si capisce perché la magistratura tiene ancora sequestrati gli impianti. Insomma tutto quello che stanno dicendo operai e parte delle organizzazioni sindacali, ambientalisti, e tutto quello che avviene quotidianamente in fabbrica, nell’appalto, al porto, nei quartieri in materia di salute e sicurezza, ma anche di salari, lavoro, diritti peggiorati, sono “chiacchiere”.
Gozzi poi entra nel merito della situazione odierna e fa il discorso per conto del governo, della Comunità europea, dei padroni dell’acciaio. Ci dice che dobbiamo “seguire il modello ibrido che segue tutta la siderurgia europea e la transizione, quella dei tedeschi e dei francesi che ci dicono stanno lavorando perchè tutta la produzione dell’acciaio sostituita da forni elettrici”, per l’Ilva sempre convivente con la produzione degli Altoforni a caldo, per cui l’Altoforno 5 deve essere revampato rapidamente, applicando le tecnologie della decarbonizzazione”. Ma aggiungendo che tutto questo per essere produttivo di profitti deve occuparsi della “carica metallica… In Italia consumiamo più di 20milioni di tonnellate annue di rottame, ma di queste 6/7 le importiamo. Il sistema italiano è a corto di rottame ed è chiaro che se aggiungiamo altri forni elettrici, dobbiamo occuparci di cariche metalliche”. Quindi, poi fa il punto sul preridotto, sulla società pubblica Dri d’Italia, ecc. ecc.
Nella sostanza ci dice che per fare tutto questo lo deve fare lo Stato, solo così il privato potrà fare profitti con la fabbrica ambientalizzata; che ci vogliono investimenti per una fabbrica in cui conviveranno area a caldo, idrogeno e gas, con una montagna di soldi che deve mettere lo Stat.
Ma quello che succederà per operai di Acciaierie e appalto, e quanto questa “ambientalizzazione” ridurrà effettivamente le “fonti inquinanti” non ce lo dice. Ma siamo in grado di dirlo noi: meno operai, più sfruttamento, e il carico su salute e sicurezza sempre fondato sul primato della produzione per il profitto, in cui la vita dell’operaio e della famiglia proletaria dei quartieri contigui la grande fabbrica vale di meno.
Gozzi ha inoltre aggiunto – e qui parlando in tandem con il Min. Urso – che c’è un clima più sereno sulla siderurgia. Il fronte di padroni e governo si va compattando, e tramite il governo e l’accordo di programma si va compattando il governo centrale con le istituzioni locali.
Gozzi, però, ha fatto un passo ulteriore, ha sostanzialmente attaccato Acciaierie d’Italia e l’attuale management rappresentato dalla Morselli, con dichiarazioni “Mi chiedo – e non si tratta di un’opinione personale ma condivisa dalla comunità industriale dei siderurgici – se la prima siderurgia del mondo è intenzionata seriamente a rilanciare il più grande asset industriale d’Italia, mettendo soldi e manager… Se Londra non è disponibile a fare questo bisogna cambiare spartito, bisogna cercare un altro piano… Il privato (Mittal) ha avuto anche momenti di disimpegno perchè ha tolto management, ha tolto garanzie finanziarie, ha creato un’altra organizzazione commerciale. Noi diciamo con chiarezza che col disimpegno non si risolvono problemi… Il siderurgico ha un deficit di capex ultradecennale (si tratta della spesa per investimenti) e anche difficilmente può garantire la qualità dei prodotti e la sicurezza dell’ambiente di lavoro”.
Esiste quindi un contrasto reale nel mondo dei padroni, esiste la volontà del governo, dei padroni dell’acciaio, e qui con l’aiuto di sindacati, ecc., di costringere ArcelorMittal o a fare investimenti o a passare la mano, per una soluzione alternativa che nel caso attuale non potrebbe essere altro che una nuova cordata di padroni dell’acciaio (che comprenda anche i Riva, riciclati?).
Gli operai non devono accettare, come invece in parte i sindacati fanno, questo scontro tra padroni, ne la logica dello Stato che interviene per socializzare le perdite, metterci i soldi, salvaguardando l’attuale produzione e gli attuali profitti, per consegnare la fabbrica ‘chiavi in mano’ al “nuovo Riva” di turno, o al “nuovo ArcelorMittal” di altra nazionalità.
