SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS
“LETTERE DAL FRONTE” DEL 08/07/15
Invio a seguire e/o in allegato le “Lettere
dal fronte”, cioè una raccolta di quelle mail che, tra le tante che ricevo,
hanno come tema comune la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori
e dei cittadini e la tutela del diritto e della dignità del lavoro.
Il mio vuole essere un contributo a
diffondere commenti, iniziative, appelli relativamente ai temi del diritto a un
lavoro dignitoso, sicuro e salubre.
Invito tutti i compagni e gli amici della
mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della
sicurezza sul lavoro
Medicina Democratica
Progetto “Sicurezza sul lavoro! Know Your Rights”
e-mail: sp-mail@libero.it
Web Medicina Democratica: http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210
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INDICE
Lino Balza linobalzamedicinadem@gmail.com
SOLVAY KILLER ANCHE IN AULA GIUDIZIARIA
Assemblea Lavoratori assemblealavoratori@libero.it
COMUNICATO DELL'ASSEMBLEA NAZIONALE DELLA
"COALIZIONE DELLO SCIOPERO SOCIALE"
Assemblea Lavoratori assemblealavoratori@libero.it
OPERAI SUI TETTI CONTRO I LICENZIAMENTI
ALLA MARCEGAGLIA
Comitato Lavoratori Porto di Napoli comitatolavoratoriporto@gmail.com
25 LUGLIO 2015: APPELLO DELLE OPERAIE E
DEGLI OPERAI DEL PORTO DI NAPOLI PER UN'ASSEMBLEA NAZIONALE
Franco Mugliari fmuglia@tin.it
L’ESAME DI MATURITA', CALVINO, LEVI E
L'AMIANTO
Carlo Marzio carlomarzio@libero.it
IN VIGORE IL DECRETO LEGGE 7 LUGLIO 2015
(“DECRETO FINCANTIERI”)
CUB Sanità Firenze cubsanita.firenze@libero.it
TAGLI ALLA SANITA': UN POZZO SENZA FINE
Assemblea Lavoratori assemblealavoratori@libero.it
JOBS ACT: PRECARI SENZA CONTRATTO E
DIPENDENTI SENZA FUTURO!
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From: Lino Balza linobalzamedicinadem@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, July 01, 2015 10:10 PM
Subject: SOLVAY KILLER ANCHE IN AULA
GIUDIZIARIA
Denuncia il Pubblico Ministero al Consiglio
superiore della Magistratura.
Si inventa un complotto ai suoi danni: un
intrigo internazionale “dei poteri forti” ordito dai congiurati Ausimont, Arpa,
Carabinieri Noe, Comune, Provincia, Regione, giunte di sinistra e di destra,
amministratori e funzionari, Montedison, Edison, Eridania, Coopsette,
Esselunga, associazioni ambientaliste. Tutti dediti a tangenti e mazzette.
Il Pubblico Ministero diventa il deus ex
machina dei congiurati. Una “denuncia” che è una cazzata di fatto e in diritto,
ma che ha l’ambizione di inceppare i meccanismi giudiziari.
In questi processi industriali sono in
gioco interessi enormi, basti pensare alle centinaia di milioni dei costi di
bonifica del disastro ambientale di Spinetta Marengo in caso di sentenza di
colpevolezza, dunque tutti i mezzi sono ammessi per la difesa, senza scrupoli.
Tra questi ci sta, ad opera della Solvay,
la denuncia del Pubblico Ministero al Consiglio superiore della Magistratura.
Obbiettivo immediato dell’annuncio in aula
della Corte di Assise di Alessandria è aggredire i giudici popolari con una
cannonata: Solvay denuncia che il Pubblico Ministero Riccardo Ghio ha concorso
a un complotto contro la multinazionale belga, ha falsificato gli atti del
processo, ha commesso un serie gravissima di reati al fine della “concussione
ambientale”, cioè estorsione di soldi.
Più la spari grossa e più fai impressione,
se poi aspetti a sparare all’ultima udienza il botto che ti proponi è il
massimo. Il teorema dell’avvocato “best” Luca Santamaria è fantasioso (vedi
dopo), ma è talmente pesante da diventare subdolo, teso a indurre il dubbio fra
i giurati, e il dubbio serve quando il confine è “al di là di ogni ragionevole
dubbio”.
Non dovrebbero però avere dubbi i giudici
dopo aver seguito decine di udienze per anni, non dovrebbero lasciarsi
abbacinare dal pirotecnico teorema.
L’annuncio è probabilmente un bluff,
petardo più che una bomba, non è così scontato che partirà la denuncia,
soprattutto in caso di condanna in Assise. Però una cosa è assolutamente certa:
se la Corte assolverà dal dolo gli otto imputati, Solvay procederà senza
esitazioni contro il Pubblico Ministero usando la carta assoluzione come
grimaldello nella denuncia.
Gli obbiettivi di prospettiva
diventerebbero allora più ambiziosi e concreti. Il polverone sollevato al
Consiglio superiore della Magistratura servirebbe per altri due scopi.
Uno, nel ricorso in Appello: il boato della
denuncia, proprio perché al limite del ridicolo, sarebbe talmente clamoroso da
fuorviare tutto il dibattimento e trascinarlo per il largo e il lungo
(prescrizione).
L’altro obbiettivo guarda al filone
processuale che si sta per aprire per le morti e le malattie provocate
dall’inquinamento soprattutto atmosferico. Questo secondo processo per Solvay è
ancora più pericoloso dell’attuale perché essa non può neppure attuare lo
scaricabarile su Ausimont.
Dunque le diventerebbe essenziale, tramite
la denuncia, fare della Procura di Alessandria “l’anatra zoppa” (l’Accusa sotto
accusa!!), sostituire il Pubblico Ministero, o chiedere addirittura lo
spostamento del processo in altra sede (tentativo fallito in precedenza).
Questa manovra contro il Pubblico Ministero
Riccardo Ghio (ignobile sul piano personale, tipica di chi passerebbe sul
cadavere della madre) è stata scelta per regia di Giorgio Carimati
nell’impossibilità di agire direttamente sulla Corte di Assise.
Noi abbiamo spesso criticato la Presidente
Sandra Casacci perché agli avvocati difensori è stato concesso di fare e dire
qualunque cosa. Alla luce degli avvenimenti, ora dobbiamo ammettere che la
pazienza è così riuscita a non offrire il benché minimo pretesto di killeraggio
processuale.
A Chieti il presidente della Corte d’assise
Geremia Spiniello è stato ricusato da Montedison semplicemente per aver
dichiarato in una intervista l’ovvio impegno di rendere giustizia al territorio
e sostituito da Camillo Romandini. Le accuse di alcuni giurati per pressioni indebite
da parte del subentrato presidente sono al vaglio del Consiglio superiore della
Magistratura (vedi dopo).
Ad Alessandria, nel 2008, all’impostazione
del processo (differente da Chieti), termini e capi di imputazione compresi,
Riccardo Ghio aveva lavorato sotto la guida del Procuratore generale Michele Di
Lecce trasferitosi a Genova nel 2012 e sostituito da Mario D’Onofrio. A quel
tempo Solvay non se l’era sentita di attaccare Di Lecce, mentre ora
evidentemente reputa che Ghio sia isolato.
In conclusione, la denuncia della Solvay di
Spinetta al Consiglio superiore della Magistratura è una bolla, anzi una balla.
Si reggerebbe solo se riuscisse a
dimostrare l’esistenza delle tangenti che, afferma Solvay, sarebbero state
pagate (collusione e concussione) da Ausimont agli Enti locali (e non solo) per
renderli complici nel nascondere gli inquinamenti.
Solvay dovrebbe portare le prove delle
mazzette, che nella contabilità aziendale non possono sfuggire. Se le ha e non
le tira fuori è perché rischierebbe di scoprire i propri altarini.
