venerdì 20 gennaio 2017

20 gennaio - da M. Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 19/01/17



INDICE

LETTERA DI UN MACCHINISTA LETTA IL 29 DICEMBRE

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
REPORT MORTI SUL LAVORO NEL 2016

Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
BUON 2017 A TUTTI

E CON GLI AUGURI ANCHE IL MIO ADDIO AI SOCIAL...

Clash City Workers cityworkers@gmail.com

ALMAVIVA, LA VERITA’ DEI LAVORATORI


Posta Resistenze posta@resistenze.org
LA LOTTA DEGLI “UBER”: ALLA SCOPERTA DELLO SFRUTTAMENTO...

Unione Sindacale di Base Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
PERSONALE REPARTI GASLINI: ANCORA FUMATA NERA
IL GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO

Medicina Democratica Onlus segreteria@medicinademocratica.org
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS


NotizieInMARCIA! redazione@ancorainmarcia.it
FERROVIERI, TRE IMPORTANTI “APPUNTAMENTI CON LA GIUSTIZIA”

Clash City Workers cityworkers@gmail.com
“NON PARLATE, NON ANDATE IN BAGNO”: COSI’ SI LAVORA A VOUCHER

Clash City Workers cityworkers@gmail.com
GRIGIO LAVORO DI CAMERIERA? NO GRAZIE, A ME PIACCIONO I COLORI FORTI!

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Invio a seguire e/o in allegato le “Lettere dal fronte”, cioè una raccolta di mail o messaggi in rete che, tra i tanti che ricevo, hanno come tema comune la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei cittadini e la tutela del diritto e della dignità del lavoro.
Il mio vuole essere un contributo a diffondere commenti, iniziative, appelli relativamente ai temi del diritto a un lavoro dignitoso, sicuro e salubre.
Invito tutti i compagni e gli amici della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul lavoro: Know Your Rights!”
Medicina Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus

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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Saturday, December 31, 2016 12:14 AM
Subject: LETTERA DI UN MACCHINISTA LETTA IL 29 DICEMBRE

Lettera di Savio Galvani, macchinista in pensione, letta giovedì 29 dicembre 2016 alla stazione di Viareggio durante la fiaccolata organizzata dai familiari delle vittime de “Il mondo che vorrei” in attesa della sentenza di primo grado per la strage del 29 giugno 2009.
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Vorrei fare alcune considerazioni in merito ad una questione molto enfatizzata dai difensori degli imputati nel processo per il disastro ferroviario di Viareggio del 29 giugno 2009.
La difesa è molto semplice e si basa sul fatto ribadito che le Ferrovie sono al vertice dello sviluppo della tecnologia per la sicurezza ferroviaria, in particolare il Sistema di Controllo Marcia Treno (SCMT), argomento esposto da Michele Mario Elia (ex Amministratore Delegato di RFI) nella dichiarazione spontanea del 15 dicembre 2016.
Sento il bisogno e il dovere di portare alcune questioni all’attenzione dei familiari che cercano la verità, ai cittadini di Viareggio e a chi ha la responsabilità di giudicare.
Il 7 gennaio 2005 nel disastro ferroviario di Bolognina di Crevalcore (BO) muoiono 17 persone. Sapete qual è il lapidario commento dei ferrovieri?
“Oggi a quel treno non sarebbe stato consentito di partire, oggi non è ammesso partire col solo pedale dell’Uomo Morto inserito perché la normativa attuale non ammette la partenza senza il SCMT”. Quella tragedia nazionale e la mobilitazione dei ferrovieri e degli utenti del servizio ferroviario e dell’opinione pubblica in generale che ne seguì fu il vero discrimine circa il livello di sicurezza accettabile socialmente.
Dunque c’è voluta una strage per implementare il SCMT, il sistema che ora portano come il fiore all’occhiello.
Aggiungo che se da una parte il SCMT è uno strumento tecnologicamente utile, dall’altra ha motivato l’impresa nella generale estensione del solo macchinista (in luogo di due) alla guida dei treni, fatto che si è realizzato purtroppo in maniera generalizzata nel maggio 2009; dopo 70 anni di lotte e mobilitazioni dei ferrovieri, quindi, questo tema, resta di grande attualità, ben consapevoli dei fattori di rischio correlati al modulo di condotta a macchinista solo. Basti pensare al soccorso in caso di malore del macchinista: in un processo che si apre a gennaio l’ex Amministratore Delegato di Trenitalia, Soprano, dovrà rispondere anche di questo.
Termino ricordando che chiarire le cose, vedere da dove nascono, fornire informazioni, avere memoria delle stragi passate, fa parte della solidarietà che esprimo verso le vittime e i loro familiari.
Dicembre 2016
Savio Galvani
Macchinista in pensione

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Sunday, January 01, 2017 9:12 AM
Subject: REPORT MORTI SUL LAVORO NEL 2016

