venerdì 3 luglio 2015

3 luglio - Know Your Rights: la controinformazione su Salute e Sicurezza sul Lavoro



SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS “LETTERE DAL FRONTE” DEL 02/07/15

Invio a seguire e/o in allegato le “Lettere dal fronte”, cioè una raccolta di quelle mail che, tra le tante che ricevo, hanno come tema comune la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei cittadini e la tutela del diritto e della dignità del lavoro.
Il mio vuole essere un contributo a diffondere commenti, iniziative, appelli relativamente ai temi del diritto a un lavoro dignitoso, sicuro e salubre.
Invito tutti i compagni e gli amici della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Medicina Democratica
Progetto “Sicurezza sul lavoro! Know Your Rights”

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INDICE

Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
GIANLUCA GARETTI COMMENTA L’ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO

Franco Mugliari fmuglia@tin.it
LA POESIA DI CARLO SORICELLI “MORTI BIANCHE”

Posta Resistenze posta@resistenze.org
LA PRODUTTIVITA’ A OGNI COSTO UMANO!

Katia Lumachi klumachi@gmail.com
L’ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO: “LA CARTA MAGNA DELL’ECOLOGIA INTEGRALE”

BERGOGLIO E IL SOGNO DI UNA CONCILIAZIONE CON IL CAPITALISMO

Il Sindacato è un’altra cosa sindacatounaltracosa@gmail.com
MODENA: MANIFESTO LAVORATORI SETTORE AGRO-ALIMENTARE

Teoria & Prassi teoriaeprassi@yahoo.it
MELFI: IL VAMPIRO CAPITALISTA SUCCHIA OGNI GOCCIA DI SANGUE DEL LAVORO VIVO

Voci della Memoria info@vocidellamemoria.org
A FORZA DI URLARE...

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
REPORT MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI 6 MESI DEL 2015

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NOTA
Alcune delle mail sotto riportate contengono commenti e riferimenti alla Enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco.
Per completezza di informazione segnalo che la Enciclica può essere scaricata integralmente all’indirizzo:

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From: Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent: Tuesday, June 23, 2015 9:14 AM
Subject: GIANLUCA GARETTI COMMENTA L’ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO

Cari amici e compagni,
vi giro un articolo di Gianluca Garetti a commento dell’Enciclica di Papa Francesco I.
Gianluca mette in relazione l’Enciclica con le scelte (im)politiche dei nostri amministratori fiorentini e regionali: inceneritori, sottoattraversamenti, allungamento di piste di aeroporti, ecc..
Jorge Bergoglio sistematizza magistralmente nell’Enciclica l’assalto del Capitale Finanziario alla natura, ma anche agli ultimi (gli scarti) della terra, che sono quelli a soffrire di più dell’inquinamento dei territori, dell’acqua ecc.
Ma non voglio andare oltre: invito tutti a leggere l’articolo di Gianluca e ovviamente anche l’Enciclica per intero.
Saluti a tutti
Gino Carpentiero
Sezione Pietro Mirabelli Medicina Democratica Firenze

