sabato 6 giugno 2015

6 giugno - solidarietà di classe con gli operai del Comitato di Lotta Cassintegrati e Licenziati Fiat Pomigliano



COMUNICATO STAMPA:
il 4 giugno  E’ STATA EMESSA LA SENTENZA DEI 5 LICENZIATI FIAT POMIGLIANO: IL GIUDUCE DEL TRIBUNALE DI NOLA SEZIONE LAVORO DOTT.SSA D’ANTONIO RIGETTA IL RICORSO E CON UN PROVVEDIMENTO DEL TUTTO POLITICO CONFERMA I LICENZIAMENTI ED ESPELLE DI FATTO I 5 MILITANTI COBAS RAPPRESENTASTIVI E CON ESSI QUALSIASI OPPOSIZIONE SINDACALE E DI LOTTA ALL’INTERNO DELLA FIAT DI POMIGLIANO.
LA LOTTA CONTINUA..E NON SI ARRESTA!!
I 5 licenziati fanno appello ad una grande mobilitazione contro quest’ennennesima farsa a partire dal 14 giugno a BOLOGNA per un’assemblea nazionale, e domani ore 18 tutti a villa medusa a Bagnoli.
La vergognosa vicenda del licenziamento dei 5 rappresentanti sindacali COBAS della Fiat di Pomigliano ha aggiunto oggi un nuovo tassello al mosaico raccapricciante che da anni ormai stanno realizzando Marchionne, padronato, sindacati asserviti e forze dell’ordine, all’appello mancherebbe solo la chiesa e le banche per concludere il peggio dell’universo massonico. La storia forse non è nota a tutti e merita di essere brevemente descritta. La scorso mese di giugno 5/2014 militanti del Comitato di lotta cassaintegrati e licenziati Fiat/cobas, dopo aver inscenato un finto e caricaturale suicidio di un manichino raffigurante l’ad Sergio Marchionne all’esterno dei cancelli di Pomigliano (che seguiva il suicidio reale dell’operaia Maria Baratto, di cui è moralmente responsabile la stessa Fiat ed il suo primo dirigente) vengono licenziati in tronco per “aver infangato il buon nome dell’azienda”. Un’azione di repulisti dall’interno del movimento operaio pomiglianese, che seguiva decenni di reparti-confino, cassaintegrazioni prolungate e licenziamenti politici de facto, a cui i 5 compagni insiemE ad altri membri del comitato, dei disoccupati di acerra e varie realta di lotta napoletane, si sono sempre opposti pubblicamente, finendo nella black list incrociata di padronato e sindacati gialli. La loro lotta però non si è esaurita con il loro licenziamento e da un anno oramai inscenano proteste e dure prese di posizioni nei confronti dei soggetti politici che hanno rubato la loro gioventù in fabbrica, per poi spedirli per strada per una semplice esibizione muscolare verso la classe lavoratrice, come le continue contestazioni al PD e al suo “ducetto” Renzi ultima agli ingressi della sata di melfi dove si sono esibiti con vestiti da pagliacci con la machera di renzi, verso le istituzioni locali pomiglianesi e per ultima l’eclatante salita sulla gru di Piazza Municipio da parte di Mimmo Mignano, durata per ben 5 giorni ed evendo risalto nazionale. Ultima la giornata di lotta si è svolta al tribunale di Nola di fronte al giudice del lavoro che doveva esprimersi in merito al loro reintegro in fabbrica, in un clima apparso assurdo sin dal mattino. Infatti il giorno 16 maggio in concomitanza con l’udienza fu impedito ai solidali accorsi all’esterno del tribunale da Napoli e Bologna (encomiabili i facchini felsinei impegnati nelle lotte della logistica, pronti a scendere al fianco dei compagni napoletani) da parte di un esorbitante schieramento di blindati della polizia e digossini di poter accedere al tribunale, non di assistere al processo ma proprio l’accesso in un luogo pubblico ed aperto a tutti come un palazzo di giustizia. Altrettanto assurda la cornice in cui fu svolto il processo, in aula fu permesso solo da ben 11 avvocati del collegio di difesa della Fiat e numerosissimi agenti della digos presenti in aula, con il chiaro intento di indirizzare la decisione giudiziaria su canali prettamente “politici”. E cosi’ e stato. Emblematica l’accusa lanciata da uno dei legulei prezzolati dalla Fiat verso il giudice “Accogliendo come legittime questo tipo di proteste si potrebbe correre il rischio di tornare ad un clima da anni di piombo”…
Oramai il limite è stato superato e, tra leggi speciali, misure cautelari immotivate, perquisizioni a sorpresa e altri mille abusi, lo stato di diritto in questo paese è stato definitivamente sospeso, e giornate come quella di oggi lo confermano in pieno.



