Coop, tasse evase e paghe da
fame
Così si batte la concorrenza
Così si batte la concorrenza
Inchiesta sulle imprese «spurie»:
carosello di sigle con soci fantasma
di Giuseppe Guastella
Si rompono la schiena per una decina di euro l’ora,
non hanno i contributi previdenziali e quando saranno vecchi non avranno il Tfr
e nemmeno la pensione. Altro che articolo 18, sono questi i lavoratori senza
diritti grazie ai quali centinaia di imprenditori italiani abbattono i costi e
il rischio d’impresa mentre il fisco perde milioni a palate. Come ridurre il
peso economico del lavoro in tempo di crisi e rendere flessibile l’occupazione
pagando gli operai solo quando servono? Ci si rivolge alle cooperative che
forniscono la manodopera in appalto. Lo fanno molte catene della grande
distribuzione per consegnare i prodotti ai supermercati e le griffe della moda
per gestire i magazzini, lo fanno perfino i prosciuttifici quando hanno bisogno
di più macellai. «Spesso veniva costituita una coop a seguito di un nuovo
appalto», ha dichiarato Natale Sartori al gip Vincenzo Tutinelli negli
interrogatori depositati nell’inchiesta dei pm Carlo Nocerino e Adriano
Scudieri.
Sartori guidava il consorzio Alma Group di cui facevano parte otto cooperative con commesse da noti supermercati. Uomo in contatto con Marcello Dell’Utri e Vittorio Mangano, l’ex stalliere di Arcore ed ex capo mandamento di Porta Nuova a Palermo, Natale Sartori è stato arrestato a novembre con altre 5 persone. Accanto alle cooperative oneste che con i loro soci-lavoratori prendono in carico interi servizi rispettando le regole tra mille sacrifici, ogni anno nascono e muoiono in Italia centinaia di cooperative «spurie» che non hanno nulla di legale e che per questo sono in grado di fare prezzi stracciati estromettendo dal mercato i concorrenti. Nel consorzio Expo job spa (nulla a che vedere con l’esposizione internazionale) c’era un carosello di coop con 1.200-1.300 soci. «Veri e proprio serbatoi di mano d’opera», li definisce il giudice Franco Cantù Rajnoldi ordinando 8 arresti, che chiudevano ogni due-tre anni per rinascere con un altro nome ma con gli stessi soci, che per la stragrande maggioranza venivano dall’estero. Non dei clandestini, altrimenti non avrebbero potuto far parte di una cooperativa, gente che si accontentava di una paga oraria più bassa senza preoccuparsi se la coop pagava contributi, Iva e tasse. Le indagini della Guardia di Finanza di Milano sono partite quando è emerso che il consorzio non produceva Iva e contributi.
L’ Expo Job firmava i contratti con le imprese alle quali si presentava con i requisiti in regola, a partire dal «Durc», il certificato che attesta che sono stati pagati tutti i contributi, ed era in grado di applicare prezzi stracciati che ingolosivano gli imprenditori. Acquisito l’appalto, veniva girato alle singole cooperative che emettevano fattura con Iva e che, invece di versarla allo Stato, secondo l’accusa la abbatteva con fatture che attestavano falsi costi e facendola poi tornare indietro (si parla di oltre 63 milioni) ai capi dell’associazione a delinquere. Alla fine le cooperative venivano sciolte e fatte sparire nel nulla. Un sistema semplice ed efficace che non faceva lamentare nessuno: le imprese committenti, che oltre a risparmiare evitavano problemi di conflittualità aziendale e riducevano gli occupati in busta paga; i lavoratori, ai quali uno stipendio più o meno regolare comunque arrivava, a patto di non lamentarsi se la paga si riduceva per le assenze e la malattia; andava bene agli indagati, a partire da Antonio Rosati, ex presidente del Varese calcio, e dal suo braccio destro, Bruno Limido, 53 anni, ex centrocampista di Varese, Juventus, Atalanta e Avellino, che abbattevano i costi. Anche perché con la crisi la manodopera non manca: «Faccio trovare una quindicina di persone in Romania, le portiamo qua e possiamo adattare la tariffa come vogliamo», diceva al telefono uno dei personaggi coinvolti. Uno schema che si replica in tutta Italia e che secondo i pm ha già attirato l’interesse della criminalità organizzata. Talmente collaudato da invertire i fattori canonici: prima ci si aggiudica l’ appalto e poi si costituisce la cooperativa ad hoc, talvolta usando gli operai licenziati dal committente. Perché «l’unico vero lavoro alla fine sono le cooperative, se vuoi vedere il grano, se vuoi vedere girare i soldi», è la certezza degli indagati intercettata dalle Fiamme gialle.