L’ECOLOGIA INTEGRALE DI BERGOGLIO e LA PIANA FIRENZE, PRATO, PISTOIA
L’Enciclica di Bergoglio, sull’ambiente, è appena uscita, ma sta avendo un grande e secondo me meritato successo.
Notevole è la distanza rispetto a chi ci governa in Toscana e rispetto all’ala conservatrice della chiesa. Tante sono le letture che si possono dare, quasi tutte condivisibili anche dal mondo ambientalista, che può trovare in Bergoglio un insperato compagno di lotte.
Vi si legge la preoccupazione per la crisi ambientale e per i poveri, gli scartati dalla società della finanza, delle banche e della tecnocrazia (vedi la cultura dello scarto) su cui impattano principalmente gli effetti dell’inquinamento outdoor e indoor, del riscaldamento globale, della cattiva qualità dell’acqua, che vogliono pure privatizzare, della mancata governance degli oceani, della perdita della biodiversità, della deforestazione, dell’esaurimento delle risorse naturali,della disumanizzazione delle città, ecc. .
Di fatto, il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta: “Tanto l’esperienza comune della vita ordinaria, quanto la ricerca scientifica dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera”.
Accanto a queste tragedie sociali e ambientali, fra loro interconnesse, nell’indifferenza ormai globalizzata, stante “la grave responsabilità della politica internazionale e locale” c’è l’esigenza di un altro modello di sviluppo, improntato alla sobrietà ed umiltà.
C’è l’ assoluta necessità “di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo”, di mettere in atto l’economia circolare, di sviluppare fonti di energia rinnovabile.
A livello mondiale è cresciuta la sensibilità ecologica delle popolazioni, l’ecologia umana, i movimenti e le associazioni che propongono buone pratiche, la difesa dei beni comuni e la decrescita.
“L’istanza locale” e la pressione delle popolazioni, sulla politica succube dell’economia e della finanza, possono fare la differenza e spingere verso una cultura della cura.
Qui di seguito ho scelto alcune frasi dell’Enciclica “Laudato sì”, contestualizzandole al territorio fiorentino, in particolare mi riferisco alle folli decisioni previste per la Piana Firenze, Prato, Pistoia. Si può facilmente evincere come lo spirito di questa Enciclica sia completamente estraneo a quei miopi decisori politici. Auspico che l’attenta lettura di questa Enciclica possa far cambiare la rotta a qualche politico coraggioso.
“D’altra parte, l’azione politica locale può orientarsi alla modifica dei consumi, allo sviluppo di un’economia dei rifiuti e del riciclaggio, alla protezione di determinate specie e alla programmazione di un’agricoltura diversificata con la rotazione delle colture”.
Altro che modifica dei consumi, altro che sviluppo di economia del riuso e del riciclo, altro che protezione di determinate specie animali, altro che agricoltura diversificata! Qui si vuol potenziare l’aeroporto, per incentivare il turismo mordi e fuggi, i rifiuti si vogliono bruciare nell’inceneritore di Firenze, si irride a che si preoccupa del rospo smeraldino cioè a chi difende la biodiversità e si sostiene il parco agricolo della piana, che di diversificato avrà solo gli inquinanti del suolo.
“Negli ultimi decenni le questioni ambientali hanno dato origine a un ampio dibattito pubblico, che ha fatto crescere nella società civile spazi di notevole impegno e di generosa dedizione. La politica e l’industria rispondono con lentezza, lontane dall’essere all’altezza delle sfide mondiali”.
La politica toscana è ancora ferma all’era degli inceneritori, agli insostenibili potenziamenti di aeroporti, al sotto attraversamento di Firenze, altro che lentezza! Però sono nati dal basso tanti movimenti e associazioni che hanno portato una nuova cultura ecologica, (uno fra i tanti “Rifiuti Zero” a Capannori), che hanno dato inizio all’era della responsabilità ambientale e ad alla messa in discussione della alienante società consumistica.
“L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via. Tutto ciò fa parte di una creatività generosa e dignitosa, che mostra il meglio dell’essere umano. Riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente, partendo da motivazioni profonde, può essere un atto di amore che esprime la nostra dignità”.
“In seno alla società fiorisce una innumerevole varietà di associazioni che intervengono a favore del bene comune, difendendo l’ambiente naturale e urbano. Per esempio, si preoccupano di un luogo pubblico (un edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un paesaggio, una piazza), per proteggere, risanare, migliorare o abbellire qualcosa che è di tutti. Intorno a loro si sviluppano o si recuperano legami e sorge un nuovo tessuto sociale locale. Così una comunità si libera dall’indifferenza consumistica”.
In quest’ultima frase, Bergoglio insiste sull’importanza della cooperazione fra le persone, tanti sono gli esempi che si possono fare, uno su tutti è l’esperienza di agricoltura dal basso di Mondeggi Bene Comune, Fattoria senza padroni.
Nella frase qui sotto si sposta l’accento sull’importanza dell’assenso degli abitanti del luogo. Non basta trincerarsi dietro i consensi elettorali, come fa anche il Sindaco di Firenze Nardella per eludere il confronto con le migliaia di cittadini che sono scesi in piazza l’11 aprile e l’11 giugno a manifestare contro l’inceneritore di Firenze.
“E’ sempre necessario acquisire consenso tra i vari attori sociali, che possono apportare diverse prospettive, soluzioni e alternative. Ma nel dibattito devono avere un posto privilegiato gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sé e per i propri figli, e possono tenere in considerazione le finalità che trascendono l’interesse economico immediato. Bisogna abbandonare l’idea di interventi sull’ambiente, per dar luogo a politiche pensate e dibattute da tutte le parti interessate. La partecipazione richiede che tutti siano adeguatamente informati sui diversi aspetti e sui vari rischi e possibilità, e non si riduce alla decisione iniziale su un progetto, ma implica anche azioni di controllo o monitoraggio costante. C’è bisogno di sincerità e verità nelle discussioni scientifiche e politiche, senza limitarsi a considerare che cosa sia permesso o meno dalla legislazione”.
Nel successivo paragrafo si parla dei rischi per l’ambiente legati alle emissioni, alle scorie, al mutamento del paesaggio e addirittura si suggerisce il “Principio di Precauzione”, tante volte da noi ambientalisti invano invocato, di fronte alle grandi opere impattanti sulla salute delle popolazioni .
“Quando compaiono eventuali rischi per l’ambiente che interessano il bene comune presente e futuro, questa situazione richiede che le decisioni siano basate su un confronto tra rischi e benefici ipotizzabili per ogni possibile scelta alternativa. Questo vale soprattutto se un progetto può causare un incremento nello sfruttamento delle risorse naturali, nelle emissioni e nelle scorie, nella produzione di rifiuti, oppure un mutamento significativo nel paesaggio, nell’habitat di specie protette o in uno spazio pubblico”.
“Nella Dichiarazione di Rio del 1992, si sostiene che laddove vi sono minacce di danni gravi o irreversibili, la mancanza di piene certezze scientifiche non potrà costituire un motivo per ritardare l’adozione di misure efficaci che impediscano il degrado dell’ambiente. Questo principio di precauzione permette la protezione dei più deboli, che dispongono di pochi mezzi per difendersi e per procurare prove irrefutabili. Se l’informazione oggettiva porta a prevedere un danno grave e irreversibile, anche se non ci fosse una dimostrazione indiscutibile, qualunque progetto dovrebbe essere fermato o modificato. In questo modo si inverte l’onere della prova, dato che in questi casi bisogna procurare una dimostrazione oggettiva e decisiva che l’attività proposta non vada a procurare danni gravi all’ambiente o a quanti lo abitano”.
In queste ultime righe ci si riferisce all’antropocene, ai danni provocati dall’inquinamento quotidiano in cui tutti siamo avvolti e della necessità stringente di ridurlo, senza immettere altri cancerogeni nell’aria, nei cibi, nell’acqua.
La risposta dei politici è invece l’inceneritore, l’aumento del traffico aereo, il sottoattraversamento, tutti frutti avvelenati della tecnologia legata alla finanza.
“Esistono forme di inquinamento che colpiscono quotidianamente le persone. L’esposizione agli inquinanti atmosferici produce un ampio spettro di effetti sulla salute, in particolare dei più poveri, e provocano milioni di morti premature. Ci si ammala, per esempio, a causa di inalazioni di elevate quantità di fumo prodotto dai combustibili utilizzati per cucinare o per riscaldarsi. A questo si aggiunge l’inquinamento che colpisce tutti, causato dal trasporto, dai fumi dell’industria, dalle discariche di sostanze che contribuiscono all’acidificazione del suolo e dell’acqua, da fertilizzanti, insetticidi, fungicidi, diserbanti e pesticidi tossici in generale. La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri”.
Il Pianeta è diventato ormai un deposito di immondizia, ma la soluzione non sono gli inceneritori, che aumentano l’inquinamento con le emissioni, con le scorie, con le ceneri, coi fanghi da depurare, ma le buone pratiche, come la Strategia Rifiuti Zero.
“C’è da considerare anche l’inquinamento prodotto dai rifiuti, compresi quelli pericolosi presenti in diversi ambienti. Si producono centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, molti dei quali non biodegradabili: rifiuti domestici e commerciali, detriti di demolizioni, rifiuti clinici, elettronici o industriali, rifiuti altamente tossici e radioattivi. La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia. In molti luoghi del pianeta, gli anziani ricordano con nostalgia i paesaggi d’altri tempi, che ora appaiono sommersi da spazzatura”.
In quest’ultima frase si denuncia, con molto rigore scientifico, che gli inquinanti spesso sono persistenti e quindi si accumulano nell’aria, nei cibi, nei suoli, nell’acqua, nei corpi umani e sono tossici anche a basse dosi, cioè anche se ricadono entro i limiti di legge, sono comunque epigenotossicie gli effetti negativi impatteranno, oltre che sulle popolazioni attuali, anche sulle future generazioni. Questo è un passo molto importante che si cerca sempre di nascondere. E molte volte si aspetta di “contare i morti” (vedi ad esempio gli studi epidemiologici che vanno sempre ripetuti) prima di prendere delle adeguate misure.
“Tanto i rifiuti industriali quanto i prodotti chimici utilizzati nelle città e nei campi, possono produrre un effetto di bio-accumulazione negli organismi degli abitanti delle zone limitrofe, che si verifica anche quando il livello di presenza di un elemento tossico in un luogo è basso. Molte volte si prendono misure solo quando si sono prodotti effetti irreversibili per la salute delle persone”.
E le generazioni future ? E’ questa la solidarietà transgenerazionale?
“La nozione di bene comune coinvolge anche le generazioni future. Le crisi economiche internazionali hanno mostrato con crudezza gli effetti nocivi che porta con sé il disconoscimento di un destino comune, dal quale non possono essere esclusi coloro che verranno dopo di noi. Ormai non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni. Quando pensiamo alla situazione in cui si lascia il pianeta alle future generazioni, entriamo in un’altra logica, quella del dono gratuito che riceviamo e comunichiamo. Se la terra ci è donata, non possiamo più pensare soltanto a partire da un criterio utilitarista di efficienza e produttività per il profitto individuale. Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale, bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno”.

