martedì 20 dicembre 2016

20 dicembre - da M. Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 19/12/16



INDICE

Sicurezza e Lavoro direttore@sicurezzaelavoro.org
INFO STAMPA: SCUOLE SICURE PER UN’ITALIA MIGLIORE

Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
AMIANTO/ENICHEM: INCOMPRENSIBILE SENTENZA A RAVENNA

USB Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
OSPEDALE GASLINI: ALLIEVI UTILIZZATI PER COPERTURA DEI TURNI

Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
FIDEL:LA RIVOLUZIONE DELLE SCIENZE

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
ANCORA 5 MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO ANCHE IERI 2 DICEMBRE

Mario Murgia AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
LUCI E OMBRE DEL NUOVO DISEGNO DI LEGGE TESTO UNICO AMIANTO

Mario Murgia AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
VERGOGNA: OMICIDIO COLPOSO E NON VOLONTARIO PER SCHMIDHEINY

Mario Murgia AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
GRANDE SUCCESSO ASSEMBLEA AIEA SARDEGNA


Rete Nazionale Sicurezza luoghi di lavoro e territori bastamortesullavoro@gmail.com
PROCESSO ILVA TARANTO: FORTE PROTESTA OPERAI, LAVORATORI, CITTADINI CONTRO PATTEGGIAMENTI E ACCORDI SEGRETI


Dante De Angelis dadante@tiscali.it
BULGARIA, TRENO DI GAS DERAGLIATO SULLE CASE: L’EUROPA FERROVIARIA UCCIDE ANCORA


Posta Resistenze posta@resistenze.org 
SOCIALIZZAZIONE DELLO SVILUPPO TECNOLOGICO E LOTTA PER LA RIDUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO

Posta Resistenze posta@resistenze.org 
SFRUTTAMENTO E MORTI SUL LAVORO

Associazione Italiana Esposti Amianto aiea.mi@tiscali.it
AMIANTO E ACQUA

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
L’EMILIA ROMAGNA RADDOPPIA I MORTI PER INFORTUNI SUI LUOGHI DI LAVORO RISPETTO AL 2015

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From: Sicurezza e Lavoro direttore@sicurezzaelavoro.org
To:
Sent: Tuesday, November 22, 2016 3:21 PM
Subject: INFO STAMPA: SCUOLE SICURE PER UN’ITALIA MIGLIORE

Sicurezza e Lavoro a Casale Monferrato per la prima Giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole.
Come annunciato lo scorso dicembre, in occasione dell’edizione 2015 delle Settimane della Sicurezza, quest’anno Sicurezza e Lavoro partecipa alla prima Giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole.
In particolare, con le nostre attività didattiche “Scuole Sicure”, rivolte a un centinaio di studenti e studentesse dell’Istituto alberghiero Artusi di Casale Monferrato (AL), tenute dal professor Massimo Iaretti, collaboratore di Sicurezza e Lavoro e responsabile nazionale Apidge per la Sicurezza sul lavoro.
“Il 22 novembre abbiamo scelto di intervenire a Casale Monferrato” – dichiara Massimiliano Quirico, direttore di Sicurezza e Lavoro – “nella città simbolo della lotta mondiale all’amianto per avviare un percorso di sensibilizzazione tra studenti, docenti, dirigenti scolastici e Istituzioni sul tema della sicurezza negli edifici scolastici e della prevenzione dei rischi”.
“Nel giorno dell’anniversario della tragedia al Liceo Darwin di Rivoli (TO) in cui morì il giovane Vito Scafidi e rimase ferito gravemente il suo compagno Andrea Macrì” – conclude Quirico – “vogliamo ricordare le vittime dell’incuria e della mancanza di prevenzione, ma allo stesso tempo informare e fornire strumenti utili alla prevenzione, al di fuori di una logica emergenziale. Un’Italia migliore passa non solo da imprese e aziende più sane e sicure, ma anche da edifici scolastici (a tutti gli effetti luoghi di lavoro) sicuri e manutenuti.
Casale Monferrato, dove la sensibilità sui temi della salute e sicurezza è molto alta, ancora una volta può essere la città giusta per promuovere interventi di educazione alla cittadinanza, per promuovere la cultura delle scuole sicure”.
Continuano intanto le tradizionali attività di Sicurezza e Lavoro del progetto “A scuola di Sicurezza - Io non rischio”, rivolte prevalentemente a studenti e docenti degli istituti superiori e dei centri di formazione professionale, in particolare nell’area metropolitana di Torino, in collaborazione con il CeSeDi (Centro Servizi Didattici) della Città Metropolitana di Torino.
Per richiedere un intervento gratuito: contatti@sicurezzaelavoro.org
Torino, 22 novembre 2016

CONTATTI:

Massimiliano Quirico

direttore “Sicurezza e Lavoro”

cellulare: 339 41 26 161


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From: Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, November 30, 2016 7:38 PM
Subject: AMIANTO/ENICHEM: INCOMPRENSIBILE SENTENZA A RAVENNA

Presenteremo appello contro la sentenza pronunciata questa mattina a Ravenna; ovviamente attendiamo le motivazioni. Auspichiamo pure che la Procura Generale faccia ricorso, come fece ricorso la Procura di Bologna contro una delle sentenze relative alla Officina Grandi Riparazioni delle ferrovie.
Dopo una istruttoria e un dibattimento durato anni (nel corso dei quali riteniamo che la pubblica accusa e le parti civili abbiano portato elementi ampiamente probanti che consentivano una condanna penale in termini di ragionevole certezza dell’accertamento delle responsabilità), ci siamo trovati di fronte a una sostanziale assoluzione che verosimilmente deve aver preso le mosse da alcune tesi della difesa degli imputati, infondate sul piano dei fatti storici e materiali, ma anche respinte dalla comunità scientifica in relazione alle cause di malattia.
Se la sentenza di oggi fosse motivata dovremmo procedere alla rifondazione della medicina del lavoro, della oncologia, della eziologia delle malattie e buttare via interi gli studi di epidemiologia fatti negli ultimi ‘70 anni. Non solo: verosimilmente dovremmo anche dubitare dei pilastri delle nostre conoscenze in materia di prevenzione.
Paventiamo che il danno di questa sentenza vada oltre il processo di Ravenna in quanto tale poiché riproporre tesi infondate crea confusione e disorientamento anche rispetto alle condotte da adottare in materia di prevenzione.
Come si è detto “leggeremo le motivazioni” anche perché potrebbe nascere un quesito: serve a qualcosa fare processi penali in Italia in materia di omicidio colposo sul lavoro? Quale livello di “certezza” occorrerebbe fornire oltre quello portato in aula dalla accusa e dalle parti civili?
Le parti civili hanno argomentato che i casi giunti a giudizio erano solo una parte di quelli verificatisi, come si deduce in maniera inoppugnabile dal confronto tra i mesoteliomi discussi nel processo e i tumori polmonari “mancanti all’appello”;
Ma (come si è detto) forse qualcuno ritiene utile rottamare tutto quello che la comunità scientifica ha acquisito fino a oggi.
Anche per evitare pareri sommari, leggeremo le motivazioni.
Una questione però emerge subito dalla lettura della sentenza pronunciata. C’è stata una condanna per la asbestosi di un lavoratore. Se esistevano le condizioni per l’insorgenza di una patologia correlata a livelli di esposizione molto alta (appunto la asbestosi polmonare parenchimale, da non confondere con le placche asbestosiche) come è possibile che non siano state riconosciute altre patologie (tumorali questa volta) che mostrano una curva dose-risposta “positiva” a partire da livelli di esposizione molto più bassi di quelli che possono indurre asbestosi?
E’ possibile che, pur lavorando in un ambiente “asbestosigeno” i lavoratori abbiano contratto i mesoteliomi, per esempio, da altre fonti o occasioni di esposizione?
E la signora che è morta per mesotelioma pleurico dove e quando potrebbe essere stata esposta al rischio se non, in ambito domestico, lavando le tute del marito?
Noi rispettiamo la autonomia della magistratura ma quando le cose sono “incomprensibili” vorremmo ci venissero spiegate...
Vito Totire
Medico del lavoro e presidente nazionale Associazione Esposti Amianto e rischi per la salute, parte civile nel processo Enichem di Ravenna.

