Operai indiani in lotta - per info e materiali diretti
richiedi a slai cobas per il sindacato di classe: slaicobasta@gmail.com
India - la lotta degli operai della Maruti continua e
chiede giustizia!
Delhi:
incontro di solidarietà per chiedere giustizia per i lavoratori della Maruti
25 Novembre
Unisciti a
noi per un incontro di solidarietà per chiedere giustizia per gli operai della
Maruti
con il
Comitato Provvisorio, con il sindacato dei lavoratori Maruti Suzuki presso il
sito Occupyugc il 25 novembre, dalle 17:00 in poi per la 'Mazdoor Nyay Adhikar
Convention' del 27 novembre organizzata dal comitato provvisorio.
{Come tutti
sapete dal 18 luglio 2012 nello stabilimento Maruti di Manesar-Haryana-India, a
causa del nesso direzione aziendale-polizia-amministrazione-governo, i
lavoratori della Maruti hanno dovuto affrontare la mano pesante
dell’ingiustizia e della repressione, che continua fino a oggi. 215 lavoratori
sono sottoposti ad accuse infondate fabbricate ad arte, 147 lavoratori sono
stati incarcerati,
2300 lavoratori sono stati licenziati tra cui 546 lavoratori a tempo indeterminato. Oggi, più di tre anni dopo, 35 lavoratori continuano a languire in carcere senza poter pagare la cauzione.
Le ultime tappe del
dibattito sul processo si stanno avvicinando. Il management della società e lo
stato sono in piena preparazione per dare l'esempio emettendo una sentenza più
dura per i lavoratori, affinché i lavoratori temano di alzare la voce con la
lotta. Nell’ultimo mese è in corso una campagna in tutta l’India per la
giustizia per i lavoratori della Maruti. Programmi di solidarietà,
manifestazioni, raduni, incontri, seminari sono stati organizzati da diversi
sindacati di lavoratori, organizzazioni e sezioni progressiste della società. I
lavoratori Maruti in lotta hanno viaggiato in diverse parti del paese per far
avanzare questa campagna. Incontri e manifestazioni fino ad ora sono stati
organizzati in diverse cinture industriali e città come Pune, Mumbai,
Bangalore, Chennai, Delhi, Jind, Kaithal, Gohana ecc}.2300 lavoratori sono stati licenziati tra cui 546 lavoratori a tempo indeterminato. Oggi, più di tre anni dopo, 35 lavoratori continuano a languire in carcere senza poter pagare la cauzione.
Noi,
studenti in lotta di diverse università che hanno occupato l’UGC (Organo di
gestione dell’Università) per più di un mese, abbiamo marciato verso il MHRD
(Ministero dello Sviluppo delle risorse umane) a centinaia, affrontato le
brutali cariche con i bastoni e abbiamo messo in discussione e resistito al
modello educativo anti-studentesco. Queste richieste, queste voci di dissenso
di diverse lotte non solo cresceranno più forti, ma devono anche unirsi su
diversi punti.
La vita dopo
lo scontro alla fabbrica Maruti Suzuki
Anjali Puri
L’ultima
settimana di settembre, quando quasi tutti i giornali avevano sbattuto sulle
pagine la notizia che Maruti Suzuki aveva alzato gli stipendi dei suoi
lavoratori a tempo indeterminato da Rs 16.800 al mese, Narender, 31 anni,
esperto meccanico che ha lavorato per cinque anni presso lo stabilimento
Manesar del costruttore di automobili in Haryana, si è visto rifiutare un
lavoro da Rs 9.000 al mese come autista personale.
"Ho
fatto domanda per 15 posti di lavoro," dice, "dopo che sono uscito di
prigione nel maggio di quest'anno, senza fortuna. Infine, mi sono fatto
coraggio e volevo intraprendere questo lavoro di autista -. Ma poi la verifica
della polizia è stata negativa." Questa settimana, Narender, sposato con
un figlio, era ancora senza lavoro. Lavora come autista a paga giornaliera per
le compagnie di taxi quando arriva una chiamata.