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From: Franco Mugliari fmuglia@tin.it
To:
Sent: Wednesday, June 24, 2015 9:46 AM
Subject: LA POESIA DI CARLO SORICELLI “MORTI BIANCHE”

Dal blog Muglia la Furia
mercoledì 24 giugno 2015
“MORTI BIANCHE”
Una poesia di Carlo Soricelli, metalmeccanico in pensione, fondatore dell’Osservatorio Indipendente Morti sul lavoro di Bologna, recitata da Flavio Insinna.
Il video è su YouTube al link:
Ascoltatela ad occhi chiusi, o facendo scorrere il testo sul monitor che trovate sotto..., fate un po’ come volete. Ma fatelo.
In meno di 90 secondi c’è dentro tutto ciò per il quale io, e quelli come me, vogliono e lottano per “...far parte di una società dove non siano, come credono gli sciocchi, aboliti il dolore, l’angoscia spirituale o fisica, la problematicità della vita, ma esistano gli strumenti per condurre una comune concorde lotta contro il dolore, la miseria, la morte...” (Cesare Pavese).

MORTI BIANCHE
Chiamatele pure morti bianche.
Ma non è il bianco dell’innocenza
non è il bianco della purezza
non è il bianco candido di una nevicata in montagna.
E’il bianco di un lenzuolo, di mille lenzuoli
che ogni anno coprono sguardi fissi nel vuoto
occhi spalancati dal terrore dalla consapevolezza che la vita sta scappando via.
Un attimo eterno che toglie ogni speranza
l’attimo di una caduta da diversi metri
dell’esalazione che toglie l’aria nei polmoni
del trattore senza protezioni che sta schiacciando dell’impatto sulla strada
verso il lavoro del frastuono dell’esplosione che lacera la carne
di una scarica elettrica che paralizza il cuore.
E’ un bianco che copre le nostre coscienze e il corpo martoriato di un lavoratore
E’ il bianco di un tramonto livido e nebbioso
di una vita che si spegne lontana dagli affetti di lacrime e disperazione per chi rimane.
Anche quest’anno oltre mille morti
vite coperte da un lenzuolo bianco.
Bianco ipocrita che copre sangue rosso
e il nero sporco di una democrazia per pochi.
Vite perse per pochi euro al mese
da chi è spesso solo moderno schiavo.

Un solo commento per non interrompere l’emozione...
Grazie a Carlo per averla scritta, a Flavio per averla recitata, a Marco Bazzoni che me l’ha fatta conoscere e a Lilino per averla caricata su You Tube.

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, June 25, 2015 4:27 AM
Subject: LA PRODUTTIVITA’ A OGNI COSTO UMANO!

Era annunciato da tempo il provvedimento del governo di modifica dell’articolo4 dello Statuto dei diritti dei lavoratori che avrebbe liberalizzato ogni controllo delle aziende sui dipendenti senza alcun accordo sindacale. Era contenuto nella legge delega “Jobs Act” approvata nei mesi scorsi. Nessuno stupore quindi che Renzi abbia mantenuto la parola.
Stupisce invece l’incomprensione a sinistra e nella CGIL sul reale portato del provvedimento.
Il libero spionaggio delle aziende sui lavoratori è parte integrante di un disegno complessivo che il Jobs Act realizza. Il combinato disposto del libero licenziamento, demansionamento e spionaggio instaura il regime della ricattabilità piena del lavoro.
Ultima in ordine di tempo giunge la possibilità per le aziende di controllare dati di traffico, spostamenti e qualsivoglia altra operazione effettuata con palmare, smartphone, computer, eccetera.
E’ sufficiente pensare a come cambierà la condizione, e parliamo di almeno un milione di lavoratori, per manutentori, installatori di impianti. Dal lavoratore dell’azienda che installa e ripara linee telefoniche, da chi fa la manutenzione sugli ascensori sino a chi legge i contatori di gas e acqua. Il provvedimento autorizza le aziende a poter verificare, grazie alle sofisticate tecnologie, tempi di ogni singolo intervento e spostamenti sul territorio.
Dal punto di vista giuridico contrattuale ciò significa che i dati potranno essere usati per infliggere sanzioni e provvedimenti disciplinari. Dal punto di vista sindacale inasprirà l’attacco sulla distinzione tra retribuzione del lavoro materiale dell’intervento e retribuzione del tempo di viaggio. Non è solo quel settore di lavoratori ad essere colpito ovviamente anche perché il controllo a distanza riguarda anche l’occhio indiscreto di telecamere puntate direttamente sulle postazioni di lavoro.
E’ l’insieme del mondo del lavoro che pagherà un prezzo enorme sull’altare della produttività.
Perché in sostanza il Jobs Act è un portentoso strumento per l’incremento del tasso di sfruttamento del lavoro umano. E’ la sistematizzazione del sistema di variabilità di salari, orari, ritmi e carichi di lavoro ai bisogni del mercato e delle imprese.
Per anni il padronato ci ha raccontato che la produttività era il vero problema del nostro paese. Dicevano produttività per dire sfruttamento, cioè maggiore quantità di lavoro. Si può lavorare meno ma produrre di più se si investe, cosa diversa dal lavorare di più per produrre di più...
Il risultato potrebbe non cambiare in termini meramente numerici, ma la differenza la fa il tasso di sfruttamento.
CGIL, CISL e UIL si sono bevute la litania della scarsa produttività e uno dopo l’altro hanno consentito, o hanno subito senza resistere, la cancellazione di ogni paletto a difesa del lavoro. Il processo di restaurazione del dominio assoluto dell’impresa sul lavoro conquista così un risultato importante. Nel passato il diritto del lavoro e la contrattazione stabilivano quei limiti sotto ai quali non si poteva scendere. Oggi si può fare praticamente di tutto. Il vincolo alle imprese e ai profitti è solo quello che gli dà il mercato. Per il resto si può scaricare il costo di questa assoluta libertà d’impresa sulla vita degli uomini e delle donne che lavorano ma anche su coloro che un lavoro non riusciranno mai ad averlo.
Tutte materie su cui aprire una riflessione urgente per chi ancora crede sia possibile organizzare il mondo del lavoro per riconquistare un sistema di diritti e tutele. Se e quale spazio esiste ancora per il sindacato e quale sindacato serve ai lavoratori. Domande sempre più ineludibili.