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From: USB Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
To:
Sent: Thursday, December 01, 2016 6:55 PM
Subject: OSPEDALE GASLINI: ALLIEVI UTILIZZATI PER COPERTURA DEI TURNI
 
COMUNICATO STAMPA
Recentemente abbiamo denunciato in Commissione Sanità, alla presenza dell’Assessore Viale, la carenza di personale dei reparti all’Ospedale Gaslini. Si parla di almeno 40 infermiere pediatriche e 20 OSS (Operatore Socio Sanitario).
Abbiamo chiesto che le infermiere in turno, in un reparto delicato come la Rianimazione sia portato da 8 a 10 senza dimenticare gli altri siti, i cui turni sono coperti tramite il mancato smaltimento delle ore di riposo a cui avrebbe diritto il personale.
In tutto questo il Gaslini ha richiesto alla Regione un numero sicuramente inferiore di personale infermieristico e OSS rispetto a ciò che servirebbe.
Ma qualcuno dovrà pur pensare alle attività domestico alberghiere.
Ma ci sono gli allievi OSS!!!!
I corsi per accedere alla qualifica OSS, dal 2001, anno di nascita di questa figura, erano organizzati dalla Regione. Dalla precedente giunta i corsi sono a pagamento, con un massimale di 2.500 euro per ogni partecipante e sono organizzati da enti accreditati.
L’organismo che dovrebbe controllare la correttezza dello svolgimento dei corsi è l’Arsel Liguria. Gli allievi che frequentano i corsi hanno il diritto, considerando la cifra spesa, ad avere personale che li segue e non ad essere utilizzati per sopperire alla carenza di personale od utilizzati come forza lavoro negli altri ospedali.
Chiediamo a questa giunta, nuovamente, il rispetto dei diritti dei lavoratori, il diritto dei cittadini ad avere un’assistenza adeguata e non effettuata da chi sta imparando.
La Regione Liguria continua a formare OSS. Ma quanti trovano lavoro? Negli ospedali pubblici gli OSS attualmente vengono assunti da graduatoria del Galliera del 2009, dove non si è arrivati ad assumere neanche la metà degli idonei.
Che controllo avviene sugli enti accreditati? E’ di prossima discussione un’interpellanza del Consigliere Pisani sulla situazione di Euroform
Nessun allievo deve essere utilizzato come forza lavoro
USB Ospedale Gaslini

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From: Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent: Thursday, December 01, 2016 10:43 PM
Subject: FIDEL:LA RIVOLUZIONE DELLE SCIENZE

L’eredità del Lider Maximo.
Fidel Castro fin dall’inizio era ossessionato dall’idea che, per attuare pienamente gli ideali rivoluzionari, Cuba dovesse puntare sullo sviluppo scientifico. I risultati si vedono.
E’ molto probabile che fra tutte le commemorazioni che saranno scritte su Fidel Castro mancherà un aspetto della sua opera che ha avuto un’influenza determinante sulle scelte e le caratteristiche della Rivoluzione cubana, ma che è poco noto tanto ai suoi fautori che ai suoi detrattori: e cioè l’ostinata (come erano tutte le sue idee) convinzione che Cuba, per attuare veramente gli ideali della Rivoluzione e vincere la sfida di affrancarsi dalla condizione di partenza di subalternità, dovesse sviluppare un sistema di ricerca scientifica e di salute pubblica al livello dei paesi sviluppati.
L’impresa di conquistare una condizione di reale autonomia non è mai riuscita pienamente a nessun paese in via di sviluppo, a meno di svilupparsi in dipendenza delle realizzazioni di una potenza dominante, come ha fatto la Corea del Sud, anche in campi avanzati come l’elettronica o l’energia nucleare. Questa strategia, che comunque è riuscita a paesi molto più grandi di Cuba, è legata sia a fattori generali che possono venire meno (com’è avvenuto per le cosiddette «Tigri asiatiche» con la crisi del 1998), sia al destino della potenza di riferimento (com’è avvenuto per i paesi del Blocco comunista dopo il crollo dell’URSS).
La piccola Cuba (la cui superficie è appena un millesimo delle terre emerse, e ospita appena 1,5 per mille della popolazione mondiale) con scarse risorse è riuscita nell’impresa di conquistare nel giro di tre decenni una condizione di autonomia sostanziale, che ha retto (unico paese del Blocco comunista, e contro tutte le previsioni) alle terribili conseguenze del crollo dell’Unione Sovietica nel 1989.
La giovanissima dirigenza rivoluzionaria (si andava dai 29 anni di Fidel ai 24 di Camilo Cienfuegos) aveva ben chiaro dall’inizio che per riscattare realmente il paese dalla condizione di subalternità era necessario sviluppare, malgrado le condizioni tutt’altro che favorevoli, un sistema scientifico avanzato, al livello dei paesi più sviluppati.
Significativa fu l’affermazione, in apparenza spavalda, di Fidel Castro nel 1961: “Il futuro di Cuba dev’essere necessariamente un futuro di uomini di scienza”, che incredibilmente si è trasformata in realtà! Riuscendo a mobilitare con la Rivoluzione tutte le risorse intellettuali del paese (meglio, quelle che non abbandonarono il paese dopo la Rivoluzione) attorno a un progetto ambizioso, moltiplicandone le potenzialità. E i metodi sleali degli Usa anziché indebolire la Rivoluzione si sono trasformati in induttori di poderose sinergie. Come afferma un autorevole studio di origine non sospetta: “Dopo la rivoluzione del 1959 Cuba si diede come priorità di trovare nuovi metodi per provvedere a una popolazione povera; parte della soluzione fu la formazione di medici e ricercatori” (D. Starr, direttore del Centro di Giornalismo Scientifico e Medico dell’Università di Boston).
Il modo in cui Cuba ha realizzato questa impresa incredibile è stato assolutamente straordinario, facendo ricorso in modo quasi spregiudicato a tutti i tipi di apporti e incorporandoli in un sistema scientifico originale. Così, nella fisica e in certe tecnologie i cubani si appoggiarono pesantemente all’Unione Sovietica che in questi campi era all’avanguardia, ma si aprirono fin dai primissimi anni anche al contributo attivo di scienziati e istituzioni “occidentali”: con entrambi questi supporti Cuba raggiunse nel giro di 15 anni un livello paragonabile a quello dei paesi latinoamericani molto più grandi e ricchi e con maggiore tradizione scientifica.
Nel campo della biologia moderna, dove la Russia per ragioni ideologiche era rimasta tagliata fuori dalla genetica moderna e dalla biologia molecolare (da quando negli anni ‘30 l’agronomo Trofim Lysenko, negando i principi della genetica, aveva sostenuto la tesi della trasformazione delle specie provocata da cambiamenti ambientali), i cubani, pur facendo parte del Blocco dei paesi socialisti, ricorsero direttamente al supporto di scienziati occidentali. In particolare (e anche questo è poco noto) fu la giovane generazione di biologi italiani che nei primi anni ‘70, con corsi appositi e intensivi, formò l’attuale generazione di biologi e genetisti cubani.
Questa applicazione eclettica delle conoscenze scientifiche avanzate si è associata a Cuba con la subordinazione di tutte le scelte alle necessità della Rivoluzione e ai bisogni primari della popolazione. Fu proprio Fidel a promuovere lo sviluppo di un sistema sanitario efficiente ed esteso a tutta la popolazione, che in pochi anni sradicò le infermità che affliggono i paesi poveri, e portò il profilo sanitario dei cubani al livello dei paesi sviluppati. E fu Fidel che fin da primi anni ‘80 si ostinò con sorprendente lungimiranza nello sviluppo delle biotecnologie, quando queste erano ai primordi del loro sviluppo in tutto il mondo, promuovendo i contatti con i paesi allora più avanzati (in particolare la Finlandia, poi la Francia). Nel 1986 per sua esplicita scelta venne costruito un grande Centro de Ingeniería Genética y Biotecnología (CIGB), equipaggiato con la strumentazione più moderna disponibile (affrontando costi più alti a causa dell’embargo degli Stati uniti, anche se il Centro costò complessivamente un decimo di quanto sarebbe costato negli Usa), che adottò un ciclo integrato che andava dalla ricerca, alla sperimentazione clinica, alla produzione e alla commercializzazione. Cuba ha realizzato nella biotecnologia, con ulteriori centri specializzati legati al sistema sanitario, un modello alternativo a quello capital-intensive che domina a livello mondiale, e particolarmente dedicato alle malattie tipiche del Terzo Mondo, snobbate dalla logica del profitto dell’industria farmaceutica.
Quando il crollo dell’URSS nel 1989 mise in ginocchio l’economia cubana, il governo adottò nuovamente la strategia utilizzata all’inizio della Rivoluzione di puntare sull’eccellenza in campo scientifico: molti settori furono duramente penalizzati dai colpi della crisi, ma il sistema scientifico cubano nella sostanza resse, e Fidel investì somme considerevoli per sostenere e sviluppare ulteriormente la biotecnologia. Come scrive il già citato Starr: “Di fronte alla calamità economica, Castro fece una cosa eccezionale: investì centinaia di milioni di dollari nei medicinali”. Questa scelta coraggiosa fu ancora una volta lungimirante: dagli anni ‘90 i servizi collegati alla salute e ai farmaci biotecnologici costituiscono una delle più importanti fonti di ingresso di valuta pregiata per Cuba.
La politica promossa da Fidel avrebbe molto da insegnare a noi: un paese che riponga speranze sul futuro e punti al benessere del suo popolo non taglia, ma piuttosto promuove l’istruzione, l’innovazione e il servizio sanitario pubblico, soprattutto in condizioni di risorse limitanti. Un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma a proposito che “Cuba è un esempio in cui una strategia ben sviluppata di salute pubblica ha generato indicatori comparabili a quelli dei paesi industrializzati. Nonostante le limitate risorse, il sistema sanitario cubano ha risolto i problemi che altri sistemi sanitari nazionali non sono stati in grado di risolvere. I risultati di salute pubblica di Cuba si basano in primo luogo sul principio che la salute è un diritto della sua popolazione e, secondo, sullo sviluppo delle seguenti aree: un sistema sanitario nazionale, la formazione delle risorse umane, lo sviluppo della ricerca e della produzione biofarmaceutica, e la creazione di una programma internazionale di cooperazione sanitaria e assistenza”. (OMS Report, 2015, “Cuban experience with local production of medicines, technology transfer and improving access to health”).
Indubbiamente oggi Cuba si trova di fronte sfide nuove, il cui esito è assolutamente imprevedibile, ma la lungimiranza di Fidel ha lasciato una traccia che difficilmente potrà venire cancellata.
Angelo Baracca, Rosella Franconi
29/11/16

