Processo Ilva - venerdì 21 ricomincia a Potenza - Impediamo che si
cancelli la memoria di tutto quanto è successo nella fabbrica di
Taranto e in città -
IN AGGIUNTA Un commento del Pres. di PeaceLink
Dal "Quotidiano":
Abbiamo detto subito che la decisione della Corte d'Appello di
annullare il processo di 1° grado “Ambiente svenduto”,
conclusosi con pesanti e giuste condanne contro padron Riva, capi,
individuati come gli autori materiali e contro i complici
istituzionali e politici del disastro ambientale, delle morti sul
lavoro nella nostra città, è stata molto grave. Questo processo
aveva visto una forte spinta verso le condanne, e aveva anche portato
ulteriormente alla luce la gravità della questione Ilva
in generale e della questione rapporto salute e lavoro in
particolare.
La grave decisione di spostare il processo a Potenza ha già
portando a far uscire dal nuovo processo, che inizierà con l’udienza
preliminare il 21 marzo, ben 24 imputati per “prescrizione”.
In questa occasione
andremo a Potenza, per depositare le nostre parti civili e per
conosce direttamente i magistrati, e per capire come intenderanno
procedere non solo nei tempi, ma nei modi.
Useremo il tempo che
ci separa da questo per sviluppare una campagna nazionale nelle città
che sono interessate ai grandi processi di inquinamento, Torino,
Milano, Palermo, ecc. In vista di un convegno nazionale che
cercheremo di fare quando inizierà il processo.
Questo processo è
stato importante per la città, per il paese, per i lavoratori come
per i cittadini e quindi in nessuna maniera possiamo accettare di
cancellarlo.
La prima
cancellazione sarebbe quella di cancellarne gli atti, la memoria e
così via.
Per questo abbiamo
preparato un libro dossier “Un lungo processo raccontato
attraverso 7 anni di udienze dal 2014 al 2021” che costituisce
un rapporto fra il processo che si è fatto e il processo che si
farà, e il libro fa da memoria e da canale di comunicazione in
questa direzione.
ALESSANDRO
MARESCOTTI Presidente di PeaceLink
Questo libro:
“Processo Ambiente svenduto - Un lungo processo raccontato
attraverso 7 anni di udienze dal 2014 al 2021” è l'occasione
per riflettere da una parte sulla nostra lotta, sul futuro di questo
processo, ma è anche l'occasione per trasformare questo lungo
periodo di iniziative in memoria storica.
E’ importante il
libro, proprio perché è il primo probabilmente tentativo di
risistemazione di una enorme quantità di documentazione prodotta
proprio dal processo.
Sono stati scritti
tanti libri, ma un libro che nascesse dagli atti del processo
mancava; ed è questa la
prima occasione per incominciare a dare una
sistemata all'enorme quantità di informazioni che questo processo ha
generato e di atti che ci consentono di analizzare e di
riorganizzare.
Ognuno darà in
futuro di questo processo la sua interpretazione. Ed è importante
che noi diamo la nostra interpretazione. Un'interpretazione che
faccia del processo non solamente qualche cosa relativo agli addetti
ai lavori, ma sia l'occasione per trasformare questo libro in un
canale di comunicazione, in un veicolo di memoria. Per fare in modo
che questo processo penale si trasformi in un processo storico e
politico. Un processo che ha alla base un sistema di potere economico
che ci ha governato malamente in questi anni.
Quindi noi partiamo
dal processo per incominciare a costruire una prima fetta di analisi
storica, perché se noi andiamo a guardare tutte queste carte ci
accorgiamo che non siamo più di fronte semplicemente alla cronaca,
ma stiamo uscendo fuori dalla cronaca e stiamo entrando pienamente
dentro la storia, ci consente di guardare al passato e di dare un
giudizio non più solamente agli imputati, ma ad un intero sistema di
potere che ha consentito a queste persone di fare quello che
volevano.
Ed ecco allora che
troverete dentro questo libro tante pillole. Questo è il lavoro di
partenza per ulteriori lavori, ulteriori lavori di approfondimento e
di ulteriore sintesi.
Io, nonostante
conoscessi l'argomento, ho scoperto cose che non sapevo. C'è per
esempio tutta la parte relativa ai sindacati, ci sono tutti i dati
della vicenda “vaccarella” che, sì si sapeva, ma qui escono
fuori i propri numeri, i miliardi, eccetera. Le risposte date a metà,
o date date malamente dai segretari sindacali.