18/06/15
Sergio Bellavista
Il sindacato è un’altra cosa www.sindacatounaltracosa.org

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From: Katia Lumachi klumachi@gmail.com
To:
Sent: Friday, June 26, 2015 11:23 PM
Subject: L’ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO: “LA CARTA MAGNA DELL’ECOLOGIA INTEGRALE”


Prima di un qualunque commento è il caso di evidenziare alcune singolarità dell’Enciclica “Laudato sì” di papa Francesco.
E’ la prima volta che un papa affronta il tema dell’ecologia nel senso di un’ecologia integrale (e quindi al di là del tema ambientale) in modo così completo. Sorpresa: egli elabora il tema all’interno del nuovo paradigma ecologico, come non ha mai fatto alcun documento ufficiale delle Nazioni Unite.
Il suo discorso poggia sui dati più sicuri delle scienze della vita e della Terra, letti in maniera affettiva (con l’intelligenza sensibile o cordiale), in quanto il papa riconosce che dietro di essi si celano drammi umani e grande sofferenza anche da parte della madre Terra.
La situazione attuale è grave, ma papa Francesco trova sempre ragioni per la speranza e per la fiducia nel fatto che l’essere umano possa individuare le soluzioni efficaci.
Si richiama ai papi che lo hanno preceduto, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, citandoli molte volte. E una cosa assolutamente nuova: il suo testo si inscrive all’interno della collegialità, valorizzando i contributi di decine di Conferenze episcopali del mondo intero, da quella degli Stati Uniti a quella della Germania, del Brasile, della Patagonia, del Paraguay.
Accoglie i contributi di altri intellettuali, come i cattolici Pierre Teilhard de Chardin, Romano Guardini, Dante Alighieri, il suo maestro argentino Juan Carlos Scannone, il protestante Paul Ricoeur e il musulmano sufi Ali Al-Khawwas. I destinatari sono tutti gli esseri umani, in quanto tutti abitiamo la stessa casa comune (parola molto usata dal papa) e soffriamo le stesse minacce.
Papa Francesco non scrive in qualità di Maestro e Dottore della fede, ma come pastore zelante che si prende cura della casa comune e di tutti gli esseri, non solo umani, che in essa abitano.
C’è un altro elemento che merita di essere evidenziato, rivelando la forma mentis di papa Francesco: il suo essere tributario dell’esperienza pastorale e teologica delle Chiese latinoamericane, le quali, alla luce dei documenti dell’episcopato latinoamericano (Celam) di Medellín (1968), di Puebla (1979) e di Aparecida (2007), hanno fatto un’opzione per i poveri, contro la povertà e a favore della liberazione.
Il testo e il tono dell’Enciclica sono tipici di papa Francesco e della cultura ecologica che egli ha maturato, ma ci si può rendere conto anche del fatto che molte espressioni e modi di dire rimandano a quanto si pensa e si scrive principalmente in America Latina. I temi, tra gli altri, della “casa comune”, della “madre Terra”, del “grido della Terra e grido dei poveri”, della “cura”, dell’”interdipendenza fra tutti gli esseri”, dei “poveri e vulnerabili”, del “cambiamento di paradigma”, dell’ “essere umano come Terra” che sente, pensa, ama e venera, dell’ “ecologia integrale”, sono tutti temi ricorrenti tra noi.
La struttura dell’Enciclica ubbidisce al rituale metodologico usato dalle nostre Chiese e dalla riflessione teologica legata alla pratica della liberazione, ora adottata e consacrata dal papa: vedere, giudicare, agire e celebrare.
Fin dall’inizio rivela la sua principale fonte d’ispirazione: san Francesco d’Assisi, che egli definisce “esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale”, esprimendo un’attenzione particolare “verso i più poveri e abbandonati”.
E si sofferma quindi sul vedere: su “quello che sta accadendo alla nostra casa”. Il papa afferma: “Basta però guardare la realtà con sincerità per vedere che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune”. In questa parte egli incorpora i dati più consistenti sul cambiamento climatico, la questione dell’acqua, l’erosione della biodiversità, il deterioramento della qualità della vita umana e il degrado della vita sociale e denuncia l’alto tasso di iniquità planetaria, che colpisce tutti gli ambiti della vita e vede i poveri come principali vittime.
In questa sezione appare una frase che rimanda alla riflessione condotta in America Latina: “Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”. E poi aggiunge: i gemiti di sorella terra “si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo”. E questo è assolutamente coerente, in quanto all’inizio afferma che “noi stessi siamo terra”, pienamente in linea con il grande cantore e poeta indigeno argentino Atahualpa Yupanqui: “L’essere umano è la Terra che cammina, che sente, che pensa e che ama”.
Condanna poi le proposte di internazionalizzazione dell’Amazzonia, “che servono solo agli interessi economici delle multinazionali”. E fa un’affermazione di grande vigore etico: è gravissima iniquità “quando si pretende di ottenere importanti benefici facendo pagare al resto dell’umanità, presente e futura, gli altissimi costi del degrado ambientale”.
Riconosce con tristezza: “Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli”. Di fronte a questa offensiva umana contro la madre Terra che molti scienziati hanno denunciato come l’avvento di una nuova era geologica (l’Antropocene), lamenta l’inadeguatezza dei poteri di questo mondo che, illusi, pensano che “il pianeta potrebbe rimanere per molto tempo nelle condizioni attuali”, come alibi “per alimentare tutti i vizi autodistruttivi” con un “comportamento che a volte sembra suicida.
Prudente, egli riconosce la diversità di opinioni e il fatto che “non c’è un’unica via di soluzione”. Ciononostante è “certo che l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista, perché abbiamo smesso di pensare ai fini dell’agire umano”e ci perdiamo dietro la realizzazione di mezzi destinati a un accumulo illimitato a spese della giustizia ecologica (degrado degli ecosistemi) e della giustizia sociale (impoverimento delle popolazioni). L’umanità semplicemente “ha deluso l’attesa divina”.
La sfida urgente consiste allora nel “proteggere la nostra casa comune” e per farlo abbiamo bisogno, citando Giovanni Paolo II, di una “conversione ecologica globale” e di una “cultura della cura che impregni tutta la società”.
Dopo la dimensione del vedere, s’impone ora quella del giudicare. Che è delineata secondo due versanti, uno scientifico e l’altro teologico.
Vediamo quello scientifico.
L’Enciclica dedica tutto il terzo capitolo all’analisi della “radice umana della crisi ecologica”. Qui il papa si propone di analizzare la tecnoscienza senza pregiudizi, accogliendo quanto essa ha offerto in termini di “cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell’essere umano”. Il problema non è qui, bensì nel fatto che essa si è resa indipendente, sottomettendo l’economia, la politica e la natura in vista dell’accumulo di beni materiali. La tecnoscienza parte dal presupposto errato della “disponibilità infinita dei beni del pianeta”, quando sappiamo di aver già raggiunto i limiti fisici della Terra e che gran parte dei beni e servizi non è rinnovabile. La tecnoscienza è diventata tecnocrazia, una vera dittatura con la sua ferrea logica di dominio su tutto e su tutti.