L’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro inizia il decimo anno di monitoraggio delle morti per infortuni sul lavoro e dice BASTA CON LE BUFALE E LE VERITA’ PARZIALI su queste tragedie.
Politici interessatevi finalmente della vita di chi lavora. I morti per infortuni sul lavoro sono molti di più se si considerano tali tutti i lavoratori che muoiono lavorando e non solo gli assicurati INAIL. E’ incredibile che un parlamento democratico non vada a vedere se quello che scrive da nove anni un cittadino con lavoro volontario è vero. La distanza dalla politica e dai suoi rappresentanti dal popolo si misura anche e soprattutto per l’interesse che si ha della vita di chi lavora, e in questi anni l’interesse che avete manifestato è stato pari a 0.
Nel 2015 sui luoghi di lavoro l’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro ne ha registrati 668 e non 352 “fuori dall’azienda” come scrive l’INAIL che riconosce come tali solo i propri assicurati.
E gli altri morti dove sono finiti? Sono resuscitati? Complessivamente nel 2015 l’INAIL ne ha riconosciuti 694 e il 52% di questi fuori dall’azienda, ma le denunce di infortuni mortali arrivate a questo istituto sono state 1.246. 552 di questi morti come tanti Lazzari?
Insomma basta considerare come morti sul lavoro solo una parte di lavoratori. Nel 2015 tra morti sui luoghi di lavoro e quelli fuori dall’azienda si sono superati i 1400 morti complessivi e nel 2016 c’è stato solo un lieve decremento sui luoghi di lavoro rispetto al 2015 del 3,5%. Ma il 2015 è stato un anno drammatico. Noi ne abbiamo registrati 641 solo sui luoghi di lavoro.
Ma la cosa più grave che occorrerebbe far conoscere è che nel 2016 rispetto al 2008 i morti sui luoghi di lavoro hanno avuto un incremento, se pur piccolo di 4 lavoratori.
Non sono mai calati come ci viene raccontato, se come facciamo noi vengono monitorati tutti i lavoratori. Allora occorre dire chiaramente chi i miliardi di euro che lo Stato ha speso in questi nove anni sono stati spesi male, che non ci sono stati risultati, che le risorse che vengono messe a disposizione andrebbero in larga parte dirottate dove non sono mai arrivate, o dove ne sono arrivate pochissime. Come per esempio per la sicurezza di artigiani, Partite IVA e agricoltori.
L’INAIL nelle sue statistiche ha pochissimi agricoltori schiacciati dal trattore tra le vittime d’infortuni mortali anche quest’anno, probabilmente sono solo i lavoratori dipendenti. E gli altri? Noi ne abbiamo monitorati 131 schiacciati dal trattore, questi morti non esistono perché non sono assicurati all’INAIL?
Si potrebbe continuare con le partite IVA, con gli artigiani, con carabinieri, poliziotti, soldati e altre categorie. Quanti ne muoiono anche sulle strade mentre sono in giro per lavoro o in itinere? Nessuno è in grado di dirlo, ma sono diverse centinaia.
Ma perché la politica se ne frega di queste tragedie che portano il lutto in tantissime famiglie? Me lo chiedo spesso, senza nessuna risposta convincente. E questo riguarda tutti i partiti e tutti i senatori e deputati. Ma probabilmente la ragione principale è che nel parlamento il lavoro dipendente e autonomo non è rappresentato. C’è rispetto a questi drammi un muro di omertà e di chiusura di chi non vuole vedere questa triste e drammatica realtà. Ma persone come me meritano almeno rispetto, svolgono con lavoro volontario giornaliero di diverse ore un monitoraggio reale che dovrebbero fare le istituzioni. Ma pretendo un riconoscimento, che lo Stato Italiano attraverso qualche suo rappresentante mi ringrazi, che mi dica che il mio è un lavoro che viene apprezzato, chiedo collaborazione, di non avere ostracismo, sarcasmo e indifferenza. Di non essere considerato un nemico perché scrivo verità scomode, come ho fatto in questi nove anni con l’Osservatorio. Ma io non mi piego e prima o poi la verità su queste stragi dell’indifferenza verrà fuori nella sua interezza e chi non ha fatto il suo dovere dovrà risponderne moralmente.
Colgo l’occasione per ringraziare le centinaia di migliaia di visitatori del blog dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro http://cadutisullavoro.blogspot.it, i tanti giornalisti della carta stampata e del Web, della RAI che da vero Servizio Pubblico non ha mai smesso di confrontare i dati dell’Osservatorio da quelli “ufficiali”. Mai le TV private se ne sono occupate e questo la dice lunga sulla differenza tra pubblico e privato. Colgo l’occasione per augurare ai familiari delle decine di migliaia di morti sul lavoro morti in questi nove anni di ritrovare un po’ di serenità, che tantissimi italiani vi sono vicini e che condividono il vostro dolore.
Carlo Soricelli
Curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro
A seguire il Report delle morti sul lavoro de 2016.
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REPORT MORTI SUL LAVORO DAL 1 GENNAIO AL 31 DICEMBRE 2016
Dall’inizio dell’anno sono morti 641 lavoratori sui luoghi di lavoro e oltre 1.400 se si considerano i morti sulle strade e in itinere (stima minima per l’impossibilità di conteggiare i morti sulle strade delle partite IVA individuali e dei morti in nero), e altre innumerevoli posizioni lavorative. L’unico parametro valido per confrontare i dati dell’INAIL e di chi li utilizza per fare analisi, e dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro sono i morti per infortuni INAIL senza mezzo di trasporto, e confrontare quanti ne registra in più l’Osservatorio. Si ha così il numero reale delle morti per infortuni sui luoghi di lavoro in Italia e non solo degli assicurati INAIL.
Lieve calo del 3,9% delle morti sui luoghi di lavoro rispetto allo spaventoso 2015, ma un aumento dello 0,7% rispetto al 2008 anno d’apertura dell’Osservatorio Indipendente di Bologna.
Come potete vedere altro che favolosi cali ogni anno, e nonostante un’enorme spreco di euro spesi per la sicurezza senza vedere risultati concreti se si prendono in considerazione tutte le morti sul lavoro e non solo gli assicurati INAIL.
Come tutti gli anni è l’agricoltura a pagare un prezzo elevatissimo di sangue con il 31% di tutte le morti per infortuni sui luoghi di lavoro. E delle morti in questo settore ben il 65% sono provocate dal trattore. Una vergogna che nessuno se ne occupi se pensate che un morto su cinque di tutte le morti sui luoghi di lavoro, di tutte le categorie messe insieme sono provocate da questo mezzo. Sono anni che chiediamo ai Ministri che si susseguono di occuparsene. Ma niente, sono morti sul lavoro che non esistono e spariscono dalle statistiche.
La seconda categoria con più morti sui luoghi di lavoro è l’edilizia con il 19,6%. La caduta dall’alto è il maggior fattore di rischio.
E’ l’autotrasporto con il 9,3% dei morti la terza categoria con più vittime. In questo comparto sono inseriti i morti di diverse categorie.
Seguono l’industria, esclusa l’edilizia, comprese le imprese più piccole, che ha complessivamente l’8,2% delle morti.
Poi gli artigiani di tantissime categorie muoiono numerosissimi, soprattutto nelle imprese appaltatrici, la strage riguarda anche un numero impressionante di partite IVA che non sono inserite tra le morti sul lavoro nelle statistiche dell’INAIL. E questo perché questo Istituto dello Stato monitora solo i propri assicurati (lo scrivo per la milionesima volta, ma tanto non serve a niente). A questo Istituto arrivano moltissime denunce per infortuni, anche mortali, che poi non vengono riconosciute come tali proprio per non avere questa assicurazione. non sono assicurati all’INAIL, quindi non esistono. Poi anche per le morti in itinere spesso non vengono riconosciute per una normativa specifica, che la maggioranza di chi lavora non conosce.
Gli stranieri morti sui luoghi di lavoro sono l’8,2%, un calo dell’1,6% rispetto al 2015, segno che anche più italiani svolgono lavori pericolosi e con meno sicurezza pur di avere un lavoro.
Impressionante sapere che il 27,7% dei morti sul lavoro ha più di 61 anni. Angosciante vedere che tantissimi giovani non trovano lavoro, che svolgono anziani che non hanno più la salute e i riflessi pronti per fare lavori pericolosi. Questo la dice lunga anche sui motivi dell’enorme disoccupazione giovanile; si trattengono gli anziani e si fanno morire lavorando, mentre i giovani sono costretti alla disoccupazione o a emigrare.
E’ la Campania la regione con più morti sui luoghi di lavoro sempre se non si fanno giochini di prestigio e si inseriscono tutti i morti sul lavoro. Seguono la mia regione, l’Emilia Romagna che nel 2016 raddoppia i morti sui luoghi di lavoro, poi il Veneto. Quinta la Lombardia che ha un decremento importante del 27%. Occorre anche ricordare che, a nostro parere, la Lombardia è tra le grandi regioni, da quando abbiamo aperto l’Osservatorio, che ha l’andamento migliore, sempre se si considerano tutte le morti sul lavoro. Ha il doppio degli abitanti di qualsiasi altra regione e l’indice occupazionale non ha nessun valore statistico sugli infortuni, anche mortali, visto che in tantissimi dei morti per infortuni non sono assicurati all’INAIL, le statistiche vengono fatte solo tenendo in considerazione gli assicurati a questo Istituto. E’ la provincia di Napoli quella con più morti sui luoghi di lavoro, compresi tre pescatori morti in mare, la seconda in questa triste classifica è la provincia di Vicenza con 20 morti, segue Brescia con 18 morti, a seguire qui sotto ci sono le morti sui luoghi di lavoro di tutte le province italiane.
MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO NELLE PROVINCE NELL’INTERO 2016
Per Regione e Provincia in ordine decrescente.
Sui luoghi di lavoro significa che sono esclusi da questo conteggio i morti per le strade e in itinere che richiedono interventi completamente diversi.
I morti sulle autostrade e all’estero non sono conteggiati nelle province.
Se guardate qui sotto l’andamento delle regioni e delle province, calcolate che ci sono almeno altrettanti morti per infortuni sulle strade e in itinere.
Campania 63: Napoli 22, Avellino 7, Benevento 6, Caserta 11, Salerno 17.
Emilia Romagna 61: Bologna 12, Forlì Cesena 7, Ferrara 4, Modena 12, Parma 7, Piacenza 3, Ravenna 4, Reggio Emilia 11, Rimini 1.
Veneto 57: Venezia 7, Belluno 6, Padova 9, Rovigo 3, Treviso 6, Verona 6, Vicenza 20.
Lombardia 54: Milano 4, Bergamo 6, Brescia 18, Como 4, Cremona 4, Lecco 5, Lodi 1, Mantova 1, Monza Brianza 3, Pavia 3, Sondrio 4, Varese 1.
Piemonte 50: Torino 14, Alessandria 5, Asti 6, Biella 2, Cuneo 17, Novara 3, Verbano Cusio Ossola 1, Vercelli 3.
Sicilia 47: Palermo 10, Agrigento 4, Caltanissetta 7, Catania 6, Enna 2, Messina 8, Ragusa 5, Trapani 5.
Toscana 48: Firenze 3, Arezzo 6, Grosseto 3, Livorno 8, Lucca 5, Massa Carrara 8, Pisa 3, Pistoia 4, Siena 3, Prato 3.
Lazio 39: Roma 13, Viterbo 5 Frosinone 9 Latina 9, Rieti 3.
Puglia 30: Bari 3, Barletta Andria Trani 6, Brindisi 1, Foggia 6, Lecce 6, Taranto 8.
Trentino Alto Adige 24: Trento 14, Bolzano 10.
Calabria 23: Catanzaro 6, Cosenza 7, Crotone 1, Reggio Calabria 5, Vibo Valentia 4.
Abruzzo 20: L’Aquila 3, Chieti 11, Pescara 3, Teramo 3.
Marche 17: Ancona 6, Macerata 6, Fermo 1, Pesaro Urbino 2, Ascoli Piceno 2.
Sardegna 14: Cagliari 4, Nuoro 2, Oristano 3, Sassari 5, Sulcis Inglesiente 1.
Friuli Venezia Giulia 12: Trieste 2, Gorizia 1, Pordenone 2, Udine 7.
Umbria 9: Perugia 4, Terni 5.
Liguria 8: Genova 4, Imperia 2, La Spezia 1, Savona 1.
Valle D’Aosta 3: Aosta 3.
Basilicata 3: Potenza 1, Matera 2.
Consigliamo a tutti quelli che si occupano di queste tragedie di separare chi muore per infortuni sui luoghi di lavoro, da chi muore sulle strade e in itinere con un mezzo di trasporto. I lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere sono a tutti gli effetti morti per infortunio sul lavoro, ma richiedono interventi completamente diversi dai lavoratori morti sui luoghi di lavoro. E su questo aspetto che si fa una gran confusione. Ci sono categorie come i metalmeccanici che sui luoghi di lavoro hanno pochissime vittime per infortuni, poi, nelle statistiche ufficiali, non separando chiaramente le morti causate dall’itinere dalle morti sui luoghi di lavoro, risultano morire in tantissimi in questa categoria che è numerosissima, e che ha una forte mobilità per recarsi o tornare dal posto di lavoro.
Anche quest’anno una strage di agricoltori schiacciati dal trattore, sono 131. Tutti gli anni sui luoghi di lavoro il 20% di tutte le morti per infortuni sono provocate da questo mezzo. 132 sono i morti schiacciati dal trattore nel 2015 e 152 nel 2014.
Contiamo molto della sensibilità dei media e dei cittadini che a centinaia ogni giorno visitano il sito.
In questi nove anni di monitoraggio le percentuali delle morti nelle diverse categorie sono sempre le stesse: l’agricoltura è sempre la categoria con più vittime, seguono l’edilizia, i servizi, l’industria (tutta) e l’autotrasporto. Ricordo a tutti quelli che s’interessano di queste tragedie l’unico parametro valido per valutare l’andamento di una provincia o di una regione è il numero di abitanti. Tantissime sono le morti in nero.
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Grazie amici di Facebook che a centinaia visitate il sito ogni giorno.

