lunedì 30 gennaio 2017

30 gennaio - CRISI MONDIALE DELLA SIDERURGOIA: se ne discute con gli operai della Tenaris/Dalmine



Domenica 29 gennaio si è tenuto alla sede Dalmine dello Slai Cobas sc di Bergamo un breve seminario, rivolto soprattutto agli operai Dalmine dei compagni lavoratori del “Gruppo di lavoro 21 febbraio 1848”, sul dossier “La crisi mondiale della siderurgia” da loro preparato nel giugno 2016 (di cui abbiamo pubblicato ampie parti a puntate in questo blog a fine anno scorso).
E' stato un seminario di informazione-formazione utile e importante in questa fase, in cui il problema della crisi della siderurgia, della riduzione del mercato dell'acciaio a livello mondiale viene usato da padroni, governo, sindacati confederali per giustificare misure di tagli dei posti di lavoro, ristrutturazioni che attaccano le condizioni di lavoro degli operai e per scaricare le colpe su altri, in primis ora sulla Cina, spingendo gli operai italiani a fare corpo unico con i padroni italiani- europei, contro padroni e lavoratori cinesi.
Su tutto questo – è stato detto - gli operai devono avere una loro autonoma lettura, un'analisi marxista per avere una visione reale, scientifica e di classe, necessaria anche per avere una chiara rotta della strada di lotta, particolare e generale, sul piano sindacale e politico, da percorrere.
Come ha detto la compagna del “Gruppo di lavoro 21 febbraio 1848”: permettere agli operai di sollevare lo sguardo per avere una visione d'insieme.

Pensiamo che questo lavoro prolungato si deve intrecciare con le dinamiche della lotta degli operai, in questo settore centrale della produzione capitalistica mondiale.
Nello spiegare la situazione della siderurgia a livello mondiale, i compagni si sono avvalsi per buona parte del seminario di slide che mostravano con grafici, dati a livello mondiale, soprattutto l'andamento della crisi della siderurgia negli anni, e, interessante, il rapporto tra capitalismi avanzati dei paesi occidentali e nuovi capitalismi dei paesi emergenti (come appunto la Cina), ecc.
Da questo, e nel dibattito che è seguito, sono emersi alcune fatti e considerazioni:
Primo. Vi è un evidente contrasto tra aumento della capacità produttiva e consumo dell'acciaio mondiale; ma questo contrasto si è cominciato a produrre prima che l'acciaio della Cina invadesse il mercato europeo. Da cui ne viene che la causa è nel modo di produzione capitalistico che per trarre più plusvalore dagli operai aumenta il capitale costante (l'uso delle macchine, tecnologie) e di conseguenza diminuisce il capitale variabile (la forza lavoro operaia) fonte dei suoi profitti, portando alla caduta del saggio di profitto. L'aumento della produttività è l'ossessione dei capitalisti per realizzare più plusvalore, spingendo lo sfruttamento dell'operaio al limite massimo.
Questa crescita della capacità produttiva, porta da un lato a tagliare posti di lavoro (già la Germania, per esempio, ha tagliato 200mila lavoratori) e a sfruttare intensamente gli operai restanti (perchè da essi deve trarre lo stesso o anche più plusvalore di prima); dall'altro porta a un eccesso di produzione che non trova mercato, e costringe ad abbassare il prezzo. Di questo ne ha approfittato la Cina occupando essa ampi settori del mercato mondiale. Ma la Cina non è solo esportatrice di merci, ma anche importatrice di beni necessari per l'industria siderurgica, per esempio, impianti produttivi sofisticati prodotti dalle siderurgie occidentali.