La grande illusione oggi dominante consiste nel credere che con la tecnoscienza si possano risolvere tutti i problemi ecologici. E’ un’idea ingannevole, poiché “significa isolare cose che nella realtà sono connesse”. In realtà, “tutto è connesso”, “tutto è in relazione”, un’affermazione, questa, che attraversa tutto il testo dell’Enciclica come un leitmotiv, essendo un concetto chiave del nuovo paradigma contemporaneo. Il grande limite della tecnocrazia sta nella “frammentazione del sapere” fino a “perdere il senso della totalità”. Il peggio è che essa “non riconosce agli altri esseri un valore proprio, fino alla reazione di negare ogni peculiare valore all’essere umano”.
Il valore intrinseco di ogni essere, per minuscolo che sia, è evidenziato in maniera permanente nell’Enciclica, come fa la Carta della Terra. Negando questo valore intrinseco, ci stiamo rendendo responsabili del fatto che “migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio”.
La maggiore deviazione prodotta dalla tecnocrazia è l’antropocentrismo, che presuppone illusoriamente il fatto che le cose hanno valore solo nella misura in cui servono all’essere umano, dimenticando che la loro esistenza ha un valore proprio. Se è vero che tutto è in relazione, allora “tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ciascuna delle sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra”. Come possiamo pretendere di dominarli e di considerarli nell’ottica limitata della dominazione?
Tutte le “virtù ecologiche” si perdono a causa della volontà di potere come dominazione sugli altri e sulla natura. Viviamo un’angosciante “perdita del senso della vita e del vivere insieme”. Il papa cita più di una volta il teologo italo-tedesco Romano Guardini (1885-1968), uno dei più letti a metà del secolo scorso, il quale ha scritto un libro critico contro le pretese della modernità.
L’altro versante del giudicare è quello teologico. L’Enciclica riserva parecchio spazio al “Vangelo della Creazione”, partendo dalla giustificazione del contributo delle religioni e del cristianesimo, in quanto, essendo la crisi globale, ogni istanza deve, con il suo capitale religioso, contribuire alla cura della Terra.
E l’Enciclica non insiste sulle dottrine, bensì sulla saggezza presente nei distinti cammini spirituali. Il cristianesimo preferisce parlare di creazione anziché di natura, poiché la creazione “ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio”. Più di una volta è citato un bel testo del libro della Sapienza dove appare chiaro che “la creazione appartiene all’ordine dell’amore” e che Dio è “il Signore amante della vita”.
Il testo si apre a una visione evoluzionista dell’universo benché non usi questa parola, ricorrendo a una circonlocuzione nel riferirsi a un universo “composto da sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri”. Utilizza i principali testi che legano Cristo incarnato e risorto al mondo e all’intero universo, rendendo sacra la materia e tutta la Terra. E in questo contesto cita Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) come precursore di questa visione cosmica.
Citando il patriarca ecumenico della Chiesa ortodossa Bartolomeo, riconosce che “un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio. Da qui l’urgenza di una conversione ecologica collettiva che restauri l’armonia perduta.
La conclusione di questa parte dell’Enciclica evidenzia giustamente “la necessità di un cambio di rotta” per “uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando”. Non si tratta di una riforma, bensì, citando la Carta della Terra, della ricerca di “un nuovo inizio”. L’interdipendenza di tutti con tutti ci porta “a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune”.
Poiché la realtà presenta molteplici aspetti, tutti intimamente relazionati, papa Francesco propone un’ecologia integrale che va oltre l’ecologia ambientale a cui siamo abituati per coprire tutti i campi: ambientale, economico, sociale, culturale e anche quello della vita quotidiana. Senza mai dimenticare i poveri, i quali testimoniano anch’essi la propria forma di ecologia umana e sociale, vivendo legami di appartenenza e di solidarietà gli uni con gli altri.
Il terzo passo metodologico è quello dell’agire. In questa sezione, l’Enciclica si attiene ai grandi temi della politica internazionale, nazionale e locale, sottolineando l’interdipendenza della sfera sociale e di quella educativa con quella ecologica e denunciando le difficoltà che comporta il predominio della tecnocrazia, ostacolando quei cambiamenti che possono contrastare la voracità di accumulazione e di consumo e inaugurare il nuovo.
Il papa riprende il tema dell’economia e della politica che devono servire il bene comune e creare le condizioni per una pienezza umana possibile. Torna a insistere sul dialogo tra la scienza e la religione, come suggerito dal grande biologo Edward Wilson. Tutte le religioni devono “entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità”.
Ancora riguardo all’agire, sfida l’educazione a creare una “cittadinanza ecologica” e un nuovo stile di vita, basato sulla cura, sulla compassione, sulla sobrietà condivisa, sull’alleanza tra umanità e ambiente, inscindibilmente connessi, sulla corresponsabilità per tutto ciò che esiste e vive e per il nostro destino comune.
Infine, il momento di celebrare. La celebrazione si realizza in un contesto di “conversione ecologica” che implica una “spiritualità ecologica”, la quale deriva non tanto dalle dottrine teologiche quanto dalle motivazioni che la fede suscita per provvedere alla casa comune e “alimentare una passione per la cura del mondo”. Tale esperienza è piuttosto una mistica che spinge le persone a vivere l’equilibrio ecologico, “quello interiore con se stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio”. Qui appare come sia vero che “meno è più” e che si possa essere felici con poco.
Nel senso della celebrazione “il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode”.
Lo spirito tenero e fraterno di San Francesco d’Assisi attraversa tutto il testo dell’Enciclica “Laudato sì”. La situazione attuale non significa una tragedia annunciata, ma una sfida a prenderci cura della casa comune e gli uni degli altri. Vi è nel testo leggerezza, poesia e gioia nello Spirito e un’indistruttibile speranza nel fatto che, se grande è la minaccia, più grande ancora è l’opportunità che ci è data di risolvere i nostri problemi ecologici.
L’Enciclica termina poeticamente “Al di là del sole”, con queste parole: “Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza”.
Mi piacerebbe concludere con le parole finali della Carta della Terra citate dallo stesso papa: “Possa la nostra epoca essere ricordata per il risveglio di una nuova riverenza per la vita, per la risolutezza nel raggiungere la sostenibilità, per l’accelerazione della lotta per la giustizia e la pace, e per la gioiosa celebrazione della vita”.