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From: Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent: Sunday, January 01, 2017 3:33 PM
Subject: BUON 2017 A TUTTI

Il 2017 che sta per iniziare è un anno evocativo di importanti e straordinari avvenimenti del passato: ne vorrei ricordare 3.
1. Il Centenario della Rivoluzione di Ottobre (7 novembre 2017 in quanto il Calendario Giuliano era sfasato di 13 giorni rispetto a quello Gregoriano) in Russia che portò alla nascita del primo Stato Socialista nel mondo: l’URSS. Rimane un fatto straordinario al di là di come sia andata poi a finire.
2. L’ assassinio cinquanta anni fa (ottobre 1967) da parte degli USA tramite il regime fascista boliviano, di Ernesto “CHE” Guevara eroe della rivoluzione cubana con Fidel Castro e, come il “nostro” Garibaldi, combattente a fianco dei popoli oppressi del mondo.
3. La guerra dei 6 giorni (giugno 1967) che portava Israele ad occupare pressoché totalmente la Palestina. A distanza di 50 anni rimane ancora inattuata la risoluzione dell’ONU che intimava a Israele il ritiro dai territori occupati.
I nodi che derivano da questi eventi sono tuttora aperti: il Capitalismo non è il migliore dei mondi possibile come nel 1989 ci avevano detto dopo la caduta del Muro e la fine dell’URSS.
La questione Palestinese è tuttora irrisolta e il tardivo voto di qualche giorno fa di Obama è un passo avanti, ma non la soluzione.
La necessità di una rivoluzione dei popoli del mondo come avrebbe voluto il “CHE” è tuttora attuale!
Il socialismo del XXI secolo è un’ipotesi tutt’altro che superata.
Buon anno a tutti!
Gino Carpentiero
Sezione “Pietro Mirabelli” di Medicina Democratica Firenze

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From: Franco Mugliari noreply+feedproxy@google.com
To:
Sent: Sunday, January 01, 2017 5:32 PM

Ebbene sì, dopo Muglia La Furia che aveva già abbandonato qualche settimana fa, ora sono io che ho deciso di smettere di scrivere e di intervenire su questioni che riguardano la salute e la sicurezza sul lavoro.
Lascio con una domanda in sospeso (ma Espenhan dov’è?), con la speranza che un giorno o l’altro giustizia sarà fatta e che anche i “tedeschi” della Thyssen possano passare un po’ del loro tempo in galera a riflettere sulle loro malefatte.
Lascio molte persone conosciute in rete, anche se “dal vivo” (o “da vivi”, per dirla alla moda di Muglia La Furia) sarebbe stato ancora meglio, dalle quali ho avuto molto da imparare e delle quali serberò un ottimo ricordo.
Lascio però, e senza rimpianto, “champions”, “ambassadors”, “heroes”, “safety evangelist”, “illuminati”, “alfieri”... solo per citare alcune delle definizioni con le quali amano presentarsi al “volgo” ricordando loro che, se andiamo indietro nella storia, chi amava definirsi in tali modi, non ha mai fatto una bella fine.
Sempre senza rimpianto lascio tutti i venditori di attestati, i consulenti “che se prendi una multa te la pagano loro”, gli organizzatori dei “corsi a Cosenza” e quelli che i corsi li fanno con il “couch”, i “direttori dei centri di formazione tra bagno e cucina” grazie a un presunto accreditamento da parte di qualche ente o associazione (anche storica, tanto basta pagare), i responsabili di “organismi paritetici” tra “4 amici al bar”, magari in virtù di un contratto di lavoro rumeno “adottato” ecc., insomma tutti i “mercanti” di “fuffa” di cui Muglia La Furia ha cercato di raccontare le gesta e che però continuano imperterriti ad occupare il “tempio” della formazione.
Nella speranza che sia il tempio a crollar loro addosso, auguro a tutti una buona vita.
Franco Mugliari
ULTIMA ORA!
Un’associazione professionale (una delle tante) ha proposto che a insegnare “sicurezza” nelle scuole siano insegnanti di diritto. Ne è seguita una vivace discussione su Linkedin. Fate voi. Io non ho più nulla di dire e da ... ridere!

