Marco Spezia
ingegnere e
tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto
“Sicurezza sul lavoro: Know Your Rights!”
Medicina
Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus
e-mail: sp-mail@libero.it
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INDICE
Slai
Cobas per il Sindacato di classe tarantocontro@gmail.com
6 DICEMBRE A
TARANTO
Medicina
Democratica segreteria@medicinademocratica.org
NEWSLETTER
MEDICINA DEMOCRATICA
USB
Sanità Notizie sanita@usb.it
LA TUTELA DEL
PREPOSTO “LA SENTINELLA DELLA SICUREZZA”
Assemblea
Lavoratori assemblealavoratori@yahoogroups.com
NELLA
BATTAGLIA DELL’ACCIAIO, GENOVA PROTAGONISTA CONTRO I LICENZIAMENTI!
Federazione
Toscana PCARC federazionetoscana@gmail.com
FARE COME
ALLA GINORI E ALL’ILVA, OCCUPARSI DELLE AZIENDE E USCIRNE PER RIPRENDERSI IL
PAESE!
Posta
Resistenze posta@resistenze.org
POLITICHE
DEGLI ATTIVI (AZIENDALI): IL GIOCO DELLE TRE CARTE DELL’ANPAL
PCARC
Sezione Massa carcsezionemassa@gmail.com
DALLA
RATIONAL A NCA: SPEZZIAMO LE CATENE! INVERTIAMO LA ROTTA!
MicroMega
newsletter@micromega.net
LA NUOVA
COSCIENZA DI CLASSE: QUELLA DEI SUBALTERNI
Luca
Nanfria Unione Sindacale di Base l.nanfria@usb.it
CASSA DI
SOLIDARIETA’ A SOSTEGNO DI TULLIO ROSSI
Luca
Nanfria Unione Sindacale di Base l.nanfria@usb.it
USB SANITA’
LIGURIA: REGIONE, IL TEMPO VESTIZIONE VA RETRIBUITO
La
Città Futura noreply@lacittafutura.it
HONEYWELL, I
CORPI SI ARRENDONO (PER ORA), MA NON GLI ANIMI
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From:
Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Monday, October 23, 2017 12:43 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
NON C’E’ FINE
AI VEL-ENI IN VAL D’AGRI
Riportiamo
una corrispondenza di Maurizio Bolognetti, di Medicina Democratica Basilicata
sui veleni della Val d’Agri.
Si veda anche
il link:
con la
conferenza stampa dell’autore su radio radicale.
Leggi tutto
al link:
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Da: USB
Sanità Notizie sanita@usb.it
A:
Data: Tue, 31
Oct 2017 12:00:42 +0100
Oggetto: LA
TUTELA DEL PREPOSTO “LA SENTINELLA DELLA SICUREZZA”
A volte si ha
come la sensazione che questo ruolo, erroneamente, sia poco considerato nella
sua importanza e se ne sottovalutino anche le eventuali ricadute sotto l’aspetto
penale.
Questo
vademecum non ha pretesa di essere esaustivo, ma di esplorare le responsabilità
e i rischi del preposto sotto diversi aspetti attenendoci alle attuali
normative di legge ovvero il D.Lgs. 81/08 e s.m.i. senza dimenticare Sentenze
di Cassazione che possono indicare l’attuale linea di giudizio.
DEFINIZIONE
DI PREPOSTO
Partiamo da
come il D.Lgs.81/08 definisce il preposto (articolo 2, comma 1, lettera e):
“preposto è
la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di potere
gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli,
sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive
ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed
esercitando un funzionale potere di iniziativa”.
Ma allora chi
sono i preposti?
Il datore di
lavoro non è tenuto a stilare un elenco con i nominativi incaricando
ufficialmente alcune figure.
E quindi?
Dobbiamo
andare a leggere l’articolo 299 del D.Lgs. 81/08 che recita:
“Le posizioni
di garanzia relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b),d)
ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare
investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei
soggetti ivi definiti”.
Nel settore
sanitario sono le Coordinatrici/Coordinatori (le caposala, i caposala come
venivano definiti in passato).
Per quanto
riguarda gli altri settori basta semplicemente fare un parallelo (ad esempio
capocantiere, capoturno, ecc.).
QUALI SONO
GLI OBBLIGHI DEL PREPOSTO?
Secondo
l’articolo 19 del D.Lgs. 81/08, il preposto deve:
“a)
sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei
loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di
salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei
dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di
persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti;
b) verificare
affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano
alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;
c) richiedere
l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso
di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo
grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona
pericolosa;
d) informare
il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e
immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in
materia di protezione;
e) astenersi,
salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di
riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un
pericolo grave ed immediato;
f) segnalare
tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi
e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia
ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle
quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta;
g)
frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall’articolo
37”.
Ma facciamo
un esempio concreto inerente il settore sanitario (lettera a).
Dagli ultimi
dati INAIL vi è un incremento delle malattie professionali.
Quando a un
lavoratore/trice, in base al giudizio di idoneità del Medico Competente sono
state prescritte delle prescrizioni (ovvero può svolgere determinate mansioni,
ma con adeguati accorgimenti tipo utilizzo di ausili o lavorare sempre in
coppia) oppure limitazioni (ovvero non può svolgere determinate mansioni)
presta servizio in un reparto, sarà compito, oltre che del lavoratore/trice (ma
conosciamo i rischi a cui potrebbe andare incontro) del preposto vigilare che
siano rispettate.
Quindi, per
tutelarsi, il preposto dovrà, per ogni lavoratore/trice facente parte della sua
organizzazione, conoscere i seguenti dati:
- eventuale limitazione/prescrizione;
- sorveglianza sanitaria
- formazione sicurezza in base ai rischi del reparto (visionare il Documento
di Valutazione dei Rischi)
QUALE
FORMAZIONE DEVE AVERE IL PREPOSTO?
Secondo
l’articolo 37 del D.Lgs. 81/08 “Formazione dei lavoratori e dei loro
rappresentanti”
“[...]
7. I
dirigenti e i preposti ricevono a cura del datore di lavoro, un’adeguata e
specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri
compiti in materia di salute e sicurezza del lavoro. I contenuti della
formazione di cui al presente comma comprendono:
a) principali
soggetti coinvolti e i relativi obblighi;
b)
definizione e individuazione dei fattori di rischio;
c)
valutazione dei rischi;
d)
individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di
prevenzione e protezione.
7-bis. La
formazione di cui al comma 7 può essere effettuata anche presso gli organismi
paritetici di cui all’articolo 51 o le scuole edili, ove esistenti, o presso le
associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori.
[...]
12. La
formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione
con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui
si svolge l’attività del datore di lavoro, durante l’orario di lavoro e non può
comportare oneri economici a carico dei lavoratori.
13. Il
contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i
lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze
necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ove la formazione
riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione
e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo”.
