LE “FREQUENTLY ASKED
QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.9
Nella
mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro,
spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a
svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di
ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella
mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di
Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi
pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche
risposte a domande su temi molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso
diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked
Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia
newsletter.
Ovviamente,
per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i
lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto
il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.
************
Ciao Marco,
ho un dubbio.
Io sono preposto in un appalto
(impresa di pulizie).
Lavoriamo di sera fino alle 22. Se
sono presente aspetto l’uscita di tutti gli addetti prima di andarmene cosi da
avere la certezza che tutti stiano bene, ma quando non ci sono io questa
mansione dovrebbe essere svolta dal preposto di fatto che si rifiuta e alle
21.55 sono già tutti nei pressi della timbratrice, lasciando indietro i
lavoratori più lenti.
Se dovesse accadere qualcosa duranti
la mia assenza posso essere considerato responsabile?
Ciao,
presumo da quanto scrivi che tu sia
stato nominato preposto in maniera formale.
Tu operi correttamente aspettando
l’uscita di tutti i lavoratori e da questo punto di vista non hai nessuna
responsabilità.
Il problema si pone quando tu non ci
sei ed è presente quello che tu definisci un “preposto di fatto”, quindi
persona con responsabilità (anche se non formale, appunto di fatto) nei
confronti degli altri lavoratori che non si attiene a quanto tu fai.
Il problema è che tu, in quanto
preposto, sei a conoscenza di una situazione di potenziale pericolo per i
lavoratori, non per causa tua, ma per causa sia dell’altro “preposto di fatto”,
sia della mancanza di una procedura aziendale formale che imponga a te e, in
tua assenza, all’altro preposto di fatto di aspettare l’uscita di tutti i
lavoratori.
Tieni conto che l’articolo 19, comma
1, lettera f) del D.Lgs.81/08 (Testo Unico per la sicurezza) impone come obbligo
a carico del preposto quello di:
“segnalare tempestivamente al
datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle
attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni
altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali
venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta”.
Pertanto, tu, essendo venuto a conoscenza di una situazione di
pericolo (il fatto che alcuni lavoratori rimangano da soli), hai l’obbligo di
segnalarlo (possibilmente in maniera formale) al tuo dirigente o datore di
lavoro, specificando che, mentre tu aspetti tutti i lavoratori, il tuo collega
non lo fa e chiedendo di formalizzare una procedura o un ordine di servizio che
imponga anche al tuo collega di aspettare tutti i lavoratori.
In questo modo ti sollevi completamente da qualunque responsabilità.
Se l’azienda non definisce la procedura e/o non vigila sull’operato del tuo
collega in tua assenza, non è certo colpa tua.
Ma la segnalazione del pericolo è comunque cosa da fare.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco
************
Buongiorno
Marco,
vorrei
porti un quesito, riguardante la sicurezza a scuola.
Sono
una maestra statale di Sanremo. L'insegnante fiduciaria del plesso in cui
lavoro oggi mi ha consegnato un modulo da compilare, e restituire al dirigente
dell’istituto scolastico, in cui io dovrei dichiarare che dal giorno X ho
portato nella mia sede di servizio uno strumento di personale proprietà (a
copertura di carenza strumentale dell’istituzione) con descrizione dello stesso
(ad esempio computer, iPad, ecc.).
Nonostante
io sia stata, in passato, anche RLS, non riesco a capire in base a quale
normativa io dovrei dichiarare quali strumenti di mia proprietà uso a scuola.
Se
puoi, per favore, fammi sapere se sono tenuta o meno a compilare il modulo.
Ti
ringrazio sin d'ora.
Ciao,
innanzitutto
trovo aberrante che la scuola pubblica chieda ai professori di portare propria
strumentazione “a copertura di carenza strumentale dell’istituzione”.
D’altro
canto se agli alunni si chiede di portate la carta igienica, non ci si può
aspettare altro.
Da
un punto di vista della sicurezza sul lavoro, non ci sono particolari
responsabilità, in quanto strumenti come computer, tablet, ecc. sono marcati CE
e quindi sicuri.
Credo
che il modulo che ti vogliono fare firmare sia una forma di garanzia nei tuoi
confronti in caso di furto, rottura o altro. Pertanto oltre al tipo di
strumentazione segna anche il modello e numero di matricola
Tieni
conto però che prestando una tua attrezzatura alla scuola, rientri comunque
nell’ambito di applicazione del D.Lgs.81/08.
Infatti
l’articolo 72 comma 1 di tale Decreto impone come obblighi a carico dei noleggiatori e dei concedenti in uso il seguente:
“Chiunque venda, noleggi o
conceda in uso o locazione finanziaria macchine, apparecchi o utensili costruiti o
messi in servizio al di fuori della disciplina di cui all'articolo 70, comma 1, deve attestare, sotto la
propria responsabilità, che le stesse siano conformi, al momento della consegna
a chi acquisti, riceva in uso, noleggio o locazione finanziaria, ai requisiti
di sicurezza di cui all'allegato V”.
Nel tuo caso tu concedi in uso, a titolo gratuito, la tua attrezzatura
alla scuola e quindi ricadi, almeno teoricamente, nell’ambito di applicazione
di tale articolo.
Ripeto però che non ci sono particolari problemi, in quanto se si
tratta di attrezzature elettroniche (computer, tablet, ecc.) queste sono
sicuramente marcate CE e quindi certificate secondo le applicabili Direttive
Europee di Prodotto (Direttiva Bassa Tensione e Direttiva Compatibilità
Elettromagnetica). Quindi esse non rientrano tra le attrezzature costruite “al di fuori della disciplina di cui all'articolo 70,
comma 1” e tu
non devi fare proprio niente.
Ti consiglio comunque, onde evitare possibili problemi, di
aggiungere la frase:
“Il sottoscritto manleva
ogni responsabilità derivante da un uso non conforme alle istruzioni del
fabbricante dell’attrezzatura portata all’interno della scuola”, tanto per
garantirti da eventuali usi non conformi (ad esempio smontaggio della parte
elettrica) dell’attrezzatura.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco
************
Ciao Spezia,
sono RSU di
Cobas del privato.
Ti invio
questa richiesta.
In un
magazzino logistica abbiamo indetto elezioni per il RLS e per sfortuna ha vinto
una candidata UIL, la quale non è mai in azienda e ci risulta in malattia o
permesso (non sappiamo). Ma comunque è assente dal magazzino da febbraio 2015.
Cosa
possiamo fare?
Il secondo
eletto era Cobas.
Possiamo
chiedere all’azienda di sollevare dall’incarico il RLS, mettere al suo posto il
secondo eletto o indire nuove elezioni.
Ti ringrazio
per la risposta.
Ciao,
ho
analizzato i CCNL relativi al settore logistica privata, ma nessuno di essi
esamina il caso che tu segnali, né da indicazioni su come sfiduciare o chiedere
le dimissioni di un RLS che non svolga in maniera corretta il proprio ruolo.
Tieni
conto che anche il D.Lgs.81/08 (Testo Unico sulla Sicurezza) attribuisce al RLS
dei diritti, ma nessun dovere o obbligo legislativo.
Dei
CCNL esaminati l’unico che affronta l’aspetto dei RLS è il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di
Logistica, Trasporto merci e Spedizione del 29 gennaio 2005, che all’articolo
43 “Rappresentante per la sicurezza (RLS), specifica quanto segue:
“1) La
figura del RLS è disciplinata dall'articolo 18 del D.Lgs.626/94 [attualmente
articolo 47 del D.Lgs.81/08], in base al
quale detta figura è eletta o designata in tutte le aziende o unità produttive,
nonché dall'Accordo interconfederale del 24/07/96.
