Venerdì 23 gennaio si terrà la prima udienza davanti al giudice del lavoro, per il ricorso presentato da 3 dei 4 lavoratori e lavoratrici licenziati da Aleandri Bricolage SRL.
Lo scorso anno l’Azienda giustificò i licenziamenti con la crisi e la conseguente necessità di una riorganizzazione aziendale, rifiutando il ricorso ai contratti di solidarietà, assunti dalla stessa commissione di conciliazione, perché “non immediatamente convenienti da un punto di vista strettamente economico”.
Ma i fatti hanno smascherato le reali intenzioni dell’azienda contro i ricorrenti licenziati: invece di procedere al ridimensionamento delle superfici di vendita e dell’organico per ridurre i costi, come annunciato 6 mesi fa, Aleandri Bricolage SRL ha incrementato entrambi, seppur di poco, preconizzando gli effetti del Jobs Act, con aumento dei contratti precari, demansionamento di fatto e libertà di licenziamento.
Al posto dei lavoratori licenziati per “giustificato motivo oggettivo”, l’azienda ne assunto altri, a tempo determinato, dietro schermatura di un’agenzia interinale.
Tra le nuove assunzioni, quella di una lavoratrice licenziata insieme ai ricorrenti svela il carattere discriminatorio, oltre che illegittimo, di quei licenziamenti: la “ri-assunta” senza famigliari a carico era infatti quella con minore anzianità di servizio, pertanto l’ultima a dover essere richiamata al lavoro se le condizioni oggettive dei licenziamenti fossero venute meno.
Queste circostanze sono state anche oggetto di denuncia all’Ispettorato del lavoro da parte della rappresentante dello Slai Cobas s. c., ma non abbiamo avuto risposta sugli accertamenti richiesti e sugli esiti degli stessi, quindi andiamo avanti con il processo.
In una nota inviata alla stampa dopo i licenziamenti, l’Aleandri Bricolage SRL difendeva la sua immagine, vantandosi di essere nota in città per aver “operato sempre credendo e investendo nel capitale umano, nella formazione e non nel sistema speculativo e parassitario”.
Queste circostanze indicano che invece l’Aleandri Bricolage SRL si comporta come tutti i padroni e, come tutti i padroni, scarica la crisi sugli operai, prima di tutto quelli poco “graditi”, nell’unico interesse di mantenere e incrementare i profitti. Questo il vero fine delle politiche del lavoro di imprenditori e governi, questo il vero senso del Jobs Act e dei licenziamenti liberi: per il profitto, contro il lavoro.
Lo scorso anno, oltre 300 firme da tutta Italia sono state raccolte per far rientrare i licenziamenti al Brico io di L’Aquila. E’ stata una campagna di solidarietà nata dalle donne, dalle lavoratrici che hanno scioperato il 25 novembre 2013 contro la violenza, per chiedere lavoro per tutte, precarietà e disoccupazione per nessuno, perché il lavoro è un diritto, la disoccupazione è un delitto, è violenza.
Questa campagna di solidarietà ha restituito a questa vicenda un po’ di verità e ha anche dato dei frutti, seppur parziali e limitati, come l’incontro con il direttore della Confcommercio, che però si è concluso con un nulla di fatto, per l’intransigenza della parte datoriale, la mal celata indifferenza del suo patronato e, soprattutto, per la mancanza di una lotta attiva e coraggiosa dei restanti lavoratori e lavoratrici del Brico io contro il ricatto padronale. Educare e punire per il profitto, questo è l’altro aspetto repressivo dei licenziamenti, che in assenza di un’opposizione aperta e compatta di tutti i lavoratori continuerà a mietere vittime.
I diritti si acquisiscono con le lotte attive dei lavoratori e non con le tessere!
Nulla è per sempre, solo la lotta paga e quando le lotte sono insufficienti, noi facciamo un passo indietro non di uno, ma di 200 anni e lo facciamo tutti, non solo gli operai licenziati.