Una recente
sentenza della Cassazione condanna il preposto pur in assenza di specifica
formazione, in concorso con il datore di lavoro, per l’infortunio occorso ad un
lavoratore (Corte di Cassazione Penale Sezione IV Sentenza n. 18090 del 10
aprile 2017).
SANZIONI PER
IL PREPOSTO
Ed infine,
non certo ultime come importanza, arriviamo le sanzioni a cui un preposto può
andare incontro.
Queste sono
contenute nell’articolo 56 del D.Lgs. 81/08:
“1. I
preposti sono puniti nei limiti dell’attività alla quale sono tenuti in
osservanza degli obblighi generali di cui all’articolo 19:
a) con
l’arresto da uno a tre mesi o con l’ammenda da 500 a 2.000 euro per la
violazione dell’articolo 19, comma 1, lettere a), e), f);
b) con
l’arresto sino a un mese o con l’ammenda da 300 a 900 euro per la violazione
dell’articolo 19, comma 1, lettere b), c), d);
c) con
l’ammenda da 300 a 900 euro per la violazione dell’articolo 19, comma 1,
lettera g)”.
Come detto
all’inizio quest’informativa non è da considerare esaustiva.
Molti sono i
quesiti che ci poniamo e molti arriveranno in una continua ricerca del
miglioramento della sicurezza:
- perché le prescrizioni del Medico Competente sono molto vaghe?
- quali responsabilità ha il preposto (solitamente addetto all’organizzazione
dei turni) sui mancati riposi e mancato smaltimento delle ore in esubero in
caso di richiesta danni di una lavoratrice/lavoratore?
- fino a quando continuerà questo imbarazzante silenzio della politica su una
materia così seria come la sicurezza sul lavoro (pensate che in questo periodo
la Giunta Regionale presenta il nuovo Piano Sanitario Liguria citando il
rispetto del D.Lgs. 626/94 ormai abrogato e che anche sulla pagina del sito
della Regione Liguria è rimasta la stessa dicitura)?
Su molte
questioni siamo agli albori non per ultime i rischi psicosociali solitamente
neanche menzionati sul Documento di Valutazione dei Rischi.
Genova, 27
ottobre 2017
Osservatorio
Nazionale Sanita USB per la sicurezza sul lavoro
Luca Nanfria
RLS IRCCS
Gaslini
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From:
Assemblea Lavoratori assemblealavoratori@yahoogroups.com
To:
Sent:
Thursday, November 09, 2017 3:22 AM
Subject:
NELLA BATTAGLIA DELL’ACCIAIO, GENOVA PROTAGONISTA CONTRO I LICENZIAMENTI!
Lo scontro
sull’acciaio è una contesa mondiale che vede, oggi come in altre fasi passate,
in primo piano l’Europa con al centro gli stabilimenti siderurgici
dell’ex-ILVA.
La reazione
dei lavoratori di Genova-Cornigliano, decisa in assemblea, ha portato
all’occupazione dello stabilimento, ponendosi come protagonisti di una
trattativa in atto che vede come controparte Acelor-Mittal (AM), uno dei gruppi
mondiali dell’acciaio tra i più aggressivi sul piano delle ristrutturazioni e
dei licenziamenti.
La lotta dei
lavoratori di Cornigliano dimostra come con la loro grande capacità di
mobilitazione e di organizzazione, sono stati in grado a più riprese nei mesi
scorsi di coinvolgere l’intera città di Genova e altre categorie di lavoratori
ad iniziare dai portuali.
Inoltre
sottolineiamo che questi lavoratori hanno saputo, in una fase drammatica,
“tenersi” e sviluppare una organizzazione sindacale partecipata e funzionante
che altrove purtroppo non esiste più.
Sulla
trattativa in atto con AM, il ministro dello sviluppo economico (Calenda) ha di
fatto centralizzato la trattativa su di sé; questo è il ministro più liberista
dell’attuale governo, per cui l’azione dei lavoratori ha come centralità la
partecipazione e il controllo della trattativa.
Giustamente
non si fidano.
Di fronte al
licenziamento di 4.000 lavoratori, (da questi calcoli viene escluso l’indotto),
di cui 600 solo a Cornigliano, in una realtà come quella di Genova dove la
perdita di posti di lavoro è in costante e drammatico aumento, l’occupazione
della fabbrica segna un punto di resistenza fondamentale dei lavoratori, del
sindacato, e della stessa CGIL.
Ora la
battaglia dei lavoratori a Genova deve essere assunta da tutta l’organizzazione
sindacale e da tutti i lavoratori e cittadini di Genova in primo luogo.
Non esiste
alcuna politica industriale se non si produce acciaio. C’è da augurarsi che la
FIOM riesca a portare tutta la CGIL su questa battaglia, affinché la vertenza
contro i licenziamenti diventi il centro dell’iniziativa di tutto il sindacato.
I lavoratori
e gli attivisti sindacali FIOM di Cornigliano assieme decideranno le iniziative
dei prossimi giorni. Non faremo mancare la nostra partecipazione, portando la
necessaria solidarietà e promuovendo iniziative di sostegno.
CONTRO I
LICENZIAMENTI SOLIDARIETA’ DI CLASSE!
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From:
Federazione Toscana PCARC federazionetoscana@gmail.com
To:
Sent:
Thursday, November 09, 2017 5:02 PM
Subject: FARE
COME ALLA GINORI E ALL’ILVA, OCCUPARSI DELLE AZIENDE E USCIRNE PER RIPRENDERSI
IL PAESE!
A cento anni
dalla Rivoluzione d’Ottobre, la classe operaia rialza ancora la testa! Fare
come alla Ginori e all’ILVA, occuparsi delle aziende e uscirne per riprendersi
il paese!
La mattina
del 7 novembre gli operai della Richard Ginori di Sesto Fiorentino hanno
occupato la fabbrica per opporsi all’attacco che va avanti da ormai un anno con
minacce di trasferimento dell’azienda e 87 lavoratori dichiarati in esubero.
Qualunque cosa ne dica Gucci (e i padroni suoi complici in affari e in politica),
il suo unico intento è trarre profitto dalla speculazione, non dalla
produzione, e condurre la fabbrica più o meno lentamente alla morte. A riprova
di questa linea c’è la mancanza, ad oggi, di uno straccio di piano industriale
e il continuo ricorso a contratti di solidarietà “concessi” dopo diversi
scioperi. Insomma, Gucci vuole fare come in decine e decine di casi simili in
Toscana e come stanno facendo per due grandi insediamenti industriali come la
Piaggio di Pontedera e l’acciaieria ex Lucchini di Piombino.
Oltre allo
smantellamento del tessuto produttivo, per far fronte alla crisi da
sovrapproduzione assoluta di capitale in tutti i paesi imperialisti la
borghesia si accanisce sulla legislazione del lavoro (Jobs Act, “modello
Marchionne”, riforma Fornero, ecc.) e contro quegli operai e delegati sindacali
che si organizzano per fare fronte agli effetti delle politiche padronali.