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Monday, January 09, 2017 8:39 PM

Subject: ALMAVIVA, LA VERITA’ DEI LAVORATORI


E’ veramente una vergogna il livello di falsificazione al quale si è giunti nei media con la vicenda Almaviva. Si fanno apparire i lavoratori che hanno lottato contro condizioni di lavoro indegne e contro un ricatto bello e buono come i responsabili dei licenziamenti. Come dire che i partigiani sono stati responsabili dell’occupazione nazista e dei suoi crimini. Diamogli allora voce!
Questo il comunicato che hanno scritto come “Lavoratrici e lavoratori Almaviva contro lo sfruttamento”.
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Siamo avviliti e schifati per il modo in cui giornali e telegiornali stanno vendendo la nostra storia all’opinione pubblica. Quasi non crediamo sia possibile che l’unica versione servita al popolo italiano sia quella dell’azienda, del Governo o al massimo delle dirigenze sindacali. 1.666 lavoratori vanno a casa dopo anni di lavoro e mesi di battaglie e la loro voce non viene praticamente ascoltata.
Perché non sono i mesi di sacrifici, di contratti di solidarietà, di salario perso a forza di scioperi, gli anni di lavoro che vanno in fumo con una semplice lettera di licenziamento. Non è questo il nostro principale dolore in questo momento. Sono queste inaccettabili menzogne a ferirci davvero, quelle che vorrebbero tramutare la vittima in colpevole.
Quelle che vorrebbero far ricadere la colpa di questo licenziamento di massa sugli stessi che lo subiscono e non su un’azienda che l’ha sempre voluto, che da anni usa questa minaccia per intascare soldi e commesse pubbliche, che da anni vessa i propri dipendenti e li mette gli uni contro gli altri. Un’azienda che mentre chiude le sedi di Roma e Napoli dove i lavoratori sono più anziani e le costano di più perché hanno ancora dei diritti, non si fa scrupolo di delocalizzare in Romania e chiedere ore di straordinario nelle sedi di Milano e Rende.
Perché la vera notizia di oggi doveva essere quella per cui in questo paese pieno di ricatti, di paura, di un servilismo alimentato da piccole promesse e illusioni, qualcuno, nonostante il prezzo, ha provato a dire NO: no a un accordo che altro non era che l’ennesimo attacco alla nostra dignità di lavoratori ed ai nostri diritti conquistati in anni di lavoro. Questa la proposta “indecente” avanzata da azienda e Governo, proposta che prevedeva la rinuncia agli scatti di anzianità maturati, controllo individuale e cassa integrazione. Tutte condizioni che se accettate avrebbero decurtato stipendi già miseri, reso ancora più insopportabile la nostra vita lavorativa e reso noi lavoratori ancora più vessati ed umiliati. Tutte proposte, guarda caso, avanzate dall’associazione padronale di categoria (ASSTELL) per il rinnovo del contratto nazionale dei dipendenti delle telecomunicazioni.
La pezza che ha provato a metterci il Governo consisteva soltanto in una proroga della trattativa di altri tre mesi. Uno stillicidio pagato con le tasche dei contribuenti in forma di cassa integrazione, per imporre poi lo stesso taglio del costo del lavoro e il controllo individuale che avevamo dichiarato inaccettabile e quindi concludere il tutto comunque con i licenziamenti. E per far passare questa schifezza, che nei titoli dei giornali era già “salvataggio” ancor prima che la trattativa si concludesse, hanno fatto una forzatura inaccettabile: quella di separare le vertenze di Napoli e Roma, che finora avevano corso insieme, per metterle l’una contro l’altra.
E ora vorrebbero mascherarsi dietro i formalismi procedurali e con questi assolvere ancora una volta dalle sue responsabilità un’azienda da sempre arrogante e spietata!
La verità è che Almaviva voleva il plebiscito e non l’ha ottenuto. Perché è vero che la paura si è fatta strada, assecondata dalle dirigenze sindacali che, anziché rafforzare quelli che resistevano, l’hanno pure alimentata con raccolte firme e un referendum che non aveva nulla di democratico, che chiamava libero un voto svolto sotto ricatto. Per una volta però questo non è bastato. Perché nonostante questo, in quel referendum, il 44% dei lavoratori ha comunque detto NO. Noi capiamo i nostri colleghi del SI, quelli disposti alla fine ad accettare e non gli facciamo una colpa delle loro decisioni. I colpevoli dei ricatti non solo quelli che cedono, ma quelli che li architettano. Capiamo adesso la loro delusione, molto di più quanto non lo facciano quelli che li hanno provati a sfruttare contro di noi, che si sono gettati come sciacalli sulle incertezze e difficoltà di noi tutti, le difficoltà che chiunque proverebbe di fronte a una lettera di licenziamento. Perché nonostante le nostre scelte diverse noi siamo e ci sentiamo nella stessa condizione.
Però nonostante gli enormi sacrifici che questa comporta, rivendichiamo con orgoglio di aver messo un punto, un freno all’arroganza di chi chiama “responsabilità” accettare di essere servi pur di lavorare. Perché a tutto c’è un limite, ancora siamo uomini e non ancora schiavi, nonostante le politiche di questi governanti che ora voglio apparire salvatori ci stiano portano in questa condizione.
Per questo hanno provato a infamarci, perché abbiamo dimostrato che la loro arroganza non può tutto. E questo non lo riescono proprio a tollerare. Perché ci tengono ad apparire più forti di quanto siano e hanno il terrore che anziché farci la guerra tra noi per le briciole che ci concedono potremmo cominciare a unirci e lottare.
Per noi, infatti, la lotta non si conclude qui.
Lavoratori e lavoratrici Almaviva contro lo sfruttamento

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, January 12, 2017 10:06 AM
Subject: LA LOTTA DEGLI “UBER”: ALLA SCOPERTA DELLO SFRUTTAMENTO...