2)
Nelle aziende o unità produttive fino a 15 dipendenti il RLS è eletto
direttamente dai lavoratori al loro interno. Ai sensi del citato articolo 18,
del D.Lgs.626/94, nelle aziende che occupano fino a 15 dipendenti il RLS può
altresì essere individuato per più aziende nell'ambito territoriale; la
disciplina del Rappresentante territoriale per la sicurezza e le relative
modalità di nomina saranno stabilite in sede di contrattazione integrativa
territoriale anche nell'ambito degli Osservatori regionali.
3)
Nelle aziende o unità produttive con più di 15 dipendenti i RLS si individuano
tra i componenti della RSU. La procedura di elezione è quella applicata per le
elezioni della RSU. Nei casi in cui la
RSU non sia stata ancora costituita (e fino a tale evento) e
nell'unità produttiva operino le RSA, i RLS sono eletti dai lavoratori al loro
interno.
4)
I RLS restano in carica 3 anni”.
Il citato Accordo Interconfederale del
24 Luglio 1996 Tra Confetra e CGIL, CISL e UIL sulla Sicurezza sul Lavoro si
limita a specificare le modalità di elezione o designazione del RLS.
Nelle aziende o unità
produttive fino a quindici dipendenti le modalità sono le seguenti.
“L'elezione
si svolge a suffragio universale diretto e a scrutinio segreto, anche per candidature
concorrenti. Risulterà eletto il lavoratore che ha ottenuto il maggior numero
di voti espressi.
Prima
dell'elezione, i lavoratori nominano tra di loro il segretario del seggio
elettorale, il quale, a seguito dello spoglio delle schede, provvede a redigere
il verbale dell'elezione. Il verbale è comunicato senza ritardo al datore di
lavoro.
Hanno
diritto al voto tutti i lavoratori iscritti a libro matricola e possono essere
eletti tutti i lavoratori non in prova con contratto a tempo indeterminato che
prestano la propria attività nell'unità produttiva.
La
durata dell'incarico è di 3 anni”.
Nelle aziende o unità
produttive con più di quindici dipendenti le modalità sono le seguenti.
“All'atto
della costituzione della RSU il candidato a rappresentante per la sicurezza
viene indicato specificatamente tra i candidati proposti per l'elezione della
RSU.
La
procedura di elezione è quella applicata per le elezioni delle RSU.
Nei
casi in cui sia già costituita la
RSU ovvero siano ancora operanti le rappresentanze sindacali
aziendali, per la designazione del rappresentante per la sicurezza si applica
la procedura che segue.
Entro
novanta giorni dalla data del presente accordo i RLS sono designati dai
componenti della RSU al loro interno.
Tale
designazione verrà ratificata in occasione della prima assemblea dei
lavoratori.
Nei
casi in cui la RSU
non sia stata ancora costituita (e fino a tale evento) e nella unità produttiva
operino le RSA delle organizzazioni sindacali aderenti alle Confederazioni
firmatarie, i RLS sono eletti dai lavoratori al loro interno secondo le
procedure sopra richiamate per le unità produttive con numero di dipendenti
inferiore a 16, su iniziativa delle organizzazioni sindacali.
In
assenza di rappresentanze sindacali in azienda, i RLS sono eletti dai
lavoratori dell'azienda al loro interno secondo le procedure sopra richiamate
per il caso delle unità produttive con numero di dipendenti inferiori a 16, su
iniziativa delle Organizzazioni Sindacali.
Il
verbale contenente i nominativi dei RLS deve essere comunicato alla direzione
aziendale, che a sua volta ne dà comunicazione, per il tramite
dell'associazione territoriale di appartenenza, all'organismo paritetico
territoriale che terrà il relativo elenco.
I
rappresentanti per la sicurezza restano in carica 3 anni”.
Nel vostro caso pertanto non avete molti spazi
di manovra.
Una prima cosa che ti consiglio di fare è
verificare che l’elezione o designazione della RLS della UIL sia stata fatta
secondo quanto stabilito dall’Accordo di cui sopra, richiamato a sua volta dal
vostro CCNL.
Se ciò non è stato fatto potete contestare le
modalità di elezione o designazione e richiedere che essa sia ripetuta e svolta
secondo l’Accordo.
Se invece le elezioni si sono svolte secondo
le modalità previste, non vi resta che convincere la RLS a dimettersi (magari
coinvolgendo la UIL
locale), giustificando la richiesta con l’oggettiva difficoltà o impossibilità
per la RLS di
svolgere il proprio ruolo e poi richiedere di indire una nuova elezione o
designazione.
Se la
RLS non si vuole dimettere, non vi resta che aspettare la
scadenza del mandato triennale (secondo CCNL e Accordo).
Rimane un’ulteriore possibilità che però non è
avvallata da sostegno legislativo, né contrattuale che è quella di richiedere
l’intervento del RLS Territoriale (possibilmente della UIL) a cui fare presente
che, tenendo conto che la RLS
aziendale non è in grado di svolgere il suo ruolo, è necessario che esso venga
svolta appunto dal RLS Territoriale.
Nulla potete invece nei confronti
dell’azienda, in quanto essa non ha alcun poter in merito alla elezione del RLS
e allo svolgimento dei sui compiti, ma ha solo l’obbligo di permettergli
l’esercizio delle sue attribuzioni. Se il RLS non esercita tali attribuzioni,
l’azienda non è tenuta a farglielo fare.
A disposizione per eventuali chiarimenti.
Marco
************
Buongiorno
Marco,
chi ti
scrive è un RLS di una grossa cooperativa di lavoratori che si occupa di
logistica, movimentazione merci, ricevimento e spedizioni merci.
Da qualche
mese nel nostro magazzino è stato introdotto il “voice picking”, cioè la
preparazione degli ordini su bancale tramite sistemi di riconoscimento vocale,
introdotto dal datore di lavoro per velocizzare i processi aziendali, in
sintesi per aumentare la produttività.
Il principio
di base del sistema è quello di sostituire al video di un terminale i comandi
vocali trasmessi nella cuffia, e, al lettore di barcode, o alla tastiera, la
voce dell'operatore raccolta dal microfono. I sistemi per il riconoscimento
vocale identificano come dati le parole pronunciate dai lavoratori e forniscono
come risposta le istruzioni e le conferme via audio.
Questa
tecnologia, a mio modesto avviso, comporta comunque dei rischi, legati
all'inquinamento elettromagnetico: 8 ore al giorno con la cuffia e il
dispositivo sempre acceso.
In rete
internet non ho rintracciato riscontri su possibili rischi alla salute dei
lavoratori che utilizzano questa nuova tecnologia. Se tu fossi a conoscenza di
problematiche relative a questo tema, te ne sarei molto grato.
Ti ringrazio
anticipatamente.
Ciao,
personalmente
non ho esperienze dirette sul sistema di “voice picking”, né ho trovato documentazione
sul rischio da campi elettromagnetici (CEM) relativo a tale tecnologia.
Per mia
esperienza personale, relativa a CEM di sistemi di trasmissione dati wireless,
ti posso però dire che, stando almeno ai limiti definiti dal D.Lgs.81/08
(Decreto), non sussistono particolari rischi.
In
particolare ho eseguito misurazioni dirette di intensità di CEM ad alta
frequenza sui seguenti apparati, simili come frequenze di emissione e potenza
al sistema “voice picking”:
-
reti
wireless aziendali;
-
sistemi di
trasmissione dati da monitor su gru portuali;
-
sistemi di
trasmissione dati da monitor su carrelli elevatori.