Quindi da questo
punto di vista è importante che noi questo libro lo prendiamo in
mano, ce lo leggiamo e lo trasformiamo in uno strumento di analisi
storica e di lotta politica.
Riallacciandomi alla
visione che giustamente è sottesa a questo libro, cioè che dietro
tutta questa vicenda c'è un capitalismo di rapina. Ma anche qualche
cosa di più, è un capitalismo che saccheggia l'ecosistema e che
scarica i propri costi sulla collettività e sulle generazioni
future.
Io mi sono laureato
e ho letto diverse cose relative al marxismo, ma oggi si sono
sviluppati gli studi in ambito marxista che hanno fatto emergere
degli analisti che hanno preso maggiormente consapevolezza del
rapporto fra sistema capitalistico e inquinamento del pianeta,
inquinamento della società.
Studiosi
come John Foster, Paul Barchett, Andrea Smallman, John Angus, un
bravissimo studioso giapponese con i Saito Jason Moore sono studiosi
che hanno incominciato ad aggiornare le categorie del marxismo. Marx
non poteva vivere nell'epoca odierna, però le cose che diceva hanno
ancora un significato. Perché uno dei concetti fondamentali che noi
ritroviamo qui - l'altro lo troviamo alla base dell'analisi marxista
- ossia che il sistema capitalistico è un sistema che esternalizza i
costi non li assume nel proprio bilancio, non paga i conti con
l'ecosistema. Il rapporto che analizzava Marx era: io non ti pago il
dovuto, quindi ti sto sfruttando. Ma c'è anche: io non saldo i miei
debiti con l'ecosistema, con l'ambiente. E scarico sull'ambiente
tutti quei costi che avrei dovuto sostenere che si trasformano in
profitti, e in certi casi, in profitti illeciti. Parte di questo è
il processo al sistema Riva che esporta clandestinamente tantissimi
capitali all'estero nei paradisi fiscali.
Una prima cosa che
sarebbe bene incominciare a vedere. La famiglia Riva ha spesso
minacciato di chiudere la propria attività se si facevano certi
lavori di risanamento ambientale, se si rinnovavano gli impianti; e
in un certo senso il movimento sindacale è come se avesse subito
questa retorica, quasi credendoci. Ma oggi, alla luce degli atti di
questo processo, risulta che la quantità di capitali portati nei
paradisi fiscali è tale che in teoria Riva avrebbe potuto rimettere
a nuovo l'Ilva due volte e avrebbe comunque portato capitali
all'estero.
Quindi. I sindacati
hanno subito questa retorica, del tipo: non facciamo questa cosa,
altrimenti si chiude. Una sorta di ricatto, del tipo: oltre a questo
livello non si va.
Gli studiosi del CNR
stanno cercando di fare un'analisi della vicenda Ilva dal punto di
vista giuridico. E la la cosa che mi hanno chiesto è il perché Riva
non mettesse a norma gli impianti; se avesse messo a norma gli
impianti, dato che ce li aveva i soldi avrebbe evitato che si
attivasse la magistratura, avrebbe fatto i suoi interessi. E allora
perché? Io ho detto, probabilmente perché non volevano cedere il
potere, perché questa richiesta la facevamo noi, la faceva la
popolazione, la facevano le forze della cittadinanza attiva,
dell'opposizione sociale. Del tipo: questa penna dovrebbe essere
messa così, è giusto, ma siccome lo stai dicendo tu gli stai
praticamente togliendo un pezzo di potere, perché questo lavoro lo
devono fare loro, non lo devi fare tu. Cioè spostare questa cosa,
realizzare questo deve essere qualche cosa che discende dalla loro
benevolenza e dalla loro decisione.
È stata quindi
probabilmente una lotta di potere. Fuori da ogni logica di tipo
economico
La base su cui su
cui poggia l'intero sistema di gestione di Riva è sostanzialmente lo
specchio globale del capitalismo nella sua forma più selvaggia,
quello per cui in nome di un profitto privato viene inferto un danno
pubblico, che è enormemente superiore rispetto al profitto. Cioè,
io guadagno 100 ma provoco una distruzione di 1000, che già è una
diseconomia globale all'interno di un sistema.