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Saturday, December 03, 2016 9:47 AM
Subject: ANCORA 5 MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO ANCHE IERI 2 DICEMBRE

Ancora 5 morti sui luoghi di lavoro anche ieri 2 dicembre.
Impressionante sequenza di morti anche ieri.
Sono morti cinque lavoratori, 17 dalla tragedia di Messina di soli 4 giorni fa.
Fa impressione la morte di due ventenni, morti tutti e due in modo straziante.
In una ditta dolciaria di Torino che produce panettoni è morto in modo orribile Matteo Bianchi di soli 23 anni. Il povero giovane è morto con la testa schiacciata da un macchinario.
Terribile anche la sorte di un suo coetaneo Domenico Gangemi della Provincia di Reggio Calabria. Anche lui ha finito la sua vita a 23 anni cadendo dentro un silos di una segheria, dentro il silos c’era una struttura elicoidale che cercava di sbloccare con un badile. Ci è caduto morendo sul colpo.
In provincia di Bologna a Castelguelfo un artigiano Ferdinando Procopio è stato investito da un muletto mentre stavano posando del pietrisco in un capannone in costruzione, aveva solo 53 anni.
In Provincia di Vibo Valentia è morto schiacciato dal trattore Maurizio Purita di soli 36 anni.
Sull’A14 è morto Claudio Boldrin un autotrasportatore di 50 anni a causa di un tamponamento.
Ma che Paese è il nostro che ni si preoccupa di salvaguardare la vita dei suoi lavoratori?
Ma come fa una classe dirigente di un paese ad assistere senza far niente alla morte dei suoi figli migliori?
Scriverò ancora al Presidente Mattarella, il Paese non può assistere impotente a una strage così disumana.

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From: Mario Murgia AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
To:
Sent: Saturday, December 03, 2016 5:56 PM
Subject: LUCI E OMBRE DEL NUOVO DISEGNO DI LEGGE TESTO UNICO AMIANTO