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From: Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
To:
Sent: Friday, June 26, 2015 9:49 AM
Subject: BERGOGLIO E IL SOGNO DI UNA CONCILIAZIONE CON IL CAPITALISMO

A PROPOSITO DELLA RECENTISSIMA ENCICLICA DEL PAPA SULLA RICONVERSIONE ECOLOGICA
Un’Enciclica sulla duplice riconversione, ecologica e cristiana: così può essere definita l’Enciclica
dell’attuale pontefice, “Laudato si’”, documento di quasi duecento pagine che prende il nome dall’invocazione di Francesco d’Assisi nel “Cantico delle creature”.
Il testo (redatto, lo si ricordi, da un esponente dell’ordine dei Gesuiti che ha scelto di ispirarsi, fin dal nome, al fondatore dell’ordine dei Francescani) contiene denunce molto dure contro gli egoismi e la miopia che nascono da una concezione ultracapitalistica dello sviluppo e contro i danni che ne derivano all’umanità e in particolare alla parte più povera di essa, nonché all’ambiente.
Degna di apprezzamento è anche l’ottica che caratterizza il documento pontificio, ossia lo sforzo di sviluppare un dialogo non limitato ai soli credenti, ma esteso anche ai seguaci di altre confessioni o religioni e agli stessi non credenti. Tale dialogo nel capitolo 5 dell’Enciclica viene perciò individuato, in coerenza con gli orientamenti del Concilio Vaticano II, come strumento per affrontare e risolvere i problemi.
E’ un documento ambizioso questa Enciclica, come dimostra una rapida rassegna degli assi tematici portanti e degli autori che vengono richiamati. Tra i primi, vanno segnalati “l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita”. Fra i secondi, è doveroso richiamare il canonico “doctor angelicus”, Tommaso di Aquino, e il meno canonico Teilhard de Chardin, il naturalista gesuita che, sfiorando pericolosamente il panteismo, ha elaborato un’interpretazione cristiana dell’evoluzionismo darwiniano.
Alcuni “flash” sui temi cruciali della “crisi ecologica” sono utili a dare un’idea dell’importanza di un documento che per la sua estensione è un vero e proprio libro.
Dopo aver sottolineato che l’impatto dei mutamenti climatici ricade sui più poveri, che la vitale risorsa dell’acqua è il più importante “bene comune” dell’umanità, che la biodiversità va preservata e che il debito ecologico chiama in causa la responsabilità del Nord del mondo verso il Sud del mondo, papa Francesco, ricordando il fallimento dei Vertici internazionali sulle questioni dell’ambiente, stigmatizza la “debolezza delle reazioni”, la “diffusa irresponsabilità” e la mancanza di una cultura adeguata e della disponibilità a cambiare stili di vita, produzione e consumo. Nel secondo capitolo, rifacendosi al racconto biblico della creazione, il papa rilegge le
problematiche precedenti alla luce delle Sacre Scritture, ribadendo i postulati cristiani.
Il terzo capitolo dell’enciclica è quello filosoficamente più impegnato e socialmente più radicale, poiché in esso l’autore, dopo aver esaminato gli effetti della crisi ecologica, affronta l’analisi delle cause attraverso un confronto con la filosofia e con le scienze umane.
Importanti sono, in questo àmbito, le riflessioni sulle potenzialità, sui limiti e sui pericoli della tecnologia che, come afferma il papa con accenti marxisti, “dà a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio economico impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero”. Pertanto, le radici umane della crisi ecologica sono, a giudizio di papa Francesco, da ricondurre a due vizi, ad un tempo, cognitivi e morali: un “eccesso di antropocentrismo”, per cui nel suo rapporto con l’ambiente e con i suoi simili l’essere umano assume una posizione autoreferenziale centrata esclusivamente su di sé e sul proprio potere, e il relativismo, tradizionale bersaglio, quest’ultimo, della polemica condotta dai suoi predecessori (Wojtyla e Ratzinger).
Sempre in linea con la dottrina sociale della Chiesa esposta da questi ultimi papi risulta poi la trattazione di due ordini di problemi: l’uno attinente al lavoro e l’altro ai limiti del progresso scientifico con un particolare riferimento agli OGM.
Sennonché, malgrado l’ampia e analitica disàmina che il papa svolge sulla fenomenologia della crisi ecologica e le buone intenzioni al servizio delle quali egli la pone, permangono, e non potrebbe essere diversamente considerando la fonte, l’istituzione e gli obiettivi dell’autorità da cui promana il dettato, una serie di contraddizioni che, se non tolgono all’enciclica la sua importanza, ne pregiudicano largamente la coerenza ideale e ne vanificano l’attuazione pratica.
La prima contraddizione, già segnalata dai più avvertiti studiosi delle dottrine sociali cattoliche (e per il suo contenuto l’enciclica in questione appartiene pienamente a questa categoria), consiste nel cercare di costruire tali dottrine a partire da un messaggio religioso sui fini ultimi della vita umana, a partire quindi dal primato dei beni dell’anima rispetto a quelli del corpo, di quelli spirituali rispetto a quelli temporali, della morale rispetto all’economia.
Come sfuggire allora all’implacabile realismo di Marx, che ha qualificato le concezioni di questo tipo come “fiori gettati sulle catene dello sfruttamento”? Inoltre, la prospettiva che caratterizza l’Enciclica è pur sempre quella, formulata alla fine dell’Ottocento nella “Rerum novarum” di Leone XIII, ripresa nella “Centesimus annus” di Giovanni Paolo II e teorizzata dalla scuola tedesca di Colonia, dell’ “economia sociale di mercato”, che è quanto dire della conciliazione tra il profitto e il salario, tra un capitalismo “cattivo” ed un capitalismo “buono”, che ognun vede quanto sia oggi praticabile, in tempi di prolungata crisi economica, disoccupazione di massa e crescente sfruttamento dei lavoratori.
Così, l’uso di un linguaggio anticapitalistico da parte degli estensori di detti documenti serve, in genere, a dissimulare la sostanza retriva dell’ideologia della conciliazione e della rassegnazione, più o meno temperate dall’azione correttiva di un “capitalismo compassionevole”, in essi formulata (come già notava Marx nel “Manifesto del partito comunista”, esaminando quella variante del socialismo feudale che è il “socialismo pretesco”, (“non c’è cosa più facile che dare una tinta socialistica all’ascetismo cristiano”).
La conclusione è dunque la seguente: proprio perché dalla stessa disàmina papale si evince che i problemi sono radicali, occorre una soluzione altrettanto radicale.
Non basta denunciare gli abusi di questo modo di produzione sempre più ecocida e genocida, ma occorre rovesciarlo e sostituirlo con un modo di produzione rispettoso degli equilibri naturali, che allevii la fatica umana attraverso la scienza e la tecnologia e sia razionalmente e collettivamente controllabile dalla società; parimenti, non basta invocare un’”ecologia integrale” come nuovo paradigma di giustizia (vedi il capitolo quarto dell’enciclica). Occorre invece prendere atto che “lo spirito della produzione capitalistica è antitetico alle generazioni che si succedono” (Marx) e trarre da questa constatazione tutte le conseguenze che ne derivano, aggredendo le vere cause dell’attuale crisi ecologica e umana, che non sono l’antropocentrismo e il relativismo, ma il capitalismo e la sua inestinguibile sete di profitto e di dominio.

di Eros Barone

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From: Il Sindacato è un’altra cosa sindacatounaltracosa@gmail.com
To:
Sent: Saturday, June 27, 2015 5:08 PM
Subject: MODENA: MANIFESTO LAVORATORI SETTORE AGRO-ALIMENTARE

Questo Manifesto ci riguarda tutte/i. Tutte le categorie e non, lavoratrici, lavoratori, precarie, precari, disoccupate/i Tutti dovremmo sottoscriverlo!
Difendiamo il settore agro alimentare in Italia. E non solo
Silvia Cortesi lavoratrice in mobilità D.B.Consorzio Scarl - Milano
Proposto da lavoratori e lavoratrici del settore agro-alimentare di Modena