Senza questa prova regina, il teorema di
Santamaria è ridicolo, un bluff, un polverone, una messa in scena cinica.
L’aveva già enunciato per sei ore nell’udienza del 17 novembre 2014.
Santamaria, senza prove sei solo un killer
prezzolato!!!
* * * * *
Solvay è innocente: vittima di un intrigo
internazionale ordito dai poteri forti della chimica, dei supermercati e della
politica, per impedirle di denunciare i veri colpevoli della catastrofe
ambientale di Spinetta Marengo, e per impedirle di bonificare l’altrui
avvelenamento doloso delle falde acquifere. Regista finale del complotto: il
Pubblico Ministero. Svelato il giallo in Corte di Assise di Alessandria: tutti
i nomi dei congiurati. Ombra della massoneria.
UDIENZA DEL 17 NOVEMBRE 2014
“Va bene a tutti, anche all’amico Balza”:
l’avvocato Luca Santamaria conclude l’arringa difensiva in Corte di Assise di
Alessandria. L’ironia storpiante su “amico” è scontata: ormai è un ritornello
additare Lino Balza come “nemico”, numero due, distaccato di parecchie
lunghezze dal nemico numero uno di Solvay, il Pubblico Ministero Riccardo Ghio.
Invece, è assai nebulosa la conclusione del romanzo giallo raccontato per sei
ore dall’illustre legale, cioè l’intrigo internazionale “dei poteri forti” che
si materializzerebbe nell’assassinio di Solvay a opera di un folto gruppo di
congiurati. I quali sarebbero in ordine di presentazione: Ausimont, Pubblico
Ministero, Arpa, Carabinieri NOE, Comune, Provincia, Regione, giunte di
sinistra e di destra, amministratori e funzionari, Montedison, Edison,
Eridania, Coopsette, Esselunga, associazioni ambientaliste ad eccezione di
Medicina Democratica (bontà sua). Non cita i sindacati. Dimentica il GUP
Stefano Moltrasio. Dice Santamaria: “Va bene a tutti” l’assassinio finalmente
ordito, cioè l’incriminazione di Solvay per avvelenamento doloso e dolosa
omessa bonifica, ai sensi dell’articolo 439 del Codice di Procedura Penale, “va
bene a tutti” i suddetti congiurati, e anche all’ “amico” Balza che, pur non
avendo compreso il complotto, è contento lo stesso perché costituzionalmente
nemico giurato di Solvay.
Santamaria avvince come giallista, ma non
convince come difensore di Giorgio Carimati. Avvince, che è un piacere
ascoltarlo due tre ore, quando scava nella dietrologia, quando dissemina indizi
inquietanti su ciascuno dei congiurati, ma poi quando dopo sei ore il mosaico
dovrebbe comporsi ti rendi conto che le tessere sono forzatamente assiemate,
come avviene per i giallisti neofiti. L’ultimo capitolo rende oscura la trama.
Nessun giallo regge se non regge il movente. Non convince il garbuglio.
D’altronde è la prima volta che Santamaria si esercita in questa nuova veste di
romanziere. Per il resto è senza dubbio il leader dell’esorbitante staff
difensivo della multinazionale chimica, è preparatissimo, analitico fino alla
pignoleria, conosce a memoria tutti i risvolti processuali, segue e indirizza
Solvay ancora prima del processo come è evidente nelle intercettazioni
telefoniche, è attento e ascoltato consigliere di Carimati nel bene e nel male,
non è solo un impareggiabile giurista ma anche uno sgobbone che sacrifica per
la causa le ore di sonno. In questa udienza si è presentato un po’ stanco, con
la barba lunga, a tratti emozionato probabilmente per una qualche presenza di
riguardo, ma pur sempre un leone indomito. Però come giallista...
Quando arrivi alla fine di un giallo e ti
rendi conto che non sei in grado di riassumere la trama: resti deluso. Può
essere colpa tua perché il genere letterario non ti è confacente? Perché non
possiedi neppure le veline giornalistiche che potrebbero aiutarti come
prefazione del romanzo? A questo punto vai a comprare i giornali. Trascriviamo
quello che hanno capito loro del complotto internazionale: “Metà dell’area ex
zuccherificio di Spinetta Marengo, vicina allo stabilimento, fu ceduta a
Esselunga per fare un supermercato, ma i signorotti locali (i politici NDR)
sostenitori di CoopSette insorsero fino a che si decise di destinare l’altra
metà a CoopSette un perfetto inciucio in barba al Piano regolatore comunale.
Sembravano tutti felici e contenti, ma Solvay va a rompere le scatole perché,
continua Santamaria, insiste per la messa in sicurezza di emergenza della
propria area, dopo aver scoperto che le perdite dalla fabbrica con relativo
inquinamento sono più cospicue di quelle che le aveva dato a bere Ausimont (la
venditrice NDR) propinandole la bischerata di un piano di caratterizzazione
falso. Basato su documenti falsi alle Autorità compiacenti. Ma se Solvay scopre
gli altarini, viene fuori che anche l’ex zuccherificio è inquinato è salta
l’inciucio supermercato”. Fine della trascrizione.
Dunque c’era il rischio che l’integerrima
Solvay facesse partire denunce penali contro Ausimont e soprattutto le Autorità
colluse e corrotte. Allora ci chiediamo: perché in 7 anni Solvay non ha fatto
denunce? perché parla di tangenti dell’Ausimont ai politici, senza produrre
prove? Non è che andando con gli zoppi si continua a zoppicare? Invece, nel
racconto di Santamaria, Solvay stava rompendo (sic) la continuità mafiosa
vigente ad Alessandria (con quanta discrezione! al punto di passare inosservata
NDR). Il vento di Bussi (?) terrorizzò i congiurati (siamo all’escalation della
suspense del giallista) la paura corre sul filo, il gioco del cerino acceso
(sic) brucia Comune e Arpa, si salvi chi può. E’ la quadratura del cerchio:
esclama ispirato Santamaria. Noi invece comprendiamo sempre meno il garbuglio
del giallo, i collegamenti logici e fattuali, che c’azzecca lo zucchero col
cromo esavalente, la lobby dei super mercati con la lobby della chimica?
Ma è proprio a quel punto che scatta il
coup de théâtre del romanzo. A quel punto (2008) entra in scena il complice
Riccardo Ghio. Il Pubblico Ministero che, senza prove, bluffando, anzi
falsificando le carte, individua come facile capro espiatorio (sic) l’innocente
Solvay e la incrimina per sviare l’attenzione politica e mediatica e penale
dall’ex zuccherificio, sotto il quale si cela il corpo del reato, cioè la
discarica abusiva su cui il complice Pubblico Ministero non vuole proprio
indagare: evidentemente contiene cromo e clorurati inquinanti la falda (che
fantasia! se si pensa che lavoravano barbabietole per produrre zucchero!).
Santamaria definisce il fraudolento
intervento di Ghio come “una vera e propria operazione di distrazione di massa”
volta a non scoperchiare il vaso di Pandora (sic) dell’ex zuccherificio e a
salvare il culo ai politici, gli stessi che impedivano (sic) a Solvay di
bonificare l’inquinamento, a questo punto non di origine chimica ma
zuccheriera. “Il Pubblico Ministero inscena una realtà finta e marcia, una
menzogna organizzata da alte stanze del potere alessandrino, colluso da decenni
con Montedison-Ausimont. Loro sono i veri colpevoli dell’avvelenamento e non
Solvay. Perciò chiedo l’assoluzione con formula piena di Solvay e in
particolare di Giorgio Carimati che dal 2003 al 2008 non poteva certo passare i
sabati e le domeniche negli scantinati degli archivi segreti”. Fine del romanzo
giallo.