Ecco, allora,
il dilagare della repressione aziendale, come accade agli NCA (Nuovi Cantieri
Apuani) di Marina di Carrara dove un delegato sindacale ha subito tre
provvedimenti disciplinari in poche settimane, o all’Hitachi Rail di Pistoia
dove tre lavoratori sono stati allontanati arbitrariamente dal posto di lavoro
(http://www.linealibera.info/solidarieta-ai-tre-operai-allontanati-dal-posto-di-lavoro) per fatti accaduti fuori dalla fabbrica e per questo ritenuti “non
graditi”. Ma questo accanimento conferma l’importanza e la centralità della
classe operaia e del ruolo che i proletari aggregati nelle aziende capitaliste
e nelle aziende e istituzioni pubbliche possono svolgere nella rivoluzione
socialista: altro che scomparsa della classe operaia!
Dobbiamo
essere consapevoli che le aziende sono in crisi perché la società borghese è in
crisi, quindi ogni azienda deve diventare (può diventarlo) un focolaio di lotta
per costruire l’alternativa economica, politica e sociale allo stato di cose
presenti. Oggi il peggiore errore delle organizzazioni sindacali, anche delle
migliori e ben intenzionate, è mantenere sulla difensiva milioni di lavoratori,
di limitarsi, nel migliore dei casi, a mobilitarli quando il padrone attacca,
quando il padrone minaccia di ridurre i posti di lavoro, di delocalizzare o
chiudere, di ridurre salari e peggiorare le condizioni di lavoro, di eliminare
i diritti conquistati. Ma limitarsi a difendersi, in una fase come questa, vuol
dire perdere, votarsi alla sconfitta. Noi diciamo che è necessario far valere
la forza della classe operaia e delle masse popolari, non solo per resistere ma
anche per costruire un ordinamento economico, politico e sociale conforme ai
loro interessi, la società socialista.
Dalla
battaglia della Ginori del 2013, ma anche da quella odierna degli operai della
Rational di Massa, abbiamo imparato che l’importanza di ogni lotta, ancora più
che nei risultati immediati, sta nel contributo che dà alla crescita
dell’organizzazione e all’elevazione della coscienza dei protagonisti, gli
operai, ed è anche in virtù di questo insegnamento che come Partito dei CARC
promuoviamo la linea di costruire Organizzazioni Operaie che lavorino al di là
delle sigle sindacali, che dettino i tempi e i metodi della lotta, senza
aspettare il sindacato e senza delegare a questo le sorti del proprio lavoro e
del futuro dell’azienda; organizzazioni che oltre a “occuparsi” della fabbrica
ne escano per legarsi al movimento di resistenza delle masse popolari
organizzate del territorio: studenti, disoccupati, immigrati, comitati
ambientalisti come le Mamme No Inceneritore, e che facciano propria la linea di
imporre un governo d’emergenza, un Governo di Blocco Popolare.
Compagni, di
fronte alla crisi del capitalismo sono due le vie opposte:
- quella della borghesia imperialista, del clero e dei loro seguaci e agenti
che ricorrono e ricorreranno sempre più a manovre d’ogni genere per fornire più
soldi e potere alle banche, alle istituzioni finanziarie e ai grandi
capitalisti a discapito degli interessi delle masse popolari alimentando la
guerra tra poveri;
- quella delle Organizzazioni Operaie e Popolari che costituiscono un loro
governo d’emergenza che realizzi il programma delle Sei Misure Generali e che
apra la strada alla rivoluzione socialista nel nostro Paese:
- assegnare a ogni azienda compiti produttivi secondo un piano nazionale: nessuna azienda deve essere chiusa!
- eliminare tutti quelle attività e produzioni inutili e dannose per l’uomo e per l’ambiente, assegnando alle aziende altri compiti: basta con gli avvelenatori, gli speculatori e gli squali!
- assegnare a ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli in cambio le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società: nessun lavoratore deve essere licenziato o emarginato!
- distribuire i prodotti alle aziende, alle famiglie, agli individui e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, conosciuti e democraticamente decisi: a ogni adulto un lavoro utile, a ogni individuo una vita dignitosa, a ogni azienda quanto serve per funzionare!
- stabilire relazioni di collaborazione o di scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi!
- iniziare a riorganizzare le altre relazioni e attività sociali in conformità alla nuova base produttiva!
Questo è il
“piano di guerra” che serve alla classe operaia e al resto delle masse popolari
per vincere, il piano su cui chiamiamo a discutere e confrontarsi gli elementi
avanzati della classe operaia e delle masse popolari, il piano che
propagandiamo nelle iniziative a cui stiamo partecipando in questi giorni come,
per l’appunto, l’occupazione della Ginori ma anche il presidio davanti ai NCA
che va avanti da una settimana contro i licenziamenti di alcuni lavoratori, e
che propaganderemo allo sciopero generale del 10 novembre a cui chiamiamo a
partecipare gli stessi lavoratori della Richard Ginori.
Compagni, a
100 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, la rivoluzione socialista è ancora
l’unica via per porre fine al catastrofico corso delle cose che la borghesia
infligge all’umanità per prolungare il suo sistema di dominio. Ebbene, facciamo
di queste lotte, dello sciopero generale del 10 e della manifestazione dell’11
novembre a Roma della Piattaforma Sociale Eurostop una mobilitazione per
rendere il Paese ingovernabile ai vertici della Repubblica Pontificia e una
battaglia nella lotta per imporre il Governo di Blocco Popolare; l’unico che
potrà difendere i diritti strappati con la Resistenza antifascista attuando le
parti progressiste della Costituzione da sempre disattese a partire da un
lavoro utile e dignitoso per tutti, che prenda nelle sue mani la direzione del
Paese e li estenda abolendo i debiti e gli interessi verso le banche e la UE,
cacciando la NATO (siamo occupati da 116 basi!), abolendo i privilegi della
classe dominante: Vaticano compreso.
Questa
“scuola di comunismo” farà avanzare, nel nostro Paese, la rivoluzione
socialista e spingerà anche gli altri paesi ad avanzare nella rottura del
sistema imperialista mondiale e nell’edificazione di nuovi paesi socialisti.
Occuparsi
delle aziende, da Cornigliano a Sesto Fiorentino fino a Taranto e Piombino!
Nessun posto di lavoro deve essere perso, cacciamo i padroni e chi li
spalleggia!
Costruire il
Governo di Blocco Popolare per avanzare verso il socialismo, a cento anni dalla
Rivoluzione d’Ottobre ancora la soluzione strategica al marasma che ci
circonda!
Partito dei
CARC Federazione Toscana
cellulare:
333 10 65 972
Facebook:
Partito dei CARC Toscana
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From: Posta
Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent:
Thursday, November 16, 2017 12:32 AM
Subject:
POLITICHE DEGLI ATTIVI (AZIENDALI): IL GIOCO DELLE TRE CARTE DELL’ANPAL
Che il Jobs
Act ci abbia messo in mutande ormai è una verità acquisita. In nome di una
presunta guerra alla precarietà, privi della fondamentale tutela dell’articolo
18, siamo diventati tutti precari. I padroni intanto continuano comunque imperterriti
ad assumere con contratti a termine, che ormai hanno superato la soglia record
del 14% del totale dei contratti di lavoro.