Siamo lavoratrici e lavoratori del settore agricolo-alimentare della provincia di Modena che ritengono necessario e non più rimandabile un forte contrasto alla gestione antipopolare della crisi portata avanti dalle centrali economico-finanziarie del capitalismo europeo e dai padroni negli ultimi 25 anni.
La crisi attuale non è di penuria, non è una carestia o una calamità naturale, ma è crisi di abbondanza di capitali e di sovrapproduzione di merci. Le classi sociali più ricche la usano per cancellare reddito e diritti conquistati in anni di dure lotte dai lavoratori e lavoratrici italiane.
Il disegno capitalista portato avanti dalla “troika” non ci appartiene, noi non vogliamo essere competitivi, iper produttivi o concorrenziali con i lavoratori di altri paesi. Altri sono i nostri valori, la solidarietà internazionalista, il diritto al reddito, la riduzione del tempo di lavoro e la riconquista di tempo in più da dedicare alla nostra vita che questo sistema ci sequestra.
Oggi siamo ad uno snodo cruciale, l’attacco violento dei governi che si sono succeduti negli ultimi 25 anni ha cancellato l’intero impianto normativo e di diritti che abbiamo conosciuto negli anni passati, passando per la precarizzazione del lavoro e l’aumento dello sfruttamento dei lavoratori. A questo le centrali Sindacali si sono piegate e anche la CGIL, alla disperata e infruttuosa ricerca dell’unità Sindacale non ha risposto con la determinazione che era necessaria, contribuendo alla progressiva demoralizzazione e alla sostanziale passività e rassegnazione dei lavoratori. Noi siamo coscienti della forza immensa che va messa in campo per contrastare il potere che le forze politiche ed economiche, che stanno gestendo queste politiche, hanno prodotto e producono, ma sappiamo altrettanto bene che non esistono isole felici dove ritirarci se non tentassimo di contrastare questo stato di cose, per questo vogliamo provarci partendo dal basso, cominciando a rovesciare i termini del discorso.
I soldi ci sono. Ci sono per le guerre, gli interventi militari, gli F 35, le missioni militari all’estero, la TAV, il MOSE, la Cispadana, la corruzione, le evasioni fiscali, i profitti astronomici di padroni, manager e politici. Cancelliamo quelle voci e facciamo scuole e asili sicuri, strutture sanitarie, risanamento idrogeologico del territorio e introduciamo un reddito minimo garantito per chi resta senza un lavoro o non riesce a trovarlo e che potrà servire soprattutto ai giovani a cui è stato cancellato il futuro.
Cancelliamo con le lotte il Jobs Act, la riforma Fornero delle pensioni, la legge 30, la legge Bossi-Fini e la riforma della scuola, che ha visto nei giorni scorsi un grande sciopero generale.
Chiamiamo tutti i cittadini della nostra provincia, le lavoratrici e i lavoratori, i giovani, gli studenti, i pensionati, i disoccupati e i precari, a firmare questo manifesto con l’impegno di autoconvocare entro l’autunno un’assemblea pubblica di costituzione di un comitato popolare contro la crisi.

Albarani Alessandro Lavoratore Menù
Alberto Lugli Rsu Cantine Riunite Civ
Bruzzi Daniele RSU Apofruit
Claudia Venturelli RSU Suincom
Di Fonte Sabino RSU Suincom
Diego Capponi lavoratore Suincom
Fabio Esposito RSU Cantine Riunite Civ
Lorena Barozzi RSU Villani
Manni Franca Pensionata
Massimo Valentini lavoratore in mobilità Cantine Riunite Civ
Ori Lanfranco RSU Inalca
Roberto Saguatti RSU Cantine Riunite Civ

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From: Teoria & Prassi teoriaeprassi@yahoo.it
To:
Sent: Sunday, June 28, 2015 11:51 AM
Subject: MELFI: IL VAMPIRO CAPITALISTA SUCCHIA OGNI GOCCIA DI SANGUE DEL LAVORO VIVO

Nonostante la forte contrarietà di molti operai, l’accordo per saturare la produzione, e passare da 15 a 20 turni alla Sata Fca di Melfi, sottoscritto da padrone, quadri e sindacati collaborazionisti, è ora applicato sulle linee della 500X e della Jeep Renegade (vendute negli USA) che producono circa 1.000 autovetture al giorno, più circa 400 Punto. Sui due nuovi modelli lavorano quasi 4 mila operai mentre 2 mila rimangono sulla Punto.
Col passaggio a 20 turni Melfi è diventato il primo stabilimento ex Fiat a ciclo continuo. Lo schema a 20 turni non era mai stato adottato nel settore dell’auto in Europa perché ha conseguenze devastanti sulla salute operaia. La spinta ai 20 turni (praticamente un ciclo continuo) deriva da una precisa esigenza capitalistica: quella di non far restare inattivi i mezzi di produzione, che per i padroni sarebbe una perdita.
Ma vediamo come funziona il nuovo sistema dei turni, perché ciò che accade nel tempio dello sfruttamento capitalistico riguarda tutti gli operai.
Prendiamo ad esempio il “profilo B”. Si lavora 6 mattine di seguito, dalle 6 alle 14, dal lunedì al sabato. Poi si riattacca domenica sera dalle 22 alle 6, per 4 notti di seguito. Quindi due giorni di riposo. Poi 3 pomeriggi-sera di lavoro dalle 14 alle 22, compresa una domenica. Quindi 2 giorni di riposo. Poi altre 3 notti di lavoro. Quindi altri due riposi. Poi altri 4 pomeriggi di lavoro. Infine una domenica di riposo. Il lunedì alle 6 si ricomincia: “E’ come vivere in un continuo cambio di fuso orario”, dice una operaia.
Quanti anni può vivere un operaio con questi turni senza ammalarsi o uscire di senno? In realtà, al capitale non importa un fico secco della salute e della durata della vita dell’operaio. Quello che interessa a Marchionne e ai suoi compari americani è torchiare al massimo la forza-lavoro per 24 ore al giorno, tutti i giorni.
Ovviamente l’accordo-truffa non prevede alcuna riduzione di orario di lavoro, e nemmeno sabati e domeniche di riposo consecutive. Come se non bastasse, sono stati tagliati dieci minuti di pausa per turno per singolo operaio. Dieci minuti al giorno per seimila operai, fanno centinaia di migliaia di ore di lavoro gratis per il padrone ogni anno, cioè maggiore sfruttamento e tanta fatica in più per gli operai.
“Accordo storico” è stato definito dai venduti che l’hanno firmato, con il pretesto dei mille operai in più (senza tutele), che servono al padrone per spremere il massimo plusvalore possibile dalla loro forza-lavoro.
Col “just in time” i carichi e i ritmi sono aumentati. Zero tempi morti. Nella pratica è difficile mantenere la postazione assegnata in linea e per qualsiasi inconveniente gli operai sono costretti a risalire la corrente “come i salmoni”. Intanto i sorveglianti stanno lì a ricordare che in fabbrica vige l’autocrazia e il ricatto no-stop del capitale.
Quando c’è crisi e il padrone decide di fermare i mezzi di produzione, gli operai sono licenziati o sbattuti in cassa integrazione a fare la fame; quando il mercato tira il padrone vuole che i mezzi di produzione assorbano ogni goccia di lavoro vivo senza interruzioni, e dunque gli operai tornano a casa sfiniti. Per le operaie va anche peggio, perché a casa sono loro a lavorare di più.
I micidiali effetti della dittatura capitalistica in fabbrica cominciano a non essere più sostenuti dalla massa operaia di Melfi. Il clima che si respira è pesante, c’è paura, ma anche malcontento e tensione. Nelle assemblee sui turni sono uscite forti proteste contro i sindacalisti venduti al padrone.
Da parte sua Renzi, il burattino di Marchionne, appoggia pienamente il modello Melfi e si prepara a visitarlo per dare il un segnale politico: il governo è schierato dalla parte dei capitalisti più intransigenti e reazionari e fa del suo meglio per tutelare i loro interessi. Anche favorendo quel sindacato unico di regime su cui sta lavorando sottobanco Marchionne.
Ma gli operai sono stufi di ingoiare rospi. Ci vuole una nuova lotta “dei 21 giorni”, che prima o poi esploderà senza e contro i bonzi sindacali.
Protagonisti ne saranno i giovani operai senza diritti assieme ai più anziani ed esperti, uniti in organismi rappresentativi che raccolgano e organizzino la massa operaia (Comitati operai) nei quali si realizzi il fronte unico proletario contro i vampiri capitalisti.
Lotta per la cancellazione dell’accordo sui turni, per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, per il ripristino e l’aumento delle pause, per la riduzione dei carichi e dei ritmi di lavoro, forti aumenti salariali: questi i punti di partenza per azioni politiche di più largo sviluppo nella prospettiva rivoluzionaria.