In tutti
tali casi i valori misurati per il campo elettromagnetico “E” risulta di pochi
V/m (minori di 5) a fronte del limite più cautelativo (in funzione della
frequenza) definito dalla parte B dell’Allegato XXXVI del Decreto, che è di 61
V/m tra i 10 e i 400 MHz.
Gli apparati
misurati, anche se non a diretto contatto con la testa dell’operatore,
risultavano in molti casi (carrelli e gru) molto vicini (meno di 200 mm) dalla testa.
Ritengo
quindi che anche per i sistemi di “voice picking” i valori di “E” di cui sopra
non debbano essere superati.
Ti ricordo
comunque che è obbligo specifico del datore di lavoro della tua azienda
aggiornare il Documento di Valutazione del Rischio (DVR) a seguito
dell’introduzione del sistema di “voice picking” (articolo 29, comma 3 del
Decreto), in quanto trattasi “di modifiche del
processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini
della salute e sicurezza dei lavoratori”.
La
valutazione del rischio da CEM è disciplinata dal Titolo VIII Capo IV del
Decreto, che all’articolo 209, comma 1, specifica che il datore di lavoro,
nell’ambito del DVR di cui agli articoli 17, comma 1, lettera a), 28 e 29 “valuta e, quando necessario, misura o calcola i livelli
dei campi elettromagnetici ai quali sono esposti i lavoratori”.
************
NOTA
Nel
testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i
seguenti acronimi e termini:
ASL
= Azienda Sanitaria Locale
CCNL
= Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI
= Dispositivi di Protezione Individuali
DVR
= Documento di Valutazione dei Rischi
DUVRI
= Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori
in appalto
RSPP
= Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
RLS
= Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza
D.Lgs.81/08
o Decreto: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e
integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza”)
I DIRIGENTI DEVONO
GARANTIRE LA SICUREZZA
ANCHE SE NON HANNO UN’INVESTITURA FORMALE
Da
Il Sole 24 Ore
22
gennaio 2016
Giovanni
Negri
Sono
rimasti inerti di fronte alla gravità dello sciame sismico che colpiva L’Aquila
già da mesi, e che era particolarmente insistente la notte del crollo del
Convitto Nazionale (tre ragazzini morti e due feriti) il 6 aprile 2009, mentre
i due imputati, entrambi con posizione di garanzia, avrebbero dovuto dichiarare
da tempo l’inagibilità della scuola la cui instabilità era nota.
Almeno
quella notte, avrebbero potuto organizzare l’evacuazione degli studenti.
Per
queste ragioni la Corte
di Cassazione con Sentenza del 21/01/16, ha confermato le condanne per omicidio
colposo e lesioni per l’ex Rettore del Convitto e per l’allora dirigente provinciale
responsabile dell’edilizia scolastica.
“La
situazione di allarme sismico era talmente conclamata che il sindaco di
L’Aquila aveva disposto la chiusura di tutte le scuole del centro storico” -
ricorda la sentenza - “Se fosse stata fatta la valutazione di pericolosità, non
sarebbe mancata una analoga ordinanza di inagibilità che avrebbe salvato gli
allievi del convitto”.
La Corte di Cassazione,
poi, sul piano più squisitamente giuridico, interviene a favore di una
concezione sostanziale della posizione di garanzia. In questo senso è maestra la Sentenza delle Sezioni
Unite Penali del 24 aprile 2014 sulla vicenda Thyssen-Krupp per la quale la
posizione di garanzia può essere prodotta non solo da un’investitura formale,
ma anche dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di
garante.
Di
particolare importanza è allora concentrare l’attenzione sulla concreta
organizzazione della gestione del rischio: milita in questo senso, osserva la Corte, l’articolo 299 del
Testo unico sulla sicurezza del lavoro.
Del
resto, avverte la Sentenza,
bisogna fare riferimento “a una visione eclettica della fondazione del ruolo di
garanzia che ha in parte superato la storica concezione formale. Si è
sviluppata una elaborazione sostanzialistico-funzionale che non fa più leva
tanto su profili formali quanto piuttosto sulla funzione dell’imputazione per
omissione, connessa all’esigenza di natura solidaristica di tutela di beni
giuridici attraverso l’individuazione di un soggetto gravato dal ruolo di
garante della loro protezione”.
Si
tratta di un’impostazione che, agli occhi dei giudici della Cassazione,
presenta una pluralità di vantaggi. Innanzitutto, nella prospettiva
dell’ordinamento penale, seleziona in senso restrittivo il dovere di agire
nell’ambito di una sterminata lista di obblighi presenti nell’ordinamento.
In
questo modo possono anche essere fronteggiate situazioni nelle quali, anche se
esiste un vizio della fonte contrattuale dell’obbligo, c’è stata l’assunzione
effettiva di un ruolo di garante, la cosiddetta, precisa la Corte, presa in carico del
bene protetto. Come pure possono essere affrontate situazioni analoghe a quelle
previste dalla fonte legale dell’obbligazione, come nel caso della consolidata
convivenza in un rapporto familiare o istituzionale.
DEPENALIZZAZIONE: I
CHIARIMENTI DEL MINISTERO DEL LAVORO
Da
Studio Cataldi
14
febbraio 2016
di
Valeria Zeppilli
DEPENALIZZAZIONE:
I CHIARIMENTI DEL MINISTERO DEL LAVORO
LE
INDICAZIONI CONTENUTE NELLA CIRCOLARE MINISTERIALE 6/15 IN RELAZIONE AI REATI
COINVOLTI DALLA RIFORMA
Anche
il Ministero del Lavoro, con la circolare numero 6 del 5 febbraio 2016 ha detto la sua in
materia di depenalizzazione, fornendo chiarimenti operativi a tutto il
personale ispettivo, per permettere un’applicazione corretta delle nuove
previsioni, in particolare quelle riguardanti la materia del lavoro e della
legislazione sociale.
Il
Ministero ha innanzitutto ricordato che la depenalizzazione è esclusa per i
reati di cui al Testo Unico in materia di salute e sicurezza dei luoghi di
lavoro, che, quindi, conservano la loro natura penale anche nel caso in cui
siano puniti con la sola pena pecuniaria.
Per
gli illeciti coinvolti nella depenalizzazione, invece, il Ministero chiarisce
che due sono i regimi sanzionatori oggi previsti: quello applicabile agli
illeciti commessi prima del 6 febbraio (cosiddetto “regime intertemporale”) e
quello applicabile agli illeciti commessi dopo (cosiddetto “regime ordinario”).
Chiarendo, quindi, come devono comportarsi gli organi ispettivi nell’uno e
nell’altro caso.
La Circolare ricorda, poi, che
a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 8/16 il reato di omesso versamento
delle ritenute previdenziali e assistenziali, di cui all’articolo 2, comma
1-bis, del Decreto Legge numero 463 del 1983 è oggi “scomposto” in due diverse
fattispecie di illecito: una di natura penale e l’altra di natura
amministrativa.
In
particolare, è penale il caso in cui l’omissione ecceda i dieci mila euro
annui: la sanzione, in tal caso, continua infatti ad essere quella della
reclusione fino a tre anni e della multa fino a 1.032 euro.
E’
invece ora soggetta alla sola sanzione amministrativa compresa tra 10.000 euro
e 50.000 euro l’omissione che non eccede i 10.000 euro annui.
Il
tutto con la precisazione generale che il datore di lavoro che provvede al
versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica
dell’avvenuto accertamento della violazione non è penalmente punibile né
amministrativamente sanzionabile.