Insieme alla
fregatura per chi di noi lavora si è aggiunta poi la fregatura per chi un
lavoro lo cerca: dal primo gennaio del 2017 la NASPI ha preso il posto della
mobilità. Calcolata al 75% dell’imponibile degli ultimi quattro anni di lavoro
(e non al contratto di base di categoria, com’era per la cassa integrazione)
viene ridotta del 3% ogni mese a partire dal quarto, per mettere ulteriore
pressione a chi cerca un posto nel far west del mercato del lavoro italiano. Di
colpo, ma all’interno di un processo che parte dal pacchetto Treu e arriva alla
riforma Fornero, sono spariti quindi alcuni dei diritti collettivi conquistati
dai lavoratori del nostro paese negli anni passati.
In cambio, le
speranze individuali di un mercato sempre più liberalizzato in cui la facilità
di licenziare dovrebbe tradursi in facilità di assumere. Al momento, in realtà,
i nuovi posti di lavoro, sempre più precari e malpagati, ci sono costati
miliardi di euro di sgravi fiscali regalati alle imprese, mentre il tasso di
occupazione ha continuano a crescere meno della media europea. In nostro
soccorso dovrebbero però finalmente arrivare gli strumenti previsti nella
seconda parte del Jobs Act stesso, quella in cui è stata per l’appunto
istituita l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL).
Cardine di
queste politiche è l’assegno di ricollocazione, previsto per i disoccupati che
percepiscono la NASPI da almeno 4 mesi. L’assegno, di entità che va da 250 fino
a 5.000 euro a seconda del profilo di occupabilità del disoccupato e della
tipologia contrattuale, viene riconosciuto direttamente alle agenzie
interinali, ora chiamate agenzie per il lavoro. Uno strumento insomma, che
dovrebbe essere allargato, come previsto dalla legge di Bilancio 2018 di
imminente approvazione, a quei lavoratori posti in cassa integrazione
straordinaria, che fino allo scadere di questa, avranno la possibilità di usufruire
dei servizi per la ricollocazione.
L’eventuale
impresa che dovesse assumere il lavoratore, avrà accesso alla decontribuzione
per un anno, facendo felici gli imprenditori italiani che attraverso la voce
del Sole 24 Ore auspicavano qualche settimana fa ad un suo rilancio come
strumento di gestione delle crisi aziendali. Sempre nel giornale di
Confindustria si poteva leggere che “il modello di riferimento sembra essere
quello di Almaviva, dove all’assegno di ricollocazione ha aderito l’87,7% dei
lavoratori, per i quali ci sono al momento alcune centinaia di offerte di
lavoro potenziali e si stanno aggiungendo altre imprese interessate ad
assunzioni spiegano dall’ANPAL”.
Si perché
oltre a un gruppo di qualche decina di migliaia di disoccupati selezionati casualmente,
i primi a sperimentare queste famigerate “politiche attive” sono stati proprio
i lavoratori Almaviva di Roma. Noi la loro vicenda, purtroppo, la conosciamo
bene e sappiamo le trafile che hanno dovuto subire dopo aver perso il posto di
lavoro a causa del ricatto del loro padrone. Conosciamo i numerosi presidi
sotto la sede della Regione Lazio per essere ascoltati prima e dopo l’uscita
dei bandi di questo fantomatico progetto, per capire cosa li stesse aspettando.
A oggi nulla funziona e nulla si muove e che ora vengano addirittura presi a
esempio ci fa veramente ridere. E soprattutto di raccontare l’ennesima truffa
che si sta profilando ai danni della classe lavoratrice italiana.
Ai nostri
ex-lavoratori l’ANPAL ha fatto firmare un Patto di Servizio Personalizzato
(PSP) sponsorizzando grandi aspettative. Peccato che a distanza di dieci mesi,
corsi di formazione e riqualificazione non ce ne sono stati. Il tanto
fantomatico progetto non ha ricollocato nessuno né tanto meno riqualificato.
All’’orizzonte ci sono solo un paio di preselezioni (per un totale di 120
posti) per proposte di lavoro come operatore call center con condizioni
economiche e contrattuali che anche da soli e senza tutto questo baraccone gli
sperimentali disoccupati almaviviani di Roma potevano trovare.
Questo è ciò
che resta della grande manovra per il “salvataggio” dei 1.666 ex lavoratori
Almaviva, più ovviamente una massa di soldi pubblici che finiranno in mano ai
privati: innanzitutto alle suddette imprese che si occupano di “formazione”, le
quali riceveranno fino a 5.000 € per lavoratore. Imprese private che dovrebbero
essere controllati dall’ANPAL al cui interno però, per una clamorosa, ma non
casuale ironia, lavorano centinaia di precari (70% del personale totale) il cui
rendimento può essere giudicato anche dal numero di nuovi contratti attivati!
Poi alle
aziende che benevolmente decidono di assumere pescando nel bacino di
disoccupati finiti nel giro dell’ANPAL si ritroveranno con sgravi contributivi
di un anno o bonus pari al 50% dell’importo dell’indennità residua NASPI. E non
solo per gli assunti a tempo indeterminato (che tanto ormai non è più tale) ma,
per un importo minore, anche per gli assunti con un contratto a termine di
almeno 6 mesi!
Quanto poi
alle condizioni in cui questi lavoratori devono essere assunti la legge dice
che la retribuzione offerta deve essere superiore di almeno il 20% rispetto
all’indennità percepita nel mese precedente. Proviamo a fare un esempio
concreto prendendo il caso di una lavoratrice G.: Ipotizziamo che G.,
inquadrata con un contratto part-time III livello del CCNL telecomunicazioni,
percepiva al momento del cessato rapporto lavorativo uno stipendio mensile di
750 € (compresi i fantastici 80 € del Bonus Renzi), ad un anno dalla sua
entrata in stato di disoccupazione il suo assegno mensile sarà di circa 430 €
(in quanto l’assegno della NASPI viene decurtato del 3 % a cominciare dal
quarto mese). G. quindi si vedrebbe costretta ad accettare un’offerta di lavoro
di 529 €, si ritroverebbe quindi a dover lavorare con una retribuzione minore
di quella prevista dal CCNL! Questa l’offerta definita “congrua” che non
potrebbe rifiutare!
Quando alcune
nostre amiche ex-lavoratrici hanno messo l’ANPAL di fronte al fatto che molte
di loro avevano contratti part-time e che quindi la soglia di congruità si
sarebbe abbassata al punto da costringerle ad accettare offerte di lavoro con
stipendi praticamente inesistenti, l’ente ha risposto, del tutto impreparato,
con il classico: “le faremo sapere”.