da Partito Comunista Rivoluzionario di Francia (PCRF) pcrf-ic.fr
28/12/16
Da diverse settimane gli autisti della società californiana UBER sono in lotta, con azioni spettacolari per denunciare le loro condizioni di lavoro e di “salario”, e per cercare di costringere la piattaforma degli Stati Uniti a negoziare le loro rivendicazioni.
Il Partito Comunista Rivoluzionario di Francia sostiene risolutamente questi lavoratori, come tutti coloro che sono vittime delle condizioni di sfruttamento che l’informatizzazione dell’economia, tanto propagandata dagli studiosi della socialdemocrazia, porta a vantaggio del grande profitto e, in ultima analisi, all’oligarchia finanziaria.
La “uberizzazione” dell’economia, modello salvifico per Emmanuel Macron, è una vera e propria regressione sociale: si tratta di un ritorno a forme di sfruttamento della forza lavoro che erano scomparse o ridotte in misura massiccia, come il lavoro a domicilio.
Il lavoro a domicilio per esempio riguardava lavoratori dispersi (contadini e proletari) addetti alla produzione della seta: essi possedendo i loro mezzi di produzione, avevano l’illusione di essere artigiani, ma in effetti erano totalmente dipendenti dai fornitori di materie prime, che imponevano quantità, tempi di produzione, qualità, ecc.
Si trattava in realtà di semi-proletari: erano a metà strada tra il proletariato e la piccola borghesia, ma ciò che ha prevalso è stata la condizione sociale piccolo borghese, a causa del loro status illusorio di proprietari dei mezzi di produzione! Il loro sfruttamento era feroce (come illustrato dalla rivolta degli operai della seta a Lione sotto Luigi Filippo). Questa forma di sfruttamento del lavoro ha continuato in varie forme: il lavoro delle sarte a domicilio per esempio, o il lavoro dei pescatori gestiti dai pescivendoli (vedi il film “La terra trema” di Luchino Visconti).
Ma torna in auge alla fine del XX secolo, con il telelavoro: l’operaio acquista i suoi strumenti di lavoro e risponde all’ordine in cambio di ciò che è “necessario” per fornire il prodotto del suo lavoro nel tempo dato. E’ spesso assunto a tempo determinato, e così quando il datore di lavoro non ne ha più bisogno, viene “gettato via”. Spesso, è lui che paga la sua sicurezza sociale. Con UBER e piattaforme simili (tutti, indipendentemente dalle differenze nelle forme e dell’intensità di sfruttamento), il padrone approfitta del fatto che sia disponibile della manodopera (a causa della disoccupazione) e che questa manodopera sogni di essere “indipendente” e libera di organizzare il proprio lavoro; che la legislazione del lavoro appaia ingombrante e limitante dell’iniziativa della piccola borghesia; che la digitalizzazione dell’economia renda possibile collegare immediatamente gli attori sociali superando le relazioni sociali tradizionali; che la forza lavoro impiegata non si presenti come merce, ma come collaboratore mentre l’impresa si presenta come un semplice intermediario con il mercato.
In realtà, l’uberizzazione dell’economia si traduce in una precarizzazione totale dei lavoratori, nel controllo totale della società. Così, da un lato, il lavoratore sopporta l’acquisto (o il leasing) del veicolo, che deve rispondere a criteri specifici in termini di gamma (non sotto una Peugeot 508... e Peugeot trova il suo tornaconto...) e di colori; mette a sue spese, a disposizione dei clienti, acqua minerale e caramelle; la previdenza e l’IVA; la manutenzione dei veicoli. D’altra parte, UBER fissa le tariffe, la percentuale della sua quota (60%), decide chi viene contattato per effettuare una corsa, se un pilota ha causato l’insoddisfazione del cliente viene allontanato. Non ha nessuna responsabilità sociale.
Infine, a guardare bene, vediamo che questo sistema viene utilizzato anche in un altro settore di attività dei “servizi”: la prostituzione! Che lo stesso gruppo socialista in parlamento, sotto governi socialisti, avesse approvato sia la legge Macron (nulla da aspettarsi dalla banca Rothschild, nemmeno contro Marine Le Pen), che consente la generalizzazione dell’uberizzazione in una serie di attività a servizio individuale, e la legge sulla penalizzazione dei clienti delle prostitute, che però depenalizza la prostituzione, è emblematico di un movimento politico il cui obiettivo è in nome della “morale” e della buona coscienza, di fornire un quadro più o meno accettabile per lo sfruttamento capitalistico, a prescindere del dominio nel quale si eserciti.
Oggi, i conducenti di UBER scendono in lotta per le loro rivendicazioni senza mettere in discussione il sistema, per provare a sopravvivere (16 ore di lavoro al giorno per un reddito finale intorno al salario minimo!). Domani toccherà a quelli della cucina a domicilio, perché non gli va meglio. Con l’obiettivo della liquidazione dei costosi servizi pubblici, i Fillon, i Macron, il Partito Socialista, l’Unione Europea, e, senza dubbio, il Fronte Nazionale (perché dietro le dichiarazioni demagogiche, il suo programma si inscrive nella stessa direzione), favoriscono il proliferare di tutta una serie di attività paramediche, di insegnamento, di gestione della disabilità e della vecchiaia, che saranno risolte con una uberizzazione diffusa, e con la benedizione dei sindacati gialli.
Sia chiaro: non si tratta di un “problema UBER”. Questo è il problema di tutte quelle società capitaliste che pensano di avere trovato il filone d’oro per arricchirsi alle spalle dei lavoratori autonomi attraverso le possibilità offerte da Internet (l’economia digitale vantata dal Hollande e Valls).
In quanto comunisti, noi certamente non condividiamo la visione del mondo degli autisti di UBER. Noi crediamo che le loro rivendicazioni potrebbero certamente essere più radicali (ad esempio l’IVA potrebbe essere esclusivamente a carico di UBER). Ma diamo piena solidarietà alla loro lotta, perché entrare in conflitto, se ne abbia o meno coscienza, significa diventare partecipi della lotta di classe per difendere i diritti e il potere d’acquisto di tutto il mondo del lavoro. E così, i lavoratori “indipendenti” di UBER si uniscono, la maggior parte di loro per la prima volta, nella lotta di classe.
Noi non possiamo che incoraggiare a continuare, e chiediamo ai lavoratori di dimostrare la solidarietà per la loro classe.

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From: Unione Sindacale di Base Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
To:
Sent: Thursday, January 12, 2017 10:15 AM
Subject: PERSONALE REPARTI GASLINI: ANCORA FUMATA NERA

Genova, 12/01/17
COMUNICATO STAMPA
PERSONALE REPARTI GASLINI: ANCORA FUMATA NERA
Dagli atti a nostra disposizione, ancora una volta questa giunta si è mostrata distante dalla realtà dell’assistenza pediatrica. Nessuna assunzione di OSS ed infermieri.
Si continua a conteggiare l’organico presente unendo personale amministrativo e personale di assistenza. Il personale dei reparti riesce ad andare avanti solo grazie all’impegno e all’abnegazione di cui è capace, praticamente abbandonato a sé stesso da una politica e una dirigenza che evidentemente “vola troppo in alto” per comprendere la realtà quotidiana.
Alla mancanza oggettiva di personale, a quello rimasto si continua a chiedere sempre più.
Burocrazia, compilazione documenti, cartelle cliniche.
Ma non basta: hanno aggiunto anche le ordinazioni dei pasti e i servizi annessi alla ristorazione, unico ospedale a utilizzare personale proprio per queste mansioni.
L’Amministrazione lo ha annunciato affermando che è soddisfatta perchè così facendo si mantiene il rapporto tra personale del Gaslini e piccoli ricoverati, ma in realtà tutto questo nasconde un risparmio utilizzando ulteriormente il proprio personale.
Non contenti, una mancanza totale di trasparenza interna colloca nei reparti operatori a scelta discrezionale di caposala e dirigenti pur esistendo delle graduatorie che non vengono rispettate.
Questo il punto attuale dell’assistenza che comunque continua ad essere fornita in maniera eccellente non certamente grazie a politica e a questa Amministrazione
Unione Sindacale di Base Ospedale Gaslini