* * * * *
La sentenza della Corte d’Assise di Chieti,
che ha mandato in parte assolti (per avvelenamento delle acque) e in parte
prescritti (per disastro ambientale) 19 dirigenti e tecnici della Montedison,
imputati per il mortifero inquinamento causato dalle discariche di Bussi sul
Tirino (Pescara), è fortemente sospetta di pressioni indebite del Presidente
della Corte su alcuni membri della Giuria.
Alcune giurate hanno infatti affermato di
essersi sentite dire dal Presidente che “se avessero condannato per dolo, e se
poi gli imputati si fossero appellati e avessero vinto la causa, avrebbero
potuto citarci personalmente, chiedendoci i danni, e avremmo rischiato di
perdere tutto quello che abbiamo, negozio e casa compresi”. Affermazione in sé
falsa perché la legge prevede la responsabilità dei giudici soltanto “in caso
di dolo oppure di negligenza inescusabile per travisamento del fatto o delle
prove”. Fatti e prove ben documentati dai Pubblici Ministeri, dall’Istituto
Superiore della Sanità, dall’Avvocatura dello Stato.
Però quella minacciosa prospettazione della
loro rovina economica era volta a derubricare il disastro da reato doloso a
reato colposo, punito con pene inferiori e soprattutto con prescrizione più
breve e già scattata.
No dolo: ritornello peraltro reiteratamente
ripetuto fra un’udienza e l’altra ai sei giudici popolari. Così fu la genesi
della sentenza composta in Camera di consiglio di una pizzeria.
Ora, sulla correttezza della condotta dei
due giudici togati di Chieti si pronuncerà anche il Consiglio Superiore della
Magistratura, anche annullando il verdetto.
Messaggio di pace e salute inviato da Lino
Balza
via Dante 86
15121 Alessandria
cellulare 347 01 82 679
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From: Assemblea Lavoratori assemblealavoratori@libero.it
To:
Sent: Wednesday, July 01, 2015 11:11 PM
Subject: COMUNICATO DELL'ASSEMBLEA
NAZIONALE DELLA "COALIZIONE DELLO SCIOPERO SOCIALE"
Il programma di riforme del Governo Renzi,
eseguitO sotto dettatura della Commissione europea, prosegue la sua azione a
colpi di fiducia, la quarantesima in sedici mesi è arrivata in Senato, sul
maxiemendamento riguardante la scuola. Come era avvenuto per il Jobs Act, Renzi
si è imposto, con arroganza e autoritarismo, ottenendo la fiducia sul Disegno
di Legge e sulle nove deleghe che sconvolgono totalmente la scuola pubblica.
Scioperi, blocchi e manifestazioni nel
mondo della formazione continueranno nelle prossime settimane e mesi, al pari
di quelle contro la riforma del mercato del lavoro, nonostante l’immagine
distorta degli effetti del Jobs Act che i media e il Governo stanno provando a
delineare.
Non siamo di fronte a una nuova “primavera
occupazionale” né, tanto meno, a una “universalizzazione delle tutele”.
Nonostante la propaganda e le mistificazioni di Renzi e Poletti, i dati reali
ci consegnano una povertà in dilagante aumento, una precarietà diffusa e una
disoccupazione giovanile drammatica, mentre gli ammortizzatori sociali
rimangono iniqui ed insufficienti.
In questo contesto, il Presidente del
Consiglio ha con violenza respinto la proposta di introduzione di un reddito
garantito, definendolo misura “incostituzionale” e “assistenzialista”. Una
misura (occorre ricordarlo) assente solo in Grecia e in Italia, che rappresenta
per i movimenti sociali e per larghi strati dall’associazionismo di base un orizzonte
di lotta irrinunciabile contro il ricatto della precarietà e della povertà.
Intanto, in questi giorni, prosegue
l’azione implacabile della Troika nei confronti della Grecia, una forma di
“guerra di classe” dall’alto verso il basso che colpisce non solo i greci, ma
tutti i paesi europei, mentre il vertice europeo sulle migrazioni mostra la
rilevanza strategica del governo della mobilità e la scala ormai compiutamente
transnazionale dei processi di precarizzazione.
L’alternativa tra dittatura del debito e
della finanza e democrazia reale ormai è radicale, per questo crediamo che
l’estensione transnazionale di forme di coalizione, di lotta e di sciopero oggi
più che mai è necessaria.
A partire dalla “Coalizione per lo sciopero
sociale” e dalle inedite forme di sindacalismo sociale sperimentate negli
ultimi mesi a partire dalla mobilitazione del 14 novembre, sentiamo l’esigenza
di confrontarci in una assemblea nazionale, per immaginare i nostri prossimi
passi verso l’autunno. Vorremmo farlo, però, ripartendo dalla possibilità,
dimostrata durante quest’anno, di costruire forme espansive e generalizzate di
conflitto sui temi del salario minimo europeo, del reddito garantito, del
welfare universale e del permesso di soggiorno minimo europeo di due anni.
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From: Assemblea Lavoratori assemblealavoratori@libero.it
To:
Sent: Wednesday, July 01, 2015 12:07 PM
Subject: OPERAI SUI TETTI CONTRO I
LICENZIAMENTI ALLA MARCEGAGLIA
Ieri mattina un gruppo di operai della
Marcegaglia hanno deciso di salire sul tetto, e di rimanervi ad oltranza, per
protestare contro la chiusura dello stabilimento. I 7 lavoratori che sono in
lotta contro l’azienda sono tutti aderenti al comitato di lotta che lo scorso
anno ha tentato con le unghie e i denti di difendere invano lo stabilimento
dalla deportazione.
Lo scorso giugno un accordo separato
firmato da FIM e UILM ha sancito la chiusura dello stabilimento di Milano per
trasferirlo a Pozzolo Formigaro in Piemonte a 108 km dallo stabilimento che
insiste nell’area della ex Breda siderurgica.
In provincia di Milano Marcegaglia aveva
(ed ha) due stabilimenti e altri due siti in provincia di Lecco e di Bergamo,
ma l’illuminato gruppo dirigente aziendale non volle neppure sentir parlare di
ricollocare in una di quelle quattro fabbriche i lavoratori: a chi non accettò
il trasferimento a Pozzolo Formigaro toccarono due anni di cassa integrazione
straordinaria.
Grazie al governo Renzi e alle sue nuove
norme sugli ammortizzatori sociali, i due anni di cassa si sono ridotti a uno e
così Marcegaglia ha deciso di imporre ai 7 lavoratori rimasti il trasferimento
forzato a Pozzolo oppure il licenziamento.
Con un atteggiamento piuttosto arrogante e
nonostante il fatto che i lavoratori abbiano fornito un elenco dettagliato
delle reali necessità di organico nei 4 suddetti stabilimenti, l’azienda ha
semplicemente dichiarato: “Decidiamo noi se, quando, e dove assumere, e al
momento abbiamo deciso che non serve nessuno”.
Il 30 giugno un altro incontro per
espletare il formale “esame congiunto” per articolo 8 del Contratto Collettivo
Nazionale di Lavoro con le rappresentanze. E anche in quella sede l’azienda ha
ribadito la deportazione e con mezzi propri, che significa una spesa media procapite
per recarsi a lavoro di circa 800 euro mensili. L’azienda stessa ha
riconosciuto che l’esito più probabile di tale trasferimento e l’assenza
ingiustificata e il conseguente licenziamento disciplinare.
“Che il gruppo dirigente di Marcegaglia
volesse semplicemente disfarsi dei lavoratori della fabbrica di viale Sarca a
noi è stato chiaro da subito”, scrive la FIOM in un comunicato. “Ma ora, quando
la partita di gioca su 7 operai, dovrebbe essere chiaro a tutti. E’
impensabile, infatti, che l’azienda non riesca a ricollocare un numero così
esiguo di lavoratori in uno dei quattro siti limitrofi a Milano, che producono
a pieno ritmo e dove, spesso, si fanno straordinari”, si legge ancora nella
nota.
