La morte, la condizione di schiavitù dei lavoratori immigrati dal sud al nord richiede lotta, unità, organizzazione
Quello che sta avvenendo nelle campagne, e non solo nelle campagne, nel silenzio generale, rappresenta una pagina altrettanto nera dello sfruttamento capitalistico, imperialistico, razzista nel nostro paese dei padroni di fabbriche come nelle campagne e che riguarda il governo, lo Stato e le sue leggi. Raccontiamo fatti. E la loro conseguenza sta nello sforzo ovunque di organizzare la lotta contro tutto questo.
A Scanzano (Matera), nei giorni scorsi, vi è stato un incidente in itinere per braccianti agricoli indiani. In dieci a bordo di una Renault omologata per sette. I lavoratori sono stati coinvolti in uno scontro frontale con un camion all'altezza del comune di Scanzano Ionico. Quattro morti e sei feriti. Stavano rientrando a Corigliano, in Calabria, mentre percorrevano gli oltre 150 chilometri che quotidianamente affrontano per andare a raccogliere l'uva in Basilicata. Il territorio, come tante aree ortofrutticole in Puglia, in Basilicata, in Calabria, e non solo, è interessato e gestito all'insegna del fenomeno dello schiavismo, dello sfruttamento più pesante, e di tutto quello che va sotto il nome ambiguo di caporalato. Perché sono morti questi lavoratori? Perché lo stato delle strade, l'insufficienza dei trasporti, che è alla base anche del fenomeno del caporalato, produce questi viaggi, in orari notturni o diurni che siano, che restano un pericolo costante. Nello stesso tempo, è evidente come non si tratta solo di morti sul lavoro, ma si tratta anche di migranti e di condizioni in cui i migranti lavorano nelle campagne.
E su queste condizioni passiamo ad esaminare un altro fatto che avviene nella zona di Ginosa, che è a pochi chilometri del luogo dove si è consumata la morte dei quattro traccianti.
Nelle campagne di Ginosa lavorano braccianti extracomunitari sfruttati, sottopagati, retribuiti in nero e nascosti all'arrivo dei carabinieri. Questa volta la denuncia c'è stata e ci sarà un processo. Qui un collegio giudicante, presieduto dalla giudice Fulvia Miserini - la stessa giudice, del processo Ilva “Ambiente svenduto”, per capire che ovunque c'è lavoro, c'è sfruttamento, ci sono padroni, assassini, grandi, medi e piccoli – ha fatto un’inchiesta e ha fatto emergere che la mano d'opera, reclutata pur sempre tra i migranti, era obbligata ad acquistare gli attrezzi per lavorare, e il costo variava in base al grado di usura. Il kit prevedeva: una cesta, un paio di forbici e una corda e aveva un prezzo che oscillava tra 14 e 42 euro, denaro che i lavoratori migranti dovevano versare altrimenti non venivano chiamati a lavorare.
I caporali trattenevano dalla paga di ogni bracciante 5 euro al giorno; i compensi, le paghe venivano liquidate dopo molte settimane e in qualche caso mai. Le giornate lavorative potevano protrarsi anche per 10 ore e sempre sotto la stretta sorveglianza dei padroni e di quelli utilizzati come capi e caporali. Senza possibilità di fare pausa, per bere o mangiare qualcosa bisognava nascondersi come pure per andare in bagno. Questo hanno denunciato i lavoratori quando lo hanno potuto fare.
Siamo in Puglia dove queste condizioni ci sono sempre in tutte le province pugliesi, da Nardò a Turi, alle province di Taranto, ed esiste da sempre il problema di Borgo Mezzanone.
In questo campo da anni i migranti da un lato sono tenuti in condizioni inumane, con tutti gli annessi e connessi che si realizzano all'interno di questi campi; dall'altro i lavoratori migranti si sono ribellati diverse volte, ma naturalmente nulla è cambiato.
Negli ultimi giorni a Borgo Mezzanone si sono verificati due gravi fatti di sangue.
Denuncia Campagne in lotta: due omicidi con feriti di cui non si parla e che vengono raccontati dalla stampa come storie di degrado. Perché riguardano migranti che vivevano, frequentavano la baraccopoli di Borgo Mezzanone. Qualunque siano le ragioni di questo, è sempre dipendente dallo stato di schiavismo, sfruttamento, oppressione e repressione che riguarda le condizioni di vita, i salari, il diritto al lavoro dei migranti, insieme alla grande questione dei permessi di soggiorno, dei diritti d'asilo, eccetera, eccetera.
Il 29 settembre Aboubakar, un uomo di origine maliana che frequentava il ghetto di Borgo Mezzanone è stato ucciso a colpi di fucile nelle campagne del Foggiano.