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From: Donato Romito donatoromito@tiscalinet.it
To:
Sent: Thursday, January 12, 2017 11:40 AM
Subject: IL GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO

Il 7 dicembre 2016 la Corte di Cassazione stabilisce in una sentenza: “si può licenziare per fare più profitti”; il padrone, per aumentare efficienza e produttività, per meglio organizzare la produzione, può procedere ai licenziamenti monetizzando. Ovviamente versando al lavoratore il meno possibile.
Non si tratta quindi di una esigenza, come sottolineano sempre, legata alla crisi dell’azienda, alla sua sopravvivenza, ma al semplice “il lavoratore non mi serve più”, viene sostituto con un robot, con fornitori esterni più economici, la sua mansione entra in un’altra “organizzazione”.
Si tratta dell’applicazione della prima frase dell’articolo 41 della Costituzione più bella del mondo (libertà di iniziativa economica), il resto è frutto della legge Fornero e del Jobs Act, ovvero la flessibilità in uscita.
Il diritto del lavoro è diventato inservibile: “nessuno”, nessuna dottrina giuridica, può” entrare” sostituendosi alle scelte organizzative dell’azienda.
Il mercato della forza lavoro compone l’altro tassello che mancava al sogno padronale: dopo aver imposto la massima flessibilità in entrata, la precarizzazione funziona da 20 anni, e l’uso del lavoro accessorio, i voucher.
La falsa discussione in atto sui voucher, che punta a mantenerli, sul loro dilagare in tutti i settori, compresa la copertura all’altra parte (il lavoro in nero) e si potrebbe continuare, non fa emergere il punto fondamentale: sono lo strumento per la decontrattualizzazione del lavoro e dell’affermazione del rapporto individuale lavoratore-padrone. L’uscita dallo schema classico del lavoro entra direttamente nella cultura sociale e nei comportamenti collettivi e dei singoli lavoratori.
Sempre più ampia la forbice tra lavoratori che pure senza diritti e tutele adeguate sono remunerati e svolgono lavoro di qualità e una larga fetta di classe che vive a stretto contatto con questa, ma svolge lavoro precario e non pagato.
La Ferrari Auto distribuisce un premio a tutti i suoi dipendenti di 5.000 € per aver lavorato forte e bene raggiungendo gli obiettivi stabiliti dall’azienda. La comunicazione è stata fatta direttamente da Marchionne in assemblea. Ma il dipendente Ferrari inoltre ha la previdenza integrativa con contributi maggiorati, la sanità integrativa anche per i famigliari e altro welfare.
Il 30 dicembre 2016 la multi utility IREN ha disdettato i 200 contratti aziendali delle varie sedi: nulla di nuovo, iniziò la FIAT nel 2009 e tanti altri.
I lavoratori di 2 false cooperative di facchinaggio, di Montese (MO), sono stati licenziati con la solita consolidata procedura: i lavoratori hanno picchettato, il committente, la ditta Levoni, che smonta la carne per i supermercati, ha chiesto agibilità: cariche della polizia e lacrimogeni.
Possiamo continuare con Barilla che, per “favorire” 200 impiegate, sposta il lavoro a domicilio: gli elogi si sprecano, ma in particolare le lavoratrici si sentono più libere.
Oggi la classe viene scomposta, individualizzata, in competizione, si accetta di lavorare gratis perchè fa curriculum e ci si sente partecipi di qualcosa.
L’ultimo snodo: il lavoro sembra perdere il suo carattere di subordinazione creando una situazione dove segmenti di classe sembrano aderire a una cultura sempre più egemonica: sostanzialmente individualista fatta di competitività e antisolidaristica; anche se inserito in strutture definite, vivi il tuo lavoro in modo individuale come se fossi in una condizione di competitività costante.
E quest’ultima parte dell’analisi critica dei rapporti di produzione, non più esterna ma tutta interna, va indagata come parte del rapporto e costruzione del soggetto e della forma che definiamo di dominio sui lavoratori.
96° Consiglio dei Delegati
Alternativa Libertaria/FdCA

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From: Medicina Democratica Onlus segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Thursday, January 12, 2017 12:42 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS


UNA FANTASMA SI AGGIRA SULLA (SOTTO) LA PEDEMONTANA

Spinta al trotto da Maroni e da Antonio di Pietro il completamento della Pedemontana (Busto Arsizio-Dalmine) trova un intoppo a metà strada nella zona di Seveso per il fantasma della diossina che riaffiora a 40 anni di distanza.
Le analisi per la caratterizzazione del tracciato (in quella zona in buona parte interrato) hanno confermato, tra l’altro, la presenza di diossina anche in concentrazioni superiori ai limiti previsti sia per le zone residenziali/verde che industriali.
Leggi tutto al link:


SUL FORUM DI DISCUSSIONE I PRIMI DOCUMENTI DEL CONVEGNO APERTO DI MEDICINA DEMOCRATICA PER INIZIARE IL DIBATTITO

Iniziamo a pubblicare i primi documenti di discussione sui temi che saranno oggetto dei gruppi di lavoro nell’ambito del Convegno Aperto che Medicina Democratica Onlus terrà a Milano i prossimi 20 e 21 gennaio presso la Camera del Lavoro di Corso Vittoria, 43.
La partecipazione è totalmente gratuita.
Leggi tutto al link:

SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 275 DEL 13/01/17

INDICE: Carenze nei luoghi di lavoro: domande e risposte (Seconda parte); Mobbing, straining, bossing: una vita difficile; Sicurezza e tutele per i lavoratori a termine e in somministrazione; Imparare dagli errori: infortuni durante l’uso dell’argano; Guariniello: la sentenza Thyssen-Krupp, il processo Eternit e le novità sull’amianto
Leggi tutto al link:

PIENA SOLIDARIETA’ E SOSTEGNO PER RICCARDO ANTONINI, IN PRIMA LINEA PER LA VERITA’ DEL CRIMINE FERROVIARIO DI VIAREGGIO

Mentre, a fine mese (il 31/01) è prevista la sentenza di primo grado per il crimine ferroviario di Viareggio del 29/06/09, continua il calvario di Riccardo Antonini reo di aver sostenuto la richiesta di verità delle popolazioni colpite dalle inadempienze dei diversi soggetti imputati nel processo che vede anche Medicina Democratica tra le parti civili.
Riportiamo il Comunicato della Cassa dei Ferrovieri e ricordiamo che sul numero 227-230 della rivista di Medicina Democratica, tra gli altri, pubblichiamo uno scritto di Antonini in cui fa il punto della sua odissea.
Leggi tutto al link:

AMIANTO DAI RUBINETTI PER GLI ACQUEDOTTI CON CONDUTTORE IN CEMENTO AMIANTO

Il rilascio dell’amianto dalle condutture degli acquedotti (in molti tratti realizzati nel periodo anni ‘50/’80 sono stati ampiamente utilizzati manufatti in cemento-amianto) è un tema controverso per istituzioni e gestori, ma non lo è dal punto di vista della salute pubblica: vanno eliminati il prima possibile.
Segnaliamo il libro e l’iniziativa di David Mattacchioni e Maurizio Marchi di Medicina Democratica a Firenze, ma la questione riguarda tutta Italia e il recente progetto di legge denominato “testo unico sull’amianto” non propone risposte concrete (leggasi: tutelanti per l’ambiente e la salute) su questo tema.
Leggi tutto al link:
Sito web:
Aiuta Medicina Democratica Onlus devolvendo il tuo 5 per mille firmando nella tua dichiarazione dei redditi nel settore volontariato e indicando il codice fiscale 97349700159.