“Va ricordato che il gruppo Marcegaglia
acquistò a prezzo agevolato i capannoni di viale Sarca” - sottolinea
Massimiliano Murgo, RSU FIOM - “grazie alle allora Prodiane politiche di
incentivazione al rilancio industriale delle aree industriali inutilizzate. Il
prezzo fu di circa 50 mila lire al Metro quadro. Nel nuovo contesto urbano il
valore del terreno raggiunge diverse migliaia di euro, e parliamo di un area di
quasi 80.000 metri quadrati. Liberare quest’area fa intravedere un enorme
speculazione da parte dell’azienda”.
Gli operai furono messi davanti a 3 scelte,
spiega Murgo:
trasferirsi nello stabilimento piemontese
avvalendosi di un servizio navetta e 150 euro lorde di incentivo individuale,
oppure 250 euro lorde individuali con i mezzi propri: entro il 18 luglio 2014
hanno operato questa scelta circa 60 lavoratori, a cui già 4 hanno rinunciato;
accettare il licenziamento dietro il
versamento di un incentivo di 30.000 euro lorde (circa un anno di retribuzione
media lorda) più il riconoscimento del mancato preavviso;
accedere al secondo anno di cassa integrazione
straordinaria con l’impegno dell’azienda fin dal primo giorno di cassa (1
settembre 2014) a ricercare negli stabilimenti di Lanate, Corsico, Boltiere,
Lomagna un ricollocamento, con l’impegno di proporre (non imporre) comunque il
trasferimento a Pozzolo a chi non si fosse riuscito a ricollocare.
I 7 lavoratori che sono in lotta contro
l’azienda, tutti e 7 aderenti al comitato di lotta che lo scorso anno ha
tentato con le unghie e i denti di difendere invano lo stabilimento dalla
deportazione, contrari a questo accordo che ha già falcidiato 90 posti di
lavoro circa a Milano, non hanno accettato i soldi “né di essere deportati”.
“7 è un numero piccolissimo” – continua
Murgo - “per un gigante come Marcegaglia. E’ davvero la cosa più semplice e
meno costosa da fare per l’azienda ricollocarli. Ma invece ha deciso di
punirli. La determinazione di risollevarsi dalla sconfitta dello scorso hanno,
nel mantenere l’obiettivo di avere un lavoro dignitoso che non gli sconvolgesse
la vita, nel non lasciarsi intimidire dalla baldanza padronale, è un onta per
il padrone Marcegaglia, che ha scelto un uomo della scuola FIAT per gestire con
la mano pesante e la faccia di gomma la vertenza di Milano e non solo”.
La richiesta dei lavoratori è semplice:
rispetto degli impegni, e ricollocazione nelle aziende previste nel accordo. A
Lomagna, a Corsico, a Lainate, a Boltiere sono sotto organico, si fanno un
botto di straordinari.
Fondamentalmente i lavoratori di Milano ci
dicono: “Redistribuire il lavoro che c’è per lavorare tutti”.
Articolo pubblicato in co-produzione con
"Controlacrisi"
A seguire il primo comunicato degli operai
dai tetti della Marcegaglia Buildtech.
DAI CIELI FRA SESTO E MILANO CON LO SGUARDO
SULLE STRADE CHE UNA VOLTA FURONO LASTRICATE DEL FUOCO DEGLI OPERAI PARTIGIANI
AI QUALI VORREMMO RESTITUIRE UN PO’ DI ONORE
Le prime 24 ore di occupazione dei
carroponte e del tetto del reparto pannelli della Marcegaglia sono state piene
di adrenalina e riflessione. Nessun problema di gestione dei rapporti con la
sicurezza interna.
La produzione dei pannelli coibentati a
Milano è stata totalmente bloccata.
Le spedizioni sono state interrotte. Dal
punto di vista del danno economico ci siamo!
Sul piano della immagine l’azienda mostra
di avere più problemi.
Ieri ha pagato la giornata agli altri
lavoratori che sono in procinto di andare volontariamente in mobilità o
volontariamente al Lager di Pozzolo Formigaro, per evitare di avere troppa
“movida” davanti ai cancelli.
Oggi e domani sono stati tutti messi in
cassa integrazione.
Ed è proprio sul piano dell’immagine che
facciamo appello alle organizzazioni sindacali, ai partiti di classe, alle
associazioni e ai collettivi che si sentono vicini alla nostra battaglia di
muoversi nelle prossime ore.
Vorremmo che attorno alla fabbrica si renda
più visibile possibile la lotta. Noi quassù da questo punto di vista abbiamo i
mezzi limitati.
Ieri ci sono stati 2 incontri in
prefettura.
L’azienda non tratta se non scendiamo, e
comunque non è disponibile a discutere di ricollocamento.
Per cui DECRETIAMO quanto segue.
NOI NON MOLLIAMO la presa fino al momento
in cui non sarà palesato nero su bianco il ricollocamento negli stabilimenti di
Boltiere, Corsico, Lainate e Lomagna. A rafforzamento di ciò uno dei 6
occupanti ha deciso spontaneamente di mettersi in sciopero della Fame.
A tale senso facciamo richiesta alle
autorità competenti di metterci a disposizione quotidianamente la visita di un
medico per verificare lo stato di salute del compagno Sergio. Segnaliamo che di
noi c’è un lavoratore, Alfredo Mastropasqua, affetto da una grave patologia
tumorale. Per la precisione si tratta di un cordoma alla base cranica. A causa
di tale patologia ha disturbi visivi e dell’equilibrio. Chiaramente noi
riteniamo responsabile l’azienda delle conseguenze sulla salute di tutti noi,
visto che ci ha costretti non rispettando gli impegni presi a scegliere questa
forma estrema di RESISTENZA.
Ci domandiamo l’amministrazione comunale di
Sesto e soprattutto quella di Milano, che ha delle serie responsabilità legate
al PGT che ha trasformato il cemento e il ferro di questi capannoni in oro, se
e quando hanno intenzione di esprimere almeno una posizione di netta distanza
da quella che esprime l’azienda.
Alla luce di tutto ciò ribadiamo il nostro
appello a tutti e tutte di sostenere con tutte le forze possibili la nostra
battaglia per il lavoro e contro le nefaste conseguenze del Jobs Act e di tutte
le scelte governative in tema di lavoro degli ultimi 20 anni che favoriscono
terribilmente queste forme di cannibalismo padronale.
La nostra lotta è la lotta di tutti i
lavoratori e di tutte le lavoratrici.
SOLO UNITI POSSIAMO VINCERE!
Sono bene accetti comunicati e attestai di
solidarietà.
Inviateli alla mail: fazzolettirossi@gmail.com oppure
sms o wathsapp al numero 349 49 06 191
Alfredo, Cristian, Franco, Gianni,
Massimiliano, Sergio
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From: Comitato Lavoratori Porto di Napoli comitatolavoratoriporto@gmail.com
To:
Sent: Friday, July 03, 2015 1:17 PM
Subject: 25 LUGLIO 2015: APPELLO DELLE
OPERAIE E DEGLI OPERAI DEL PORTO DI NAPOLI PER UN'ASSEMBLEA NAZIONALE
ORGANIZZARSI E COORDINARSI
Tenere aperte le aziende! Creare posti di
lavoro! Costruire l’alternativa!
Non sono i padroni ad essere forti, sono
gli operai e le masse popolari che devono fare valere la loro forza!
APPELLO DEGLI OPERAI E DELLE OPERAIE DEL
PORTO DI NAPOLI PER UN’ASSEMBLEA NAZIONALE
Abbiamo deciso di resistere all’attacco da
parte dei padroni e contro il Governo il cui decreto Sblocca Italia prevede,
tra le altre cose, l’eliminazione di gran parte delle Autorità Portuali, organi
di governo dei porti, ulteriore avanzata del processo di privatizzazione delle
strutture produttive e di eliminazione di posti di lavoro. Solo nel porto di
Napoli sono 500 i lavoratori a rischio! Abbiamo deciso di occuparci delle
nostre aziende per impedire che vengano chiuse, ridimensionate, delocalizzate.