Questo è il
progetto pilota delle nuove politiche attive in Italia! Perché il vero senso di
politiche come queste è semplicemente riciclare forza lavoro: insomma cacciare
dalla porta di servizio lavoratori ormai sfruttati all’osso per poi farli
rientrare dalla porta di ingresso della azienda vicina grazie alla spinta di
nuovi finanziamenti pubblici. Poi, magari, esce fuori che le aziende che si
riprendono i lavoratori sono di proprietà o scatole cinesi delle stesse che li
hanno licenziati o magari appartengono allo stesso gruppo industriale.
Vi sembra
fantascienza? Allora non sapete che a poche settimane dal termine della
vertenza di Almaviva Contact che ha portato alla chiusura del sito di Roma,
Almaviva SpA, cioè la sorella informatica della stessa azienda, si è
aggiudicata un appalto per la pubblica amministrazione (soldi nostri) di 850
milioni di € per 5 anni. Nuova commessa nuove possibili assunzioni.
Il ministro
Calenda, anziché gridare allo scandalo, si è detto contento delle “aperture”
mostrate dall’azienda di fronte al suo “auspicio” che “se dopo i corsi di
formazione i lavoratori avranno le competenze necessarie alla società che si
occupa di informatica, ci sia per loro una corsia preferenziale”, assicurando
anche, ma la legge non lo vieta, che non ci sarebbe nessun bonus per l’azienda.
Ma tra il dire il fare c’è di mezzo il mare e Marco Tripi!
Proviamo ora
a fare un gioco, proviamo a immaginare per assurdo cosa sarebbe accaduto se la
vertenza Almaviva si fosse chiusa secondo la vecchia modalità del walfare
passivo, insomma, cosa sarebbe successo prima della grande invenzione del Jobs
Act e delle Politiche attive: sarebbe successo che 1.666 lavoratori, assunti
con un comune contratto metalmeccanico, a seguito di una crisi aziendale
avrebbero avuto diritto alla cassa integrazione straordinaria per 12 mesi, più
eventualmente altri 12 mesi di mobilità. All’interno di questo regime sarebbe
stato possibile attuare comunque un percorso di riqualificazione delle
competenze, previo però approvazione dello stesso da parte della RSU. Durante
questo periodo si sarebbe potuto arrivare a un accordo per il ricollocamento di
parte dei lavoratori ancora non in esubero e con un inquadramento pari a quello
precedente, rispettoso dei minimi come da CCNL, all’interno della nuova
commessa statale di Almaviva, seguendo inoltre un protocollo attento all’età ed
ai carichi familiari.
Insomma ciò
che ieri era realtà ora ci sembra pura assurdità.
Ciò che
invece ora ci sembra assurdo è che grazie alle nuove politiche attive si resta
“appesi” ad un assegno della NASPI che lentamente ogni mese si prosciuga sempre
di più, portandoci a dover accettare un offerte di lavoro sempre meno
retribuite e con meno diritti.
E se la
manovra delle politiche attive è ancora “ai nastri di partenza”, un primo
scenario futuro si è già delineato per noi lavoratori: salari sempre più da
fame e offerte congrue solo ai profitti delle aziende!
12/11/17
Da: Clash City Workers
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From: Slai
Cobas per il Sindacato di classe tarantocontro@gmail.com
To:
Sent: Friday, November 17, 2017 8:37 AM
Subject: 6 DICEMBRE A TARANTO
Invito a
parti civili nei processi per morti sul lavoro, da inquinamento e disastro
ambientale, avvocati, stampa, associazioni, organizzazioni sindacali.
Incontro
nazionale Taranto 6 dicembre:
- maxiprocesso ILVA e giustizia negata;
- lotta per la salute e il lavoro unitaria dei lavoratori e masse popolari;
- le ragioni di sistema, di stato, di economia di rilevanza nazionale e
internazionale della questione ILVA Taranto.
Ore 11:00
Tribunale Taranto ex Corte d’Appello quartiere Paolo VI
Ore 15:00 –
19:00 Biblioteca Comunale piazzale Bestat
Presenti e
invitati:
- avvocati foro Torino Bonetto, Vitale, Pellegrin;
- Medicina Democratica;
- comitati di lotta per la salute;
- rappresentanti operai, familiari, associazioni;
- parti civili ai processi per morti sul lavoro e inquinamento di Taranto,
regionali e nazionali.
Per
informazioni e adesioni:
347 11 02 638
P.S.
è utile
inviare anche a:
per essere
sicuri di arrivo ai destinatari.
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From: PCARC
Sezione Massa carcsezionemassa@gmail.com
To:
Sent: Friday, November 17, 2017 2:57 PM
Subject: DALLA RATIONAL A NCA: SPEZZIAMO LE
CATENE! INVERTIAMO LA ROTTA!
Il 14
novembre alle ore 18.00, sfidando il freddo di queste serate, oltre 150 persone
hanno partecipato all’Assemblea Pubblica promossa dal Presidio Permanente
Operai NCA.
L’assemblea è
stata caratterizzata da due elementi importanti.
Il Presidio
Permanente ha organizzato questa iniziativa in totale autonomia senza delegare
niente e a nessuno, in particolar modo alle sigle sindacali e alle Istituzioni.
Questo conferma, a NCA come alla Rational, che basta anche un piccolo nucleo di
operai decisi a lottare fino in fondo contro i soprusi del padrone, per
promuovere e sviluppare la mobilitazione di tutto il territorio. Due lotte,
Rational e NCA, che seppur diverse tra loro per diversi aspetti, sono
accomunate da un aspetto fondamentale e determinante: il protagonismo operaio!
L’assemblea
ha visto la partecipazione di importanti soggetti combattivi della classe
operaia e delle masse popolari e diversi organismi: operai GE-Pignone (sia di
Massa che di Avenza), operai Sanac, lavoratori Rational e Eaton (che stanno
lottando per la creazione di una cooperativa), Comitato familiari lavoratori
Rational, Filctem, Casa Rossa Occupata, Collettivo Studenti in Lotta, circolo ARCI
dei Baccanali, ANPI, Comitato Salute Pubblica Massa Carrara, Assemblea
Permanente, Movimento 5 Stelle (di Massa e Carrara), Carrara Bene Comune,
Dem-A, Sinistra Anticapitalista, PRC, numerosi cittadini e lavoratori. Questa
ampia partecipazione è indice della forza e dell’autorevolezza che sta
assumendo il presidio permanente NCA!
A migliaia
sono passati dal piazzale della Rational, a migliaia ne stanno passando da
questo presidio: il nostro territorio ha una gran voglia di lottare! Gli operai
NCA, come quelli della Rational, hanno aperto una strada per difendere il
proprio posto di lavoro, ma non solo. Lavorare alla costruzione di una
cooperativa dei lavoratori Rational-Eaton e lottare per il reintegro di Piero e
Stefano significa, da una parte, difendere e creare nuovi posti di lavoro,
dall’altra, impedire che altri lavoratori vengano licenziati a partire già dai
prossimi mesi.