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From: NotizieInMARCIA! redazione@ancorainmarcia.it
To:
Sent: Saturday, January 14, 2017 4:50 PM
Subject: FERROVIERI, TRE IMPORTANTI “APPUNTAMENTI CON LA GIUSTIZIA”

Invitiamo tutti i ferrovieri, e coloro che hanno a cuore la sicurezza ferroviaria, la dignità e le libertà democratiche nei luoghi di lavoro, a partecipare e presenziare, o comunque a seguire l’evoluzione di questi procedimenti.
Dall’esito di essi, ovvero dall’atteggiamento della magistratura nei confronti di una potenza economica come è l’intero gruppo FS, e le altre società del modo ferroviario, deriveranno i futuri orientamenti giuridici in materia di circolazione dei treni e di libertà sindacali nei luoghi di lavoro.
Il 25 gennaio a Sassari, alle ore 10 si terrà presso la Corte d’Assise, l’ultima udienza del processo per la morte del nostro compagno di lavoro, il macchinista Giuseppe Solinas, rimasto schiacciato nella cabina della sua Aln 668, il 27 dicembre 2009, per l’urto con un masso franato sui binari nella notte precedente. Sono imputati tre dirigenti di RFI e la stessa società come responsabile amministrativa. Una morte che si sarebbe potuta evitare se solo il costone roccioso crollato, fosse stato bonificato prima o protetto da quei sistemi di sicurezza installati solo dopo l’incidente.
Il 25 gennaio a Roma, alle ore 9 si terrà la prima udienza del processo nei confronti di Vincenzo Soprano, ex Amministratore Delegato di Trenitalia e di Luca Maria Granieri, attuale responsabile di Frecciarossa, entrambi accusati di violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro.
Il 31 gennaio a Lucca, alle ore 10,00 si terrà l’ultima udienza del processo per la strage di Viareggio, il gravissimo disastro ferroviario, avvenuto il 29 giugno 2009, a causa del deragliamento di una cisterna di GPL a seguito della rottura di un asse. Nel disastro persero la vita 32 persone, alcune centinaia rimasero ferite e un intero quartiere venne distrutto dall’incendio e dalle esplosioni che seguirono. Dopo oltre cento udienze, termina il dibattimento e per la stessa giornata del 31 è attesa la sentenza nei confronti dei 32 imputati, accusati a vario titolo di disastro ferroviario, incendio e lesioni colposi e delle otto società coinvolte, imputate per responsabilità civile ed amministrativa.
Partecipa, sostieni, scrivi e contribuisci al dibattito e alle iniziative di “Ancora In Marcia!”, abbonandoti alla rivista autogestita dai lavoratori dal 1908.

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday, January 15, 2017 11:00 AM
Subject: “NON PARLATE, NON ANDATE IN BAGNO”: COSI’ SI LAVORA A VOUCHER

All’indomani del verdetto della Corte Costituzionale sull’ammissibilità dei quesiti referendari, pubblichiamo una lettera di alcuni lavoratori che raccontano la loro esperienza di lavoro pagata a voucher nel mondo della grande distribuzione.
Dopo la scelta di dichiarare inammissibile il quesito riguardante l’articolo 18 depotenziando così il senso politico del referendum, rimangono tuttavia ammissibili i quesiti riguardanti la responsabilità sugli appalti e quello sull’abolizione dei voucher. Uno strumento che è esploso grazie al Jobs Act e che ha visto precarizzare e detutelare ulteriormente i lavoratori.
* * * * *
Siamo tre giovani, di cui un laureato e uno studente, senza fissa occupazione, e scriviamo indignati riguardo la nostra ultima esperienza di lavoro saltuario. Come altre 140 persone, di età che variava dai 18 ai 60 anni, siamo stati contattati dalla società BarCode Italia srl per svolgere il lavoro di inventario, spalmato in due differenti nottate, in due differenti sedi del supermercato IPER: quella di Seriate e quella interna a Orio Center.
Quando ci siamo presentati sul posto, all’orario stabilito (cioè le 21:00 e le 20:30, anche se il lavoro non sarebbe iniziato prima delle 22), ci siamo ritrovati a dover aspettare per circa un’ora prima di cominciare effettivamente il lavoro. Un’ora, quindi, che non ci verrà pagata, e che abbiamo passato la prima sera ammassati in una stanza, senza sapere cosa fare e senza ricevere informazioni, a Seriate, e congelando al parcheggio di Orio Center la seconda sera, in attesa di venire smistati nei vari gruppi di lavoro.
Quando poi ci hanno finalmente divisi per cominciare a lavorare, i nostri “supervisor”, cioè degli addetti di BarCode che dovevano monitorare il nostro lavoro, hanno subito specificato le loro regole: non si fanno pause, non si va in bagno e non si parla tra di noi, anzi, non si parla proprio.
Inoltre ci è sembrato assurdo che non ci venisse destinato il materiale utile allo svolgimento della nostra mansione: chi era ai frigoriferi del supermercato non ha ricevuto i guanti necessari per non congelarsi le mani, chi doveva verificare il numero dei prodotti sugli scaffali più alti di rado aveva a disposizione una scala, eppure era costretto a svolgere comunque il compito e si è ritrovato quindi a utilizzare addirittura strumenti improvvisati e non idonei quali, per esempio, i classici carrellini da spesa; inoltre l’atteggiamento dei nostri “supervisor” è stato sempre, categoricamente dai toni autoritari e canzonatori nei nostri confronti, con frequenti prese in giro. Addirittura uno dei nostri colleghi a un certo punto, dopo l’ennesima umiliazione, ha alzato la voce per finalmente farsi rispettare: a quel punto la reazione del “supervisor” è stata quella di chiedergli immediatamente il nome, come a ricattarlo.
Insomma, oltre a essere stato trattato a pesci in faccia, il collega doveva anche stare zitto e non lamentarsi, pena la possibilità di non essere più richiamato per il lavoro, e questa era la situazione in cui ci trovavamo tutti noi.
Questo, infatti, era il clima che vigeva durante le ore che abbiamo passato lì, di continuo ed estenuante ricatto: chi si trova a dover accettare un lavoro del genere, alienante e ripetitivo, pagato a voucher (10 euro lordi all’ora, l’equivalente di 7,50 euro netti), durante le ore notturne, non può assolutamente permettersi di lamentarsi, di dire la sua, perché altrimenti rischia di perdere quei pochi soldi per cui sta lavorando.
Il punto è che, se si accetta questo tipo di lavoro, significa che i soldi sono necessari, servono, e non ci si può permettere di rinunciarvi.
Noi abbiamo voluto raccontare la nostra esperienza, perché riteniamo importante almeno raccontare, informare di quali sono le possibili dinamiche del mondo del lavoro di oggi, anche quando si tratta di lavoretti accessori.
Oltre a noi ci sono altre centinaia di persone che si ritrovano praticamente costrette a svolgere occupazioni simili, in simili condizioni, e il tutto nella più assoluta legalità, grazie all’introduzione dei voucher e a un sistema del lavoro che, invece di tutelare i lavoratori, incentiva situazioni del genere, di sfruttamento e precarizzazione sempre più spietate e palesi, ovunque, nei più disparati settori del lavoro.