Per quanto sia ragionevole, giusto,
legittimo rivendicare “più diritti”, “più lavoro”, protestare contro questo
corso delle cose, finché gli operai e gli altri lavoratori lasciano nelle mani
delle attuali autorità il compito di trovare soluzioni e attuare le misure di
emergenza che sono necessarie, le cose non possono cambiare e non cambieranno.
La nostra è un’iniziativa con cui
intendiamo promuovere lo sviluppo del coordinamento per i lavoratori dei porti
di tutta Italia, di Ancona, di Genova, di Livorno, di Salerno, di Taranto, di
Trieste e di tutti gli altri, e mira a coordinarsi anche con le lotte di tutti
gli operai, di tutti i lavoratori e di tutte le masse popolari del paese.
Vogliamo coordinarci con tutti quelli che
sono sempre più colpiti dalla crisi del capitalismo che si aggrava e si
estende, con uno smantellamento industriale in tutte le parti d’Italia, con una
lacerazione del tessuto produttivo in intere aree e in fabbriche che
costituiscono centri di produzione vitali per intere città e regioni.
Noi lavoratori possiamo e dobbiamo
coordinarci contro un Governo che attacca i diritti e le conquiste della classe
operaia e delle masse popolari nel campo del lavoro (ultima misura è il Jobs
Act), della scuola, della sanità, dell’ambiente: in ognuno di questi campi e in
tutti gli altri che riguardano la vita delle masse popolari il Governo Renzi
interviene a fianco dei padroni, dei Marchionne e di tutti gli altri per
eliminare tutto quanto abbiamo conquistato e per negare il futuro alle giovani
generazioni.
Possiamo e dobbiamo coordinarci con gli
operai della FIAT di Pomigliano, di Melfi, di Termoli, di Cassino e degli altri
stabilimenti, con gli operai della siderurgia di Terni, di Taranto, di
Piombino, con gli operai della Fincantieri, con gli operai che si organizzano
in comitati e si coordinano, come alla Piaggio di Pontedera, alla Continental
di Pisa, alla GKN e alla CSO di Firenze, con gli operai e le operaie in lotta
alla Fiber di Bergamo, alla Nuova Sinter di Arzano, alla Avio Interiors di
Latina, all’IKEA, all’ALCOA, con i lavoratori delle Aziende Partecipate di
Napoli e con tutti i lavoratori che si organizzano nelle aziende pubbliche,
nelle amministrazioni, negli ospedali, nelle scuole, nei trasporti, con i
disoccupati, con gli studenti, con gli immigrati, donne, per con chi lotta per
la casa, per l’acqua, per difendere i beni comuni e l’ambiente, i movimenti No
TAV e No MUOS.
Possiamo e dobbiamo coordinare le azioni di
lotta e confrontarci per iniziare ad elaborare e sperimentare la messa in campo
di possibili misure atte alla ripresa delle produzioni utili alla collettività
o alla conversione di quelle dannose, salvaguardando i posti di lavoro, i
diritti e le condizioni di vita dei territori, creando nuovi posti di lavoro.
Possiamo farlo, se non restiamo chiusi a
chiedere soluzioni a chi, come Renzi, come Marchionne e come tutti gli altri,
non può né vuole darcene, se non restiamo fermi allo sdegno, alla denuncia,
alla protesta, alla rivendicazione. Possiamo farlo mettendo a confronto le
rispettive esperienze di organizzazione e di lotta, pensandoci e ponendoci come
artefici di una nuova governabilità dal basso, occupandoci direttamente del
futuro delle aziende, sperimentando misure d’emergenza a partire da quella
centrale:
UN LAVORO UTILE E DIGNITOSO PER TUTTI!
Possiamo UNIRE veramente le migliaia di
forme in cui si esprime la resistenza degli operai, di tutti i lavoratori, dei
giovani, delle donne, di chi lotta per la difesa dell'ambiente, per la difesa
dei beni comuni, della Costituzione, del patrimonio che ci ha lasciato la
Resistenza, insomma di tutte le mobilitazioni in corso tra le masse popolari.
Possiamo unire e unirci non tanto e non solo stando fermi a resistere alla
guerra non dichiarata che la classe dominante conduce contro la classe operaia,
tutti i lavoratori e le lavoratrici e tutte le masse popolari del nostro paese,
ma muovendoci insieme nelle fabbriche, nelle città e nelle campagne, passo dopo
passo,ciascuno organizzandosi nel suo ambito di lavoro, di vita, di interesse,
come istituzioni di governo della produzione e dei territori, come fondamento
di un’alternativa politica e di una nuova governabilità che dia a quello che
decidiamo e facciamo in ogni nostro ambito forma di legge che regola
l’economia, la politica e la società in tutto il paese.
Il 25 luglio del 2015, nell’ambito della
Festa Nazionale della Riscossa Popolare (dal 22 al 27 luglio) terremo il
dibattito su “Organizzarsi e coordinarsi, tenere aperte le aziende, creare
posti di lavoro, costruire l’alternativa”. Lo terremo nel porto di Napoli.
Invitiamo le organizzazioni operaie e
popolari del paese a contribuire alla costruzione di questa iniziativa,
invitiamo tutti i sinceri democratici, gli intellettuali, gli attivisti, i
sindacalisti che difendono gli interessi dei lavoratori, tutti quelli che hanno
a cuore il progresso del paese a partecipare, ad inviarci la loro adesione, a
sottoscrivere questo appello.
Al dibattito del 25 luglio 2015 seguirà un
concerto di sostegno alla nostra lotta, organizzato nella Festa della Riscossa
Popolare al Parco dei Camaldoli, a Napoli. Agli artisti che porteranno il loro
contributo con le loro parole, la loro musica, i loro messaggi di solidarietà,
auspichiamo se ne aggiungano molti altri, cantando e suonando insieme come, ad
esempio, hanno fatto per l’Aquila dopo il terremoto, perché anche qui dobbiamo
ricostruire un paese devastato, e lo faremo, perché sappiamo e impariamo a
farlo e sappiamo come sbarrare il passo a chi continua a devastarlo. Il
concerto porterà il primo contributo a una cassa di resistenza e di mutua
solidarietà come quelle che abbiamo imparato a costruire fino dalle origini del
movimento operaio organizzato, il nostro movimento che oggi con maggiore
coscienza, fiducia e forza di ieri si mette all’opera per garantire gli
interessi e le aspirazioni di tutte le masse popolari italiane, per un nuovo
governo del paese e per una nuova società.
Comitato Lavoratori Porto di Napoli
Il link dell’evento su Facebook è il
seguente:
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From: Franco Mugliari fmuglia@tin.it
To:
Sent: Sunday, July 05, 2015 11:07 AM
Subject: L’ESAME DI MATURITA', CALVINO, LEVI E L'AMIANTO
Dal blog Muglia la Furia
domenica 5 luglio
Ce ne sarebbero di cose da raccontare:
semplificazioni che vengono cancellate in nome della semplificazione (ormai è
un mantra), altre novità che come tali vengono spacciate e tanto altro ancora
su Jobs Act, Monfalcone, ILVA... ma non ci voglio tornare su perché di questo
ho già scritto “peste e corna”.
Oggi voglio restare sulla cronaca ma di
tutt’altro genere: l’esame di maturità 2015 e la prova di italiano.
Che c'entra il tema di italiano per l'esame
di maturità con la salute e la sicurezza sul lavoro? Niente se non che è stato
Italo Calvino l'autore proposto ai maturandi. Primo Levi lo fu nel 2010 e sia
Italo Calvino che Primo Levi, hanno avuto modo di confrontarsi con il tema
dell’amianto e la sua tragedia.
