Il proletariato impegnato nel lavoro di fabbrica in Sicilia
e in particolare nell’area di Palermo è concentrato in alcuni stabilimenti: a
Palermo città lavorano alla Fincantieri; a circa 40 chilometri di distanza, a
Termini Imerese, gli operai della Blutec-ex Fiat.
Fincantieri di Palermo
Fincantieri è un colosso mondiale della costruzione navale
con nove stabilimenti in Italia e diversi nel mondo di proprietà, nella
sostanza, del governo con 7.500 operai solo in Italia.
E' in continuo sviluppo industriale in tutto il mondo ed
espansione/integrazione di altri comparti.
A Palermo lavorano in 430, di cui circa 300 operai e un
centinaio di impiegati. Oltre agli operai Fincantieri vengono impegnati in
diversi momenti alcune altre centinaia di operai delle ditte appaltatrici che
impiegano anche tanti operai stranieri.
Gli operai della Fincantieri in generale sono impegnati in
lavori di riparazione e trasformazione di navi. Gli operai Fincantieri veri e
propri sono a loro volta impegnati nella carpenteria pesante, saldatura, taglio
lamiere ecc., altri con problemi o già anziani sono impiegati nei magazzini.
Gli operai delle ditte appaltatrici fanno invece i lavori
peggiori e più pericolosi come per esempio la pulitura delle sentine, saldature
nelle parti più inaccessibili delle navi.
Gli operai negli ultimi anni sono stati impegnati
soprattutto nella salvaguardia del posto di lavoro. La Fincantieri infatti ha
ridotto progressivamente di molto il numero degli operai, di fatto non
sostituendo più chi andava via o per il beneficio amianto e
per la pensione, ed ha allargato il perimetro dei lavori dati in appalto.
La lotta per il contratto è stata marginale con qualche ora
di sciopero di “routine” mentre quella per il lavoro è stata la più
significativa di questi anni
Adesso c’è quella particolare iniziata da un gruppo di
operai di una officina – di fatto uno sciopero di mezzora al giorno da circa un
anno - a causa del tentativo dell’azienda di imporre lo spostamento della pausa
pranzo a fine turno di lavoro, (poi la “concessione” di una pausa di 10
minuti), per il “recupero della produttività”, come dice l’azienda, (il turno
normale è di otto ore di lavoro con una pausa pranzo di mezz'ora, tra le 11,30
e le 12, e una pausa caffè di 5 minuti). Quello della produttività è un
“argomento” molto usato dall’azienda tanto che non ha voluto pagare il “premio
di produttività” che invece è stato pagato a operai di altri stabilimenti.
Gli operai Fincantieri sono per la maggior parte sindacalizzati,
iscritti alla Fiom, alla Fim, alla Uilm, la cui “azione” consiste
fondamentalmente in comunicati stampa che denunciano la mancanza di commesse,
riunioni con la direzione e la gestione di alcune vertenze legali come quella
sull’amianto.
Alla Fincantieri c’è una pesante questione sicurezza: a
parte la lunga vertenza sull’amianto che ha visto uscire dall’azienda un
migliaio di operai e che ha i suoi strascichi per gli ammalati e i morti tra
gli operai e i loro parenti – decine ancora le vertenze legali in corso – ci
sono le condizioni di lavoro in generale: le condizioni spesso fatiscenti dei
bacini di carenaggio, le attrezzature spesso vecchie, i lavori pesanti, le
condizioni atmosferiche, l’utilizzo di grandi gru.
Il piano aziendale degli ultimi anni consiste
nell’assegnazione di commesse di breve durata legate solo alla riparazione,
manutenzione e trasformazione di navi (non più nuove costruzioni da almeno 13
anni), costruzione di strutture per la perforazione petrolifera (off-shore)
delle navi, e da poco anche carpenteria pesante intesa come costruzione di
ponti in ferro. Ultimamente si sta smantellando anche l’officina dei tubisti,
con un carico di lavoro complessivo che diminuisce costantemente, così come il
numero degli operai.
All’interno della “vertenza” generale si inseriscono altri
“attori” e cioè la Regione Sicilia, che è proprietaria dei bacini di carenaggio
e l’Autorità portuale che controlla diverse aree vicine alla Fincantieri che da
un lato si lamenta appunto con la Regione per la “mancanza di infrastrutture” e
l’impegno delle somme promesse, circa 50 milioni di euro – ma ne servono almeno
un centinaio, per la ristrutturazione dei bacini che sono diventati vecchi e
pericolosi (completamento di quello da 150mila tonnellate, ristrutturazione di
quello da 19mila e allargamento di quello da 52mila a 80mila) e dall’altra è
impegnata in incontri con l’Autorità portuale per l’assegnazione di nuove aree.
L’amministratore delegato in persona, Giuseppe Bono, insiste
su questo, come ha detto in una dichiarazione di circa un mese fa:
“infrastrutture senza le quali Fincantieri non può fare più di quello che fa
attualmente”, scaricando di fatto spese per investimenti e relative
“responsabilità” su altri.