Il presidio
deve continuare e farsi forza dei risultati positivi ottenuti finora, darsi gli
strumenti per continuare nel modo migliore la battaglia.
Più il
presidio assumerà le caratteristiche di una Tenda del Lavoro (punto di incontro
tra operai, lavoratori, precari, disoccupati, studenti e comitati di lotta in
cui si analizza la situazione, ci si coordina e si elaborano piani d’azione),
più contribuirà alla costruzione della nuova governabilità “dal basso” dei
territori, alla costruzione di un’Amministrazione Locale di Emergenza.
L’Amministrazione delle organizzazioni operaie e popolari che agiscono affinché
anche Sindacati e Istituzioni mettano in campo ogni mezzo e risorsa a sostegno
delle lotte in corso!
3 milioni e
400 mila euro che rimangono da quanto era stato stanziato a suo tempo per la
Eaton, 20 milioni di euro previsti nell’Accordo di Programma firmato nei giorni
scorsi: ecco da dove prendere i soldi per la costruzione della Cooperativa alla
Rational! E ne occorrono soltanto una minima parte!
Minaccia
della revoca della concessione dell’area demaniale a Costantino, amministratore
NCA, conformemente all’articolo 42 della Costituzione (“La proprietà privata
può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per
motivi d’interesse generale”): ecco come fare per dare lavoro a Piero e Stefano
e impedire altri licenziamenti da qui ai prossimi mesi!
Si tratta di
volontà politica! Se mancherà, Sindacalisti e Istituzioni vanno cacciati e
sostituiti con chi nei fatti, non solo a parole, mostrerà il coraggio di
rompere con i diktat imposti, le leggi e le leggine calate dall’alto, per il
bene e nell’interesse dell’intera collettività!
Concludiamo
con una citazione di Costantino: “Il mio errore è stato quello di aver
sottovalutato questo territorio e la sua identità. Non mi sono misurato con
abitudini dure a morire”.
Bene, di una
cosa almeno ha ragione! Il nostro territorio, culla della resistenza
partigiana, non si piegherà all’ennesimo affronto!
Sosteniamo
ogni iniziativa dei lavoratori NCA in presidio!
Portiamo
avanti con determinazione la lotta per la costruzione della cooperativa dei
lavoratori Rational-Eaton!
Partito dei
Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo (CARC)
Sezione di
Massa “Aldo Salvetti”
Spazio
Popolare di Via San Giuseppe Vecchio, 98
telefono 320
29 77 465
Facebook:
Aldo Salvetti (CARC Massa)
Facebook:
Sezione Massa PCARC
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From: MicroMega newsletter@micromega.net
To:
Sent: Friday,
November 17, 2017 4:25 PM
Subject: LA
NUOVA COSCIENZA DI CLASSE: QUELLA DEI SUBALTERNI
In libreria
“Non è lavoro, è sfruttamento” (Laterza Edizioni) di Marta Fana: un viaggio
nelle assurdità del lavoro “moderno” spacciate dal mainstream dominante come
ultimi ritrovati della scienza giuslavoristica. Si passa dal lavoro a chiamata
ai voucher, dal cottimo digitale ai contratti a termine estesi addirittura ai
servizi pubblici fino ad arrivare alla madre di tutte le riforme, il Jobs Act,
che ha precarizzato anche l’ultimo presidio di giustizia ed equità sociale, il
contratto a tempo indeterminato a tutela reale.
Per quale
motivo dinanzi alla legittima protesta degli schiavi della logistica che
incrociano le braccia nei magazzini della SDA di Carpiano, esercitando il
sacrosanto (e costituzionale) diritto di sciopero pensiamo subito,
istintivamente, ai 70 mila pacchi ostaggio dello sciopero dei facchini?
In nome di
quale superiore principio costituzionale abbiamo sacrificato l’integrità fisica
e morale dello studente minorenne di La Spezia il quale, alla guida di un
muletto mentre svolgeva le ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro, ha
subito un gravissimo incidente?
La risposta
possiamo trovarla nell’ultimo saggio di Marta Fana (“Non è lavoro, è
sfruttamento”): siamo preda della “mutazione genetica” degli ultimi trent’anni
“ingloriosi”, che ha generato una vera e propria “antropologia della
subalternità”.
Un Homo novus
si aggira nelle lande desolate del lavoro 4.0: è l’homo subalternus, che
accetta come legge di mercato (e dunque di natura) il proprio ineluttabile
destino di merce lavorativa di scambio a basso costo e in qualsiasi momento
sostituibile.
E’ un viaggio
nelle assurdità del lavoro “moderno” spacciate dal mainstream dominante come
ultimi ritrovati della scienza giuslavoristica: si passa dal lavoro a chiamata
ai voucher, dal cottimo digitale ai contratti a termine estesi addirittura ai
servizi pubblici fino ad arrivare alla madre di tutte le riforme, il Jobs Act,
che ha precarizzato anche l’ultimo presidio di giustizia ed equità sociale, il
contratto a tempo indeterminato a tutela reale.
Il risultato
è, ormai da tempo, sotto gli occhi di tutti, al netto della propaganda di
corte: una precarizzazione che, se da un lato non ha portato la “crescita”
economica tanto agognata (se non nelle tasche del solito 1%), dall’altro ha
generato un “processo di disintegrazione sociale”, ovvero una “condizione di
impoverimento, una vera e propria proletarizzazione di fasce crescenti della
popolazione, a partire dalle giovani generazioni a cui è negato un futuro di
dignità e di riscatto”.
L’impietosa
analisi della Fana, del resto, giunge alla sua conclusione già nel titolo:
questo “Non è lavoro, è sfruttamento”.
Il re è nudo:
dalla Repubblica democratica “fondata sul lavoro” siamo giunti, quasi senza
accorgercene, alla Repubblica fondata sui lavoretti (o “gig economy”, per
utilizzare l’ipocrita neolingua del Jobs Act).
Lo stesso
senso del lavoro, in questa nuova e surreale dimensione, viene totalmente
stravolto: dal lavorare per avere reddito si passa, come in una società
dell’Ancien Regime, all’avere reddito per poter lavorare, se necessario
contraendo debiti, strumenti disciplinari idonei a renderci più remissivi e
meglio sottomessi.
Questa
situazione, tuttavia, “non può essere vissuta passivamente, accettata come
qualcosa di naturale”.
Ecco, proprio
qui sta la novità e, diremmo, il cuore pulsante dell’ultima fatica di Marta
Fana: è l’impulso, l’invito appassionato all’azione verso chi legge affinché si
scuota dal torpore e dalla passività dell’essere subalterno, per dar vita ad un
nuovo agire che è (di fatto) agire politico così come politico, del resto, è
stato il trentennale progetto neoliberista di flessibilizzazione del lavoro, il
cui scopo era tutt’altro che limitato all’ambito economico, essendo al
contrario volto ad imporre un tanto feroce quanto barbaro “dominio di classe”;
una vera e propria “lotta di classe dall’alto verso il basso” per dirla con le
parole del compianto Luciano Gallino.