Di Kafka, ispettore dell’istituto austriaco
per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro:
e del suo tentativo imprenditoriale di
produrre manufatti di amianto:
ricorderete.
Meno noti sono gli interventi carichi di
drammaticità di Primo Levi e Italo Calvino che raccontano la loro esperienza
con l'amianto.
AMIANTO A BALANGERO: LA MINIERA NELLE
PAROLE DI PRIMO LEVI E ITALO CALVINO
Un racconto autobiografico e un reportage
giornalistico: molto prima del 1992 (anno in cui la legge ha messo al bando la
fibra killer) due fra i maggiori narratori del Novecento colsero con la loro
sensibilità la violenza mortale dell'asbesto. Scenario dei loro scritti la cava
piemontese, colta come un girone dantesco.
Primo Levi ambientò nella miniera il
racconto a sfondo autobiografico “Nichel” contenuto nella raccolta “Il sistema
periodico” (1975). Lo scrittore torinese vi aveva infatti lavorato nel novembre
del 1941, appena conseguita la laurea in chimica.
Italo Calvino nel 1954 venne inviato a
Balangero, come redattore del quotidiano l'Unità, per descrivere una vertenza dei
lavoratori della miniera contro la proprietà. Su tale vertenza e sulle
condizioni di lavoro degli operai Calvino scrisse poi un lungo reportage
intitolato “La fabbrica nella montagna”.
LEVI: I GIORNI A BALANGERO COME ESPERIENZA
DI VITA
Quelli rievocati da Primo Levi nel capitolo
“Nichel” de “Il sistema periodico” sono pochi giorni del novembre 1941 quando,
neolaureato al Politecnico (su incarico di un tenente del Regio Esercito) si
trovò a lavorare presso quella che, negli anni seguenti, sarebbe diventata la
più grande miniera d’amianto in Europa. Il libro è suddiviso in ventun
capitoli, ognuno dei quali ha per titolo un elemento naturale: una “versione
letteraria” del sistema di Mendeleev che l’autore utilizza in chiave metaforica
per raccontarsi, tra osservazione, rievocazione e memoria, nelle sue due
“anime” di chimico e scrittore. Dagli studi maturati negli anni del fascismo
alle drammatiche vicende della guerra, Levi pone al centro del romanzo il tema
del lavoro come momento di esperienza determinante per capire le cose e gli
uomini: un arco ampio di vita all’interno del quale i giorni passati a
Balangero assumono una portata formativa di rilevanza essenziale.
RECUPERARE “QUALCOSA DI UTILE” DAI
MATERIALI DI SCARTO
“Il lavoro che (il tenente del Regio Esercito,
NDR) mi propose era misterioso e pieno di fascino. “In qualche luogo” c’era una
miniera, dalla quale si ricavava il 2 per cento di qualcosa di utile (non mi
disse cosa) ed il 98 per cento di sterile, che veniva scaricato in una valle
accanto. In questo sterile c’era del nichel: pochissimo, ma il suo prezzo era
talmente alto che il suo recupero poteva essere preso in considerazione”.
L’incarico che nel 1941 viene affidato al giovane chimico Primo Levi è,
dapprincipio, carico di suggestione: cercare di estrarre nichel dal materiale
di scarto dell’Amiantifera di Balangero (lo scrittore riuscì nell'intento, ma
la tecnica necessaria era troppo dispendiosa e il progetto venne abbandonato).
LA MONTAGNA COLTA COME UN GIRONE DANTESCO
Levi, uomo di scienza, si getta con
autentica passione nel compito assegnato, malgrado le condizioni illegali
imposte dall’ azienda che avevano vincolato il suo stipendio alla capacità di
trovare una soluzione al problema. In “Nichel” lo scrittore descrive, così, la
realtà che lo circonda con lucidità e rigore e, allo stesso tempo, compone con
leggerezza (a tratti con ironia) l’intreccio di relazioni tra i lavoratori
della miniera. Ma quello che emerge con maggior vigore dal racconto è il
profilo della cava. Colta nella sua aspra e ancora attualissima fisicità, la
montagna scavata a gradoni si mostra da subito agli occhi dello scrittore come
un girone infernale di dantesca memoria. “In una collina tozza e brulla, tutta
scheggioni e sterpi, si affondava una ciclopica voragine conica, un cratere
artificiale del diametro di quattrocento metri: era in tutto simile alle
rappresentazioni schematiche dell'Inferno, nelle tavole sinottiche della Divina
Commedia” scrive Levi. che non esita a descrivere con toni omerici, come
“lavoro da ciclopi”, la fatica per strappare “un misero 2 per cento d’amianto”
dalla roccia.
QUELLA CAPPA D’AMIANTO COME “NEVE CENERINA”
I pochi giorni passati a Balangero
rimangono impressi per sempre nella coscienza di Levi, che coglie con
trepidazione autentica lo sforzo terribile dei minatori. “L’operazione
procedeva in mezzo ad un fracasso da apocalisse” – racconta – “in una nube di
polvere che si vedeva fin dalla pianura”. Eccola, quindi, la polvere. L’amianto
onnipresente che Levi descrive come una sorta di demone, asfissiante e ostile.
“C’era amianto dappertutto, come una neve cenerina” – ricorda – “se si lasciava
per qualche ora un libro sul tavolo, e poi lo si toglieva, se ne trovava il
profilo in negativo”. Tutto a Balangero sembra immerso in quella cappa d’amianto,
la cui nocività la sensibilità di Levi sembra cogliere ben prima delle certezze
scientifiche. “I tetti erano coperti da uno spesso strato di polverino, che nei
giorni di pioggia si imbeveva come una spugna, e ad un tratto franava
violentemente a terra”: descrizioni che rilette oggi (alla luce dei fatti
violenti della cronaca, dei tanti processi e dei troppi morti) assumono il peso
di una denuncia implacabile.
CALVINO: IL REPORTER CHE DESCRISSE LO
SCIOPERO ALLA CAVA
Totalmente diverso (almeno nella forma) è
l’approccio di Calvino, che arriva nella miniera piemontese come redattore del
quotidiano “L’Unità”, inviato a seguire uno sciopero di 40 giorni dei
lavoratori della cava dopo la soppressione, da parte dell’azienda, di un premio
di produzione. “La fabbrica nella montagna” è il reportage che egli realizzò
(probabilmente anche spinto dalle suggestioni dell’amico Levi): pagine di
scrittura emblematica dove gli eventi descritti sono colti ben oltre la loro
portata storica e diventano, alla fine, materia di denso valore esistenziale.
AI POZZI IL NOME DEI MINATORI CHE VI ERANO
CADUTI DENTRO
La fatica dei minatori è l’elemento che
turba, nel 1954, l’allora redattore de “L’Unità” Italo Calvino. Impegnato a
documentare una vertenza sindacale presso l’Amiantifera, Calvino coglie con
emozione il dramma degli operai costretti a vivere e a morire nella cava, e
alla cui memoria venivano intitolati i pozzi nei quali erano caduti. Come il
povero Bellezza “che di in cima al pozzo scivolò e d’un volo, senza che il ciglio
di un gradino lo fermasse, precipitò sul fondo frantumandosi anche lui come
l’asbesto diroccato dal suo piccone, e così gli altri quindici morti di
infortunio in trentacinque anni di storia della cava”.