Nella loro piccola
casa di Gurgaon, un mondo lontano dal distretto dei palazzi di uffici in vetro
e acciaio, suo padre, Daya Ram, una guardia di sicurezza di Classe X in dimesso
completo da safari, mostra, non richiesto, il diploma e i certificati
dell’Industrial Training Institute (ITI) di suo figlio.
"Ha
ricevuto una lettera da parte della società quando ha ricominciato dopo i guai
nel luglio 2012," dice, tirando fuori ancora di più documenti che sporgono
dalla cartella. "Guarda," dice, tracciando col dito le frasi stampate
su una lettera della società "gli è stato chiesto di riprendere il lavoro
il 27 agosto 2012. E poi, quando hanno appreso che era in carcere, hanno
ritirato la chiamata. Dimmi, lo avrebbero ripreso, in primo luogo, se fosse
stato incensurato? "
Questo ex
operaio senza volto del più grande produttore di auto dell'India è parte di un
caso impresso nella memoria pubblica, anche perché ha visto la morte di un
direttore generale, in mezzo a un incendio e violenza. Narender è stato uno dei
150 lavoratori incarcerati dopo questo episodio di conflitto industriale il 18
luglio 2012, presso lo stabilimento Maruti Suzuki di Manesar.
Come tutti
gli altri, è stato accusato secondo ben 18 articoli del codice penale indiano,
tra cui l'omicidio. Altri circa 60 lavoratori sono stati definiti latitanti e
quasi 2.500 sono stati rilasciati in mezzo a una valanga di pubblicità negativa
per i lavoratori da parte dei media.
Quelli
catturati dalla polizia - dalle case dei genitori, da camere in affitto in case
popolari condivise dei lavoratori, dalle strade - presto sono scomparsi nella
prigione di Bhondsi, lasciandosi alle spalle le famiglie traumatizzate.
Dal 2012 si
è passati al 2013 e poi al 2014, e sono rimasti in carcere, le loro richieste
di rilascio su cauzione respinte.
È noto che
un giudice dell’Alta Corte del Punjab e Haryana ha citato investitori stranieri
mentre respingeva una richiesta di rilascio su cauzione nel maggio 2013.
"L'incidente è il più sfortunato evento che ha abbassato la reputazione
dell'India nella stima del mondo. Gli investitori stranieri non sono propensi
ad investire denaro in India per paura dei disordini nel mondo del lavoro"
ha detto il giudice. Il film di Rahul Roy del 2005, La Fabbrica, è un grafico,
in movimento, un racconto con al centro l’operaio della storia Maruti-Manesar.
Roy giustappone diversi resoconti della violenza del 18 luglio 2012 per
dipingere un quadro molto più complesso, contestato e grigio dell’episodio di
quello disegnato da polizia e dalla procura.
Tuttavia, il
centro drammatico del fil La Fabbrica non è quello degli eventi di allora, ma
la lunga attesa per la cauzione. Dato che il passaggio dal tribunale all’Alta
corte e fino alla Suprema corte si dimostra infruttuoso, lo schermo esplode con
le lacrime e la rabbia delle famiglie messe in ginocchio. «Dobbiamo mangiare
fango per riempire lo stomaco?» grida una donna alla telecamera. Gli stessi
giovani sono figure indistinte dietro la rete metallica.
Ma basta.
Dei 150, 114 sono riusciti ad ottenere il rilascio su cauzione quest'anno, dopo
due anni e mezzo o quasi tre anni di prigione, e sono ora in giro, impegnati in
una disperata, inosservata ricerca di occupazione.
Il legale
della difesa Vrinda Grover dice che essi sono gli obiettivi di un arresto
indiscriminato da parte di una macchina statale che colpisce duro desiderosa di
aiutare significativi personaggi di affari.