Si è tenuta ieri presso Palazzo Giustiniani del Senato la II Assemblea Nazionale sull’Amianto in cui è stato presentato un Disegno di Legge dl recante il Testo Unico in materia di amianto, frutto delle conclusioni raggiunte dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali con la collaborazione dell’Università degli Studi di Milano. Otto titoli composti da 128 articoli per cercare di affrontare e riordinare il tema dell’amianto in tutta la sua vastità e complessità.
Presente il Coordinamento Nazionale Amianto con i responsabili delle associazioni e Comitati che ne fanno parte, i sindacati confederali Nazionali e tante altre realtà attive sul territorio.
Augurandoci che questa iniziativa non sia stata frutto di un’azione propagandistica in vista del delicato momento referendario ed esprimendo la nostra soddisfazione in considerazione che il tema amianto sia entrato, di fatto nell’agenda politica delle priorità del nostro Governo, esprimiamo rammarico e delusione per il fatto che le associazioni delle vittime a differenza del recente passato non siano state coinvolte nella sua elaborazione e stesura.
Ricordiamo che le associazioni degli ex esposti e delle vittime dell’amianto, insieme ai movimenti di lotta per la salute, ai sindacati confederali e di base, fin dagli anni ‘70 si sono battute per mettere al bando l’amianto. Si può dire che la legge 257 del 1992 che ha interrotto la produzione e il commercio di amianto è una loro vittoria.
Il problema della presenza dell’amianto sul territorio non è stato comunque risolto dalla legge se non in poche situazioni e a seguito di diverse mobilitazioni. Si pensi alle conferenze organizzate dalla base, prima e dopo la conferenza governativa di Roma del 1999, Milano 1993, Monfalcone 2003, Bruxelles nel 2005, Torino nel 2009 e la II conferenza Nazionale presentata del governo nel 2012 a Venezia, che è stata a gran voce richiesta e voluta dal Coordinamento Nazionale Amianto.
Si immaginava, in considerazione del ruolo svolto e per la tenace richiesta di giustizia per gli ex esposti, le vittime dell’amianto e dei processi che ne sono seguiti che non si potesse procedere senza il coinvolgimento diretto dei protagonisti delle lotte e delle richieste, sulla base delle loro conoscenze e della presenza sul territorio a stretto contatto con le persone che soffrono o che sono deceduti.
Esprimiamo un parere favorevole all’istituzione di Sportelli Amianto su tutto il territorio e della Agenzia Nazionale Amianto ma leggiamo, allo stesso tempo con preoccupazione, l’articolo in cui si afferma “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Ecco che ci chiediamo come è possibile pensare ad un organismo del genere come una Agenzia Nazionale senza fondi per operare?
Quante volte come associazioni o singoli cittadini ci si è rivolti alle istituzione ambientali, sanitarie e sociali senza ottenere risposte o ottenendole con tempi lunghissimi? Quante volte ci è stato detto che abbiamo ragione ma mancano i soldi?
Apprezziamo alcune misure che sono state inserite nel DdL, a partire da quelle che da tempo chiediamo, come la sorveglianza sanitaria, omogenea, con protocollo unico, per tutto il territorio nazionale e non disomogenea, come è oggi, da regione a regione o addirittura da provincia a provincia nella stessa regione, per altro prevista ma poco attuata e non indicativa nel testo unico.
Un paragrafo a parte lo dedicheremo sulla possibilità di richiedere atti di indirizzo per ottenere, la dove vi è stata una reale esposizione, per i benefici previdenziali per gli ex esposti, anche se, sui benefici, sono di più le norme che si chiudono che quelle che si aprono.
Siamo finalmente soddisfatti per l’allungamento dei termini di prescrizione e il gratuito patrocinio a spese dello Stato per le vittime dell’amianto e i familiari nell’ambito dei processi per disastro, omicidio e lesioni. Non altrettanto per la mancata istituzione della Procura Nazionale sulla Salute e Sicurezza sul lavoro in particolare sull’amianto.
Avremmo, certamente, apprezzato fosse stato affermato che per l’amianto non dovrà esistere alcun valore limite al di sotto del quale la salute degli esposti possa essere garantita e che i valori limiti definiti costituiscano un’aggravante se superati.
Altrettanto sarebbe stata interessante, fosse riportata e definita, la soluzione del conflitto di interessi fra chi riconosce le malattie asbesto correlate e chi eroga le relative provvidenze. Sono le istituzioni sanitarie proposta alla Sorveglianza Sanitaria, che devono giudicare le malattie e i disagi e non l’ente assicuratore INAIL, escludendolo dal conflitto di interesse in cui si trova.
Cercheremo infine di entrare, più puntualmente, nel merito di quanto riportato in detto Testo Unico, confidando nell’affermazione della Senatrice Fabbri, che si tratta di una proposta aperta ad eventuali modifiche o integrazioni, dicendo (non come una battuta) che non sarà il sì o il no a interrompere il processo. A breve presenteremo le nostre osservazioni sui punti del Testo Unico che, a nostro parere, presentano delle criticità, delle lacune, delle inesattezze o che non hanno tenuto conto delle nostre richieste giacenti in Commissione Senato e forniremo al governo e alle parte interessati, le nostre integrazioni, con l’augurio di poter andare avanti nella realizzazione di questa opera così complessa ed organica tutti insieme.

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From: Mario Murgia AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
To:
Sent: Saturday, December 03, 2016 5:56 PM
Subject: VERGOGNA: OMICIDIO COLPOSO E NON VOLONTARIO PER SCHMIDHEINY

L’accusa per il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, imputato a Torino per la morte di 258 persone, vittime di malattie correlate all’esposizione all’amianto, è passata da omicidio volontario a omicidio colposo aggravato plurimo al processo Eternit bis. Il Giudice dell’Udienza Preliminare ha dichiarato prescritti un centinaio di casi, mentre per i rimanenti ha ordinato la trasmissione per competenza territoriale alle procure di Reggio Emilia, Vercelli e Napoli. A Torino si celebrerà a partire dal 14 giugno il processo per due soli casi.
COMUNICATO STAMPA ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO E MEDICINA DEMOCRATICA
Il il Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Torino ha rinviato a giudizio Stephan Schmideiny. Ma non è una buona notizia perché tale decisione é per omicidio colposo e non doloso come invece era stato richiesto dal Pubblico Ministero.
Ciò vuol dire lo smembramento del processo in 3 Tribunali diversi e il rischio della prescrizione sempre più reale e vicino.
Se il Disegno di Legge presentato oggi al Senato della Repubblica dalla Senatrice Fabbri e altri “Disposizioni per il riordino della normativa in termini di amianto” fosse già legge e già in vigore, la prescrizione sarebbe stata più lontana.
Ma nulla sarebbe cambiato in termini di colpa. Nemmeno in questo DdL si e’ pensato di istituire la Procura Nazionale per i delitti del lavoro (infortuni e malattie professionali).
Stephan Schmidheiny, uno degli uomini più ricchi del mondo, può continuare a dormire sonni tranquilli!
Non e’ una novità. Il codice del sistema in vigore dice che i ricchi devono risultare impuniti.
Milano 29/11/16
Medicina Democratica
Associazione Italiana Esposti Amianto

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From: Mario Murgia AIEA Val Basento info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
To:
Sent: Saturday, December 03, 2016 5:56 PM
Subject: GRANDE SUCCESSO ASSEMBLEA AIEA SARDEGNA

In centinaia si sono ritrovati a Ottana all’assemblea straordinaria per fare il punto sulla battaglia iniziata un anno fa per il riconoscimento dei diritti per le malattie legate all’amianto.
Dipendenti ed ex lavoratori dell’area industriale ex Enichem, assistiti nella lotta dall’Associazione Nazionale Esposti Amianto (AIEA) hanno discusso su un primo risultato ottenuto pochi giorni fa: con un emendamento alla legge di Stabilità, presentato dal Deputato Michele Piras (Sinistra Italiana), sono stati destinati 50 milioni ai lavoratori sardi esposti all’amianto.
“E’ un primo importante passo” – ha spiegato il Deputato – “L’emendamento riconosce la pensione di inabilità ai lavoratori esposti all’amianto e riapre i termini per il 2017 e nel 2018 per le richieste all’INAIL di coloro che abbiano contratto malattie asbesto correlate. E’ un atto che rende parziale giustizia a chi ha tanto sofferto per aver respirato veleni nel posto di lavoro”.
“C’è ancora tanto da fare” – ha sottolineato Piras – “per vedere riconosciuti gli altri diritti come indennizzi, trattamenti sanitari gratuiti e prevenzione, che i lavoratori e i loro eredi giustamente rivendicano”.
“Non si capisce perché i sardi che hanno lavorato nelle stesse fabbriche con la stessa esposizione all’amianto di altri lavoratori italiani” – ha detto la presidente nazionale dell’AIEA, Maura Crudeli – “siano stati finora discriminati sul piano dei diritti. Noi andremo avanti nella nostra battaglia che abbiamo intrapreso anche di fronte ai giudici”.
La presidente regionale AIEA, Sabina Contu, ha ribadito: “E’ una prima anche se parziale vittoria. Continueremo a stare a fianco dei lavoratori e chiederemo all’assessore della Sanità Luigi Arru di avviare un’indagine epidemiologica per capire qual è l’incidenza delle malattie legate all’amianto nelle zone industriali; chiederemo che vengano inserite per i benefici di legge altre malattie legate all’esposizione di amianto, oltre al carcinoma polmonare, all’asbestosi e al mesotelioma pleurico, già riconosciute. Abbiamo bisogno della collaborazione dei sindaci delle zone per le bonifiche nelle zone industriali”.
Intervento di Sabina Contu
Intervento di Mario Murgia
Intervento di Francesco Tolu
Da L’Unione Sarda

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From: Muglia La Furia noreply+feedproxy@google.com
To:
Sent: Monday, December 05, 2016 4:53 PM
Subject: NEL 2007 LA STRAGE DELLA THYSSEN: NEL 2016 LA CONDANNA DEFINITIVA, MA... DI ESPENHAHN IN GALERA NON C’E’ TRACCIA!

