Partiamo
da una notizia: finalmente i sindacati confederali hanno deciso di
fare uno sciopero, questo avverrà il 16 ottobre e sarà preceduto da
una serie di assemblee sia nelle Acciaierie, quindi tra i lavoratori
diretti, sia tra gli operai dell'appalto. Uno sciopero che è
assolutamente necessario anche se con forte ritardo.
E’ quasi un
anno che va avanti una situazione sempre più grave a cui i sindacati
confederali hanno risposto con incontri, richieste di incontri e
dichiarazioni, lamentevole dichiarazioni in cui si minacciava una
mobilitazione ma che in realtà non veniva organizzata. Chiaramente
questo ha fortemente pesato sull'andamento sempre peggiore che sta
avendo la soluzione del futuro dell'ex Ilva; perché senza la
visibilità, la forza portata dalla lotta degli operai, senza il peso
di una piattaforma operaia chiara che porti in primo piano le
esigenze, le richieste, la condizione grave degli operai e quindi la
pretesa che vengano date risposte immediate e future a questa
condizione, senza questo, è chiaro che gli incontri si stanno
rivelando non solo inutili ma sempre più annunciatori di ulteriori
peggioramenti dal punto di vista dei diritti, della salvaguardia
degli interessi operai e della salvaguardia anche degli interessi
della popolazione di Taranto e sulle questioni ambientali,
Ora c'è
questa mobilitazione. Noi pensiamo che però questa mobilitazione
debba avere nel suo svolgersi il senso di una forte protesta, a
partire dalle stesse assemblee.
Le assemblee non possono essere
fatte come sempre, in maniera ordinaria, anche le assemblee devono
essere visibili, devono portare in piazza, nel senso fuori dalla
fabbrica, la protesta degli operai. Noi siamo, perché le assemblee
si facciano ai cancelli della fabbrica, si facciano nei piazzali,
perché esse siano già iniziative di lotta.
Così il
problema dello sciopero generale del 16 ottobre deve essere
all'insegna della parola d'ordine e della prassi, di “blocchiamo
tutto”, blocchiamo tutto in fabbrica, blocchiamo in città; uno
sciopero contro governo, padroni. Uno sciopero che non può rimanere
poi isolato come le altre volte, ma deve continuare la mobilitazione
in varie forme, in tutte le forme possibili, fino a risultati. Ma le
prime notizie di parte sindacale su scopi e modalità dello sciopero
non sembra che vadano in questo senso.
Siamo in una situazione veramente grave, gli stessi giornali padronali parlano di “apocalisse occupazionale”. Cioè siamo in una situazione in cui anche le offerte rimaste sul tappeto per l'acquisizione dell'intera gruppo dell'ex Ilva, di fatto solo una, quella di Bedrock, nella gara riapertasi da settembre, prevede addirittura 7500 operai fuori e quindi un'occupazione in tutto il comparto ex Ilva di soli 3.000 operai, e a Taranto di 2.000, sulle attuali circa 8.000 unità.
Siamo di fatto a una cancellazione della più grande classe operaia in Italia, e quindi questo ha un appeso enorme, non solo direttamente sulla condizione lavorativa, salariale delle migliaia di operai, delle loro famiglie, ma ha un peso sulla forza della classe operaia, che è forte sicuramente per le lotte ma pesa anche nel numero. Se 10.000 operai, di cui 8.000 a Taranto più i 1.600 tuttora in cassa integrazione nell'Ilva in amministrazione straordinaria, più gli operai delle ditte dell'appalto che sono dai 3.000 ai 3.500, vengono ridotti a 3000/2.000 è chiaro che il peso tuttora ancora molto debole diventerebbe quasi nullo da parte degli operai. Questa è la prima questione.
Fra l'altro siamo in una situazione, noi l'abbiamo detto da tempo, che si sta passando dalla tragedia alla farsa, ora si torna alla tragedia ma in cui anche questa ultima tragedia viene unita alla farsa.
La farsa è che questo unico fondo americano che ha fatto attualmente l'offerta mentre altri, l'ultimo Jindal si è ritirato dalla gara, questo fondo americano vuole acquisire tutto lo stabilimento dell'ex Ilva a un euro. Una farsa che sbatte in faccia ai lavoratori, alle popolazioni che o è così (con la promessa vaga dal sapore di ricatto di Bedrock, che “se il governo italiano mette più soldi, potrei anche aumentare l’occupazione” – sempre all’insegna della legge del capitale: i costi sono socializzati, i profitti sono miei), o c’è lo “spezzatino” degli stabilimenti ex Ilva. O si chiude tutto.