"Nessuno
di loro è stato identificato in tribunale", sottolinea, "da un solo
testimone." Anche i lavoratori, dice, che secondo la stessa versione
dell'accusa, hanno solo danneggiato delle proprietà, continuano ad essere
accusati di omicidio. "Se più di 200 persone avevano un intento comune di
commettere un omicidio, come viene affermato, si sarebbero fermati"
chiede, "ad un uomo solo?"
La baracca
di lamiera dove il comitato provvisorio dei lavoratori licenziati dello
stabilimento di Manesar si incontra, tra le carte delle accuse del tribunale
che stanno sulla scrivania del giudice Grover e sono le dichiarazioni quasi
identiche di quattro testimoni eccellenti dell'accusa, gli appaltatori di
manodopera che hanno accusato quasi 90 lavoratori, non uno dei quali è stati in
grado di identificarli in tribunale. Nell’insieme, le dichiarazioni sembrano
avanzare una proposta unica: che la massa si sia organizzata da sé in ordine
alfabetico.
Uno di
questi quattro testimoni, secondo la propria dichiarazione, afferma di aver
individuato gli operai in rivolta i cui nomi vanno dalla A alla G ("Amit
Prasad, Anup Kumar, Anup Kumar Dubey, Ashok, Baljinder, Bunty Kumar, Bharat
Singh ..."); un altro fa i nomi dei lavoratori dalla G alla P; un terzo
dalla R alla S ed un quarto dalla S alla Y. "Non ho visto dichiarazioni
come queste in 25 anni di pratica giudiziaria", spiega Grover.
"Questi nomi sono stati presi dagli elenchi dell’azienda. In realtà, le
dichiarazioni devono essere false."
La
colpevolezza o l'innocenza sarà, naturalmente, decisa in tribunale. La prova
della difesa è stata presentata, e gli argomenti finali dovrebbero iniziare tra
un mese o due. Ma in prospettiva i padroni sembrano aver preso una decisione.
Quelli fuori su cauzione, e anche quelli semplicemente licenziati dalla
società, vengono allontanati dalle case automobilistiche, dai produttori di
componenti automobilistici e dai padroni dell’indotto.
Si tratta di
operai con diplomi ITI e, nella maggior parte dei casi, con una significativa
esperienza di lavoro. Ma anche se la "specializzazione" viene
valorizzata a livello nazionale, essere esperti sembra non dare alcun vantaggio
se ti porti appresso la macchia della Maruti-Manesar. La Maruti Suzuki non ha
risposto alle domande del Business Standard sul caso e sulla situazione dei
suoi ex lavoratori. Ci sono due o tre giorni al mese, in cui un ampio corridoio
del tribunale di Gurgaon si presenta come il luogo di una riunione di
collegiali, brulicante di giovani in jeans e scarpe da ginnastica non di marca,
con gli zaini a buon mercato. Ad un certo punto, questi lavoratori ex-Maruti
fuori su cauzione fanno la fila sotto un cartello che recita: "Questo è un
tempio di giustizia, tenetelo pulito."
Essi si
presentano in una piccola aula, marcano la presenza, e poi vanno via in fretta
per il viaggio di ritorno ai distretti rurali di Haryana e in altre parti del
cuore della patria Hindi. Essere intervistato aiuta a passare le ore, anche se
poi chiedono, con umorismo ruvido, "Questo ci aiuterà a trovare posti di
lavoro?"
"Se non
parli della tua esperienza alla Maruti-Manesar, ti si chiedono quali sono le
lacune nel tuo curriculum, e non hai nessuna risposta", spiega Brajesh
Kumar, che è appena arrivato dopo 200 km di viaggio in treno dal Rajasthan. «Ma
se dici la verità, cosa che ho fatto quando sono stato intervistato da una
società di componentistica auto a Rudrapur, nessuno ti toccherà."