Il cantiere navale così com’è, comunque, continua a generare
profitti. La Fincantieri mantiene inoltre un caposaldo industriale gigante
strategico al centro del Mediterraneo.
Alla lotta talvolta molto forte degli operai l’azienda ha
risposto con la repressione sia interna con cassa integrazione, lettere di
contestazione generalizzate per “assenteismo", che con denunce penali per
le ultime manifestazioni davanti il Cantiere (che i sindacati e gli stessi
operai tendono a “minimizzare”, non rendendole pubbliche, né costruendoci sopra
iniziative); per il controllo operaio c’era stato anche il tentativo di
inserire i microchip nelle scarpe, iniziativa per il momento abbandonata.
Lo “spazio di manovra” degli operai della Fincantieri di
Palermo che è l’unico vero polmone operaio di produzione industriale della città
risiede in alcuni punti di forza: ancora il numero non indifferente, la
“rendita di posizione” delle lotte passate che si trascinano un “prestigio”
riconosciuto oltre che da tanti altri settori lavorativi anche dalle
istituzioni coinvolte, Comune, Regione, cercando di superare l’attuale
appiattimento sulle “scelte” dei sindacati confederali neocorporativi che di
fatto impongono una divisione tra gli operai.
Sarebbe necessaria una strategia di lotta che, facendo leva
sullo “stato di depressione” cui questi sindacati hanno ridotto il cantiere
spingesse da un lato, a livello nazionale, per una ripartizione più equa del
carico di lavoro tra gli stabilimenti in comune con gli operai degli altri
stabilimenti che sono estremamente sovraccarichi, e dall’altro lato
“approfittare” della debolezza del padrone nei momenti di produzione, per
esempio ritardando il varo di una nave, ecc. che incide molto nel profitto.
Blutec (ex Fiat) Termini Imerse
In fabbrica lavorano 135 operai di cui circa 40 trasformati
in “progettisti” dopo un corso di alcuni mesi, impegnati nella progettazione di
un nuovo motore elettrico e con un orario 8-16, il resto è impegnato sia nei
corsi che nella produzione materiale dei prototipi, e altri compiti, tornieri,
piegatori di lamiere, con orario 4+4 (4 ore di “lavoro” e 4 di corso
regionale), e altri 2+6, (2 di lavoro e 6 di corso regionale).
Gli operai licenziati il 31 dicembre 2011 sono stati circa
700 Fiat e circa 400 delle Ditte dell’indotto. Adesso il numero di tutti questi
operai rimasti fuori dalla fabbrica è di circa 500 ex Fiat e circa 300 indotto
(a causa dei pensionamenti, “accompagnamenti” alla pensione ecc.).
Dal 31 dicembre 2011 la fabbrica è stata chiusa ed è rimasta
in attesa della riapertura fino a quattro anni fa quando è stata rilevata dalla
Blutec del Gruppo Metec/Stola, un’azienda storicamente legata alla Fiat per la
quale produce da sempre varie parti che compongono le auto (la cosiddetta
componentistica).
In questi 4 anni il piano presentato dalla Blutec che
prevedeva la riassunzione di tutti gli operai è stato modificato continuamente
e non è mai stato messo in atto realmente.
Quest’ultimo “piano” prevede che operai e impiegati siano al
lavoro sul motore elettrico che dovrebbe essere impiantato sul Doblò Fiat
prodotto in Turchia (commessa da 6.800 unità che a dire dell’azienda dovrebbe
partire a pieno regime da gennaio) e di uno scooter a tre ruote elettrico per
le Poste e che è stato presentato qualche mese fa al salone di Torino.
Nella sostanza attualmente gli operai non lavorano a nessuna
produzione in serie. Anzi la situazione si è complicata con la revoca da parte
del governo delle agevolazioni finanziarie legate al progetto industriale e
l’azienda si è messa d’accordo con Invitalia per la restituzione dei primi 20
milioni di euro sugli 80 complessivi. In più in questi giorni l’azienda ha
comunicato di aver scorporato gli stabilimenti abruzzesi e lucani.
A causa anche della minaccia della scadenza della cassa
integrazione ogni anno (da 7 anni!) e che deve essere rinnovata con la
presentazione di un “piano industriale” gli operai sono rimasti legati ai
sindacati confederali neocorporativi Fiom, Fim, Uilm ecc.
Per una possibilità di riapertura della lotta si dovrebbe
usare il punto di forza del numero ancora molto grande.
Il quadro generale di questa azienda si può inserire in
quello più grande della Fca per la quale la Blutec produce componentistica, ma
anche come possibile polo di lancio della produzione dei veicoli elettrici,
settore in cui la Fca è veramente indietro rispetto ai concorrenti, è anche per
questo che si può riaprire prima di tutto la questione FCA che si deve
riprendere in una qualche forma questi lavoratori e/o ne deve garantire il
futuro lavorativo.
Per fare passi avanti su questo è necessario che gli operai
si autorganizzino per lottare - si colleghino agli operai autorganizzati della
FCA presenti negli altri stabilimenti - fuori e contro i sindacati confederali
- fuori e contro la ricerca di destini individuali e accettazione della
divisione tra operai di serie A e operai di serie B.
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