Abbiamo fatto una ricerca sul web ma anche dalla Germania non arriva nessuna notizia. 
Cosa aspetta il governo italiano a chiedere l’applicazione della sentenza? 
E non c’è un parlamentare capace di fare un’interrogazione, un’interpellanza, proporre un Ordine del Giorno per far sì che i due responsabili tedeschi del massacro Harald Espenhan e Gerald Priegnitz, condannati rispettivamente a 9 anni e 8 mese e a 7 anni, finiscano in galera, come accaduto per i loro colleghi italiani? 
Noi aspettiamo, ma non dimentichiamo.
F.M.
L’ondata di fuoco nella notte fra il 5 e il 6 dicembre.
I soccorritori raccontarono: “Ho visto l’inferno. Erano avvolti nelle fiamme”.
Prendetevi due minuti per ascoltare la bella poesia di Carlo Soricelli “Morti bianche” interpretata da Flavio Insinua: 

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From: Rete Nazionale Sicurezza luoghi di lavoro e territori bastamortesullavoro@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, December 06, 2016 6:15 PM
Subject: PROCESSO ILVA TARANTO: FORTE PROTESTA OPERAI, LAVORATORI, CITTADINI CONTRO PATTEGGIAMENTI E ACCORDI SEGRETI

di Francesco Casula
6 dicembre 2016
ILVA: ENNESIMO RINVIO DEL PROCESSO. LA GENTE URLA IN AULA: “VOGLIAMO GIUSTIZIA PER I MORTI”
Alla fine dell’udienza dopo l’annuncio del nuovo rinvio al 17 gennaio immediata protesta delle parti civili autorganizzate e dello Slai Cobas per il sindacato di classe.
Esplode dentro e fuori dall’aula la rabbia dei tarantini dopo l’ennesimo rinvio del processo ILVA.
Sono stati in tanti a chiedere “giustizia per i morti” dopo la decisione della Corte d’Assise di rinviare l’udienza al 17 gennaio per consentire ai nuovi legali dell’ex Riva Fire (finita nella gestione statale a seguito degli accordi tra Riva, ILVA e procure) di studiare l’enorme mole di documenti e determinare l’offerta per raggiungere il patteggiamento. Fuori dall’aula cartelli eloquenti con le scritte “quando inizia il processo?”.
Prima del rinvio, inoltre, sono state depositate le richieste di patteggiamento per ILVA in amministrazione straordinaria e Riva Forni Elettrici. La corte dovrà valutare se accettare o meno le richieste di patteggiamento (diventando peró incompatibili con il proseguio del processo, che dovrebbe essere celebrato da una nuova Corte d’Assise) oppure lasciare che il Presidente del Tribunale possa decidere di nominare nuovi magistrati.
Le parti civili hanno protestato perché ritengono che il patteggiamento della pena avanzato dalle tre società farà venir meno le richieste di risarcimenti dei danni nei confronti delle persone giuridiche.
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NON SI PATTEGGIA CON I RESPONSABILI DEL DISASTRO AMBIENTALE!

PARLA L’AVVOCATO BONETTO DI TORINO

Siamo agli accordi segreti, che i lavoratori e i cittadini, tutte le realtà che lottano a Taranto per la salute e il lavoro, perchè i padroni assassini paghino e vadano in galera, devono leggere sulla stampa o sentire in televisione.
Si sta facendo un processo farsa.
Dietro il processo che già ha dato e dà ampio spazio agli avvocati di Riva, si fanno accordi tra le Procure di Milano e di Taranto, sotto la regia del Governo, si prendono decisioni sulla vita della gente.
L’unico che dice che sapeva è lo squallido, inqualificabile Sindaco Stefano, che non si vergogna a dire che pur sapendo non ha detto nulla della porcata che si stava facendo e su cui è d’accordo.
Si tratta di uno scambio tra pochi soldi, che periodicamente si nominano e si spacciano per tutti gli interventi, e l’uscita dal processo, anzi dai processi guardando anche a quelli di Milano, dei Riva, dell’ILVA e delle altre società.
I lavoratori dell’ILVA, dell’appalto, tutti gli altri che si sono costituiti parte civile, i cittadini dei quartieri inquinati, i familiari dei morti, restano “beffati” e senza risarcimento, in un processo svuotato dai veri colpevoli.
La beffa riguarda anche questi famosi 1,3 miliardi. Che materialmente non potranno essere utilizzati per le bonifiche, perchè almeno 800 milioni dovrebbero andare a coprire i prestiti già dati dalle banche su garanzia dello Stato del recupero proprio di quel miliardo e 300 milioni.

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From: Dante De Angelis dadante@tiscali.it
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Sent: Saturday, December 10, 2016 2:52 PM
Subject: BULGARIA, TRENO DI GAS DERAGLIATO SULLE CASE: L’EUROPA FERROVIARIA UCCIDE ANCORA

L’Europa ferroviaria, quella delle compatibilità economiche, uccide ancora.
“Viareggio” non è mai finito.
Cosa penso dell’ERA?
O chiude o si mette a lavorare per la sicurezza.
Ciao
Dante
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BULGARIA: INCIDENTE FERROVIARIO CON CISTERNE CARICHE DI GAS, 4 MORTI
Almeno 4 persone sono morte e 25 sono rimaste ferite in un incidente che ha coinvolto un treno merci a Hitrino, nel nord della Bulgaria.
Il convoglio, che trasportava gas, è uscito dai binari andandosi a schiantare sulle case del paese, centro con circa 800 abitanti.
Una ventina le abitazioni coinvolte dall’esplosione, numerosi gli evacuati.
Il treno merci trasportava 20 serbatoi di propilene e 4 di butano. Gli ultimi 2 elementi del convoglio hanno colpito i cavi dell’elettricità.

