Redazione
Operai Contro,
La strage degli ex operai dell’Isochimica di Avellino
continua: due morti solo nell’ultima settimana. Si tratta di due avellinesi,
Antonio Solomita, deceduto tre giorni fa, e Antonio Graziano. Una notizia che
fa sprofondare nello sconforto più totale gli ex operai dell’Isochimica,
consapevoli che la conta dei «dead men walking» dell’amianto sia destinata a
continuare con il passare del tempo. «Non possiamo fare altro che stringerci
alle loro famiglie e rispettare l’intimità del loro dolore. È un’ecatombe
infinita rispetto alla quale non ci sono più parole per commentare», dichiarano
gli operai. I nomi di Graziano e Solomita fanno parte dell’elenco di 237 parti
offese individuate nell’ambito del procedimento aperto dai magistrati
avellinesi per disastro ambientale doloso e omicidio colposo plurimo contro
Elio Graziano ed altri 28 indagati.
Un ex
operaio
Che cosa era
l’Isochimica
La fabbrica della morte è chiusa da quasi trent’anni,
ma continua ad uccidere. Il killer fantasma è nell’aria, ogni giorno gli
abitanti di borgo Ferrovia, quartiere popolare di Avellino, respirano i veleni
che arrivano da quel mostro chiamato “Isochimica”, l’opificio dove negli anni
’80 venivano scoibentate le carrozze ferroviarie, quasi tremila in sei anni. Si
lavorava a mani nude, senza mascherine, inconsapevoli dei pericoli. Almeno
20mila tonnellate di amianto sarebbero state sotterrate nel piazzale della
fabbrica, altre scorie sono state chiuse in cubi di cemento oppure sistemate in
sacchi neri e sversate nelle acque del fiume Sabato o addirittura nel mare
della costiera amalfitana. L’hanno rivelato gli ex operai ai magistrati. “Ma
mentre tutto ciò accadeva dov’erano i cittadini?”, si chiede il procuratore
della Repubblica di Avellino, Rosario Cantelmo, che paragona l’Isochimica all’Eternit di Casale
Monferrato, all’Ilva di Taranto a alla Thyssen Krupp. “Dovremo andare via da qui”, dice Gabriella
Testa, alla guida del comitato di mamme di borgo Ferrovia che si battono per la
bonifica del sito. L’Arpac, l’agenzia regionale per l’ambiente
della Campania, ha accertato che ci sono 27 fibre di amianto per litro d’aria
nella zona, stando alle raccomandazioni dell’Oms non ce ne dovrebbe essere
nemmeno una. Il biologo Carlo Caramelli, garante del Tribunale per i diritti
del malato, ha chiesto al prefetto di far evacuare il rione. “Perché Renzi non
viene a visitare la scuola elementare che è a cento metri dalla fabbrica?”, ha
chiesto polemicamente Carlo Sibilia, l’avellinese arrivato in Parlamento con il
Movimento 5 Stelle. C’è già stato lo screening sui bambini della scuola, il
pediatra dell’Asl di Avellino, Felice Nunziata, che ha guidato l’equipe per le
analisi, ha ammesso: “Qui non farei vivere mio figlio, la bonifica è urgente”. Ma
è ancora tutto fermo: il Comune non ha i soldi, la Regione prende tempo. Eppure
il procuratore Cantelmo, dopo aver messo sotto inchiesta il titolare
dell’Isochimica, Elio Graziano, imprenditore protagonista negli anni ’80 dello
scandalo “lenzuola d’oro”, l’ex giunta comunale e perfino il curatore
fallimentare, ha cercato di imprimere un’accelerazione nominando custodi
giudiziari dell’impianto il sindaco, Paolo Foti, e il governatore regionale,
Stefano Caldoro. Dopo anni di omissioni e indifferenza almeno qualcosa si
muove. Ma la svolta non c’è stata. Resta il conto dei morti, una lunga scia di
lutti e dolore: l’amianto ha già ucciso 15 ex operai ed un lavoratore che con
l’Isochimica non c’entrava nulla. Si chiamava Vittorio Esposito, lucidava i pavimenti
della stazione ferroviaria dove si scoibentavano le carrozze ferroviarie
direttamente sui binari evitando di portarle in fabbrica. Anche sua moglie, la
vedova Rosetta Capobianco che lavava le tute del marito impregnate di amianto,
si è ammalata ai polmoni, ma continua a battersi per il risanamento del
quartiere. E ora da qualche mese la Procura indaga su altri 23 decessi, nuovi
casi sospetti tra ex operai, familiari e cittadini di cui sono state
sequestrate cartelle cliniche e certificati di morte. Si fanno i conti.