Comitato di lotta cassintegrati e licenziati fiat Pomigliano
 SI COBAS POMIGLIANO 4/6/2015

LICENZIAMENTI POLITICI, LICENZIAMENTI DI STATO
Poche ore fa abbiamo appreso che il giudice del lavoro del Tribunale di Nola ha bocciato il ricorso dei cinque operai del Comitato di lotta di Pomigliano licenziati dalla Fiat nel giugno 2014.
La mobilitazione in grande stile da parte di Marchionne e dei suoi complici ha per ora portato all’esito voluto dai padroni. Il clima da caccia alle streghe a cui abbiamo assistito due settimane fa nel corso dell’udienza non lasciava presagire nulla di buono: la Fiat ha sguinzagliato il gotha dell’ufficio legale al gran completo, ha imposto la blindatura del Tribunale trasformandolo in una sorta di aula-bunker come se si trattasse di un maxiprocesso per mafia, ha messo in atto ogni sorta di pressione per impedire il rientro in fabbrica di Mimmo, Marco, Antonio, Massimo e Roberto, arrivando al punto di evocare lo spettro del terrorismo per indirizzare la sentenza a proprio favore.
Una condotta processuale così spregiudicata ed arrogante da parte della Fiat è forse senza precedenti nella pur lunga sfilza di episodi repressivi e rappresaglie antisindacali che ne hanno costellato la storia. Evidentemente avevamo visto giusto quando affermavamo che la posta in gioco di questo processo era alta non solo per i cinque licenziati, ma anche e soprattutto per la Fiat quale storico battistrada del grande capitale nostrano. Per Marchionne tenere fuori dalla fabbrica il Comitato di Lotta è diventato l’imperativo categorico, non certo per le accuse al tempo stesso ridicole e infamanti mosse dall’azienda nei confronti dei licenziati, bensì perché la Fiat sa bene che il Comitato di lotta rappresenta una delle poche voci fuori dal coro che non si è mai piegata alle logiche schiavistiche e squadristiche imposte negli ultimi anni in tutti gli stabilimenti e che un ritorno in fabbrica dei suoi principali esponenti significherebbe l’automatica messa in discussione dello strapotere dei padroni e la delegittimazione delle forme brutali di sfruttamento imposte a migliaia di operai. Da sempre i giudici e le aule dei Tribunali borghesi rappresentano per loro stessa natura uno dei terreni meno congeniali per far valere i diritti e le rivendicazioni operaie: ciononostante, abbiamo atteso l’esito di questo processo con fiducia e persino con una certa dose di ottimismo data la totale inconsistenza delle accuse mosse ai cinque licenziati e alla luce del clima di solidarietà che nel corso delle settimane è andato crescendo dentro e fuori le fabbriche anche in virtù della protesta eclatante condotta da Mimmo per ben sei giorni in cima alla gru di Piazza Municipio. Ma la furia vendicativa dei padroni contro gli operai che osano disturbare i loro affari non ha limiti. La Fiat ha trasformato l’udienza del 16 maggio in un vero e proprio processo politico il cui oggetto non era più l’illegittimità e l’arbitrarietà del licenziamento di 5 operai, bensì la legittimità o meno della lotta e del dissenso al Piano Marchionne e al Jobs Act.
Alla luce di ciò, era oggettivamente improbabile che i giudici non si lasciassero influenzare da un pressing padronale di tale portata e fossero capaci di deliberare in maniera imparziale.
Di fatto, il tribunale di Nola con la sentenza di rigetto del ricorso ha di fatto introdotto in Italia la pratica della censura: convalidare il licenziamento di cinque operai per il fatto che questi ultimi hanno inscenato la rappresentazione teatrale del “suicidio” di Marchionne a fronte dei suicidi reali di operai provocati dallo stesso Marchionne e tuttora impuniti, significa infatti legittimare la pratica della censura e introdurre un pericoloso precedente teso a limitare fortemente la libertà di espressione. In realtà la storia ha sempre insegnato che nel regno del capitale i proletari non hanno alcun “diritto” universalmente riconosciuto, se non quello di essere sfruttati, spremuti come limoni e poi buttati via dal padrone come e quando fa più comodo a questi ultimi. I cosiddetti “diritti”, persino quelli più elementari incluso quello della libertà di esprimere le proprie opinioni, sono al contrario stati sempre il frutto di lotte dure, talvolta persino sanguinose, al termine delle quali il proletariato ha imposto con la forza le proprie rivendicazioni ai padroni e al loro Stato con relativo codazzo di giudici, governi, prefetti, poliziotti e burocrati di ogni risma. Nel regno del capitale ogni conquista e ogni tutela strappata dalla classe lavoratrice è sempre momentanea e parziale, poiché i padroni sono perennemente alla ricerca del primo momento utile di debolezza e divisione nel fronte proletario per riprendersi con gli interessi ciò che sono stati costretti a cedere a malincuore.

I licenziati politici di Pomigliano sanno che non sono soli: la solidarietà e il sostegno militante che si è sviluppato in questi mesi e ancor più nelle ultime settimane arriverà presto fin dentro la fabbrica. Lo sfruttamento, i ritmi schiavistici e l’annullamento delle tutele sindacali non possono durare in eterno e presto la mobilitazione e il protagonismo operaio torneranno a farsi sentire anche in Fiat, con buona pace di Marchionne e dei suoi servi sciocchi di FIM-UILM-FISMIC-UGL.
La mobilitazione per il reintegro dei licenziati continua, dentro e fuori le fabbriche, dentro e fuori le aule di tribunale.
Diamo forza alla cassa di resistenza nazionale a sostegno dei licenziati politici.
Solo la lotta paga- Uniti si vince
DOMENICA 7 GIUGNO, ORE 16.00 ASSEMBLEA PUBBLICA CITTADINA
PRESSO L’ASILO, VICO G. MAFFEI, 4- NAPOLI


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