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org 
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Sent: Thursday, December 08, 2016 1:54 AM
Subject: SOCIALIZZAZIONE DELLO SVILUPPO TECNOLOGICO E LOTTA PER LA RIDUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO

PERCHÉ ALL’AUTOMAZIONE DEI PROCESSI PRODUTTIVI NON È SEGUITA UNA RIDUZIONE DEI TEMPI DI LAVORO?
Sergio Cimino
05/11/16
La rivendicazione della riduzione dell’orario di lavoro come questione disgiunta da un discorso complessivo sul rapporto di potere tra capitale e lavoro può condurre a risultati effimeri, soggetti ad una compromissione parziale o totale ad opera della controffensiva padronale.
Con la fine del periodo storico caratterizzato dalle più imponenti conquiste del movimento operaio anche la tendenza ad una progressiva riduzione dell’orario di lavoro conosce una battuta d’arresto, fino ad arrivare alla messa in discussione di quelli che si ritenevano dati strutturali ormai consolidati. In Europa solo qualche anno fa imperversava la discussione sull’opt-out, ossia la clausola che consente di derogare il limite di 48 ore dell’orario settimanale (con la possibilità di arrivare fino a 65 ore settimanali). Ma i segni più evidenti sono quelli rintracciabili nella generale regressione che si registra in sede di contrattazione sindacale.
La subordinazione alle esigenze del sistema delle imprese avviata con l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e sublimata con il Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, trova espressione, tra le altre cose, attraverso l’introduzione del principio di derogabilità in senso peggiorativo dei contratti collettivi ad opera dei contratti aziendali. Un’opportunità offerta al padronato che può intervenire su tutti gli aspetti del rapporto di lavoro, compreso quindi l’orario, con derive facilmente intuibili data la minor forza di resistenza dei lavoratori di una singola azienda rispetto a quelli di un intero settore. Né, purtroppo, segni di una tendenza all’aumento dell’orario di lavoro sono assenti già in sede di contrattazione collettiva (giusto per fare un esempio: il contratto collettivo dei lavoratori dell’igiene ambientale, che porta la settimana lavorativa da 36 a 38 ore, con 104 ore annuali in più).
Il processo in atto appare paradossale a fronte di una trasformazione epocale dei processi produttivi, determinata dall’automazione e informatizzazione dei processi produttivi. Ma appunto, di apparenza si tratta, che si dissipa nel momento in cui si analizza proprio la rottura di un nesso tra azione sindacale e suo contenuto politico, analisi che dovrebbe permetterci di rispondere alla seguente domanda: Perché i benefici in termini di produttività conseguiti grazie all’automazione e all’informatizzazione non si sono tradotti in una riduzione dei tempi di lavoro?
Come tutte le innovazioni tecnologiche, anche l’ultimo impetuoso processo si è manifestato nel sistema governato dal capitale, sotto forma di una maggiore produzione di plusvalore relativo. Lo sviluppo delle forze produttive in un’economia capitalista non ha come scopo l’accorciamento della giornata lavorativa ma solo la sua parte relativa al lavoro necessario, a vantaggio di quella che produce il plusvalore. E perché la dialettica tra rappresentanti del capitale e rappresentanti dei lavoratori non potrebbe condurre, come del resto accaduto storicamente, ad una traduzione di una parte della riduzione del lavoro necessario, in termini di un ridimensionamento della complessiva giornata lavorativa?
Lo sviluppo capitalistico non ha solo conseguenze in termini quantitativi ma coinvolge aspetti qualitativi che vanno ad incidere proprio sul complessivo assetto di potere nell’ambito dei rapporti sociali di produzione. In particolare, la connotazione sociale delle condizioni che producono un maggior plusvalore relativo viene fatta propria dal capitale e conseguentemente raffigurata come funzione ad esso appartenente.
Si arriva al punto in cui “il capitale non tende soltanto a ridurre all’indispensabile il diretto impiego di lavoro vivente e a diminuire di continuo, mediante lo sfruttamento delle forze produttive sociali del lavoro, il lavoro necessario per l’approntamento di un prodotto” [1], ma “si approfondisce il dominio sempre più esclusivo del capitale sulle condizioni di lavoro; e, attraverso questo dominio, con l’impiego sempre più razionale di tutte le condizioni della produzione, si sviluppa e si specifica lo sfruttamento capitalistico della forza-lavoro. L’operaio riesce a cogliere ormai la globalità del processo di produzione soltanto attraverso la mediazione del capitale: forza-lavoro non più soltanto sfruttata, ma integrata dentro il capitale” [2].
La “socialità” delle condizioni di produzione che consentono al capitale di ottenere economie di costo, viene trasfigurata in elementi che sono insiti nella sua natura. È quanto accade anche per il progresso tecnologico. La direzione dei vantaggi rivenienti dalle innovazioni tecnologiche è rimessa completamente nelle mani del capitale ed anche in questo caso l’intero processo è visto come “potenza estranea” dal lavoratore.
La costruzione di piattaforme sindacali che tornino a richiedere una riduzione dell’orario di lavoro va quindi inquadrata in una complessiva azione politica che abbia come premessa imprescindibile la ricomposizione della classe lavoratrice. Questa ricomposizione, per essere efficace, deve ripercorrere le trasformazioni avvenute nell’organizzazione del lavoro, affinché le forme organizzative della rappresentanza di classe trovino corrispondenza nelle reali articolazioni produttive.
Partendo sempre da una irrinunciabile analisi della realtà effettiva, un tema di riflessione per l’area costituita dal sindacalismo più conflittuale e dalle organizzazioni politiche di classe del proletariato, potrebbe essere quello dell’adeguatezza delle categorie contrattuali in cui è suddiviso il corpo del lavoro salariato, nella fase attuale. Attraverso processi di esternalizzazione e “appaltizzazione” gli ultimi decenni hanno traghettato un’economia fondata ancora sul modello fordista verso un’organizzazione produttiva che potremmo definire tentacolare, in cui un centro beneficiario di ultima istanza si avvale della produzione di valore dei nodi di una rete composita, che può presentarsi sotto le più diverse forme economiche e giuridiche.
I lavoratori di quelle che erano le strutture portanti di un sistema basato sulla grande impresa, hanno alimentato copiosamente la contabilità degli esuberi. Ma questo vuol dire che il lavoro è scomparso? Questo punto rappresenta un crocevia dei temi che sono stati affrontati finora. La narrazione ideologica del capitale utilizza le innovazioni tecnologiche come giustificazione tecnica per l’avvio di processi di ristrutturazione di aziende o di interi settori. L’accettabilità dei costi sociali che i lavoratori dovranno subire trova proprio in questa argomentazione “oggettiva” la sua base portante.
Il valore mistificatorio di questa narrazione è nel velo con cui essa copre il fatto che il lavoro non scompare, ma che cambiano le forme in cui il capitale estorce plusvalore. Dal lato del lavoro queste nuove forme prendono le sembianze di un maggior sfruttamento. Le lavorazioni espulse dal perimetro aziendale della grande impresa vengono svolte da lavoratori inquadrati in aziende di minori dimensioni con conseguenti livelli di diritti e garanzie più bassi, o nei moderni opifici digitali (Accenture docet) in cui i lavoratori sono inquadrati con contratti atipici e costantemente sottoposti al ricatto del mancato rinnovo.
Al termine del processo avremo un quadro in cui i lavoratori della grande impresa (e soprattutto le loro organizzazioni rappresentative) subiscono responsabilmente brutali processi di ristrutturazione motivati dal fattore tecnologico.
Ciò si traduce in perdita di salario (con l’attivazione di misure statali o settoriali per il superamento delle tensioni occupazionali, ma anche come richiesta esplicita nei rinnovi contrattuali), di diritti e garanzie. Ciò che rende letteralmente surreale poter ipotizzare una piattaforma rivendicativa che si strutturi attorno alla richiesta della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
I lavoratori delle piccole imprese che hanno assunto le lavorazioni esternalizzate o degli opifici digitali hanno un rapporto di lavoro che vive in un contesto di evidente debolezza, in cui l’orario di lavoro è soggetto ad una completa flessibilizzazione in funzione degli obiettivi aziendali.
Il risultato complessivo è una amplificazione del processo di estorsione di plusvalore relativo, ottenuta grazie alle innovazioni tecnologiche, alle conseguenti modifiche produttive e alle corrispondenti sovrastrutture giuridiche (deregolamentazione del rapporto di lavoro). Nel sistema del capitale, quindi, un orario di lavoro risalente al modello fordista (con addirittura tendenze al suo aumento) può benissimo convivere con la più radicale delle trasformazioni indotte dalle innovazioni tecnologiche.
L’opposizione ad un modello siffatto - dal quale scaturiscono maggior sfruttamento della forza-lavoro occupata, peggioramento delle condizioni di lavoro e mantenimento di un corposo esercito industriale di riserva (con tassi di disoccupazione che non si discostano nel loro oscillare da un nocciolo strutturale) - può venire solo da chi ha interessi contrapposti. Solo il lavoro salariato, unito nel vincolo di soggezione al capitale ma disgregato nell’attuale forma di processo produttivo con una coscienza di classe frantumata dallo schiacciante potere persuasivo dei mezzi di comunicazione di massa e dalle pressioni culturali, può farsi carico di un compito storico tanto vecchio quanto nuovo.
Note:
[1] Karl Marx “Il Capitale”, Libro terzo, capitolo 1, cit. in Mario Tronti, Quaderni rossi, volume 2, La fabbrica e la società, Edizioni Avanti, pag. 10
[2] Ibidem pag. 12