Il
Ministero chiarisce poi che per individuare l’Autorità Competente a contestare
la relativa sanzione occorre far riferimento al criterio di cui all’articolo
35, comma 2, della Legge 689/81, in base alla quale l’ordinanza-ingiunzione per
le violazioni consistenti nell’omissione totale o parziale del versamento di
contributi e premi è emessa dagli enti e istituti gestori delle forme di
previdenza e assistenza obbligatori. Ovverosia, dalla sede provinciale INPS
territorialmente competente.
la Circolare numero 6 del 5
febbraio 2016 del Ministero del Lavoro è scaricabile all’indirizzo:
FIBRE ARTIFICIALI VETROSE: LE LINEE GUIDA E EFFETTI SULLA SALUTE
Da:
PuntoSicuro
28 gennaio 2016
di
Tiziano Menduto
Le nuove linee guida inerenti i rischi di esposizioni alle fibre artificiali vetrose e i potenziali effetti sulla salute.
Gli
effetti infiammatori sulle strutture polmonari, gli effetti irritativi, il
rischio cancerogeno e gli obiettivi delle linee guida.
Le fibre artificiali vetrose, chiamate anche con
l’acronimo FAV, sono
materiali che appartengono ad un’ampia famiglia di fibre artificiali
inorganiche, con caratteristiche che differiscono non solo in funzione
dell’utilizzo finale ma anche delle modalità di produzione. In relazione al processo
produttivo possiamo ad esempio distinguere:
-
fibre a filamento continuo: prodotte per fusione in filiere e
successiva trazione (il diverso tenore di silice ne condiziona le differenti
proprietà tecniche e i relativi utilizzi in campo tessile, per usi elettrici,
per rinforzo per plastica e cemento);
-
lane (di
vetro, lana di scoria e lana di roccia): prodotte dopo fusione delle materie
prime, principalmente per fibraggio in centrifuga o centrifugazione/soffiatura
(buona resistenza alla trazione e bassa resistenza all’impatto e all’abrasione,
alto isolamento termico-acustico);
-
fibre ceramiche: prodotte con soffiatura/filatura, attraverso processi
chimici a temperature più elevate (hanno un’estrema resistenza alle alte
temperature, bassa conducibilità termica,elettrica ed acustica, risultano
inattaccabili dagli acidi);
-
fibre speciali (microfibre di vetro).
E
proprio in relazione alla grande diffusione di queste fibre per le particolari
proprietà delle FAV il Ministero della Salute è intervenuto prima con la Circolare n. 23 del 25 novembre 1991 e successivamente ha
istituito un gruppo di lavoro che è arrivato alla definizione delle linee guida
“Le Fibre Artificiali Vetrose (FAV): Linee guida per l’applicazione della
normativa inerente ai rischi di esposizioni e le misure di prevenzione per la
tutela della salute”, approvate dalla Conferenza Permanente per i rapporti tra
lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano nella seduta
del 25 marzo 2015.
A
presentare e raccontare in questo modo le linee guida approvate è un intervento
di Giancarlo Marano (Ministero della
Salute) che si è tenuto al recente convegno organizzato da Assoprev e dal
titolo “FAV - Le fibre artificiali vetrose. Linee
Guida della Conferenza Stato Regioni sui rischi e le misure di prevenzione per
la tutela della salute” (Milano, 3 Dicembre 2015).
Nell’intervento
“FAV: obiettivi delle linee guida e percorso di
elaborazione”, a cura di Giancarlo Marano, si indicano
brevemente le motivazioni che hanno portato alla stesura delle linee guida:
-
necessità
di differenziazione dei rischi in relazione alle diverse caratteristiche delle
FAV;
-
assenza
di stime del numero degli esposti per ragioni professionali;
-
assenza
di valori limite o di riferimento per le FAV riguardanti la qualità dell’aria
in ambienti di lavoro;
-
necessità
di sistematizzare le informazioni sulla tossicità delle FAV in relazione alla
classificazione in ambito REACH e CLP.
Motivazioni
che comprendevano anche la necessità di rispondere alle sollecitazioni pervenute dalle ASL in relazione a diverse
problematiche per gli Operatori della Prevenzione nell’intervenire e verificare
la conformità in tutte le fasi di utilizzo delle FAV, dalla commercializzazione,
all’uso e controllo dei materiali fibrosi sintetici da rimuovere.
Era
poi necessario fornire informazioni aggiornate e corrette alla popolazione sui
possibili effetti sulla salute che possono derivare da un’esposizione a FAV e
sul prevedibile impatto sulla salute e sull’ambiente in occasione di
demolizioni con possibile liberazione di fibre nell’aria circostante.
L’intervento
si sofferma ampiamente anche su alcune considerazioni generali relative agli effetti sulla salute della FAV.
Ad
esempio si indica che:
-
la
forma, le dimensioni e il rapporto dimensionale lunghezza/diametro (L/D), sono
parametri importanti per la tossicità di una qualsiasi fibra in quanto ne
determinano le proprietà aerodinamiche, che condizionano sostanzialmente le
caratteristiche di inalabilità, deposito e biopersistenza;
-
gli
effetti sulla salute che possono derivare da un’esposizione a FAV risultano
sostanzialmente condizionati dall’interazione tra le caratteristiche
chimico-fisiche e tossicologiche presentate dalle diverse fibre, rispetto alle
capacità difensive dell’organismo esposto; capacità che possono variare in
relazione a fattori di rischio voluttuari (fumo di sigaretta) e per fattori di
rischi individuali in grado di incidere negativamente sui meccanismi difensivi
che assicurano la rimozione, l’allontanamento e l’espulsione o la dissoluzione
delle particelle o fibre depositate, in rapporto al livello, durata e modalità
di esposizione.
E
riguardo ai potenziali effetti infiammatori sulle
strutture polmonari si indica che:
-
come
conseguenza del loro depositarsi in un qualunque tratto delle vie respiratorie,
le FAV in rapporto alle caratteristiche di biopersistenza possedute, sono in
grado di attivare processi infiammatori, con presenza di cellule infiammatorie
negli spazi alveolari, interstiziali peribronchiali e perivasali;
-
per
le fibre ad elevata biopersistenza, attraverso l’attivazione di fibroblasti e
la deposizione di matrice connettivale possono innescarsi anche alterazioni
anatomopatologiche del parenchima polmonare.
In
particolare gli effetti irritativi
delle FAV con diametro maggiore di 4μm su cute e mucose sono oramai accertati
(NIOSH, 2006). Gli effetti irritativi comunque osservati sarebbero da ascrivere
ad azione di tipo meccanico (sfregamento) e non alla composizione chimica. Non
sono invece risolutive, per l’esiguità degli studi disponibili, le osservazioni
relative a patologie cutanee allergiche attribuite ad additivi utilizzati per
la lavorazione delle FAV.
Veniamo
al rischio cancerogeno.
Riguardo
alla cancerogenicità le diverse caratteristiche fisiche e chimiche delle FAV non
permettono un’individuazione generalizzata degli eventuali meccanismi di
cancerogenesi potenzialmente correlabili all’esposizione, anche in relazione
alle potenzialità cancerogene mostrate da alcune FAV (fibre ceramiche), che ne
ha determinato la classificazione come cancerogene, il meccanismo dell’azione
tossica non risulta ancora del tutto chiarito. In analogia a quanto rilevato
nei confronti dell’asbesto, anche in questo caso si potrebbe assumere che il
coinvolgimento di queste fibre artificiali nella produzione di radicali liberi
di ossigeno possa rappresentare uno degli elementi più importanti nel dare il
via al processo di oncogenesi, innescando un danno al genoma cellulare, quale
conseguenza dello stress ossidativo, con conseguente mutazione ed eventuale
trasformazione in cellule neoplastiche.