"Operaio
nella costruzione di strade, scaricatore, imballaggio di vestiti in una
fabbrica di abbigliamento", spiega Raj Kishen, un giovane Haryanvi che era
apprendista alla catena di montaggio del telaio, che elenca i posti di lavoro
disponibili che ha trovato. "Non ho studiato per 15 anni", ribatte,
"per fare ciò che un illetterato può fare". Ma quelli con famiglie da
mantenere accettano posti di lavoro modesti che trovano difficile tenere a
causa della frequenza delle udienze. Sharma, un esperto operatore della
lavorazione della plastica con sei anni di esperienza, è diventato un
venditore. Pradeep Kumar, dopo sette anni alla Maruti, è diventato una guardia
di sicurezza. Kanwarjit Singh, con un diploma triennale in stampo e costruzione
di utensili, ora lavora per una società di consegne pacchi.
"Ho
sempre voluto insegnare presso un ITI", dice Amarjit Singh, 29.
«Mala Maruti mi ha selezionato; ho superato i loro test con 54 su 60. Ero
il tipo di lavoratore che correggere difetti di lavoro di altre persone,
chiedete a chiunque. Avrei dato la colpa solo alla polizia, se anche la società
non mi avesse licenziato. Quando sono stato licenziato, mi sono reso conto che
la società “kisi ki nahi hai” (la società è di nessuno)." Amarjit ora ha
aderito ad un corso di istruttore. "Con denaro preso in prestito, io sono
a zero," dice. «Ma devo cancellare Maruti dai miei ricordi, ricominciare
da capo ..." Molti di quelli in attesa sulle panchine di cemento vestiti
con l'uniforme della gioventù urbana sono i figli di modesti lavoratori
rurali: sarti, muratori, guardie di sicurezza presso i magazzini agricoli. È
chiaro dal foglio di accuse della polizia, che elenca sorprendentemente la
casta accanto ai nomi, che non pochi sono delle comunità socialmente
vulnerabili. La maggior parte sembrano appartenere a famiglie con un paio di
bighas [circa 2.500 metri quadrati] di terra, o nessuna. Tutti raccontano
storie quasi identiche di iscrizione presso l'ITIS per sfuggire alla
stagnazione rurale, ma molti stanno ora affrontando la dura realtà. Mritunjay
Dubey, un elettricista qualificato alla ITI Ghazipur nella parte orientale
dell'Uttar Pradesh, fa 36 ore di treno per ogni udienza in tribunale. A
volte, torna in meno di una settimana per la prossima udienza, perché non ha un
posto dove stare in Gurgaon, dove ha provato, ma non è riuscito, ad ottenere il
suo prossimo lavoro. "Così aiuto nel lavoro dei campi", dice,
"quando non sono in tribunale." Al contrario, Rajesh (non è il suo
vero nome) vive a Gurgaon, ma non ha udienze cui partecipare. Quando la polizia
è arrivata nelle case dei lavoratori poco dopo le violenze di Manesar, e li
hanno portati via per l "inchieste" che poi si sono trasformate in
arresti, egli se la diede a gambe. Considerato latitante, ora conduce una vita
seminascosta come portatore di risciò in proprio. Una vecchia foto mostra un
lavoratore poco dopo essere stato rilasciato su cauzione che indossa un anonimo
kurta-pigiama con un gamchha (asciugamano) appesa al collo. Quando incontra la
sua famiglia, lo fa di nascosto. "Sono riuscito a mandare qualche migliaio
di rupie a casa ogni mese, quando gli altri erano a marcire in prigione,"
dice. "Mio fratello sta studiando presso un ITI, mia sorella deve
sposarsi." Il suo fidanzamento è andato a monte, accenna di sfuggita,
prima della fine di luglio 2012.