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org 
To:
Sent: Thursday, December 08, 2016 1:54 AM
Subject: SFRUTTAMENTO E MORTI SUL LAVORO

di Michele Michelino
20/11/16
In nome della produttività e del profitto, i padroni e i loro governi risparmiano anche i pochi centesimi per la sicurezza costringendo gli operai a lavorare in condizioni pericolose.
Da gennaio a settembre 2016 sono 753 le morti bianche (meglio chiamarle col loro vero nome: omicidi) rilevate in Italia, di cui 549 infortuni mortali avvenuti in occasione di lavoro e 204 quelli accaduti in itinere. Questi dati sono stati elaborati e forniti dall’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre sulla base di dati INAIL.
Anche per il 2016 lo scenario che si apre sugli infortuni mortali in Italia continua a essere tragico.
Una media di 83 vittime al mese, 20 infortuni mortali a settimana.
L’unico dato positivo è che, rispetto allo stesso periodo del 2015, quando si contavano 856 morti sul lavoro, c’è una diminuzione dei morti del 12,3 per cento.
Il settore economico che conta il maggior numero di “morti bianche” (74, pari al 13,5% del totale dei casi di morte in occasione di lavoro) è rappresentato dall’industria delle costruzioni.
Al secondo posto vengono le “Attività manifatturiere” con 65 decessi (pari al 11,8% del totale) e al terzo il “settore del Trasporto e Magazzinaggio”, con 62 casi pari all’11,3%.
Da gennaio a ottobre si contano 84 stranieri deceduti (il 15,3 per cento del totale) e 36 donne.
La fascia d’età più colpita (che costituisce il 33,3 per cento di tutte le morti rilevate in occasione di lavoro) è sempre quella compresa tra i 45 e i 54 anni.
Anche se i dati provvisori registrano un calo degli infortuni mortali, in alcuni settori come l’edilizia a ottobre 2016, si assiste invece a un aumento di oltre il 27% rispetto al 2015.
Un dato che colpisce è che la maggioranza delle vittime di infortuni, anche mortali, riguardi gli over 60 anni: il numero dei morti è più che raddoppiato rispetto allo scorso anno.
Il lavoro nero senza rispetto dei contratti e della sicurezza è la condizione che accomuna molti incidenti proprio a causa della mancata applicazione delle regole. Le vittime sono spesso lavoratori autonomi che autonomi non sono, lavoratori occasionali in nero o pagati con i voucher nei cantieri.
Davanti a questa guerra di classe che fa morti e feriti solo da parte, quella dei lavoratori, le istituzioni e il governo non vanno oltre le frasi di circostanza, mentre le grandi centrali sindacali confederali si limitano a proteste simboliche.
Il 7 novembre i sindacati di categoria degli edili (Feneal-Uil, Filca-Cisl e Fillea-Cgil) hanno proclamato uno sciopero nazionale del settore di un’ora. Obiettivo: sensibilizzare e contrastare il dramma delle morti sul lavoro richiedendo una maggiore sicurezza sul fronte della sicurezza e salute sul lavoro. Una sola ora di lavoro per protestare contro questa mattanza di operai morti sul lavoro!
Naturalmente i dati sopra riportati non tengono conto dei lavoratori in nero e di quelli non iscritti all’INAIL.
Secondo “Articolo 21” “l’INAIL non riconosce circa 500 infortuni mortali sul lavoro ogni anno”.
I dati degli ultimi sei anni che riportiamo in dettaglio dicono che:
-         anno 2010: denunce per infortunio mortale 1501, infortuni mortali riconosciuti 997;
-         anno 2011: denunce per infortunio mortale 1387, infortuni mortali riconosciuti 895;
-         anno 2012: denunce per infortunio mortale 1347, infortuni mortali riconosciuti 851;
-         anno 2013: denunce per infortunio mortale 1215, infortuni mortali riconosciuti 710;
-         anno 2014: denunce per infortunio mortale 1107, infortuni mortali riconosciuti 662.
Che gli operai e i lavoratori nella società capitalista siano considerati una merce usa e getta si vede anche da quanto vale la loro vita per l’ente assicurativo pubblico, l’INAIL.
Le morti sul lavoro e da lavoro, gli infortuni, le malattie professionali sono un dramma che ha gravi conseguenze per le vittime e per le loro famiglie che, oltre al danno, devono subire la beffa.
Il coniuge o, in mancanza, i figli o chiunque dimostri di aver sostenuto le spese in occasione della morte del lavoratore, se hanno i requisiti per fruire della rendita a superstite, hanno diritto all’assegno di rimborso delle spese funerarie, che dal 1° luglio 2016 è di ben (!) 2.136,50 euro.
Anche i dati “ufficiali” vanno comunque presi con le pinze. Molte delle famiglie delle vittime degli infortuni e malattie professionali conoscono le difficoltà che hanno dovuto attraversare per far valere i loro diritti. L’INAIL è in conflitto d’interessi, perché è l’ente assicurativo che deve riconoscere l’infortunio e nello stesso tempo pagarlo, per cui ha tutto l’interesse a risparmiare sulla pelle delle vittime.
Da qui la rivendicazione portata avanti da diverse associazioni e comitati di togliere all’INAIL il compito di riconoscere infortuni, morti sul lavoro e malattie professionali, affidando a un ente terzo il riconoscimento e lasciando all’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro, assicurazione pubblica, il solo compito di pagare il danno.
Agli infortuni e alle morti sul lavoro si aggiungono quelle delle malattie professionali.
I numeri forniti dall’INAIL per il 2015 confermano che le malattie professionali sono in crescita, anche se l’aumento delle denunce di malattia professionale è dovuto quasi esclusivamente alla “gestione agricoltura” che ha visto un aumento del 10,16% rispetto all’anno precedente (+ 1.100 domande). Nel 2015 sono state 58.825 le denunce di malattia professionale, circa 1.500 in più rispetto al 2014 e in aumento di oltre il 33% rispetto al 2010. Queste denunce hanno riguardato circa 44 mila soggetti ammalati.
Di lavoro si continua ad ammalarsi e a morire, più che in guerra.
Ogni anno, in nome della produttività e del profitto, i padroni e i loro governi risparmiano anche i pochi centesimi per la sicurezza costringendo gli operai a lavorare in condizioni pericolose. Il capitale si alimenta dello sfruttamento operaio e le sue istituzioni, legittimandolo, sono funzionali allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
I morti sul lavoro non dipendono mai dalla fatalità. L’aumento dello sfruttamento è la causa principale degli infortuni.