Si
ricorda che nella monografia IARC del 2002 si è concluso per una inadeguata
evidenza di cancerogenicità delle lane minerali nell’uomo con riclassificazione
nel gruppo 3 (non classificabile come cancerogeno per l’uomo). Tale
osservazione è ripresa nella attuale classificazione europea che prevede per le
lane minerali (numero di indice: 650-016-00-2) la categoria 2 per la
cancerogenesi.
In
ogni caso l’attribuzione della classificazione “cancerogeno” è strettamente
collegata al diametro medio geometrico della fibra e alla presenza degli ossidi
alcalini e alcalino terrosi.
E
con riferimento alle indicazioni e alle note relative alla classificazione di
pericolo (vedi ad esempio il regolamento CLP), le fibre a filamento continuo
con diametro medio geometrico pesato sulla lunghezza > 6μm, caratterizzate
dalla proprietà di mantenere costante il diametro in caso di frammentazione
sono esentate dalla classificazione come cancerogene poiché soddisfano i
requisiti della nota R.
Dunque
le linee guida, hanno voluto assicurare una corretta
valutazione e consapevolezza dei rischi da parte di tutti i
soggetti interessati, compresi gli utilizzatori finali, sia negli ambienti di
lavoro che di vita e favorire sul piano della tutela della salute (superando
anche aspetti tecnici cruciali, quali la metodologia analitica di riferimento
da utilizzare per la determinazione della corretta classificazione delle
diverse FAV oggi presenti sul mercato) l’adozione di misure di prevenzione
adeguate, in linea con la vigente normativa, avendo come destinatari
particolari, ma non esclusivi, sia i datori di lavoro che gli organi di
vigilanza, che hanno la responsabilità di garantire il pieno rispetto della
normativa.
E,
conclude il relatore, l’obiettivo perseguito
è stato quello non solo di fornire un valido contributo per poter assumere
decisioni utili a tutelare il bene comune anche in termini di tutela
dell’ambiente e del lavoro, ma anche di orientare positivamente il nostro modo
di comportarci senza enfatizzazione o sottovalutazione del livello di rischio,
riconducibile alla diversa composizione delle fibre artificiali vetrose, che ne
determina anche i potenziali effetti biologici sostanzialmente diversi.
Il
documento “FAV: obiettivi delle linee guida e percorso di elaborazione”, a cura
di Giancarlo Marano (Ministero della Salute) è scaricabile all’indirizzo:
Il
documento “Conferenza Stato-Regioni del 25/03/15: Intesa sulle Linee guida per
l’applicazione della normativa inerente i rischi di esposizioni e le misure di
prevenzione per la tutela della salute alle fibre artificiali vetrose (FAV)” è
scaricabile all’indirizzo:
RISCHIO ESPLOSIONE: NORMATIVA ATEX E SISTEMI DI PROTEZIONE
Da:
PuntoSicuro
8 febbraio 2016
Una tesi di laurea affronta il tema delle atmosfere potenzialmente esplosive e della normativa ATEX correlata.
Focus
sulla nuova direttiva ATEX 2014/34/UE e sui sistemi di protezione dalle
esplosioni.
Le tesi di laurea universitarie sono a volte un luogo
di riflessione sulle strategie di prevenzione e quasi sempre una buona sintesi,
con un linguaggio comprensibile, delle problematiche inerenti la sicurezza e i
fattori di rischio.
E’
questo il caso di una tesi di laurea che ha affrontato il tema del rischio esplosione e la normativa ATEX correlata,
con riferimento anche alla Direttiva 2014/34/UE che andrà ad abrogare la Direttiva 94/9/CE con
effetto decorrente dal 20 aprile 2016.
Stiamo
parlando della tesi di laurea di Paolo Federle, dal titolo “Macchine e apparecchiature in ambienti ATEX”, elaborata
per il corso di laurea in ingegneria meccatronica, dipartimento di tecnica e
gestione dei sistemi industriali dell’ Università degli Studi di Padova.
La
tesi ricorda che un’atmosfera esplosiva
è definita come una miscela:
-
di
sostanze infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri;
-
con
aria;
-
in
determinate condizioni atmosferiche;
-
in
cui, dopo l’innesco, la combustione si propaga all’insieme della miscela non
bruciata.
E
si indica che un’atmosfera suscettibile di trasformarsi in atmosfera esplosiva
a causa delle condizioni locali e operative viene definita atmosfera
potenzialmente esplosiva. Ed è solo a questo tipo di atmosfera potenzialmente
esplosiva che sono destinati i prodotti oggetto delle Direttive ATEX.
Nel
documento viene presentata la normativa ATEX, con particolare riferimento alla
nuova Direttiva 2014/34/UE.
Infatti
il 29 marzo 2014 è stata pubblicata la nuova Direttiva 2014/34/UE sulla
Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, una direttiva che andrà ad abrogare la
vecchia 94/9/CE e che riguarda “l’armonizzazione delle legislazioni degli stati
membri relative alle apparecchiature e ai sistemi di protezione destinati a
essere utilizzati in atmosfera esplosiva”.
L’obiettivo
della Direttiva 2014/34/EU è quello di garantire la libera circolazione dei
prodotti ai quali si applica nel territorio dell’UE. Pertanto, la Direttiva, basata
sull’articolo 95 del trattato CE, prevede i requisiti e le procedure per
stabilire le conformità armonizzate.
Vediamo
brevemente cosa cambia con la nuova Direttiva.
Si
indica che le principali modifiche apportate riguardano la posizione giuridica
degli operatori economici, come il legale rappresentante, distributore,
importatore e produttore, mentre nulla di sostanziale è stato cambiato per
quanto riguarda gli aspetti tecnici. La nuova Direttiva infatti presenta lo
stesso campo di applicazione della precedente 94/9/CE e continua ad offrire due
metodi per effettuare la valutazione della conformità dei prodotti:
-
controllo
della produzione interna o marcatura autocertificazione CE: il costruttore
esegue la valutazione di conformità e documenta la valutazione in proprio;
-
coinvolgimento
di un Organismo Notificato.
In
ogni caso per un confronto tra “vecchia” e “nuova” Direttiva ATEX, viene
segnalato l’Allegato XII della 2014/34/UE che contiene una tavola di
concordanza in cui è possibile verificare la corrispondenza dei vari articoli.
Dopo
questo breve viaggio intorno alla normativa in materia ATEX, spostiamo la
nostra attenzione sul contenuto del capitolo dedicato ai sistemi di protezione dalle esplosioni, sistemi che
rientrano nel campo di applicazione della Direttiva ATEX e si riferiscono a
quei dispositivi la cui funzione è bloccare sul nascere le esplosioni e/o
circoscrivere la zona da esse colpita.
In
particolare i sistemi di protezione dalle esplosioni possono essere così
suddivisi:
-
sistemi di scarico dell’esplosione;
-
sistemi di soppressione dell’esplosione;
-
sistemi di isolamento dell’esplosione;
-
equipaggiamenti resistenti all’esplosione.
Ed
è evidente che la scelta e l’impiego di uno o più sistemi di protezione sono
strettamente connessi al processo di analisi e valutazione del rischio di
esplosione. Inoltre la riduzione degli effetti di una esplosione e la
conseguente scelta dei dispositivi di protezione è legata a molteplici fattori,
tra cui il tipo di processo produttivo, la logistica dell’impianto in cui
potrebbe formarsi l’atmosfera esplosiva e fattori di tipo ambientale. Senza
dimenticare che un aspetto rilevante per la protezione dalle esplosioni è
l’aspetto progettuale, inteso come il complesso di scelte tecniche e
dimensionali che consentono di ridurre gli effetti di una esplosione sin dalla
fase di progetto.