“IL GRIGIO POLVERONE D’ASBESTO DELLA CAVA
CHE DOVE ARRIVA BRUCIA, FOGLIE E POLMONI”
Anche nella cronaca di Calvino, come nella
narrazione di Levi, emerge, a un certo momento, l’amianto, rappresentato come
una presenza onnicomprensiva, soffocante e dolorosa e dallo scontro per il
salario l’attenzione del cronista si sposta inevitabilmente su quella nube
opprimente, che lo stile limpido e incisivo dello scrittore descrive come viva,
malvagia, famelica. “Ma non ce n’è di lepri nel bosco, non crescono funghi
nella terra rossa dei ricci di castagno, non cresce frumento nei duri campi dei
paesi intorno” – scrive Calvino – “c’è solo il grigio polverone d’asbesto della
cava che dove arriva brucia, foglie e polmoni, c’è la cava, l’unica così in
Europa, la loro vita e la loro morte”. Calvino scriveva queste parole nel 1954.
La legge italiana avrebbe messo al bando l'asbesto 38 anni dopo.
Muglia La Furia
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From: Carlo Marzio carlomarzio@libero.it
To:
Sent: Tuesday, July 07, 2015 5:28 PM
Subject: IN VIGORE IL DECRETO LEGGE 7
LUGLIO 2015 (“DECRETO FINCANTIERI”)
Vi trasmetto copia del “Decreto
Fincantieri” in cui si dice che nonostante il sequestro per motivi di sicurezza
sul lavoro nei posti di lavoro strategici (Fincantieri è strategico?) le
imprese possono continuare a lavorare...
Notate che il Decreto che interviene in
materia di sicurezza del lavoro non è stato firmato né dal Ministero del Lavoro
né dal Ministero della Salute.
Bruttissimo precedente: la Presidenza del Consiglio
va per conto suo senza alcun rispetto per le competenze specifiche e
legiferando sull'emergenza. Mi ricorda quello che successe nel napoletano con
Berlusconi e la protezione civile quando cercavano dei siti da adibire a
discarica con il Berlusca che sospese l'applicazione del Decreto 81.
La chiave è la considerazione di
“strategico” che dovrebbe giuridicamente essere corretta.
Lì di strategico c’è solo il profitto come
a Taranto.
Un altro provvedimento fatto sull’emergenza
che serve a Confindustria a continuare a operare infischiandosene delle regole
e dei morti sul lavoro.
Vergogna e ancora vergogna.
Questi signori che hanno firmato sono
complici di chi provocherà i futuri morti sul lavoro nei luoghi di lavoro
cosiddetti “strategici”, mettendo un bavaglio alla Magistratura.
Quindi più è importante il cantiere meno
sono tutelati i lavoratori.
Carlo.
DECRETO LEGGE 7 LUGLIO 2015
"DECRETO ILVA E FINCANTIERI"
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
-
visti
gli articoli 77 e 87, quinto comma, della Costituzione;
-
ritenuta
la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni che assicurino la
coerenza e l'uniforme applicazione delle definizioni di produttore, di raccolta
e di deposito temporaneo di rifiuti, al fine di uniformare la disciplina
nazionale con quanto stabilito dalla Direttiva 2008/98/UE, con particolare
riferimento alle attività che costituiscono l'iter tecnico-amministrativo di
produzione e gestione dei rifiuti;
-
ritenuta,
altresì, la straordinaria necessità e urgenza di adottare una disciplina
transitoria volta a consentire che le installazioni sottoposte ad
autorizzazione integrata ambientale a seguito dell'entrata in vigore del
Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 46, di attuazione della Direttiva
2010/75/UE, già operanti nel pieno rispetto dei requisiti stabiliti dalla
Direttiva medesima, possano proseguire il proprio esercizio nelle more della
definizione dei procedimenti amministrativi di autorizzazione da parte delle
competenti autorità regionali;
-
considerata
la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni che assicurino la
prosecuzione, per un periodo determinato, dell'attività produttiva degli
stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale interessati da un
provvedimento giudiziario di sequestro dei beni;
-
considerata,
altresì, la straordinaria necessità e urgenza di garantire che le misure, anche
di carattere provvisorio volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività
produttiva dei medesimi stabilimenti, siano adempiute secondo condizioni e
prescrizioni contenute in un apposito piano, a salvaguardia dell'occupazione,
della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente;
-
vista
la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 3
luglio 2015;
-
sulla
proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro dell'Ambiente
e della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministro dello sviluppo
economico, di concerto con il Ministro della Giustizia;
EMANA
il seguente decreto-legge:
Articolo 1 “Modifiche al Decreto
Legislativo 3 aprile 2006, n. 152”
1. All'articolo 183, comma 1, del Decreto
Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) alla lettera f), dopo le parole:
"produce rifiuti" sono aggiunte le parole: "e il soggetto al
quale sia giuridicamente riferibile detta produzione";
b) alla lettera o), dopo la parola:
"deposito" e' aggiunta la seguente: "preliminare alla
raccolta";
c) alla lettera bb), la parola:
"effettuato" è sostituita dalle seguenti: "e il deposito
preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto
di trattamento, effettuati" e dopo le parole: "sono prodotti"
sono inserite le seguenti: “da intendersi quale l'intera area in cui si svolge
l'attività che ha determinato la produzione dei rifiuti".
Articolo 2 “Modifiche all'articolo 29 del
Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 46”
1. All'articolo 29, del Decreto Legislativo
4 marzo 2014, n. 46, il comma 3 e' sostituito dal seguente:
"3. L'autorità competente conclude i
procedimenti avviati in esito alle istanze di cui al comma 2, entro il 7 luglio
2015. In ogni caso, nelle more della conclusione dei procedimenti, le
installazioni possono continuare l'esercizio in base alle autorizzazioni
previgenti, se del caso opportunamente aggiornate a cura delle autorità che le
hanno rilasciate, a condizione di dare piena attuazione, secondo le tempistiche
prospettate nelle istanze di cui al comma 2, agli adeguamenti proposti nelle
predette istanze, in quanto necessari a garantire la conformità dell'esercizio
dell'installazione con il Titolo III-bis, della Parte seconda del Decreto
Legislativo 3 aprile 2006, n. 152".
Articolo 3 “Misure urgenti per l'esercizio
dell'attività di impresa di stabilimenti oggetto di sequestro giudiziario”
1. Al fine di garantire il necessario
bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva, di
salvaguardia dell'occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della
salute e dell'ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia, l'esercizio
dell'attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale
non è impedito dal provvedimento di sequestro, come già previsto dall'articolo
1, comma 4, del Decreto Legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con
modificazioni, dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 231, quando lo stesso si
riferisca a ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori.
2. Tenuto conto della rilevanza degli
interessi in comparazione, nell'ipotesi di cui al comma 1, l'attività d'impresa
non può protrarsi per un periodo di tempo superiore a 12 mesi dall'adozione del
provvedimento di sequestro.
3. Per la prosecuzione dell'attività degli
stabilimenti di cui al comma 1, senza soluzione di continuità, l'impresa deve
predisporre, nel termine perentorio di 30 giorni dall'adozione del
provvedimento di sequestro, un piano recante misure e attività aggiuntive,
anche di tipo provvisorio, per la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro,
riferite all'impianto oggetto del provvedimento di sequestro.
L'avvenuta predisposizione del piano è
comunicata all'autorità giudiziaria procedente.
Il piano è trasmesso al Comando provinciale
dei Vigili del Fuoco, agli uffici della ASL e dell'INAIL competenti per
territorio per le rispettive attività di vigilanza e controllo, che devono
garantire un costante monitoraggio delle aree di produzione oggetto di
sequestro, anche mediante lo svolgimento di ispezioni dirette a verificare
l'attuazione delle misure ed attività aggiuntive previste nel piano. Le
amministrazioni provvedono alle attività previste dal presente comma nell'ambito
delle competenze istituzionalmente attribuite, con le risorse previste a
legislazione vigente.
5. Le disposizioni del presente articolo si
applicano anche ai provvedimenti di sequestro già adottati alla data di entrata
in vigore del presente Decreto e i termini di cui ai commi 2 e 3.
