Operaio
si cosparge di benzina davanti casa Di Maio
I
lavoratori furono mandati a casa dall’azienda ma la sanzione,
confermata dal tribunale di Nola, venne annullata dalla Corte
d’appello di Napoli che ordinò il reintegro, escludendo la giusta
causa. Ora la Suprema Corte, decidendo nel merito, ha accolto il
ricorso dell’azienda e detto sì ai licenziamenti ritenendo
"travalicati i limiti della dialettica sindacale"
Era
il 5
giugno del 2014
quando per protesta contro le politiche aziendali fu inscenata la
morte dell’ad
Sergio Marchionne
davanti ai cancelli dello stabilimento Fiat di Pomigliano
d’Arco:
un manichino con le sembianze del top manager fu impiccato. Gli
“autori” furono licenziati, reintegrati ma lasciati a casa, ma
oggi la Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento di
cinque tute blu. I lavoratori furono mandati a casa dall’azienda ma
la sanzione, confermata dal tribunale di Nola, venne
annullata dalla Corte d’appello di Napoli che ordinò il reintegro,
escludendo la giusta causa. Ora la Suprema
Corte,
decidendo nel merito, ha accolto il ricorso dell’azienda e detto sì
ai licenziamenti ritenendo “travalicati i limiti della dialettica
sindacale”.
Non era la prima volta che veniva celebrato un finto
funerale: a
fine del 2011 le esequie erano state celebrate per la Ferrari. Gli
operai, lasciati a casa nonostante il reintegro, si
erano anche rivolti al presidente della Repubblica, Segio
Mattarella. Uno
dei cinque operai, Mimmo Mignano, si è incatenato davanti casa del
ministro del Lavoro Luigi
Di Maio,
a Pomigliano d’Arco (Napoli),
e si è cosparso la testa con una bottiglia di benzina.
L’operaio è in compagnia di un altro dei licenziati. Le forze
dell’ordine lo hanno bloccato e lo hanno soccorso. L’uomo è stato
portato all’ospedale civile di Nola (Napoli), dal personale del
118. L’operaio lamenta forti bruciori agli occhi dovuti alla
benzina che si è cosparso sulla testa. I giudici di secono grado
avevano decretato che la “rappresentazione scenica” era
relativa a un finto suicidio “e non un omicidio”. Di
conseguenza, “per quanto macabra, forte, aspra e
sarcastica, non
ha travalicato i limiti di
continenza del diritto di svolgere, anche pubblicamente, valutazioni
e critiche dell’operato altrui, che in una società democratica
deve essere sempre garantito” e non
c’è stata “istigazione alla violenza”,
come invece aveva formalizzato il Lingotto nelle lettere di
licenziamento. Mimmo
Mignano, Marco
Cusano, Antonio Montella, Massimo Napolitano e Roberto Fabbricatore avevano
festeggiato la sentenza in Piazza
del Plebiscito,
nel centro di Napoli. I legali
di Fca avevano
quindi presentato ricrso in
Cassazione.
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