E in questa annosa situazione che si trascina da 15 anni, questa grande fabbrica rischia effettivamente una chiusura che sarebbe l'altra enorme immensa tragedia non solo per gli operai ma anche per la salute delle popolazioni, per l'ambiente. Perché senza la presenza attiva degli operai, senza le soluzioni degli operai, che non sono solo dei numeri ma sono una ricchezza, sono un'esperienza, sono una conoscenza, sono una collettività, ecco senza tutto questo non ci sono affatto soluzioni neanche per quanto riguarda le popolazioni, la salute, l'ambiente.
E, non è per sbandierare uno slogan ma per dire fatti, si rischierebbe una mega situazione “Bagnoli”, in cui sono ormai 35 anni dalla sua chiusura e al massimo vogliono fare un “archivio storico” della ex fabbrica, mentre una effettiva bonifica del territorio non c'è stata, ma ci sono state le vicende legate anche alle mani della criminalità sulle bonifiche; cosa da non escludere assolutamente che avvenga anche a Taranto, anzi. In questa città la criminalità ha ripreso a fare il suo maledetto e sporco mestiere e chiaramente lo farebbe ancora di più se ci fosse una situazione di chiusura con bonifiche mai fatte, su cui c'è solo speculazione e grandi costi pubblici.
Torniamo però ad oggi.
Quindi ci sarebbe solo l'offerta di Bedrock, un fondo americano finanziario; l’altra possibile ma ancora molto incerta offerta sarebbe fatta da un altro fondo statunitense Flacks Group. Entrambi vogliono acquisire il più grande stabilimento siderurgico che c'è stato negli anni non solo in Italia ma in Europa ad un euro. Ma l’altro problema è che siamo di fronte a una finanziarizzazione della soluzione produttiva, cioè non c'è un piano industriale c'è una logica finanziaria che, come in altre occasioni si è visto, ha spesso una strategia di breve periodo, una strategia di interessarsi solo ad avviare l'attività per poi venderla a privati industriali che siano italiani o stranieri. Chiaramente una soluzione di questo tipo non solo non risolve il problema della ripresa produttiva ma l'aggrava enormemente in maniera veramente tragica, passando appunto da 10.000 a 3.000 operai e senza garanzia per il futuro. Una “soluzione” da respingere nettamente, come la minaccia della vendita a pezzi dell’ex Ilva.
Ora sindacati confederali come la Uilm e l’Usb, ma adesso anche rappresentanti di associazioni aziendali, parlano di “nazionalizzazione”. Chiaramente in una situazione come quella attuale in un certo senso sembra quasi un passaggio inevitabile questo della nazionalizzazione, perché se ancora permane questa falsa vendita che ora è ripresa - sembrava quasi chiusa poi è ripresa, ma si allungano ogni volta i tempi di presentazione delle offerte, ora si parla di andare a metà novembre – in questa fase la nazionalizzazione diventa quasi obbligatoria. Ma nessuno si può illudere, e illudere, che risolva i problemi né occupazionali né ambientali.
E non si tratta di una presa di posizione contro il governo a prescindere, che sicuramente da parte nostra c'è, ma della realtà che abbiamo già visto in atto da parte del governo. L'ultima questione l’abbiamo vista sul problema dell'aumento richiesto dai commissari della cassa integrazione per gli operai diretti di Acciaierie. Su questo i sindacati confederali come non avevano firmato neanche la precedente cigs, hanno detto no a questo aumento. Però che cosa è successo? E’ successo che il governo attraverso la Ministra del lavoro ha detto d’autorità sì a una cassa integrazione unilaterale: l’aumento della cigs, che a Taranto riguarda 4mila operai, si fa lo stesso! A ulteriore dimostrazione che il governo porta avanti solo gli interessi aziendali contro gli interessi dei lavoratori e quindi si comporta esattamente come i padroni privati. Il governo, inoltre, ha già mostrato come ha usato nel recente passato soldi destinati alle bonifiche: per ridurre il peso del debito dell’azienda che ogni mese perde 50 milioni di euro. Ancora, un governo che nazionalizzasse la fabbrica siderurgica si scontrerebbe ugualmente con tutti i problemi che vengono dalla situazione dei mercati mondiali, dalla crisi di sovrapproduzione dell’acciaio, dalla concorrenza; una crisi di sovrapproduzione che in Italia ha già fatto perdere all’ex Ilva commesse in un certo senso abbastanza consolidate, storiche, pensiamo al settore dell'automobile anch'esso in crisi.