"Abbiamo
un ufficio nei pressi del tribunale distrettuale, datoci dal nostro
avvocato", dice Ram Niwas, un membro del comitato provvisorio dei
lavoratori licenziati dello stabilimento di Manesar. L'ufficio si rivela essere
un capannone di lamiera in un labirinto di uffici e negozi, e con i suoi pochi
abitanti istantaneamente riconoscibili come quelli de La Fabbrica.
Questi
stanno tra un gruppo eccezionalmente articolato di coloro che spiegano la
grande storia raccontata nel film di Roy, del movimento dei lavoratori presso
lo stabilimento dal 2011, che volevano registrare un sindacato indipendente,
protestare contro una cultura d’impresa punitiva e la discriminazione salariale
tra lavoratori a tempo indeterminato e a tempo determinato.
"Sono
rimasto molto sorpreso quando ho incontrato gli ex lavoratori di Manesar",
ha confessato il film-maker in un'intervista. "Erano un nuovo tipo di
giovane operaio indiano, intelligente e sicuro di sé. La situazione presso lo
stabilimento era essenzialmente un problema di dignità. Si tratta di un caso di
studio su come non fare con una forza lavoro giovane, istruita. In realtà, oggi
questa è in fase di studio".
Roy
sottolinea che quando ha iniziato le riprese nel luglio 2013 (fino a luglio
2014), gli ex-lavoratori erano con le spalle al muro. I loro leader sindacali
erano in carcere, il loro movimento aveva raggiunto il picco e non c’erano
"grandi vittorie all'orizzonte". "Tuttavia, sono stati in grado
di andare avanti, con una nuova serie di capi che nasce dalle file dei
lavoratori licenziati." I giovani nel comitato di ex-lavoratori ha
mantenuto i contatti con gli avvocati, organizzato proteste, ottenuto il
sostegno di sindacati nazionali, raccolto fondi per cause legali e le famiglie
dei lavoratori in carcere, e sono stati in grado di influenzare le elezioni
sindacali presso l'impianto, una volta riaperto. "Quando ho mostrato il
film a Mumbai", dice Roy, "la gente ha chiesto, 'ma chi sono questi
ragazzi di Haryana?'" Questa vivacità viene fuori quando vi dicono che le
nuove tabelle degli stipendi per i lavoratori della Maruti (ma solo lavoratori
a tempo indeterminato, precisano) sono il culmine di un processo che loro hanno
messo in moto. "Abbiamo cambiato l'atmosfera, abbiamo portato una cultura
di accordi negoziali", dice Ram Niwas categoricamente. "Questo è
stato il nostro sacrificio." La parola "sacrificio" la dice
lunga, però. L'effetto drenante di una dura battaglia, davanti al giudice
penale, e parallelamente, davanti al giudice del lavoro sui licenziamenti di
massa, è difficile da perdere. La maggior parte dei membri del comitato hanno
abbandonato a causa di "pressioni familiari". Quelli che restano sono
a corto di soldi, anche se sono stati in grado di aumentare i contributi per
spese legali attraverso il sindacato dei lavoratori a Manesar. Ram Niwas, per
esempio, tira avanti per gran parte con Rs 7.000 al mese, pagategli da una
cooperativa di lavoratori.
La moglie
ei figli hanno lasciato Gurgaon per il loro villaggio nel distretto di
Kaithal in Haryana. Vivono nell’antica casa di famiglia in comune, ma mangiano
separatamente, perché gli altri membri della famiglia si oppongono al suo
continuo coinvolgimento nel caso Maruti-Manesar. Sunil Kaushik, presenza di uno
degli arrestati nel film di Roy, con le sue taglienti spiegazioni, accompagnate
da grafici e disegni, da schemi sulla catena di montaggio e le condizioni di
lavoro nello stabilimento, ha abbandonato il comitato. "Ho dato il mio
tempo a questa lotta per ripulire i nostri nomi, ma non ho potuto farlo a tempo
indeterminato", spiega al telefono da Rohtak. Dopo aver fallito
nell’ottenere posti di lavoro più idonei, il lavoratore licenziato si sta
riqualificando come meccanico di officina. "Non si può lavare questa
macchia, per quanto si possa sostenere che nessuno ha la colpa per quello che è
successo," dice, con frustrazione nella voce. "La percezione pubblica
di tutto questo è già data."