Il 2014 è stato l’anno dei padroni, che il 2015 sia l’anno dei lavoratori, l’anno del riscatto del lavoro sul profitto
Slai Cobas per il sindacato di classe L’Aquila,
Lo scorso anno l’Azienda giustificò i licenziamenti con la crisi e la conseguente necessità di una riorganizzazione aziendale, rifiutando il ricorso ai contratti di solidarietà, assunti dalla stessa commissione di conciliazione, perché “non immediatamente convenienti da un punto di vista strettamente economico”.
Ma i fatti hanno smascherato le reali intenzioni dell’azienda contro i ricorrenti licenziati: invece di procedere al ridimensionamento delle superfici di vendita e dell’organico per ridurre i costi, come annunciato 6 mesi fa, Aleandri Bricolage SRL ha incrementato entrambi, seppur di poco, preconizzando gli effetti del Jobs Act, con aumento dei contratti precari, demansionamento di fatto e libertà di licenziamento.
Al posto dei lavoratori licenziati per “giustificato motivo oggettivo”, l’azienda ne assunto altri, a tempo determinato, dietro schermatura di un’agenzia interinale.
Tra le nuove assunzioni, quella di una lavoratrice licenziata insieme ai ricorrenti svela il carattere discriminatorio, oltre che illegittimo, di quei licenziamenti: la “ri-assunta” senza famigliari a carico era infatti quella con minore anzianità di servizio, pertanto l’ultima a dover essere richiamata al lavoro se le condizioni oggettive dei licenziamenti fossero venute meno.
Queste circostanze sono state anche oggetto di denuncia all’Ispettorato del lavoro da parte della rappresentante dello Slai Cobas s. c., ma non abbiamo avuto risposta sugli accertamenti richiesti e sugli esiti degli stessi, quindi andiamo avanti con il processo.
In una nota inviata alla stampa dopo i licenziamenti, l’Aleandri Bricolage SRL difendeva la sua immagine, vantandosi di essere nota in città per aver “operato sempre credendo e investendo nel capitale umano, nella formazione e non nel sistema speculativo e parassitario”.
Queste circostanze indicano che invece l’Aleandri Bricolage SRL si comporta come tutti i padroni e, come tutti i padroni, scarica la crisi sugli operai, prima di tutto quelli poco “graditi”, nell’unico interesse di mantenere e incrementare i profitti. Questo il vero fine delle politiche del lavoro di imprenditori e governi, questo il vero senso del Jobs Act e dei licenziamenti liberi: per il profitto, contro il lavoro.
Lo scorso anno, oltre 300 firme da tutta Italia sono state raccolte per far rientrare i licenziamenti al Brico io di L’Aquila. E’ stata una campagna di solidarietà nata dalle donne, dalle lavoratrici che hanno scioperato il 25 novembre 2013 contro la violenza, per chiedere lavoro per tutte, precarietà e disoccupazione per nessuno, perché il lavoro è un diritto, la disoccupazione è un delitto, è violenza.
Questa campagna di solidarietà ha restituito a questa vicenda un po’ di verità e ha anche dato dei frutti, seppur parziali e limitati, come l’incontro con il direttore della Confcommercio, che però si è concluso con un nulla di fatto, per l’intransigenza della parte datoriale, la mal celata indifferenza del suo patronato e, soprattutto, per la mancanza di una lotta attiva e coraggiosa dei restanti lavoratori e lavoratrici del Brico io contro il ricatto padronale. Educare e punire per il profitto, questo è l’altro aspetto repressivo dei licenziamenti, che in assenza di un’opposizione aperta e compatta di tutti i lavoratori continuerà a mietere vittime.
I diritti si acquisiscono con le lotte attive dei lavoratori e non con le tessere!
Nulla è per sempre, solo la lotta paga e quando le lotte sono insufficienti, noi facciamo un passo indietro non di uno, ma di 200 anni e lo facciamo tutti, non solo gli operai licenziati.
Il 2014 è stato l’anno dei padroni, che il 2015 sia l’anno dei lavoratori, l’anno del riscatto del lavoro sul profitto
Slai Cobas per il sindacato di classe L’Aquila,
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