Sartori guidava il consorzio Alma Group di cui facevano parte otto cooperative con commesse da noti supermercati. Uomo in contatto con Marcello Dell’Utri e Vittorio Mangano, l’ex stalliere di Arcore ed ex capo mandamento di Porta Nuova a Palermo, Natale Sartori è stato arrestato a novembre con altre 5 persone. Accanto alle cooperative oneste che con i loro soci-lavoratori prendono in carico interi servizi rispettando le regole tra mille sacrifici, ogni anno nascono e muoiono in Italia centinaia di cooperative «spurie» che non hanno nulla di legale e che per questo sono in grado di fare prezzi stracciati estromettendo dal mercato i concorrenti. Nel consorzio Expo job spa (nulla a che vedere con l’esposizione internazionale) c’era un carosello di coop con 1.200-1.300 soci. «Veri e proprio serbatoi di mano d’opera», li definisce il giudice Franco Cantù Rajnoldi ordinando 8 arresti, che chiudevano ogni due-tre anni per rinascere con un altro nome ma con gli stessi soci, che per la stragrande maggioranza venivano dall’estero. Non dei clandestini, altrimenti non avrebbero potuto far parte di una cooperativa, gente che si accontentava di una paga oraria più bassa senza preoccuparsi se la coop pagava contributi, Iva e tasse. Le indagini della Guardia di Finanza di Milano sono partite quando è emerso che il consorzio non produceva Iva e contributi.
L’ Expo Job firmava i contratti con le imprese alle quali si presentava con i requisiti in regola, a partire dal «Durc», il certificato che attesta che sono stati pagati tutti i contributi, ed era in grado di applicare prezzi stracciati che ingolosivano gli imprenditori. Acquisito l’appalto, veniva girato alle singole cooperative che emettevano fattura con Iva e che, invece di versarla allo Stato, secondo l’accusa la abbatteva con fatture che attestavano falsi costi e facendola poi tornare indietro (si parla di oltre 63 milioni) ai capi dell’associazione a delinquere. Alla fine le cooperative venivano sciolte e fatte sparire nel nulla. Un sistema semplice ed efficace che non faceva lamentare nessuno: le imprese committenti, che oltre a risparmiare evitavano problemi di conflittualità aziendale e riducevano gli occupati in busta paga; i lavoratori, ai quali uno stipendio più o meno regolare comunque arrivava, a patto di non lamentarsi se la paga si riduceva per le assenze e la malattia; andava bene agli indagati, a partire da Antonio Rosati, ex presidente del Varese calcio, e dal suo braccio destro, Bruno Limido, 53 anni, ex centrocampista di Varese, Juventus, Atalanta e Avellino, che abbattevano i costi. Anche perché con la crisi la manodopera non manca: «Faccio trovare una quindicina di persone in Romania, le portiamo qua e possiamo adattare la tariffa come vogliamo», diceva al telefono uno dei personaggi coinvolti. Uno schema che si replica in tutta Italia e che secondo i pm ha già attirato l’interesse della criminalità organizzata. Talmente collaudato da invertire i fattori canonici: prima ci si aggiudica l’ appalto e poi si costituisce la cooperativa ad hoc, talvolta usando gli operai licenziati dal committente. Perché «l’unico vero lavoro alla fine sono le cooperative, se vuoi vedere il grano, se vuoi vedere girare i soldi», è la certezza degli indagati intercettata dalle Fiamme gialle.
6 gennaio
2015 | 10:38
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