La vicenda dell'Ilva
di Taranto è una vicenda che va inquadrata nel ciclo globale
dell'acciaio, un ciclo globale che è caratterizzato dalla
devastazione, ad esempio, della foresta amazzonica. Per prendere i
minerali di ferro è stata devastata una parte della foresta
amazzonica, è stata danneggiata la vita di tante persone. C’è un
villaggio molto simile al quartiere Tamburi di Taranto. Una nostra
volontaria è andata in quel villaggio della foresta amazzonica e le
immagini che ha fotografato sono state le mani di polvere nera dei
bambini. Bambini che si ammalavano per problemi di carattere
polmonare. Sembrava il quartiere Tamburi spostato nella foresta
amazzonica. E il quartiere Tamburi è lo specchio di quella
devastazione portata però nei luoghi della produzione siderurgica.
Questo importante
materiale, che è l'acciaio, ha un valore d'uso elevato; l'acciaio è
una delle materie più importanti e nobili e durature all'interno del
ciclo capitalistico, dovrebbe essere qualcosa di indistruttibile.
Viene collocato invece all'interno di un processo di obsolescenza
programmata, per cui le cose vengono programmate per guastarsi prima.
Chiedete semplicemente a chi vi viene ad aggiustare la lavatrice e la
prima cosa che vi dirà è: non sono più le lavatrici di una volta…
E l'acciaio che dà forma alla lavatrice, è l'acciaio che proviene
dall'Ilva o da acciaierie come quelle dell'Ilva. Quindi noi abbiamo
un processo che globalmente, dalla fase estrattiva alla fase della
produzione siderurgica, fino alla fase dell'obsolescenza programmata,
tende ad alimentare se stesso. In un processo che su cui Marx avrebbe
moltissimo da dire, perché è un processo in cui il valore d'uso si
perde all'interno di un processo che valorizza unicamente il
capitale.
Per concludere, noi
ci troviamo quindi all'interno di un processo in cui Taranto è un
punto di snodo di un ciclo globale e quindi dobbiamo vedere la
questione tutta all'interno della globalizzazione, dal processo
estrattivo fino alle forme più degenerate del consumismo.
Dall'altra parte,
oltre a questo processo transfrontaliero c'è un processo
transgenerazionale. Noi abbiamo presentato quest'anno l'unico esposto
alla Procura che ci sia stato in Italia, che noi sappiamo, per
denunciare che con questo tipo di processo produttivo noi avremo da
qui al 2100, 1800 morti l'anno di persone di cui non conosceremo
assolutamente la faccia, il nome e la nazionalità. Potranno essere
in Marocco, in Canada, in Brasile, in Bangladesh.
Noi stiamo andando
verso un processo di surriscaldamento del pianeta. Noi ce ne stiamo
accorgendo, ogni estate è sempre più calda. Sono state quantificati
gli eccessi di mortalità dovuti ad ogni frazione di grado. E il
processo produttivo dell'Ilva di Taranto così come strutturato oggi
per le emissioni di CO2, che non sono di per sé velenose, non sono
di per sé tossiche, ma concorrono a questo innalzamento, e
porteranno ogni anno, fra 10 anni, fra trent'anni, fra 35 anni,1800
morti per ondate di calore. E si realizzerà con una frequenza e una
pesantezza ancora maggiore. E quando parliamo di ondate di calore non
dobbiamo considerare il dato medio, ma dobbiamo considerare i picchi
che si intervallano tra un dato e l'altro. Quindi noi stiamo
attivando attraverso questo sistema un debito ecologico e un problema
di giustizia intergenerazionale, cioè chi viene dopo di noi ci
chiederà: ma perché avete fatto questo?
Il processo Ilva
deve essere l'occasione per riflettere su questo problema che oltre
che di natura etica, è un problema di natura sociale, di natura
politica.
Io ringrazio
Margherita Calderazzi per questo lavoro veramente pregevole che è
stato fatto e che, a mio parere, merita di essere valorizzato ancora
di più e trasformato in dibattiti proprio per risollevare
l'attenzione sulla vicenda Ilva che ovviamente, se non la solleviamo
noi, nessuno, ha grande interesse a sollevare. È una vergogna
cittadina, è una vergogna nazionale.