La
tesi si sofferma su alcuni dispositivi, ad esempio sui soppressori.
Si
indica che i sistemi di protezione a soppressione si caratterizzano per il
fatto che vengono impiegati per il rilevamento di una possibile esplosione e
l’immediata soppressione nei suoi primi istanti, limitando fortemente
l’incidenza di eventuali danni. A seguito del rilevamento delle prime fasi
dell’esplosione, una sostanza soppressore dell’esplosione viene immediatamente
scaricata all’interno del volume interessato dall’esplosione. In generale tale
sostanza è contenuta all’interno di HRD (High Rate Discharge), cioè dispositivi
a rilascio rapido.
Veniamo
invece allo scarico di una esplosione
(venting), una misura finalizzata a ridurne gli effetti: i sistemi di venting
consentono infatti lo sfogo dell’esplosione attraverso sezioni ben definite
riducendo la pressione di esplosione.
La
tesi ricorda che in relazione al tipo di sostanza che ha generato l’esplosione,
gas o polvere, i sistemi di venting possono differire in modo sostanziale per
tipologia costruttiva, dimensioni e posizione in funzione dell’involucro da
proteggere. Uno degli aspetti di fondamentale importanza che influenzano
l’efficienza dei dispositivi di scarico è il corretto dimensionamento e posizionamento.
Dopo
aver riportato altri dettagli sullo scarico dell’esplosione, la tesi si
sofferma sui sistemi di isolamento
dell’esplosione.
Si
possono avere:
-
sistemi
attivi di isolamento che si basano sulla rilevazione preventiva dell’esplosione
mediante sensori ed unità di controllo;
-
sistemi
passivi di isolamento che sono costituiti da dispositivi installati lungo le
condotte di propagazione dell’esplosione e non richiedono sensori o sistemi di
controllo.
Inoltre
in relazione alle specifiche esigenze e alla tipologia di impianto, si possono
trovare i seguenti dispositivi per la realizzazione di un sistema di
isolamento:
-
valvole
di protezione, che possono essere sia attive che passive: quelle attive vengono
controllate da sensori e, tramite il sistema di controllo, ne viene attivata la
chiusura al momento dell’esplosione, per evitare che la stessa raggiunga le
zone protette; mentre quelle passive, per esempio quelle di non ritorno (“flap
valve”) impediscono la propagazione dell’esplosione e del suo fronte di fiamma;
-
valvole
rotative, impiegate in lavorazioni che prevedono la formazione di polveri a
rischio di esplosione, consentono di poter arrestare il fronte di fiamma e di
abbassare la pressione di esplosione, attraverso il blocco del rotore;
-
deviatori,
permettono la deviazione della propagazione del fronte di esplosione consentendo
di ridurne gli effetti.
Infine
la tesi si sofferma sugli equipaggiamenti resistenti
all’esplosione.
Infatti
un altro sistema di protezione contro le esplosioni consiste nel prevedere
opportune caratteristiche di resistenza meccanica degli apparecchi, che
potrebbero essere soggetti a una esplosione. E in particolare la norma EN 14460
stabilisce i requisiti costruttivi che gli apparecchi devono possedere per
resistere alle pressioni di esplosione e a shock dovuti a esplosioni. E
definisce i limiti di pressione e temperatura di esercizio dell’apparecchiatura
potenzialmente soggetta ad esplosione. Senza dimenticare l’importanza della
norma EN 13445 che definisce, ad esempio, le grandezze di pressione da assumere
come specifiche di progetto.
Il
documento “Macchine e apparecchiature in ambienti ATEX”, tesi di laurea di
Paolo Federle è scaricabile all’indirizzo:
Il
Documento “Parlamento Europeo e Consiglio dell’Unione europea - Direttiva
2014/34/UE del 26 febbraio 2014 concernente l’armonizzazione delle legislazioni
degli Stati membri relative agli apparecchi e sistemi di protezione destinati a
essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva” è scaricabile
all’indirizzo:
RISCHIO RUMORE:
COME VALUTARE L’ESPOSIZIONE DEI LAVORATORI
Da:
PuntoSicuro
12
febbraio 2016
Un
documento dell’INAIL affronta il rischio rumore e gli aspetti relativi alla sua
valutazione. Focus sull’ipotesi di valutazione senza misurazioni o con
misurazioni, sui parametri di esposizione e sulle strategie di misura.
Il
D.Lgs. 81/08 all’articolo 181 indica che il datore di lavoro valuta tutti i
rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici in modo da identificare e
adottare le opportune misure di prevenzione e protezione con particolare
riferimento alle norme di buona tecnica ed alle buone prassi.
In
particolare la valutazione dei rischi derivanti da esposizioni ad agenti fisici
è programmata ed effettuata, con cadenza almeno quadriennale, da personale
qualificato nell’ambito del servizio di prevenzione e protezione in possesso di
specifiche conoscenze in materia. La valutazione dei rischi è aggiornata ogni
qual volta si verifichino mutamenti che potrebbero renderla obsoleta, ovvero,
quando i risultati della sorveglianza sanitaria rendano necessaria la sua
revisione. E in particolare l’articolo 190 riporta varie indicazioni per il
datore di lavoro relative alla valutazione dell’esposizione dei lavoratori al
rumore.
Per
dare qualche indicazione sulla valutazione dell’esposizione al rumore, torniamo
a parlare oggi della pubblicazione del Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e
Sicurezza degli Impianti, Prodotti ed Insediamenti Antropici (DIT) dell’INAIL
dal titolo “La valutazione del rischio rumore”; un documento curato da Raffaele
Sabatino (DIT), con la collaborazione di Michele Del Gaudio (INAIL Unità
Operativa Territoriale di Avellino) e la revisione scientifica di Pietro Nataletti
(INAIL Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro ed
Ambientale).
Il
documento INAIL ribadisce dunque che l’articolo 190 del D.Lgs. 81/08 impone al
datore di lavoro di effettuare una valutazione del rumore, all’interno della
propria azienda e indipendentemente dal settore produttivo, nella quale siano
presenti lavoratori subordinati, o equiparati a essi, al fine di individuare i
lavoratori esposti al rischio e attuare i necessari idonei interventi di
prevenzione e protezione della salute.
E
laddove non si possa fondatamente escludere che siano superati i valori
inferiori di azione (LEX,8h > 80dB(A) o Lpicco > 135dB(C)) la valutazione
deve prevedere anche misurazioni.
Ricordiamo,
a questo proposito, che l’articolo 188 del D.Lgs. 81/08 definisce i seguenti
parametri:
-
pressione
acustica di picco (ppeak): valore massimo della pressione acustica istantanea
ponderata in frequenza “C”;
-
livello
di esposizione giornaliera al rumore (LEX,8h): valore medio, ponderato in
funzione del tempo, dei livelli di esposizione al rumore per una giornata
lavorativa nominale di otto ore: esso si riferisce a tutti i rumori sul lavoro,
incluso il rumore impulsivo;
-
livello
di esposizione settimanale al rumore (LEX,w): valore medio, ponderato in
funzione del tempo, dei livelli di esposizione giornaliera al rumore per una
settimana nominale di cinque giornate lavorative di otto ore.
