Piaggio, scioperi contro il
jobs act? Allora ti licenzio
Licenziamento politico per Sandro Giacomelli, 58 anni,
operaio protagonista delle lotte per i diritti dei lavoratori e delle
lavoratrici al centro Ricambi della Piaggio di Pontedera.
E in tutti questi anni, prima che avesse inizio il
percorso per licenziarti, hai mai avuto problemi o richiami disciplinari?
«Prima dell’inizio di questa vicenda personalmente non
avevo mai ricevuto alcuna contestazione a livello disciplinare. Poi, dopo
l’impegno e le mobilitazioni dell’ultimo anno, verso giugno e luglio del 2015
hanno iniziato ad arrivare i richiami.»
Come ha inizio la tua vicenda?
«Nel settembre del 2014 vengo assunto dalla
cooperativa Dna sempre all’interno del centro ricambi della Piaggio dove
lavorano anche gli operai assunti della Ceva. Nello stesso ambiente di lavoro
alcune differenze però sono molto forti: per lo stesso tipo di lavoro gli
operai della Dna ricevono 400 euro in meno dei colleghi della Ceva e,
oltretutto, hanno meno garanzie di sicurezza. Senza parlare delle condizioni
non dignitose nelle quali eravamo costretti a consumare un pasto frugale:
seduti sugli scalini o dov’era possibile, cercando di allontanarci per un
attimo dal luogo fisico di lavoro. Vista questa situazione, in accordo con
tutta la RSU e con tutti i lavoratori della Ceva che ritenevano questo tipo di
trattamento ingiusto, abbiamo iniziato a mobilitarci per cambiare queste
dinamiche.»
Dunque avete dato vita ad azioni di lotta sindacale.
«Esatto. Il 7 marzo scorso abbiamo scioperato,
presentando alcune richieste per ricevere più garanzie a livello contrattuale,
ottenere i buoni pasto da 5 euro circa e chiedere la revisione dei parametri in
termini di sicurezza, per i quali mi era fatto carico di contattare l’ASL che
aveva poi constaato, dopo un sopralluogo, le discrepanze che avevamo già fatto
presenti all’azienda. E poi si chiedeva in sostanza la possibilità di
riassunzione in deroga nell’eventualità di cambio di cooperativa mantenendo il
tipo di contratto precedente al Jobs Act, visto che il contratto a tutele
crescenti fa crescere solo la precarietà, l’insicurezza o la sicurezza di poter
essere licenziati. In questo contesto essendo il più anziano, faccio sindacato
dal 1990, ho cercato di sostenere la crescita e le istanze di tutti,
esponendomi in prima persona.»
E questo potrebbe aver attirato i provvedimenti nei
tuoi confronti.
«Tieni presente che a settembre, dopo aver scioperato
contro il Jobs Act, mi viene recapitata una contestazione disciplinare. Entro
novembre arrivano altre contestazioni per il mio ‘atteggiamento indisciplinato’
e mi viene consigliato di preoccuparmi essenzialmente del lavoro. Dopo sei
contestazioni, alle quali ho sempre risposto, come richiede la legge, ma senza
che nessuna delle mie giustificazioni fosse accolta, il 28 dicembre mi è stata
spedita una raccomandata, peraltro all’indirizzo errato, che ho ricevuto poi
via email scoprendo giovedì di essere stato licenziato.»
Perché sei stato licenziato?
«Le contestazioni che mi sono state fatte sono
evidentemente collegate al mio ruolo all’interno del movimento sindacale. C’è
una forte presa di posizione dell’azienda nei confronti miei e
dell’organizzazione che ho sempre rappresentato. Cosa significa un
‘licenziamento per giustificati motivi soggettivi’? Vuol dire tutto e niente.
Sinceramente penso che sia un licenziamento ‘politico’, tutto qua.»
C’è stata una reazione da parte dei Cobas? Quale è la
posizione dei tuoi colleghi?
«La reazione dei Cobas è stata immediata, la battaglia
però è ancora tutta da costruire e vedremo insieme come impostarla. Sicuramente
sarà una risposta anche visibile, sulla stampa e sulle reti locali. Tutti i
miei compagni di lavoro sono naturalmente molto dispiaciuti. Ma in questo
momento, con il mio licenziamento, c’è molta paura in azienda: la perdita di
diritti, il Jobs Act, la precarietà, la frammentazione sociale sono elementi
che tendono a farci perdere la ragione collettiva della lotta dei lavoratori.
C’è stata solidarietà, ma se ci dovessero essere dei tentennamenti rispetto
alla mia situazione io capirei. Dobbiamo però ricordarci tutti che l’azienda
sta già parlando concretamente di ‘ristrutturazione aziendale’; tutti siamo
utili, ma nessuno è indispensabile: spero che la paura si trasformi in una
reazione di contestazione contro le decisioni che presto potrebbero andare
nella direzione di altri licenziamenti.»
Giampaolo Martinotti
Intervista tratta dall’inidirizzo:
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