All’Isochimica lavoravano 333 operai, almeno 150 sono già risultati ammalati.
“Ormai ci sentiamo dei morti che camminano”, confessa Carlo Sessa, uno degli ex
operai che ha visto morire i compagni di lavoro: da tempo chiede inutilmente
aiuto a tutti i partiti per la battaglia del prepensionamento degli ex
dipendenti della fabbrica dei veleni. Ma la politica è rimasta ancora
indifferente. E il futuro fa paura. Mario Polverino, direttore del polo
pneumologico dell’ospedale “Scarlato” di Scafati, ha scoperto che gli 80 operai
dell’Isochimica provenienti dal Salernitano sono stati tutti contaminati dalle
fibre killer. “Il picco delle malattie derivanti dall’amianto si avrà intorno
al 2020, quindi tutti gli ex operai e i cittadini sono a rischio”, conferma
Polverino che ha paragonato l’Isochimica alla miniera di crocidolite, l’amianto
blu, diWittenoom Gorge nel Western Australia dove a
distanza di 45 anni dall’esposizione, le persone che abitavano nei dintorni
della cava continuavano ad ammalarsi e a morire fino a far diventare il
villaggio una città fantasma. Ma Borgo Ferrovia ora vuole vivere. Anche
se la lotta contro i veleni non è ancora finita.
C’è un’altra morte sospetta legata alla fabbrica dei
veleni su cui indaga la Procura di Avellino. Lui si chiamava Vito Cotrufo: fu
ucciso nel 1987 da un tumore ai polmoni, l’Isochimica era ancora in piena
attività. Sarebbe stata chiusa solo due anni dopo dal pretore di Firenze,
Beniamino Deidda che indagava sui morti delle grandi officine toscane dove le
carrozze ferroviarie tornavano dalla fabbrica irpina, ripulite male
dall’amianto. Nelle carte della Procura di Avellino ci sono poi i nomi dei
decessi più recenti: Umberto De Fabrizio, Vittorio Matarazzo, Luigi Maiello,
Alberto Olivieri e altri dodici ex lavoratori Isochimica, stroncati da malattie
all’apparato respiratorio causate dall’amianto. Parallela a queste si è
consumata poi la tragedia di Pasquale Soricelli, che nel 2011 dopo aver
scoperto di essere affetto da una grave malattia per le fibre killer si tolse
la vita. Una targa da qualche anno ricorda il sacrificio di questi lavoratori
davanti alla fabbrica.
Chissà se oggi il titolare dell’Isochimica, l’ormai
82enne Elio Graziano, che sconta da condannato ai domiciliari le sue pene
nell’abitazione di contrada Scrofeta alla periferia di Avellino, pensa mai al
disastro che ha lasciato alle sue spalle. “Ho sempre solo fatto del bene”,
ripete ancora oggi al suo avvocato, il penalista Alberico Villani. Tornerà un
uomo libero solo il 19 ottobre del 2017, quando finirà il conto delle sentenze
che l’hanno colpito per corruzione e omicidio colposo. Ma con lui la giustizia
non ha ancora chiuso i conti. Lo chiamavano “Papà Elio” perché lui, da
presidente dell’Avellino ai tempi della serie A, elargiva
con grande generosità, come un buon padre di famiglia, banconote da centomila
lire a tifosi e operai che lo acclamavano. Era un imprenditore rampante
Graziano, che dopo l’Isochimica aprì un altro stabilimento industriale a
Fisciano (Salerno) per la produzione del detersivo “Dyal”, marchio che
sponsorizzava le magliette dell’Avellino. Anche nel piazzale di quella fabbrica
sarebbe stato smaltito l’amianto. Il patron arrivava allo stadio “Partenio” in
elicottero prima delle partite e prometteva premi favolosi ai calciatori. Da
presidente portò l’Avellino guidato in panchina da Luis Vinicio a sfiorare la
qualificazione all’allora Coppa Uefa, lanciando campioni che avrebbero fatto le
fortune della Juventus come Tacconi, Favero e Vignola. L’anno dopo, nel
campionato ’87-’88, ci fu però la retrocessione in B e l’esplosione dello
scandalo delle “lenzuola d’oro”, storia di mazzette pagate da Graziano ai
vertici delle Ferrovie per le forniture di biancheria sui treni notturni.
Vicenda che costò la poltrona all’allora presidente delle Fs Ludovico Ligato. Per
l’industriale iniziò così la parabola discendente che non è ancora finita.
Perché c’è anche lui tra i 24 iscritti nel registro degli indagati
nell’inchiesta della Procura sulla morte di quanti sono stati uccisi
dall’amianto dell’Isochimica.
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