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday, January 15, 2017 11:00 AM
Subject: GRIGIO LAVORO DI CAMERIERA? NO GRAZIE, A ME PIACCIONO I COLORI FORTI!

Questa è un piccola storia di una rivincita personale e di una piccola vittoria collettiva.

Sai quei baretti carini, carini, nuovissimi e attraenti? Oppure quei locali luci soffuse e buona musica, oppure quei pub in stile esotico dove vai a mangiarti un panino, una bistecca, a bere un bicchiere? Sempre pienissimi di gente, che a volte devi prenotare e dove spendi bei soldi perché l’economicità non è sempre loro caratteristica. Per non parlare di quei ristoranti sciccosi che ti puoi permettere solo nelle grandi occasioni.
Ecco, è in posti come questi che lavora la maggior parte delle ragazze e dei ragazzi che si rivolgono allo sportello legale della Camera Popolare del Lavoro dell’ex OPG di Napoli.
Si tratta di lavoratori e lavoratrici per lo più a nero (senza contratto) ma non solo. Molti hanno situazioni ibride, cosiddette a “grigio”: cioè hanno un contratto di lavoro che funziona solo come pezza d’appoggio per la loro prestazione, un contratto che non viene rispettato o perché magari contempla un orario di lavoro differente da quello effettivo, o perché prevede una mansione inferiore a quella esercitata realmente dal lavoratore.
Lavorare senza contratto o sulla base di un contratto fasullo significa non avere orari prestabiliti, tirare fino a tardi la notte se i clienti non se ne vanno, rinunciare alla tredicesima, ai contributi pensionistici, sottostare alle decisioni improvvise del padrone, sia quando decide di cambiarti di turno, sia quando decide di licenziarti e non versarti il trattamento di fine rapporto che ti spetta.
Lavorare a nero o a grigio significa regalare ai padroni il nostro tempo, i nostri soldi e la nostra dignità. Perché se anche chi ha un contratto regolare oramai è ricattabile (e il con il Jobs Act i padroni hanno affondato il loro ultimo colpo ai diritti dei lavoratori e alla sicurezza sociale) immaginiamoci gli altri, che diritti hanno?
La rassegnazione è il sentire comune, quello che ognuno di noi superficialmente prova quando si parla di lavoro irregolare e anche quando è il proprio lavoro a essere irregolare: aspettiamo la prossima occasione, magari sarà più conveniente, intanto meglio tenersi stretto questo.
Ma fuori dal meccanismo del ricatto, che purtroppo è difficile invertire, qualche passo avanti va fatto, a partire dalla consapevolezza che, nonostante l’assenza di contratto o il contratto irregolare, i nostri diritti del lavoro (adeguamento salariale, ferie, contributi, ecc.) ce li abbiamo, ci devono essere garantiti e possiamo legittimamente rivendicarli.
Non è cosa semplice, parliamo di un cambiamento nel modo di pensare il lavoro oggi, parliamo di digerire l’idea che esiste un limite allo sfruttamento, che tocca a noi e solo a noi mantenere quell’asticella il più possibile bassa. Non è cosa semplice, ma è necessaria, e può funzionare solo se resa comune, attraverso il mutuo sostegno, la condivisione di problemi e istanze, la ricerca collettiva delle concrete prospettive di miglioramento. Un po’ quello che si fa alla Camera Popolare del Lavoro di Napoli, e tra le tante storie che qui si avvicendano, ce n’è una particolarmente significativa che ci piace anche stavolta condividere.
Aida, laureata in architettura ma cameriera da otto anni, contrattualizzata per poche ore in un locale molto in voga della provincia napoletana, era stanca di essere sfruttata, stanca di avere orari imprevedibili, di non vedersi riconosciuti gli straordinari, le ferie, la tredicesima... stanca di non essere trattata con rispetto. Si è rivolta allo sportello legale per un giro di conoscenze comuni, innanzitutto per un consiglio: voleva interrompere il suo rapporto di lavoro perché esasperata dalle sue condizioni, ma non poteva andarsene così, senza nemmeno provare a ottenere anche quello che le spettava.
La prima cosa suggerita è stata di non rassegnare le dimissioni perché esasperata dalla situazione: questo è esattamente quello che vuole il padrone e non è certo nell’interesse del lavoratore.
Aida ha dovuto tenere duro per qualche mese ancora, perché il padrone, nonostante i pessimi rapporti tra i due, non aveva intenzione di licenziarla, forse perché lei era brava, ci sapeva fare con i clienti, o forse per puro dispetto.
Intanto, fatti i conteggi di quanto le spettasse economicamente, con il supporto dello sportello legale, Aida ha avviato la trattativa, che dopo numerosi incontri, telefonate, incazzature con il signor padrone e i suoi tentativi di prendere tempo, si è conclusa in sede sindacale con un accordo che prevede l’interruzione, con il licenziamento, di quel rapporto di lavoro abbrutente (quindi Naspi assicurata) e un assegno per lei. La somma ottenuta è pari alla metà circa che avrebbe potuto raggiungere se fosse andata davanti a un giudice, ma la sentenza sarebbe arrivata con molto ritardo e probabilmente il padrone-debitore sarebbe stato incapiente (come spesso accade per quei ricchi furbetti ufficialmente nullatenenti). Alle lungaggini e alla incertezza del recupero del credito, Aida ha preferito questa soluzione più rapida.
Aida ha condotto un percorso insieme alla Camera Popolare del Lavoro e con lei abbiamo condiviso molto tempo durante il quale abbiamo avuto modo di parlare moltissime volte e di diverse cose: del referendum costituzionale, del concerto dei 99 Posse al quale con molto rammarico Aida non poté venire perchè era di turno al lavoro, del suo curriculum spedito in tutta Italia per cercare di essere presa in uno studio di architettura, per fare il lavoro per cui ha studiato. Aida è una ragazza vitale, un po’ punk, tutta istinto, con una profonda conoscenza della storia dell’arte e l’abitudine di recuperare capi d’abbigliamento vintage che rivende nei mercatini.
Quando si presentò allo sportello di supporto ai lavoratori la prima volta era arrabbiata, ma scoraggiata, incredula sulle sue possibilità di averla vinta, di ottenere quello che voleva.
Il giorno della conclusione della trattativa Aida appariva diversa, più consapevole, più serena, diceva che se fosse rimasta sola, se non avesse chiesto e trovato il supporto della Camera popolare del Lavoro, avrebbe abbandonato l’idea di presentare il conto al padrone, si sarebbe dimessa e via, con amarezza e rassegnazione avrebbe finito con una sconfitta la sua “grigia” carriera di cameriera.
La storia, almeno questa volta, è andata diversamente, perché Aida ha recuperato i denari che il padrone le doveva e anche tanta fiducia nelle possibilità di riuscita di una lotta condivisa; per dirla con parole sue: “oggi posso affermare non solo di essere stata informata, ma di essere stata accompagnata in un vero e proprio iter attraverso il quale ho acquisito piena consapevolezza dei miei diritti di lavoratrice dipendente. Diritti che il lavoratore dipendente ha, ma che spesso crede effimeri o utopici, che invece dovrebbe far valere sempre. Io dopo una lunga trattativa ho finalmente ottenuto ciò che di diritto mi spettava e ho avuto una presa di coscienza, sperando che la mia testimonianza dia forza ad altre persone che si trovano in situazioni lavorative come la mia”.

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