Per
le situazioni nelle quali è evidente che l’ esposizione al rumore risulti
trascurabile, il documento ricorda che si può ricorrere alla cosiddetta
“giustificazione” e, in tal caso, non sarà necessario approfondire oltre la
valutazione del rischio oppure, nei casi dubbi, ci si potrà limitare ad alcune
misurazioni, in maniera da poter escludere il superamento dei valori inferiori
d’azione anche per i lavoratori più a rischio.
E
dunque nell’ipotesi di una valutazione senza misurazioni la relazione tecnica
dovrà indicare:
-
il
layout (planimetria e indicazione delle macchine, attrezzature, lavoratori
esposti, ecc.);
-
l’individuazione
di eventuali fattori potenzianti il rischio (ad esempio sostanze ototossiche,
vibrazioni, rumori impulsivi, ecc.), come identificati dall’articolo 190, comma
1;
-
l’indicazione
delle motivazioni che escludono il superamento dei valori di azione inferiori
nella giornata/settimana/settimana ricorrente a massimo rischio;
-
le
conclusioni con le eventuali indicazioni specifiche per la riduzione del
rischio.
Mentre,
una valutazione con misurazioni dovrà, invece, contemplare:
-
il
layout (planimetria e indicazione delle macchine, attrezzature, lavoratori
esposti, ecc.);
-
la
descrizione del ciclo lavorativo (almeno di quelle fasi, in relazione alle quali,
non è possibile ritenere la presenza di un rischio trascurabile);
-
l’individuazione
di eventuali fattori potenzianti il rischio (ad esempio sostanze ototossiche,
vibrazioni, rumori impulsivi, ecc.), come identificati dall’articolo 190, comma
1;
-
i
risultati delle misurazioni di rumore (LAeq, Lpicco e LCeq);
-
l’individuazione
delle aree e delle macchine a forte rischio (LAeq > 85 dB(A) e Lpicco >
137 dB(C));
-
la
valutazione del rispetto dei valori limite di esposizione (LEx > 87 dB(A) e
Lpicco > 140 dB(C));
-
il
calcolo dei LEx e dei Lpicco degli esposti oltre gli 80 dB(A) e i 135 dB(C);
-
la
valutazione dell’efficienza e dell’efficacia dei Dispositivi di Protezione
Individuale uditivi (DPIu), se e in quanto forniti ai lavoratori;
-
la
definizione delle misure tecniche e organizzative di contenimento del rischio
(il “Programma Aziendale di Riduzione dell’Esposizione”, di cui alla norma UNI
11347:2015);
-
le
conclusioni (quadro d’insieme del rischio).
Riepilogando
e computando nei livelli di esposizione anche il contributo delle incertezze
(l’incertezza è quel parametro associato al risultato di una misurazione, o di
una stima, di una grandezza che ne caratterizza la dispersione dei valori ad
essa attribuiti con ragionevole probabilità):
-
ai
fini della individuazione degli obblighi che ricadono sui diversi soggetti
interessati (Datore di lavoro, lavoratore, Medico Competente), si fa
riferimento ai livelli di esposizione calcolati in assenza di DPIu (LEx,8h);
-
il
superamento dei livelli di esposizione giornaliera di un lavoratore al rumore
(LEx,8h) di 80, 85 e 87 dB(A) comporta il diritto/dovere per i vari soggetti
(Datore di lavoro, lavoratori, Medico Competente, costruttore) di adempiere a
diverse prescrizioni fissate a tutela della salute;
-
ai
fini della verifica del rispetto del limite di esposizione (LEx,8h = 87 dB(A))
si fa riferimento al livello di esposizione stimato con idonei DPIu indossati
(L’Ex,8h con DPIu).
E
il percorso per la redazione della relazione tecnica, allegata al DVR, prevede
una serie di step che il personale qualificato incaricato dovrà seguire, in
base al criterio logico da applicare al caso di specie. In generale il processo
di valutazione del rischio rumore, che deve essere effettuato adattandolo alle
situazioni reali e avendo come obiettivo la protezione dei lavoratori, parte
dall’identificazione dei pericoli, passando per la relativa valutazione, fino a
giungere alla pianificazione degli interventi tecnici e organizzativi di
riduzione del rischio. Nel documento INAIL è riportato uno schema con le
principali tappe dell’iter.
Un
paragrafo è dedicato poi alle strategie di misura.
Infatti
una corretta valutazione del rischio viene eseguita in conformità alle
indicazioni della norma UNI EN ISO 9612:2011 che propone un metodo tecnico
progettuale per la misurazione dell’esposizione al rumore dei lavoratori
nell’ambiente di lavoro e il calcolo del livello di esposizione sonora. E
occorre tener conto anche della norma UNI 9432:2011 da considerarsi complementare
alla norma UNI EN ISO 9612:2011.
Nel
documento sono presentate nel dettaglio le tre possibili strategie di misura
per la valutazione del rischio:
-
misurazioni
basate su attività (compiti): il lavoro svolto durante la giornata è analizzato
e suddiviso in un numero di compiti rappresentativi; per ogni determinato
compito si eseguono separatamente le misure di livello di pressione sonora;
-
misurazioni
basate sulle mansioni: mediante campionatura casuale si ottengono delle misure
di livello di pressione sonora durante l’esecuzione di determinate mansioni;
-
misurazioni
a giornata intera: il livello di pressione sonora è misurato continuativamente
sull’arco completo di una o più giornate lavorative.
Concludiamo
ricordando che con il recente D.Lgs. 151/15 è stato riscritto il comma 5-bis
dell’articolo 190 del D.Lgs. 81/08 andando a ufficializzare e permettere
l’utilizzo delle banche dati sul rumore. Utilizzo che può avvenire se queste
banche dati sono state approvate dalla Commissione Consultiva Permanente per la
salute e la sicurezza sul lavoro.
Il
documento dell’ INAIL - Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli
Impianti, Prodotti ed Insediamenti Antropici “La valutazione del rischio
rumore”, edizione 2015 è scaricabile all’indirizzo: http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/intranet/documents/document/ucm_199620.pdf
INFORTUNIO PER
COMPORTAMENTO ABNORME E MANCATA FORMAZIONE: LE RESPONSABILITA’
Da:
PuntoSicuro
15
febbraio 2016
di
Gerardo Porreca
La
responsabilità dell’infortunio occorso al lavoratore a causa di condotta
negligente e imprudente: se lo stesso non è stato formato sui rischi specifici,
l’infortunio può essere considerato conseguenza diretta della mancata
formazione.
Un
insegnamento quello che discende da questa sentenza della Corte di Cassazione
che mette in chiara evidenza l’importanza della formazione in materia di salute
e di sicurezza sul lavoro da impartire ai lavoratori dipendenti ed a quelli ad
essi equiparati.
Il
datore di lavoro che non ha adempiuto agli obblighi di informazione e
formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde a titolo di colpa
specifica, ha infatti precisato la suprema Corte, dell’infortunio occorso a un
lavoratore anche se questi, nell’espletamento delle proprie mansioni, ha posto
in essere condotte negligenti e imprudenti, trattandosi di una conseguenza
diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi.
Nel
caso sottoposto in questa circostanza all’esame della Corte di Cassazione il
lavoratore era rimasto mortalmente infortunato in quanto schiacciato fra la
motrice e il rimorchio di un mezzo di trasporto mentre stava procedendo a un
incauto riaggancio delle due parti del veicolo non rispettando così quelle
misure di sicurezza che una specifica formazione gli avrebbe sicuramente fatto
conoscere.