L'umore è
più leggero in una casa di una sola stanza a Gurgaon, dove Sushma, un altro
volto che colpisce del film di Roy, ha finalmente suo marito, Sohanlal, al suo
fianco. Nel film, la vulnerabile ma ferma giovane donna comincia a lavorare
come impiegata addetta ai dati dopo che il marito viene incarcerato, piuttosto
che andare a casa dai suoi genitori. Vive in una casa di una sola stanza nella
difficile periferia di Gurgaon, tra i simboli di un sogno di una coppia rurale
della classe media emergente - un frigorifero in un angolo, un copriletto con
personaggi dei cartoni animati, immagini di nozze con cuori disegnati a mano a
margine - e non perde mai i giorni di visita al carcere di Bhondsi. Ricordando
il suo primo incontro con il marito, lei dice, "I ragazzi di solito
esagerano su ciò che possiedono, lui mi ha detto che non aveva nulla. Ho
pensato tra me e me, questo uomo dice la verità". Guardando indietro, ora,
lei dice: "Non avrei potuto resistere per quasi tre anni senza il sistema
di supporto creato dal comitato. Per tre giorni dopo essere stato portato via,
non avevo idea di dove fosse stato rinchiuso, non avevo soldi per combattere
contro l’accusa, non avevo mai visitato una prigione." Sohanlal, 30 anni,
seduto sul copriletto con i personaggi dei cartoni animati, vi mostra
l'orologio inutilizzato Casio, premio per il buon lavoro a Manesar, e i suoi
trofei per il cricket interdipartimentale. Egli si aspetta che il suo nome sarà
cancellato dalla lista degli accusati, ma si chiede se la sua carriera potrà
mai recuperare gli anni perduti a Bhondsi. Eppure, è uno dei fortunati. Ha un
posto di lavoro dove andare, una sala per banchetti di nozze, dove si occupa di
amministrazione per Rs 10,000 al mese. Una spiacevole saga è l’apertura del
secondo stabilimento Maruti Suzuki a Manesar nel 2007. Una macchina esce dalla
catena di montaggio ogni 50 secondi. Secondo le cifre citate nel film, The
Factory, l'Amministratore Delegato ha guadagnato Rs 47,3 lakh (4 milioni e 700
mila rupie) all'anno nel 2007 e Rs 2.45 crore ( oltre 20 milioni di rupie)
entro il 2010. Un lavoratore a tempo indeterminato esperto prende Rs 2.80 lakh
(280.000) all’anno nel 2007 e Rs 3 lakh (300mila) nel 2013. I lavoratori dello
stabilimento di Manesar hanno sciopero tre volte nel 2011. Le richieste
principali: essi autorizzati a registrare un sindacato indipendente e uguale
salario e benefit per i lavoratori a contratto come per i lavoratori a tempo
indeterminato. I leader della lotta per formare un sindacato se ne sono andati
lo stesso anno dopo aver accettato una generosa buonuscita dalla Maruti Suzuki.
Infine gli operai sono riusciti a formare e registrare un sindacato indipendente
con nuovi leader alla fine di febbraio 2012 e il sindacato successivamente ha
presentato una piattaforma di richieste, tra cui un sostanziale aumento di
stipendio. La violenza esplode in fabbrica il 18 luglio 2012, in mezzo a molte
questioni irrisolte. Un direttore generale muore, molti altri sono feriti; 147
operai, compresi dirigenti sindacali, vengono arrestati e incarcerati (altri
tre arrestati in seguito); 2.500 operai licenziati.
Viva l’unità
operai studenti!
Saluti rossi
alla battaglia del sindacato degli operai della Maruti!
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