Lo sforzo
della Fana (e di tutti coloro che tuttavia, compreso chi vi scrive, da tempo
hanno la sensazione di gridare alla luna) è quello di spargere i semi di una
nuova coscienza di classe: quella dei subalterni, ovvero del 99% che,
trasversalmente, ricomprende la classe media caduta in disgrazia negli ultimi
venti anni, la generazione dei trenta-quarantenni cresciuta con il mito della
laurea e finita nel binario morto dei lavori a partita IVA a mille euro al mese
(splendidamente definita da qualcuno come “Quinto Stato”), le nuove generazioni
di studenti destinate, dopo anni di lavoro gratuito, a una miriade di lavori
poveri di reddito e di professionalità, gli schiavi del lavoro migrante e i
lavoratori anziani vittime della Riforma Fornero, costretti a lavori da fame
pur di raggiungere una misera pensione.
E’ quella che
qualcuno ha chiamato “classe esplosiva” e che, dopo essere diventata “classe in
sé”, deve necessariamente trasformarsi in “classe per sé”: senza più deleghe a
nessuno, e senza falsi pudori, questa nuova classe deve avere il coraggio (se
non vuole prima o poi morire di stenti) di utilizzare una nuova sintassi (e una
nuova prassi) lontana dal “politically correct”.
Il riscatto
collettivo di questa comunità (di cui la maggior parte di noi e di chi ci
legge, ne siamo certi, fa parte) non può non partire da una nuova parola
d’ordine: il conflitto, ovvero il “sacrosanto diritto di anteporre i diritti
dei molti ai profitti dei pochi”.
Sopravvivere
significa sovvertire l’ordine contemporaneo del potere economico-sociale: “ben
venga la lotta che prova a ribaltare rivoluzionariamente lo stato di cose
presente”.
di Domenico
Tambasco
8 novembre
2017
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From: Luca
Nanfria Unione Sindacale di Base l.nanfria@usb.it
To:
Sent:
Saturday, November 18, 2017 0:25 AM
Subject:
CASSA DI SOLIDARIETA’ A SOSTEGNO DI TULLIO ROSSI
IO STO CON
TULLIO
CASSA DI
SOLIDARIETA’ A SOSTEGNO DI TULLIO ROSSI
Tullio Rossi,
dirigente USB e delegato RSU, è stato colpito da un doppio provvedimento di
sospensione per un totale di 3 mesi. L’Ospedale Galliera ha così cercato di
mettere a tacere un delegato che si è distinto in questi anni per una ferma e
coerente opposizione al peggioramento delle condizioni di lavoro, alle
privatizzazioni e alle esternalizzazioni, allo smantellamento della sanità
pubblica e alla operazione puramente speculativa del “Nuovo Galliera”.
Un tentativo
evidentemente destinato a fallire perché né Tullio, né USB rinunceranno alle
loro battaglie.
La
sospensione comporta una pesante decurtazione salariale che crea evidentemente
a Tullio e alla sua famiglia seri problemi economici.
USB lancia
quindi una cassa di solidarietà a sostegno di Tullio e della lunga e dura
vertenza che si dovrà affrontare per arrivare alla revoca dei provvedimenti.
I contributi
possono essere versati sul conto corrente intestato a:
USB
Federazione Regionale Liguria
Codice IBAN
IT43 L031 2701 4050 0000 0001 392
Unipol Banca
causale: “IO
STO CON TULLIO”
DIAMO TUTTI
UN CONTRIBUTO PER TULLIO
USB Unione
Sindacale di Base
Via Cantore
29
16149 Genova
telefono: 010
41 69 34
fax: 010 46
61 06
cellulare:
345 22 73 436
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From: Luca
Nanfria Unione Sindacale di Base l.nanfria@usb.it
To:
Sent:
Saturday, November 18, 2017 0:30 AM
Subject: USB
SANITA’ LIGURIA: REGIONE, IL TEMPO VESTIZIONE VA RETRIBUITO
Genova
16 novembre
2017
Il tempo per
indossare la divisa da operatore sanitario va riconosciuto come parte
dell’orario di lavoro e va retribuito.
Il nostro
sindacato, interpretando la richiesta di tanti colleghi, è deciso a portare la
questione all’ordine del giorno nella sanità ligure.
Del resto già
nel 2014 abbiamo avviato nell’ Istituto Gaslini, tramite un nostro delegato,
una causa pilota risultando vincitore di ben due gradi di giudizio e
attualmente in attesa della definitiva sentenza della Cassazione.
Per questo
abbiamo inviato all’Assessorato Regionale alla Sanità una richiesta di apertura
di un tavolo di confronto e di trattativa per arrivare a modificare gli orari
di lavoro che devono includere un minutaggio retribuito che sia sufficiente per
indossare e togliere la divisa da lavoro.
Uguale richiesta
è stata fatta a tutti i gruppi consiliari della Regione per verificare la
disponibilità a presentare una mozione in tal senso.
A conforto
della nostra richiesta abbiamo citato i provvedimenti già presi da due altre
regioni, come la Lombardia e la Toscana.
La prima con
una circolare del 7 agosto 2009 che dava indicazioni alle aziende sanitarie di
avviare accordi in tal senso, successivamente stipulati dalle singole aziende.
La seconda
con la recente Delibera 841 del 31/07/17 che stabilisce precise linee di
indirizzo sulla materia.
Del resto,
sulla materia, vi è un orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione
con ben tre Sentenze a favore (19358 del 2010, 2837 del 2014 e 1352 del 2016)
secondo cui il tempo per la vestizione, se imposto dal datore di lavoro,
rientra a pieno titolo nell’orario di lavoro.
Ed inoltre il
Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66 stabilisce, all’articolo 1, comma 2,
lettera a), che, per “orario di lavoro”, s’ intende “qualsiasi periodo in cui
il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e
nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
Analogamente
la Direttiva del 23 novembre 1993 n. 104 del Consiglio dell’Unione Europea
indica, ai sensi dell’articolo 2 punto 1, come rientrante nell’orario di lavoro
qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia a disposizione del datore di lavoro
e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni.
Coordinamento
USB Sanità Liguria
---------------------
From: La
Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Sunday,
November 20, 2017 6:35 AM
Subject:
HONEYWELL, I CORPI SI ARRENDONO (PER ORA), MA NON GLI ANIMI
di Carmine
Tomeo
18/11/17
Dopo 60,
lunghissimi giorni rientra lo sciopero dei lavoratori Honeywell, sconfitti da
una multinazionale arraffona che vuole chiudere lo stabilimento. Ma di fronte
alla loro lotta dobbiamo togliere il cappello.
Non sono
bastati 60 giorni di sciopero ininterrotto. Non è bastato un presidio permanente,
giorno e notte davanti i cancelli della fabbrica, né i picchetti davanti i
magazzini per impedire che la produzione fosse portata via. Al ministero dello
Sviluppo economico la multinazionale Honeywell Garrett ha scoperto le carte.