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From: Associazione Italiana Esposti Amianto aiea.mi@tiscali.it
To:
Sent: Friday, December 09, 2016 3:43 PM
Subject: AMIANTO E ACQUA

Da Epidemiologia e Prevenzione
RISCHIO CLINICO DA INGESTIONE DI FIBRE DI AMIANTO IN ACQUA POTABILE
di Agostino Di Ciarla e Valerio Gennaro
Il recente riscontro di amianto in campioni di acqua potabile in Toscana (sino a 700.000 fibre/litro) ha riaperto il dibattito sui rischi da ingestione di queste fibre.
L’esposizione ad amianto è stata messa in relazione a vari tumori del tratto gastrointestinale e in vitro è stata documentata la citotossicità ileale da ingestione di fibre di amianto.
Il riscontro di amianto in campioni istologici di carcinoma del colon e nella bile colecistica suggerisce la possibilità che oltre alla migrazione/traslocazione dai polmoni ad altri organi per via linfaticasia possibile un riassorbimento intestinale delle fibre e il raggiungimento del fegato attraverso la circolazione portale.
E’ stato anche descritto un possibile nesso causale tra amianto e colangiocarcinoma intraepatico.
L’amianto assunto per ingestione è in grado di potenziare l’effetto mutageno del benzo(a)pirene e secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ci sono evidenze sul rapporto causale tra ingestione di amianto e cancro dello stomaco e del colon retto.
Il rischio sarebbe proporzionale alla concentrazione di fibre ingerite, alla variabilità del consumo idrico, alla durata dell’esposizione e alla concomitante esposizione ad altri carcinogeni (per esempio benzo(a)pirene).
La presenza di fibre di amianto in acqua potabile potrebbe inoltre spiegare l’evidenza epidemiologica di mesoteliomi non associabili a esposizione inalatoria.
In conclusione numerose evidenze suggeriscono che i rischi sanitari correlati all’amianto possono essere subordinati a differenti vie di introduzione e sono presenti anche per ingestione soprattutto attraverso il consumo quotidiano di acqua potabile.
In Italia mancano limiti di legge e rilevazioni sistematiche sulla concentrazione di fibre di amianto in acqua nonostante sia ampia la diffusione delle condotte in cemento-amianto e alcune di queste siano in progressivo deterioramento anche a causa dell’alto tasso di acidità dell’acqua circolante.
Resta da stabilire con chiarezza il limite minimo tollerabile di fibre di amianto nell’acqua potabile e per rispetto dei principi di precauzione e di prevenzione sarebbe opportuna una revisione della normativa nazionale e un efficace e sistematico piano di monitoraggio dell’acqua da applicare in tutte le entità amministrative (Comuni/Province/Regioni).
Sono inoltre necessari ulteriori studi epidemiologici finalizzati alla corretta identificazione delle comunità esposte e a un’adeguata valutazione del rischio in quelle specifiche aree geografiche.

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Friday, December 09, 2016 6:54 PM
Subject: L’EMILIA ROMAGNA RADDOPPIA I MORTI PER INFORTUNI SUI LUOGHI DI LAVORO RISPETTO AL 2015

Se si parla di morti sul lavoro occorre essere molto chiari e non mescolare le carte per fare solo confusione, in rete diffondono come al solito dati parziale che farebbero sorridere se non si parlasse di lavoratori morti per infortuni sul lavoro.
L’INAIL diffonde con circa un mese di ritardo le denunce che arrivano a questo Istituto, alcuni li prendono come comprensivi di tutte le morti per infortunio sul lavoro, in realtà come ho già scritto centinaia di volte, quelle che diffonde sono denunce e non quelle che riconosce.
Tra l’altro occorre ancora una volta ribadire che tantissime lavoratori, soprattutto le partite IVA non sono assicurate da questo Istituto dello Stato e quando all’inizio del prossimo anno andrà a respingere per almeno un terzo.
Poi ci sono i morti in nero, gli “arrangiatori” che muoiono numerosi nello svolgere lavori di cui non sono pratici, gli agricoltori schiacciati dal trattore che in larga parte non sono assicurati all’INAIL.
Noi, abbiamo ritenuto che chiunque svolge un lavoro, di qualsiasi tipo e che muore lavorando deve avere la stessa dignità degli assicurati INAIL e non sparire dalla statistiche.
Se li monitoriamo tutti, e separiamo chi muore sui luoghi di lavoro dai lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere (salvo gli autotrasportatori di ogni categoria che inseriamo) ci si accorge così che le “classifiche” regionali e provinciali cambiano completamente.
Analizziamo l’andamento delle prime 4 Regioni per numero di morti.
Prima Regione per numero di morti sui luoghi di lavoro risulta in questo momento la Campania con 61 morti (di questi 3 in mare) rispetto all’intero 2015 ha un aumento del 23%.
La seconda per numero di morti sui luoghi di lavoro è l’Emilia Romagna. L’aumento rispetto all’intero 2015 è spaventoso, Nel 2016 ha, a oggi, 58 morti. Nell’intero 2015 ha avuto 30 morti (ero molto contento l’anno scorso del significativo calo rispetto al 2014 della mia regione, un calo sicuramente dovuto alla casualità che ogni tanto si verifica): un aumento incredibile quest’anno dell’Emilia Romagna di quasi il 100%.
Il Veneto è la terza regione per numero di morti, ha in questo momento 56 morti sui Luoghi di lavoro, con un aumento rispetto al 2015 del 7,2%
La Lombardia risulta al quarto posto per numero di morti. E’ questa Regione che ha un andamento altamente positivo al 2015. Ha in questo momento 47 morti e nell’intero 2015 72. Un calo notevolissimo che fa abbassare il numero totale delle morti in Italia rispetto al 2015. Il calo è del 34,8. Occorre poi ricordare che la Lombardia ha il doppio degli abitanti delle più popolose regioni italiane.
Questo cosa significa? Che se si prende come parametro il numero di abitanti e non l’indice occupazionale, che in questa “conta” non ha nessun valore statistico, visto che a morire sono in tanti che non sono assicurati all’INAIL viene fuori che la Lombardia è la regione più virtuosa ogni anno su queste tragedie e che nel 2016 sta avendo un decremento fantastico.
Spero solo che ciò non sia dovuto al caso come è capitato per l’Emilia Romagna nel 2015 e precedentemente al Veneto.
Come “terrone” considero la Lega che guida la Regione come la più lontana, ma su questo fenomeno tanto di cappello a chi la sta guidando e alle strutture che se ne occupano.
Il 1° gennaio 2017 inizierà il decimo anno di monitoraggio dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro http://cadutisullavoro.blogspot.it
Sono stati anni molto intensi e sono orgoglioso d’aver fatto comprendere agli italiani che i morti per infortunio sono molti di più di quelli che vengono diffusi. Che dal 2008 non c’è stato nessun calo, che sono gli agricoltori schiacciati dal trattore a tenere il triste primato delle morti in Italia.
Con grande amarezza devo dire che con chi ci governa non è mai stato possibile avere nessun contatto, che le Istituzioni hanno sempre considerato l’Osservatorio un corpo estraneo guardato con ostracismo, un nemico che li attaccava con chissà quali motivazioni, che metteva in discussione la loro onnipotenza.
Ma da queste Istituzioni, da chi ci governa, voglio un riconoscimento, voglio che mi dicono che hanno apprezzato il mio lavoro di volontario. Lo esigo, non per me, ma per tutti i milioni di volontari che senza interesse di nessun tipo rendono migliore questo nostro Paes

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