Alla fine ridotta al massimo la produzione (ora a Taranto solo di 2 milioni di tonnellate, per motivi sia interni che esterni), anche per la concorrenza in particolare della Cina grazie ai suoi costi produttivi molto ridotti fatti sulla pelle dei lavoratori in maniera veramente pesantissima in termini di salute, salari, ecc., cosa resta? Eh beh, resta la produzione di acciaio per la Difesa, la produzione di acciaio per il settore militare che serve per la guerra.
Tutti e due i Fondi che si offrono di acquisire l'ex Ilva sono Fondi americani, e chi c'è dietro? La'imperialismo americano con la presidenza Trump, una presidenza che, lo sappiamo tutti, un giorno dice una cosa un giorno dice un'altra ma che fondamentalmente sta alimentando le situazioni di guerra che nel contesto internazionale possono veramente portare a una terza guerra mondiale, in cui il governo Meloni è fino in fondo un servo degli USA di Trump. Tutto questo può portare, come in parte già sta portando, ad un forte aumento delle spese militari, pensiamo alle richieste della Nato, a una forte richiesta di produzione militare, e quindi dell'uso dell'acciaio in questo senso. In questi giorni alcuni giornali locali di Taranto hanno messo anche una foto in cui in maniera emblematica appare l'Ilva e dietro la fabbrica la faccia di Trump.
Questo futuro continuerebbe la tragedia e non la soluzione per operai e masse popolari.
In questo senso nessuna illusione ci può essere. Questa illusione sulla “soluzione nazionalizzazione” è caldeggiata soprattutto dall'USB che chiede al governo di “fare scelte coraggiose e restituire serenità a 18.000 lavoratori e relative famiglie” (frase effettivamente scritta in un comunicato dell'USB), quindi si propaganda l'illusione che la nazionalizzazione restituirebbe serenità a 18.000 lavoratori... Falso! Ed è criminale, stupido spargere questa illusione! Chiaro, noi non vogliamo assolutamente la chiusura dell'Ilva, non vogliamo un futuro ancora drammatico con questa spada di Damocle sopra la testa di migliaia di operai e, quindi, finché non c'è una soluzione che difenda gli interessi degli operai, gli interessi della popolazione, il governo deve occuparsi dell'Ilva, deve mettere soldi, e parecchi, per l'Ilva - si parla che il governo dovrebbe mettere, da 4 a 6 miliardi, ma per quanto riguarda la trasformazione in forni elettrici -; sull'immediato c'è il problema che servono soldi per non crollare, per portare avanti un percorso di decarbonizzazione che sicuramente non è breve, anche se sicuramente può essere molto più breve di quanto dicono: fino al 2030. Ma questo intervento del governo, che non fa in realtà, può essere frutto solo di uno scontro con il governo, non certo di un “appello”.
Questo fa tornare alla questione centrale. E lo diciamo anche agli operai diretti, agli operai dell'appalto, agli operai in cassa integrazione.
Occorre una scesa in campo da parte degli operai, da parte della popolazione ma non in contrapposizione agli operai ma unita agli operai nelle soluzioni che gli operai hanno già in parte accennato.
Noi abbiamo fatto un dossier sul lunghissimo processo di 1° grado “Ambiente svenduto”. Invitiamo a leggere soprattutto le testimonianze che allora furono fatte da operai, in cui emergeva chiaro che gli operai non solo conoscono benissimo le gravi situazioni di insicurezza, di attacco alla salute che ci sono in Ilva, ma indicano anche le soluzioni che potevano quantomeno ridurre questa nocività, perché il capitale è nocivo, non la fabbrica che è fatta prima di tutto anche in questa società capitalista dagli operai, dalla loro conoscenza, dalla loro esperienza, dalla loro professionalità. Operai in lotta che danno anche una risposta e possano essere un riferimento per le masse dei quartieri, a partire da quelli più inquinati di Taranto.
Questa, da tempo lo diciamo, diventa sempre più l'unica strada in questa situazione perché si rompa questa tragedia/farsa, e si cominci a vedere un'altra possibilità, un'altra strada.

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