TIMMERMANS
Naturalmente i padroni hanno bisogno dell’Europa per fare tutto questo, e l’Europa si deve presentare alle masse come il “papa buono”. E la visita di Timmermans è servita a questo. Ha preso sotto la sua tonaca Taranto e ci ha mostrato come va avanti il cammino verso il “paradiso”, mettendo in bella copia il piano delle “buone intenzioni”.
Ha parlato a nome di Taranto e di donne e bambini, e quando qualche effettivo rappresentante di cittadini, donne e bambini ha obiettato. Timmermans ha preso la maglietta e non la ha indossata. Purtroppo è mancata anche in questa sede chi parlasse una voce operaia, proletaria e popolare, innanzitutto anticapitalista, fondato sul concetto che “nociva non è la fabbrica ma il capitale”, e che l’Ilva green è sempre capitalismo, è sempre profitto, e che l’Europa dei padroni, di cui Timmermans è rappresentante, è un covo di banditi, di multinazionali tedesche, franco indiane, ecc. ecc. in guerra tra di loro, e tutti insieme in guerra con Stati Uniti, Cina e India; in guerra per i mercati, in guerra per i profitti, in guerra in Ucraina, ex grande produttore di acciaio; in una guerra che riguarda anche l’acciaio, peraltro fondamentale nell’industria bellica e nell’economia di guerra in generale.
Ma come si sa il prete buono con la bandiera europea e senza la maglietta ha avuto grandi accoglienze da governo e Istituzioni e ha potuto dirci che comunque il potere e il destino della fabbrica, degli operai, di Taranto è in mano a loro.
BERNABE’
Il presidente di Acciaierie d’Italia, come sempre negli ultimi tempi fa il difensore d’ufficio dei proprietari effettivi di AdI. Parte per dire che ci vogliono 10 anni – solo che non abbiamo ancora capito, quando cominciano questi “10 anni”. Poi insiste “abbiamo allocato quasi un miliardo e 400 milioni di euro che unito a quanto stanziato dall’Amministrazione Straordinaria arriviamo ad una cifra di investimento di 1miliardo e 800milioni di euro per l’ambiente”. Si tratta di cifre più o meno simili a quelli che dice la Morselli, quando non piange miseria, ma sostanzialmente non sono verificate nei fatti realizzati.
Aggiunge, Bernabè, che “a luglio partono gli appalti per realizzare l’impianto che andrà in marcia nel 2026, che farà da apripista alla costruzione del primo forno elettrico; i tempi del Pnrr sono rispettati e noi nel 2026 siamo in grado di offrire ad AdI e al mercato il Dri, cioè il preridotto di ferro, il semiprodotto da caricare nei forni elettrici al posto del rottame di ferro”. Sarà… Ma in realtà al massimo hanno fatto gli studi di fattibilità.
Aggiunge ancora: “Sono previsti due moduli di impianto che consentono di offrire Dri anche al mercato”, quindi fa considerazioni “non pensiamo che andare a produrre Dri in Libia o in Iran sia un grande vantaggio competitivo, perché non è che i libici, gli iraniani o gli algerini il gas lo regaleranno. E quindi un impianto di Dri in Italia serve per motivi strategici”. La parola “strategico” ogni volta che viene detta viene usata da governo e padroni per dire: così è e così si deve fare, rendendo vana ogni obiezione nel merito e ogni critica che chiede, ad esempio, tutti i fondi per tutto ciò li mette lo Stato. Ma i profitti continuano a restare privati, e nel caso concreto, di uno dei primi, o al massimo secondi produttori mondiali dell’acciaio.
Ma come continua il discorso Bernabè. Dice che AdI è una società che ha caratteristiche completamente diverse da tutte le altre aziende. Una società che lavora su impianti sequestrati e con la richiesta di conquista. Si torna, quindi, costantemente al punto: tutto ciò si può fare ma ci vuole lo scudo penale, ci vuole che finiscano le inchieste giudiziarie, ci vuole che i soldi ad AdI affluiscano di decreto in decreto, ci vuole che i piani AdI verso gli operai abbiano mano libera in materia di condizioni di lavoro, salari, esuberi, con gli effetti su sicurezza e ambiente che ben sappiamo. Questo significa per padroni e per Bernabè “strategico”.