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From: Voci della Memoria info@vocidellamemoria.org
To:
Sent: Tuesday, June 30, 2015 7:36 AM
Subject: A FORZA DI URLARE...

Car* Tutt*,
quando un giornale, anche se locale e non certo annoverabile fra quelli di Movimento, nello stesso numero racconta due progetti che stai portando avanti avallandone di fatto i contenuti, allora vuol dire che i risultati ci sono e gli addetti non solo li raccontano, ma oggettivamente li sostengono.
E’ vero, lo sappiamo, a volte per difendere i più elementari diritti siamo costretti a urlare (con tutti i mezzi a disposizione partendo dai nostri stessi corpi) andando sopra le righe, ma se necessario non possiamo tirarci indietro, perché il silenzio è dei colpevoli.
Veder raccontare quindi della nostra presenza al Pride come del lavoro che stiamo facendo da settimane per la realizzazione della partecipazione di tanti nostri fratelli africani di stanza a Casale ai Mondiali Antirazzisti, significa che il tanto sgolarci (unito all’opera volontaria dei nostri attivisti, logicamente) qualche effetto lo ha dato.
Una cosa, però, abbiamo ben chiara: tutto quello che facciamo è grazie a voi che ci sostenete e che continuate a farlo anche quando siete perplessi sulle strade che decidiamo d’intraprendere e sugli strumenti da noi utilizzati: per questo siete indispensabili, per questo siete Voci della Memoria.

Associazione Voci della Memoria

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, July 01, 2015 6:06 PM
Subject: REPORT MORTI SUL LAVORO NEI PRIMI 6 MESI DEL 2015

REPORT MORTI SUL LAVORO NEL 2015 DAL 1° GENNAIO AL 30 GIUGNO
L’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro vi mette a conoscenza della drammatica situazione che c’è anche quest’anno.
Dall’inizio dell’anno sono morti sui luoghi di lavoro 300 lavoratori, con le morti sulle strade e in itinere si superano i 620 morti complessivi (stima minima).
Occorre tenere presente che nelle statistiche delle morti sul lavoro lo Stato considera morti sul lavoro anche i lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere e che tantissime categorie come per esempio le Partite IVA individuali, Vigili del Fuoco, Poliziotti, Carabinieri, lavoratori in nero e tanti altri non rientrano nelle statistiche ufficiali.
Sta a noi che svolgiamo un lavoro volontario fare conoscere anche questo aspetto ai cittadini italiani. TENIAMO SEMPRE PRESENTE QUESTO ASPETTO QUANDO PARLIAMO DI QUESTE TRAGEDIE CHE SI TENDONO SEMPRE A SOTTOVALUTARE.
Morti per infortuni sui luoghi di lavoro per regione e provincia per ordine decrescente delle morti.
LOMBARDIA 35: Milano 7, Bergamo 3, Brescia 10, Como 2, Cremona 1, Lodi 1, Monza Brianza 2, Pavia 4, Sondrio 1, Varese 3.
TOSCANA 34: Firenze 3, Arezzo 3, Grosseto 7, Livorno 3, Lucca 3, Massa Carrara 4, Pisa? 4, Pistoia 2, Siena 1 Prato 4.
VENETO 29 : Venezia 1, Belluno 2, Padova? 4, Rovigo 4, Treviso 4, Verona 5, Vicenza 9.
CAMPANIA 23: Napoli 8, Avellino 2, Benevento 2, Caserta 2, Salerno 9.
SICILIA 21: Palermo 7, Agrigento 1, Caltanissetta 1, Catania 2, Messina 3, Ragusa 2, Siracusa 1, Trapani? 4 .
LAZIO 20: Roma 6, Frosinone 6, Latina 1, Rieti 1, Viterbo 6.
PIEMONTE 17: Torino 5, Alessandria 4, Asti 2, Biella 1, Cuneo 3, Novara 1, Verbano-Cusio-Ossola 1.
EMILIA ROMAGNA 16: Bologna 3, Forlì Cesena 1, Ferrara 1, Modena 4, Parma, Piacenza 2, Ravenna 2, Reggio Emilia 2, Rimini 1.
LIGURIA 10: Genova 3, Imperia 2, La Spezia 3, Savona 2.
MARCHE 10: Ancona 4, Macerata 1, Fermo 1, Pesaro-Urbino 2, Ascoli Piceno 2.
ABRUZZO 12: L’Aquila 4, Chieti 4, Pescara, Teramo 4.
UMBRIA 8: Perugia 6, Terni 2.
PUGLIA 7: Barletta-Andria-Trani 1, Brindisi 2, Foggia, Lecce 2, Taranto 2.
TRENTINO ALTO ADIGE 7: Trento 3, Bolzano 4.
FRIULI VENEZIA GIULIA 6: Pordenone 4, Udine 2.
BASILICATA 4: Potenza 2, Matera 2.
CALABRIA 4: Catanzaro 2, Cosenza 1, Crotone, Reggio Calabria 1.
SARDEGNA 5: Cagliari 2, Carbonia Iglesias 1, Medio Campisano 2.
MOLISE 3: Campobasso 2, Isernia 1.
VALLE D’AOSTA 0.
I lavoratori morti sulle autostrade, all’estero e in mare non sono segnalati a carico delle province.
Circolano in rete dei dati dei morti sui luoghi di lavoro che generano solo confusione e non hanno nessuna attinenza con la realtà.
Noi li monitoriamo ogni giorno e non temiamo smentite. il nostro e’ un lavoro volontario e in totale autonomia da tutti, non lavoriamo nel settore della sicurezza e mai abbiamo preso soldi da nessuno. lo svolgiamo da 8 anni per primi in italia per far comprendere la vera dimensione complessiva di queste tragedie.

Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro


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