Quello che da luglio denunciavano lavoratori e sindacati nonostante le smentite
dell’azienda si è concretizzato: chiusura dello stabilimento; 420 lavoratori e
lavoratrici a casa, senza contare l’indotto, che conta ad esempio i lavoratori
dei magazzini esternalizzati. C’erano anche loro, infatti, lo scorso 15
novembre, mercoledì sera all’assemblea dei lavoratori Honeywell: chiedevano di
non essere lasciati soli. Quando la Honeywell dismetterà il sito in Val di
Sangro, ad Atessa (CH), quei magazzinieri rischiano il posto di lavoro.
Questa
vicenda non ha nulla di particolare da raccontare se si osservano le dinamiche
che hanno condotto alla prossima chiusura del sito italiano Honeywell. Siamo di
fronte alla solita vicenda di accaparramento di soldi pubblici, cinica ricerca
di profitto, movimenti di capitali, delocalizzazioni che non guardano in faccia
a niente e nessuno, se non di aumentare la redditività aziendale. Lo
stabilimento di Atessa è tutt’altro che una fabbrica decotta. Si tratta
dell’unico stabilimento in Italia di questa multinazionale a fabbricare
turbocompressori. Uno stabilimento che ha macinato grandi numeri e che
tutt’oggi, nonostante la crisi economica mondiale, ha continuato a fare utili
ed una produzione di oltre 700.000 turbocompressori l’anno destinati alle più
grandi e prestigiose case automobilistiche.
Negli anni in
cui la multinazionale statunitense è stata in Abruzzo ha potuto godere di
quella generosità che lo Stato non mostra con i lavoratori, beneficiando: di
oltre 4,5 miliardi di lire nel 1999 grazie ai benefici della Legge 64 del 1986;
di una serie di finanziamenti con la famosa Legge 488, per un ammontare
complessivo di circa 4,5 milioni di euro; 1,8 milioni di euro per credito
d’imposta sfruttando la Legge 388; qualcosa come un miliardo di euro di esenzioni
fiscali, beneficiate dal 1992 al 2002. Ma alla Honeywell non è bastato spremere
le casse statali ed i lavoratori con richieste di flessibilità e sacrifici
sempre crescenti, ora vuole andare a spremere finché può casse statali e
lavoratori slovacchi.
In
Slovacchia, infatti, la Honeywell ha cominciato a costruire uno stabilimento
nel 2012. Un investimento di quasi 40 milioni di euro, la metà dei quali, però,
sono soldi pubblici. Nello stabilimento slovacco la Honeywell ha realizzato una
produzione identica a quella che ad Atessa terminerà entro il primo semestre
del prossimo anno. Una scelta calata come un macigno sui lavoratori abruzzesi
ai quali la Honeywell in questi anni ha imposto sacrifici e flessibilità in
nome della produttività e della redditività aziendale che ora la massima
dirigenza Honeywell godrà in Slovacchia.
Di
straordinario, in questa vicenda, c’è invece la tenacia dei lavoratori. Lo
sciopero è rientrato mercoledì sera, con una decisione dell’assemblea dei
lavoratori dopo che l’azienda ha dimostrato di non essere disposta ad alcuna
trattativa, ma soprattutto dopo una lotta durata 60 lunghi, estenuanti giorni
di sciopero senza interruzioni, con due presidi permanenti, con la tensione di
una vertenza difficile, la pioggia, i turni, le meschinità padronali. Uno
sciopero che per durata e intensità è stato qualcosa di straordinario, che ha
visto il blocco delle merci, camion che hanno cercato di forzare il presidio,
avvocati nascosti dentro i camion che cercavano di portar via la produzione nell’evidente
tentativo di intimorire i lavoratori. E poi il ricatto tentato dal ministro
Calenda, che aveva cercato di forzare la sospensione dello sciopero e del
blocco dei cancelli minacciando che in caso contrario non avrebbe convocato il
tavolo ministeriale con la multinazionale e che incontrerà i sindacati il
prossimo 21 novembre.
Niente ha
fermato la lotta dei lavoratori Honeywell che hanno mantenuto lo sciopero fino
a pochi giorni fa. Gramsci, parlando dei lavoratori della Fiat che dopo un mese
di sciopero rientrarono al lavoro, scrisse che “non c’è vergogna nella
sconfitta degli operai Fiat, non si può domandare più di quanto hanno dato
questi compagni che sono ritornati al lavoro, tristemente, accoratamente,
consapevoli della immediata impossibilità di resistere oltre o di reagire”.
Quei lavoratori della Fiat rientrano al lavoro dopo un mese. I lavoratori della
Honeywell hanno resistito 60 giorni di sciopero ininterrotto e con presidi
permanenti davanti i cancelli della fabbrica e dei magazzini, senza stipendio.
Lavoratori che sapevano di lottare per sé e non solo, come ha dimostrato la
presenza di RSA dei magazzini esternalizzati all’assemblea di mercoledì sera.
Questa
vertenza insegna ancora una volta che lasciare la decisione di cosa, come e
quando produrre solo in mano all’impresa è il ruolo che ha assunto uno Stato
retto da chi ha accettato il dominio del profitto sulla democrazia,
dell’impresa sui lavoratori. E’ un ruolo attivo che lo Stato non subisce
semplicemente, ma che svolge con consapevolezza. Come dimenticare, ad esempio,
che nel governo di quel Renzi che si ricandida a governare il Paese e che
qualcuno a sinistra continua a considerare un interlocutore, c’era allo
Sviluppo economico una certa ministra Guidi che praticava le delocalizzazioni
come strumento per ingrossare i propri profitti a scapito dei lavoratori e che
ne rivendicava l’opportunità per migliorare la competitività aziendale? Quella
competitività aziendale in nome della quale sono state avanzate riforme (Jobs
Act, Fornero, pensioni, per fare qualche esempio) che hanno indebolito la
classe lavoratrice, rendendola più precaria, più ricattabile, più povera, più
vulnerabile.
A questo
comportamento infame della Honeywell e di chi permette che queste cose possano
avvenire sulla pelle dei lavoratori, i dipendenti Honeywell che per 60 giorni
hanno lottato con sciopero e presidi permanenti hanno insegnato a una
multinazionale arraffona e senza scrupoli e a una politica compiacente e
opportunista cos’è la dignità e cosa significa lottare per difendere lavoro,
diritti e democrazia reale.
Come per i
lavoratori della Fiat descritti da Gramsci, “nulla è perduto se i corpi si
arrendono, ma non gli animi”. E nell’assemblea del 15 novembre si è notato che
la coscienza della necessità della lotta non è venuta meno. E allora, adesso
tocca anche ad altri: alle istituzioni, ai soggetti politici, sindacali e
sociali, ai lavoratori del territorio unirsi ai lavoratori della Honeywell per
difendere il diritto al lavoro e non darla vinta all’avidità di profitto.
Intanto,
adesso, bisogna togliersi il cappello di fronte alla lotta dei lavoratori
Honeywell.
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