Chiaramente Bernabè non può nascondersi dietro un dito. Dice “la governance di Acciaierie d’Italia è unica nel suo genere. Ma subito dopo su questo si fa portatore delle istanze di ArcelorMittal. Il ‘servitor di due padroni’ si fa servitore di un solo padrone. E aggiunge: “La dimostrazione di resilienza che ha dato Acciaierie credo che abbia pochi confronti a livello mondiale. Non credo, se fosse successa una cosa del genere in Francia, Germania o Spagna, sarebbero (Mittal) andati avanti come sono andati avanti in Italia, come si è continuato a lavorare e produrre in Italia. Penso che l’acciaio primario di Acciaierie sia un bene per il paese che deve essere salvaguardato”.
MORSELLI
Ma ai padroni non basta mai. E la Morselli incassato l’elogio di Bernabè risponde a tono alle osservazioni di Gozzi, e la mette giù dura chiedendo a Gozzi di ritrattare le critiche pubblicamente e senza indugio, perché si tratta di illazioni di inaudita gravità sui prodotti e la sicurezza. Riservandosi ogni azione a tutela della reputazione e degli interessi della nostra società”. E a testimonianza della propria azione e di ArcelorMittal, la Morselli chiama i vertici di Eurofer, l’associazione europea dei produttori di acciaio, secondo la logica: ‘se non credete a me, credete a mia moglie’.
“Nella recente visita, i vertici, hanno riconosciuto gli impressionanti sforzi di ammodernamento degli impianti compiuti negli ultimi anni. Si tratta di investimenti per oltre 2 miliardi di euro, realizzati da novembre 2018 a fine 2022, per di più finanziati interamente con i fondi generati dalla società o da capitali forniti da soci, poichè ad oggi non è stato erogato nemmeno un euro di incentivi pubblici agli investimenti”. Ma si può andare avanti così?! Tra Bernabè che dice che sono stati dati una montagna di soldi e la Morselli che dice che non hanno ricevuto un euro; tra le continue denunce delle organizzazioni sindacali di impianti che cadono a pezzi, di mancanza di pezzi di ricambio, ecc. ecc. e gli “impressionanti investimenti” della Morselli. Uno scandaloso gioco delle parti tra padroni, apparentemente divisi ma ben uniti nel nascondere la effettiva realtà.
La Morselli poi dà il meglio di sé sul fronte della sicurezza e la spara grossa. “Quando poi alla sicurezza dei nostri stabilimenti, si rifà al bilancio di sostenibilità del 2002, per indicare un ulteriore calo degli indici di frequenza di infortuni che rappresenta il miglior valore mai raggiunto nella storia della nostra società”. Ma di quale storia parla? Da quando è lei amministratore delegato, “la storia sono io”?
In altre fabbriche di fronte ai problemi anche di un singolo reparto, gli altri reparti si fermano, si sciopera - vedi quello che succede a Pomigliano in questi ultimi giorni. A Taranto invece si fanno denunce sui giornali.
Hanno ragione tanti operai che quando diciamo queste cose ci dicono che il “sindacato non c’è”. Ma noi diciamo che invece c’è, eccome, e il voto alle Rsu dimostra che c’è e ottiene consensi non indifferenti. Però non è il sindacato di classe e di massa in mano agli operai, che lotta e porta risultati a casa e che costruisce, attraverso la lotta, le assemblee, lo scontro, condizioni migliori per mettere in discussione tutto il piano di padroni e governo che riguarda il futuro della fabbrica, e nel nostro caso la più grande fabbrica in Italia e una delle grandi fabbriche in Europa, in una città che per il costo che ha pagato avrebbe bisogno non delle carità pietosa e di promesse future che ogni dieci anni ci fanno, salvo poi trovarci al rinnovo di esse alla fine di ogni decennio.
Noi consideriamo la zona industriale di Acciaierie e appalto una prateria che contiene tutte le contraddizioni del sistema capitalista, dello scontro tra padroni e classe operaia, tra classe e Stato del capitale. E pensiamo che questa prateria ha bisogno di una scintilla che l’accenda. E per questo lavoriamo quotidianamente, facciamo parole e scritti fondati sui fatti e i fatti ci danno ragione. Ma sappiamo bene che nella lotta di classe tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Ma il “mare armato” della coscienza di classe e dell’organizzazione di classe è l’arma invincibile dei lavoratori. E questa arma prima o poi deve essere impugnata.
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