La Corte di Appello ha
assolto con formula piena l’Amministratore Delegato di una società mentre ha
confermata la condanna inflitta dal Tribunale al Responsabile del deposito
dello stabilimento gestito dalla società stessa per il delitto di omicidio
colposo in danno di un lavoratore dipendente.
Ai
due imputati era stato addebitato di avere cagionata la morte del lavoratore
per colpa consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, nonché violazione
delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. In particolare gli
imputati erano stati accusati di non avere valutato, tra gli altri, il rischio
cui è stato esposto il lavoratore il quale, addetto a mansioni di autotrasportatore,
provvedeva al periodico prelievo di rottami in vetro presso lo stabilimento.
Il
lavoratore nel giorno dell’infortunio si era venuto a trovare nella necessità
di sganciare l’autocarro dal rimorchio per l’impossibilità di accedere al punto
di prelievo con l’intero veicolo, data la ridotta dimensione del tratto di
strada antistante. Nel documento di valutazione rischi elaborato dall’azienda
mancava ogni riferimento a tale specifico rischio, con conseguente omessa
individuazione delle misure preordinate a fronteggiarlo quale la individuazione
di una zona che consentisse di operare in sicurezza e mancava altresì
l’indicazione delle modalità operative da adottare. Il lavoratore inoltre non
era stato adeguatamente informato sui rischi specifici a cui era esposto in
relazione all’attività svolta, con particolare riferimento al rischio presente
durante le operazioni di sganciamento e successivo riaggancio tra autotreno e
rimorchio e, dunque, sulle misure di sicurezza del caso e non gli era stata
assicurata, altresì, una formazione sufficiente e adeguata in materia di
sicurezza, avuto riguardo alle proprie mansioni, con particolare riferimento
allo operazioni in svolgimento.
Con
tali condotte omissive gli imputati non avevano impedito il decesso del
lavoratore, il quale era rimasto schiacciato tra la motrice e il rimorchio
all’atto di riagganciarli. In particolare il lavoratore aveva effettuata detta
operazione senza che fossero state individuate e successivamente impartite al
medesimo, mediante idonea informazione sul rischio e formazione lavorativa, le
misure di sicurezza da seguire, che avrebbero imposto l’esecuzione
dell’operazione a rimorchio fermo, previo allineamento del timone alla campana
della motrice (anche avvalendosi di attrezzi occasionali) e avvicinando
l’autocarro al rimorchio mediante manovra di retromarcia. In assenza delle
dovute prescrizioni, invece, il lavoratore aveva eseguito l’operazione posizionandosi
tra i due mezzi e sfrenando il rimorchio, che si trovava in pendenza, in modo
da farlo avvicinare all’autocarro, mentre con le mani allineava il timone del
rimorchio alla campana dell’autocarro, per farli incastrare. Non essendo però
riuscito nell’intento, rimaneva schiacciato dal rimorchio, riversatosi sulla
motrice per effetto del mancato incastro del timone (infilatosi viceversa sotto
la campana dell’autocarro), con conseguente immediato decesso.
La Corte di merito ha
osservato che nessuna responsabilità poteva gravare sull’Amministratore
Delegato il quale aveva conferito al Responsabilità del deposito una delega
antinfortunistica scritta e firmata dalle parti, esaustiva e con attribuzione
di pieni poteri di programmazione, organizzazione e gestione. Con riferimento
invece all’altro imputato la
Corte territoriale ha ritenuto che, contrariamente a quanto
sostenuto dalla difesa, la condotta della vittima non era stato un fatto
imprevedibile e abnorme, in quanto aveva svolto un’attività che rientrava nelle
sue mansioni, da solo, senza ausilio di altro collega e senza che gli fosse
stata data alcuna formazione e informazione sui rischi specifici e sulla
corretta manovra da svolgere. La violazione delle norme di prevenzione, che
aveva determinato il concretizzarsi dell’evento, ha fatto notare la Corte di Appello, era stata
determinata dalle omissioni dell’imputato che, in ragione della delega
ricevuta, era il primo garante della sicurezza dei lavoratori in azienda per
cui, sulla base di tali considerazioni, la sentenza di condanna di primo grado
è stata confermata, sebbene con una pena ridotta a sei mesi di reclusione.
Avverso
la Sentenza
ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, lamentando
l’erronea applicazione della legge e il difetto di motivazione in ordine alla
ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa. Invero, secondo il
ricorrente, l’evento verificatosi era del tutto imprevedibile, in quanto
inaspettato era che il lavoratore disattivasse l’impianto frenate del rimorchio,
onde consentire per gravità, il suo avvicinamento alla motrice. Inoltre in
relazione alle operazioni di sganciamento e riaggancio, le norme ISPESL
prendevano in considerazione il rischio di schiacciamento degli arti, ma non
consideravano assolutamente la possibilità di un incidente mortale per cui se
tale rischio non era prevedibile per gli Enti deputati alla sicurezza sul
lavoro certamente non potevano esserlo per l’imputato.
Il
ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha rigettato.
La stessa ha sostenuto in premessa che “in tema di infortuni sul lavoro,
l’articolo 2087 del Codice Civile ha carattere generale e sussidiario, di
integrazione della specifica normativa antinfortunistica, con riferimento
all’interesse primario della garanzia della sicurezza del lavoro. Pertanto, il
dovere di sicurezza si realizza o attraverso l’attuazione di misure specifiche
imposte tassativamente dalla legge oppure con l’adozione dei mezzi idonei a
prevenire ed evitare i sinistri, assunti con i sussidi dei dati di comune
esperienza, prudenza, diligenza, prevedibilità, in relazione all’attività
svolta.
Ne
consegue che, per configurare la responsabilità del datore di lavoro o dei suoi
delegati, non è necessario che sia integrata la violazione di specifiche norme
dettate per la prevenzione degli infortuni, essendo sufficiente che l’evento
dannoso si sia verificato a causa dell’omessa adozione di quelle misure e
accorgimenti imposti all’imprenditore dall’ articolo 2087 del Codice Civile ai
fini della più efficace tutela dell’integrità fisica del lavoratore”.
La
circostanza inoltre che le norme ISPELS non prendessero in considerazione il
rischio morte non è stato ritenuto rilevante da parte della Sezione IV,
considerato peraltro che in ogni caso era stata presa in considerazione la
possibilità dello schiacciamento.
All’imputato,
ha precisato inoltre la suprema Corte, è stato mosso anche un addebito di colpa
generica. Tenuto conto, infatti, che la manovra di sgancio e aggancio del
rimorchio era di routine, correttamente il giudice di merito ha ritenuto che il
relativo rischio di infortunio fosse prevedibile ed evitabile con l’adozione di
adeguate disposizioni di sicurezza. Pertanto, considerato che tale rischio non
era stato preso in considerazione adeguatamente nel relativo documento di
valutazione, tale omissione ha determinato il concretizzarsi dell’evento che le
cautele dovute miravano ad evitare.
La
responsabilità dell’imputato, secondo la Sezione IV, era a lui anche da attribuire per la
violazione di specifiche norme di sicurezza e, quindi, a titolo di colpa
specifica. Infatti al lavoratore, come esposto in sentenza, non è stata fornita
una adeguata formazione ed informazione. In tali casi, ha così concluso la
suprema Corte, “la negligenza del lavoratore, che nell’espletamento delle sue
mansioni ponga in essere condotte imprudenti, non costituisce un fatto
imprevedibile, in quanto è il frutto proprio della mancanza dell’adempimento
dell’obbligo di formazione gravante sul datore di lavoro ed sui suoi delegati”.
La Sentenza n. 39765 del 2
ottobre 2015 della Corte di Cassazione Penale Sezione IV è consultabile
all’indirizzo:
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