Il suo corpo poi abbandonato è stato ritrovato lungo la strada che collega il ghetto di Borgo Mezzanone con Carapelle. A sparargli sarebbe stato un vigilante italiano che avrebbe sorpreso l'uomo a rubare in un campo di pannelli solari. Lo hanno ucciso non perché rubava ma perché era un migrante nero.
Aboubakar aveva problemi anche di salute mentale. Ma come non capire che questa è una condizione che tocca molti migranti perché, come giustamente dice il comunicato, le sofferenze sono un frutto purtroppo usuale della segregazione a cui sono costrette le persone immigrate. Ma se la vittima è immigrata subito ci si butta e si dice che è delinquente, che è malata, eccetera, eccetera. Non gli interessa, dice sempre il comunicato, perché si è creata questa condizione.
Queste non sono casi episodici ma fanno parte di un quotidiano nel Foggiano. A Borgo Mezzanone all'interno di uno dei bar più frequentati è scoppiato un alterco durante il quale ancora una volta un migrante Khadim, 46enne del Senegal è stato accoltellato a morte.
L'accoltellatore è stato poi attaccato dai compagni di Khadim che è morto in ospedale.
Due morti che possono apparire diverse, però altro non sono che le ennesime vittime del razzismo. C'è tutta una lista di questi migranti morti nei giorni scorsi: da Sechi tva ucciso nella tendopoli di San Ferdinando in Calabria a Daniele Niarco ucciso a colpi di pistola nei pressi di Trinità, ecc.
Nel caso di Khadim è sempre razzismo, dice il comunicato, che passa dalla segregazione alla marginalità in cui il sistema di sfruttamento e le politiche costringono i migranti.
I motivi di queste morti e sofferenze potrebbero essere eliminati facilmente, dice Campagne in lotta, ma sappiamo bene che governi, istituzioni, sindacati non ci regaleranno mai niente, non documenti, non case, non un lavoro libero da sfruttamento; queste cose possiamo solo prendercele, continueremo a lottare anche in memoria di Aboubakar e Khadim.
Potremmo fermarci alle campagne di Puglia, Basilicata, ma per capire che si tratta del sistema capitalista nel suo insieme dobbiamo salire un pò più su, dobbiamo salire fino a Ancona nelle Marche, a Milano, dobbiamo salire nel regno di quelli che sarebbero i capitalisti illuminati e avanzati, dobbiamo andare nel regno di Della Valle e della Tod’s.
Nei giorni scorsi la procura di Milano ha chiesto l'amministrazione giudiziaria per Tod’s dopo che un'inchiesta ha rivelato un sistema tossico di sfruttamento e para schiavitù nella filiera. Dice uno dei subfornitori della multinazionale delle scarpe rappresentate dalla Tod’s di Della Valle: “...mia moglie cucina per tutti gli operai sia a pranzo che a cena, per abitare sopra l’opificio i miei operai mi pagano l'affitto di 150 euro per dormire e 100 per mangiare… il denaro per vitto e alloggio mi viene consegnato dai lavoratori contanti…”.
Il datore di lavoro è la Wang Junji, una delle aziende cinesi, subfornitrice di Tod’s.
Tra i vari elementi che la Procura mette in luce con questa inchiesta c’è la paga oraria irrisoria 2,75 euro all'ora. I datori di lavoro approfittavano dello stato di bisogno degli immigrati, molti dei quali non in regola con permesso di soggiorno. La Procura parla di para schiavitù. Tutto, dice sempre la Procura, in materia di dormitori, cucina e così via segnalava una diffusa illegalità che permetteva non solo questo taglieggiamento dei lavoratori ma anche la presenza costante nelle lavorazioni della madre Europa... Una parte dell'inchiesta riguarda l'analisi dei consumi elettrici notturni, questo vuol dire che lavoravano il giorno e la notte per produrre mocassini a 750 euro, con lavoratori pagati 2,75 euro!
Potremmo continuare. I dati, i fatti parlano da sé, i nomi e i cognomi di questi multinazionali come dei padroni appaltatori, subfornitori parlano da sé.
Contro questo sistema c'è la lotta, l'organizzazione, in primis l'organizzazione sindacale per i diritti quotidiani. Ma servirà una grande organizzazione sindacale per combattere a livello generale, per unire i lavoratori di Ancona, Milano, Prato, Latina, Puglia, Basilicata, Calabria, perché siamo convinti che questi lavoratori organizzati in lotta sono una forza poderosa per contestare questo sistema nel nostro paese.
Slai Cobas per il sindacato di classe Puglia/Basilicata
info slaicobasta@gmail.com wa 3519575628

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