Articolo 4 “Entrata in vigore”
1. Il presente Decreto entra in vigore il
giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
Il presente Decreto, munito del sigillo
dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della
Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di
farlo osservare.
Dato a Roma, addi' 4 luglio 2015
Mattarella, Presidente della Repubblica
Renzi, Presidente del Consiglio dei
Ministri
Galletti, Ministro dell'Ambiente e della
Tutela del Territorio e del Mare
Guidi, Ministro dello Sviluppo Economico
Orlando, Ministro della Giustizia
Visto, il Guardasigilli: Orlando.
---------------------
From: CUB Sanità Firenze cubsanita.firenze@libero.it
To:
Sent: Tuesday, July 07, 2015 5:41 PM
Subject: TAGLI ALLA SANITA': UN POZZO SENZA
FINE
Mentre la Grecia sta resistendo contro le
politiche di austerità europee, in Italia giovedì 3 luglio sono stati decisi
ulteriori tagli di 2,35 miliardi alla sanità, con Accordo Stato Regioni. 3
regioni non lo hanno sottoscritto sostenendo che ulteriori tagli "stanno
mettendo a rischio l'aspettativa di vita delle popolazioni".
L'aspettativa di vita non è messa a rischio
solo dai tagli, ma dalle scelte scellerate e costose che stanno minando la
salute nell'ambiente di vita e di lavoro, vedi inceneritori.
La Toscana non è naturalmente fra le
regioni che non hanno firmato: Rossi tornerà all'attacco anche con i ticket
ospedalieri, dopo aver dato il via alla "controriforma della sanità
toscana" e ai 2.000 esuberi.
A seguire un contributo di CUB Sanità
Firenze su quanto sta accadendo.
TAGLI ALLA SANITA': UN POZZO SENZA FINE
A fronte del braccio di ferro imposto dalla
Comunità europea e dalle politiche di
austerità che stanno portando allo smantellamento di ogni forma di protezione
sociale in tutti i paesi europei, l'Italia prosegue nella politica di
obbedienza ai diktat dell'Europa attaccando i diritti fondamentali dei
lavoratori e dei cittadini: diritto all'educazione, al lavoro, alla previdenza,
alla salute.
Proprio la salute è ormai da anni oggetto
della forbice dei vari governi: mentre si investono risorse economiche ingenti
per opere che mettono a rischio la salute della popolazione, come inceneritori,
TAV, ecc., dall'altra i tagli ai servizi sanitari rendono sempre più difficile
l'accesso alle cure: 24 miliardi di euro dal 2010 al 2014, ulteriori tagli e
riconferma del blocco delle assunzioni e dei contratti con la legge di
stabilità del 2014 e proprio in questi giorni una previsione di riduzione di
2,35 miliardi euro al fondo sanitario 2015, per l'Accordo Stato Regioni: solo 3
regioni non hanno sottoscritto l'accordo
e la Toscana non è fra quelle.
La Toscana, che è stata in prima fila
nell'attuare i tagli richiesti dal governo, con riduzione dei posti letto e dei
servizi territoriali, con ticket sempre più esosi e
liste di attesa sempre più lunghe, che stanno spingendo verso la sanità
privata, sta attuando una controriforma
nel servizio sanitario che, con l'accorpamento delle 12 ASL in 3 aree
vaste e i 2.000 esuberi nel personale sanitario entro il 2016 (che si
aggiungono ai 2.500 dipendenti in meno dal 2011) depotenzierà ulteriormente il
servizio sanitario, ne renderà sempre più difficile l'accesso, peggiorerà le
condizioni di lavoro del personale.
Nel frattempo la Giunta Regionale Toscana
mentre giustifica i tagli con la necessità di risparmiare si è indebitata per
20 anni con i costruttori dei 4 nuovi ospedali (Prato, Pistoia, Lucca, Massa)
con il sistema capestro del Project
Financing.
Ma non è finita qui: cosa altro ci
preparerà la giunta Rossi per obbedire agli ulteriori tagli decisi in questi
giorni?
Lavoratori e cittadini hanno promosso un
referendum abrogativo della legge regionale
28 sull'accorpamento delle ASL.
Uniti per riaffermare il diritto alla
salute e alla sanità pubblica e universale.
Confederazione Unitaria di Base
CUB Sanità Firenze
via Guelfa 148/R
telefono e fax: 055 49 48 58
---------------------
From: Assemblea Lavoratori assemblealavoratori@libero.it
To:
Sent: Tuesday, July 08, 2015 11:19 AM
Subject: JOBS ACT: PRECARI SENZA CONTRATTO E DIPENDENTI SENZA FUTURO!
6 LUGLIO GIORNATA NAZIONALE DI PROTESTA DEI
LAVORATORI DI ITALIA LAVORO SPA
La giornata indetta dal Coordinamento
vincitori vacancies di Italia Lavoro SpA è iniziata questa mattina con sit-in,
presidi e conferenze stampa davanti alle sedi dell'azienda.
Da Napoli a Roma, da Bari a Perugia
centinaia di precari e dipendenti si sono uniti per denunciare l'immobilismo di
Italia Lavoro SpA e del Ministero del Lavoro rispetto al futuro occupazionale
del lavoratori.
Italia Lavoro SpA, ente strumentale del
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha per anni impiegato risorse
altamente specializzate per svolgere numerose attività a sostegno
dell’occupazione e delle politiche attive del lavoro. Proprio mentre è in
discussione il Decreto Legislativo per il riordino della normativa in materia
di servizi per il lavoro e politiche attive, centinaia di operatori specializzati
rischiano di rimanere disoccupati. In questo momento di crisi occupazionale
reputiamo sia fondamentale un sistema avanzato di politiche attive del lavoro
in Italia, in linea con i maggiori paesi europei.
In che modo, infatti, funzionerà l'ANPAL,
l'Agenzia Nazionale per le Politiche Attive e il Lavoro, prevista dal Jobs Act,
se la nostra comunità professionale con anni di esperienza alle spalle, non
verrà utilizzata? Questa domanda è rimbalzata nelle diverse manifestazioni
avvenute oggi in Italia. Ad oggi, infatti, circa 400 collaboratori vincitori
della selezione conclusa ai primi di giugno non hanno visto alcuna
contrattualizzazione. A ciò si aggiunge la situazione di assoluta incertezza
occupazionale di tutto il personale dipendente attualmente in servizio.
Oltre che in Campania, Puglia e Lazio altri
comitati si stanno costituendo in Liguria, Umbria, Emilia Romagna e in tante
altre regioni italiane con la richiesta di immediata contrattualizzazione di
tutti i vincitori delle vancancies.
A Roma la manifestazione si è articolata
con uno “speakers corner” in cui decine di vincitori di vacancies e lavoratori
dipendenti hanno raccontato le proprie storie professionali, fatte di anni di
assistenza tecnica ai centri per l'impiego, di prima accoglienza e orientamento
ai neet e ai disoccupati del programma Garanzia Giovani, di supporto e
organizzazione delle politiche attive per i lavoratori cassintegrati a causa
delle crisi industriali.
La manifestazione ha ottenuto un confronto
pubblico con l'azienda, rappresentata dal dottor Mauro Tringali, a cui è stato
ricordato l'atteggiamento incomprensibile da parte dei vertici di Italia Lavoro
SpA rispetto alla mancata contrattualizzazione dei vincitori delle vacancies
con contratti di collaborazione a progetto e a tempo determinato. La mancanza
di risposte da parte dei vertici aziendali e l'immobilismo delle sedi
istituzionali sono un segnale preoccupante per il futuro professionale di
centinaia di lavoratori, per questi motivi rilanciamo con forza il presidio
presso il Ministero del Lavoro.
L'unità di tutti i lavoratori, in attesa di
contratto, precari e dipendenti, ci sembra una segnale importantissimo per
poter sbloccare immediatamente la vertenza.
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