Secondo. Se la produzione si è spostata in parte nei paesi di 2° schiera, di nuovo capitalismo, i brevetti, le innovazioni tecnologiche restano sempre nelle mani dei paesi imperialisti occidentali (in primis degli Usa, dove la legislazione è la più protezionista e trova proprio nei sindacati il suo puntello chiave, con una politica sciovinista, che sviluppa tra gli operai rancore/concorrenza verso altri operai degli altri paesi – e questo ha contribuito negli Usa alla vittoria di Trump; ma questa politica si manifesta anche in Europa, basti pensare alla manifestazione di metà febbraio 2016 a Bruxelles che ha visto uniti padroni, quadri aziendali e sindacati a difesa dei padroni europei).
E' pur sempre l'esportazione di capitale dai paesi imperialisti all'origine della situazione.
Breve nota: Come scrive A. Ariezo, riprendendo “L'imperialismo” di Lenin, nel saggio su “Note su crisi capitalistica, governance neoliberale e organizzazione politica” all'interno del libro “Crisi, governance, imperialismo”: “Favorendo lo sviluppo del capitalismo in tutto il mondo, l'esportazione di capitale costituisce le condizioni del mercato “globale”. I paesi imperialisti non esportano soltanto capitali nei paesi “meno progrediti”: con questi capitali essi esportano il capitalismo stesso... i paesi imperialisti esportano nei paesi di destinazione, con i propri capitali, la produzione capitalistica, il rapporto di capitale: la proprietà privata capitalistica e lo sfruttamento del lavoro salariato. L'esportazione di capitali, in altri termini, crea non solo nuovi mercati di merci, ma nuovi paesi produttori di merci. Così facendo, esso espande, insieme il mercato capitalistico e il modo di produzione capitalistico in tutto il mondo, producendo connessioni sempre più fitte tra i diversi paesi (e quindi tra i diversi mercati locali) e tra i capitali di diversa provenienza nel mercato mondiale”.
Il modo di produzione capitalistico si diffonde in tutto il mondo, mette al lavoro migliaia, milioni di operai nei paesi di nuovo capitalismo, ma tutto questo non fa che accentuare le contraddizioni tra paesi avanzati e paesi meno avanzati.
Quindi, le “giustificazioni” dei padroni, degli economisti borghesi, dei loro giornalisti di addebitare fuori da sé, in una “concorrenza” o in un astratto “mercato globale” le cause dei loro piani di scarico della crisi sui lavoratori, sono false, dato che sono proprio questi capitalisti e il loro sistema a livello mondiale la vera causa.
Terzo. Sono le leggi del capitale che portano alla sovrapproduzione. Ciascun singolo capitalista fa la produzione per la produzione, per difendere, accrescere i profitti, non tiene conto della domanda di mercato, non si “autoregola”.
Questo porta ad un abbassamento dei prezzi, di cui ne ha approfittato la Cina, ma non solo, vendendo a basso prezzo, cosa che a sua volta ha incrementato la sovrapproduzione. Poi la produzione di acciaio è cominciata a calare in tutti i paesi, compreso la Cina.
Nel dibattito che è seguito è stato detto che il contrasto tra capacità produttiva e consumo dell'acciaio non è un fatto inevitabile, ma è frutto della logica e delle leggi del capitale volte unicamente al profitto. Non vi sarebbe sovrapproduzione se: uno, la produzione fosse volta ai bisogni delle popolazioni, sia dei paesi occidentali imperialisti, sia in maniera macroscopica dei paesi del Terzo mondo – il sistema capitalista, per esempio, produce grandi infrastrutture come la Tav, piuttosto che strutture che salvaguardino città, popolazioni dagli affetti dei terremoti; due, se i proletari e le masse popolari non fossero tenute in una condizione di bassi salari o di miseria. Ma tutto questo è impossibile fermo restando il sistema capitalista.
Il “Gruppo di lavoro 21 febbraio 1848” ha infine sottolineato tre questioni:
- L'innovazione da fattore progressivo del capitale per battere la concorrenza è anche la sua morte, perchè ad ogni innovazione c'è l'introduzione di nuovi macchinari, aumenta il capitale fisso, diminuiscono gli operai, si riduce il saggio di profitto;
- sulla questione di crisi del consumo dell'acciaio, occorre anche combattere le tesi che propongono come “soluzione” di aumentare la capacità di consumo con una più equa redistribuzione dei redditi; ma questo nasconde l'esistenza delle classi, su cui si regge il capitale:
- il capitalismo non è un'economia eterna, è un “modo di produzione a tempo”, e la sua vite e la sua fine è nelle sue stesse contraddizioni.
E' seguito quindi un dibattito/esposizione fatta dagli operai della Dalmine e dalla rappresentante dell'Ilva di Taranto sulla situazione in queste importanti fabbriche siderurgiche – Ma di questo parleremo in altre note.

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