La
Spezia - Ad
un primo sguardo,
quell’incidente sul lavoro era sembrato poca cosa. Era successo
giovedì 7 febbraio, alle sei e mezza della mattina. Danilo
Gallinella, marittimo esperto, era appena sbarcato dal rimorchiatore
“Isola del Tino”. Stava assicurando il mezzo alla bitta, sulla
banchina. Aveva ancora la corda fra le mani, quando un movimento
inaspettato del rimorchiatore gliela aveva tirata via, stringendosi
come una morsa attorno alla gamba, ad una altezza di poco al di sopra
del piede. Era stato soccorso, portato d’urgenza al Sant’Andrea.
Si era parlato di fratture scomposte alle ossa, ma la prognosi
iniziale era stata di qualche settimana. Ieri, invece, è arrivata la
tragica notizia.
Dani, com’era soprannominato, non era più. Era
mancato, all’età di sessant’anni. E per i suoi cari, e per la
famiglia allargata dei rimorchiatori riuniti,
è stato un dolore immenso e inaspettato. Il primo bollettino medico
parlava di «trauma da intrappolamento e da schiacciamento della
parte inferiore della gamba e della caviglia sinistra». Era andata
proprio così, in base alle testimonianze raccolte a caldo. Il
marittimo s’era trovato in trappola, con quella corda avviluppata,
strettissima, attorno alla gamba. La pressione era stata così forte
da frantumargli la caviglia. Il marittimo aveva urlato ma non aveva
perso conoscenza. L’avevano portato via in codice rosso, ma senza
ipotizzare che fosse in pericolo di vita. La verità è che Danilo
non è mai tornato a casa, ed è rimasto
in ospedale sette lunghi giorni,
prima di chiudere gli occhi per sempre. Nonostante le cure, le
lesioni devono avergli divorato il piede, tanto che nelle ore
immediatamente prima della sua morte si è parlato di una amputazione
d’urgenza. Tutto è precipitato rapidissimamente. E proprio quando
si ipotizzava un intervento chirurgico estremo, per amputare il piede
sinistro, il suo cuore si è fermato. Per la famiglia Gallinella -
legata a doppio filo alla storia nella marineria - sono stati e
saranno purtroppo giorni di infinita e straziante sofferenza. Il
fratello Federico è direttore di macchina, proprio come Danilo.
Viaggia per il mondo, da anni, proprio come faceva Danilo all’inizio
della sua carriera. «Ha trascorso quarant’anni di vita a bordo
delle navi – racconta, commosso – prima
in navigazione, poi
sui rimorchiatori. Ed ora mio fratello non c’è più. Era un buono,
una persona mite, si prodigava per dare il massimo, teneva molto al
suo lavoro, ai colleghi, ai ragazzi più giovani. Non gli mancava più
molto alla pensione, e invece». La famiglia non riesce a darsi
spiegazioni: «Non
sembrava una cosa grave. Così
ci avevano detto. Forse è stata sotto valutata, all’inizio, perché
all’esterno non ci sono stati versamenti di sangue, ma dentro era
tutto spappolato. L’avevano messo in trazione, era sotto terapia,
ma non stava bene. Ci hanno detto che ci sono state delle
complicazioni vascolari, che non si è potuto evitarlo. Sappiamo solo
che non c’è più». Il marittimo spezzino si era sposato due
volte. Lascia due figlie. Lascia i suoi affetti. Lascia una comunità
incredula, sconcertata. «Pare ci fossero dei problemi di visibilità,
quella mattina, all’ormeggio – dice affranto il fratello -
Danilo era però una persona esperta,
aveva fatto quelle manovre un’infinità di volte». In tante
situazioni si era misurato con il mare, forte della sua capacità. Se
n’è andato per quella cima arrotolata, che l’ha tradito in un
istante. Sarà l’accertamento autoptico sulle spoglie, a stabilire
che cosa esattamente abbia provocato la morte e chiarire se sia stata
ineluttabile, o se si potesse fare qualcosa di più per evitarla.
Nessun commento:
Posta un commento