lo slai cobas per il sindacato di classe coordinamento
nazionale appoggia la proposta di Piergiovanni Alleva di un REFERENDUM
ABROGATIVO del jobs act!
da il Il manifesto 27/12/14
L'emanazione del Decreto attuativo del Jobs Act, che
elimina, in sostanza, la tutela dell'articolo 18 dello Statuto per i futuri
contratti a tempo indeterminato non chiude affatto la partita, ma è solo la
premessa del confronto vero che avrà per protagonisti i lavoratori, nelle
piazze e, se necessario, alle urne in un referendum abrogativo.
Non è inutile, comunque, ma anzi assai istruttivo,
ripercorre alcuni momenti salienti della vicenda e le consapevolezze che ha
consentito di acquisire. In primo luogo, infatti, nessuno si azzarda più a
definire "di sinistra" il governo Renzi-Poletti che si è dimostrato
tanto violento e prevaricatore nella sua azione contro i diritti fondamentali
dei lavoratori, quanto falso e mistificante nell'uso del suo strapotere mediatico.
In cosa consiste, infatti, la "rivoluzione
copernicana" di cui straparla Matteo Renzi a proposito dei contenuti del
Decreto attuativo? Puramente e semplicemente nel consentire al datore di lavoro
che voglia per qualsiasi motivo (anche il più ignobile) sbarazzarsi di un
lavoratore di "inventarsi" una inesistente ragione economico
produttiva per procedere al licenziamento, e di farlo senza timore che il suo
carattere pretestuoso venga smascherato in giudizio perché anche in tal caso
gli basterebbe pagare la classica "multarella" (per ogni anno di
servizio due mensilità con il massimo di 24) per lasciare comunque il
lavoratore sulla strada nella condizione disperata discendente dalla
disoccupazione di massa.
Tutto il resto del Decreto attuativo, compresa la
dibattuta questione della parziale della reintegra nel caso di licenziamenti
disciplinari illegittimi, è soltanto fumo negli occhi, perché tutti i datori
imboccheranno, invece, la comodissima strada del "falso" motivo
economico produttivo. Il "progressista" Renzi e il
"comunista" Poletti e tutti i loro accoliti dovranno spiegare un
giorno che cosa vi sia di moderno, di socialmente utile, di progressivo, di
"copernicano" in questa sfacciata e disgustosa ingiustizia che
ripugna prima ancora che al diritto al comune senso etico.
Il secondo insegnamento della vicenda ha riguardato il
presentarsi, ancora una volta del classico "tradimento dei chierici"
per tale intendendo i tecnici, i tecnici politici e i politici puri che
avrebbero dovuto garantire i diritti fondamentali dei lavoratori assicurati
dall'articolo 18 con la sua potente valenza anti ricattatoria. Da una parte,
dunque, vi sono stati i tecnici politici che hanno lavorato intensamente alla
formulazione della legge delega e dei Decreti attuativi, ma di essi non mette
conto dire più di tanto: si tratta di un gruppetto di antichi transfughi del
movimento sindacale che con l'accanimento tipico di chi "è passato
dall'altra parte" opera ormai da decenni (certo non gratuitamente) per la
sistematica demolizione di ogni tutela dei lavoratori.
Ma dall'altra parte purtroppo vi sono stati politici
ossia i parlamentari della cosiddetta "sinistra del PD", a parole del
tutto contrari al Jobs Act, ma che nel concreto hanno collaborato in modo
assolutamente decisivo alla sua emanazione, e lo hanno fatto con piena
consapevolezza. Prima vi è stato il "salvagente" offerto al governo
dal presidente della Commissione lavoro della Camera e consistito
nell'apparente miglioramento, con alcune precisazioni, del progetto di delega
che era "in bianco": il vero scopo è stato quindi quello di salvare
il progetto di delega cercando di renderlo compatibile con l'articolo 76 della
Costituzione e di questo abbiamo detto sulle colonne del Manifesto.
Poi vi è stato, in data 3 dicembre 2014, l'episodio
deprimente e squallido che mai potrà essere dimenticato. Sembrava che il
destino avesse voluto preparare un momento della verità: il testo del Jobs Act
modificato alla Camera per salvarlo dall'incostituzionalità era
conseguentemente tornato al Senato, dove però la maggioranza del governo era
assai più sottile. E al Senato vi erano 27 senatori del PS che si erano
dichiarati contrari all'eliminazione dell'articolo 18, ma che poi, al momento
di decidere, hanno invece approvato il testo legislativo giustificandosi con il
classico documento "salva-anima" sulla necessità di non provocare
crisi di governo. Ebbene, il risultato della votazione li inchioda per sempre
alla loro responsabilità: vi sono stati 166 voti favorevoli, 112 contrati e un
astenuto. Se i 27 "amici" dei lavoratori e dei loro diritti avessero
coerentemente votato contro il progetto il risultato sarebbe stato di 139
favorevoli, 139 contrari e un astenuto e poiché l'astensione al Senato conta
voto negativo il Jobs Act sarebbe andato in soffitta una volta per tutte! Il
colmo dell'ipocrisia i 27 senatori lo hanno poi raggiunto nella chiusura di
quel documento di giustificazione promettendo massima vigilanza in sede di
formulazione dei Decreti attuativi: enunciazione ridicola, visto che come tutti
sanno, i Decreti attuativi il legislatore delegato "se li fa da solo"
senza il concorso del Parlamento.
Accanto a queste brutture, che è triste ma giusto
ricordare, vi sono stati, però, importanti fatti positivi: l'ottima riuscita
della manifestazioni del 25 ottobre e del 12 dicembre e l'affiancamento quanto
mai importante, in occasione di quest'ultimo evento, della UIL alla CGIL. Ci
sono, allora, tutte le premesse per un lieto fine: infatti per i contratti di
lavoro già in essere non cambia ancora nulla e l'articolo 18 intanto rimane,
reintegra compresa, e occorrerà un bel po' di tempo perché i nuovi contratti,
detti "a tutele crescenti", ma in realtà privi di tutela prendano
piede. Nel frattempo sarà allora possibile sottoporre tempestivamente il
Decreto attuativo ad un referendum abrogativo, e cioè al giudizio popolare e di
quei lavoratori che di continuo Matteo Renzi cerca di ledere e insieme di ingannare.
La via del referendum abrogativo appare quanto mai
semplice e fruttuosa perché in sostanza il Decreto attuativo introduce per i
nuovi contratti un tipo di sanzione dei licenziamenti ingiustificati diverso e
se stante rispetto a quello degli altri rapporti: pertanto una volta abrogato
per referendum il Decreto la sanzione dell'articolo 18 torna ad essere generale
per rapporti vecchi e nuovi secondo il principio di
"autoimplementazione" dell'ordinamento. Chi scrive si permette di
rivendicare l'onore di poter personalmente redigere i quesiti referendari.
Nessun commento:
Posta un commento