martedì 10 aprile 2018

9 aprile - da M. Spezia: MORTI SUL LAVORO: LA STRAGE CONTINUA!


Riporto a seguire solo alcuni (esclusivamente per motivi di spazio) dei numerosi articoli apparsi in questi giorni in rete, in occasione dei tre gravissimi incidenti di Livorno, Treviglio e Crotone.
Una sola preghiera.
Non ricordiamoci dei morti sul lavoro per infortunio o per malattia professionale solo quando i media ne danno risalto mediatico.
Ricordiamoci che, in media, tutti i giorni in Italia muoiono di infortunio 4 lavoratori, come ricorda bene Carlo Soricelli.
Marco Spezia
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CI VEDIAMO QUESTA SERA. SE NON MUOIO SUL LAVORO...
Da Radio Onda d’Urto http://www.radiondadurto.org
di Carmine Tomeo
Ancora due morti sul lavoro, questa volta a Livorno. Le chiamano morti bianche per non indagare sulle cause di una strage quotidiana, inarrestata e inarrestabile se la vita umana diventa variabile dipendente dal profitto.
“Ciao tesoro, ci vediamo questa sera”. Poi si esce per andare al lavoro. Verso un cantiere, una fabbrica, su un furgone per consegnare pacchi o in bici per consegnare un pasto caldo. “Ciao tesoro, ci vediamo questa sera”. Un saluto normale, quotidiano, quasi scontato. Come scontato dovrebbe essere tornare a casa dal lavoro. E invece no. Perché è più probabile morire da lavoratori in Italia che da soldato italiano in missione all’estero.

“Ciao tesoro, ci vediamo questa sera”. E’ forse il saluto che Lorenzo ha fatto alla fidanzata; che Nunzio ha pronunciato alla moglie. Ma Lorenzo e Nunzio a casa non sono più tornati, morti nell’esplosione di un serbatoio nel porto Livorno mentre lavoravano. E prima di loro non sono tornati a casa più 140 lavoratori dall’inizio di quest’anno; e prima ancora oltre 1.000 hanno lasciato il luogo di lavoro da dentro una bara, lo scorso anno; e più di 1.000 l’anno precedente e l’anno prima ancora. 13.000 negli ultimi dieci anni. Sono i numeri della mattanza dei luoghi di lavoro.
In casi come quelli al porto di Livorno, o alla Lamina Milano, o alla Thyssenkrupp di Torino, non si fanno mai attendere i pigri attestati di cordoglio istituzionali; qualche richiamo già sentito al rispetto della sicurezza sul lavoro. Ma mai che si sollevi un monito contro la smania di profitto, l’accelerazione dei ritmi di lavoro, la produttività d’impresa come unica variabile indipendente nei rapporti di lavoro. Niente su precarietà, ricatto occupazionale, impoverimento.
Centoundici anni fa Jack London, facendo parlare Ernest nel suo straordinario romanzo “Il tallone di ferro” descriveva con crudo realismo un grave infortunio sul lavoro: “Quell’uomo si chiama Jackson [...] Ha perduto il braccio nella filanda Sierra, e voi l’avete gettato sul lastrico a morire come un cavallo mutilato. Dicendo voi, intendo il direttore e le altre persone impiegate da voi e gli altri azionisti che dirigono per voi le filande. Fu una disgrazia, dovuta allo zelo di quell’operaio per far risparmiare qualche dollaro all’azienda. Il braccio gli venne preso dal cilindro dentato della cardatrice. [...] Era notte: nella filanda si facevano turni straordinari di lavoro. In quel trimestre fu pagato un forte dividendo. Quella notte Jackson lavorava da molte ore e i suoi muscoli avevano perduto la solita vivacità: per questo venne afferrato dalla macchina. Ha moglie e tre bambini”.
Centoundici anni dopo, si nascondono ancora le cause profonde dei troppi infortuni sul lavoro, delle inaccettabili morti sul lavoro: la spasmodica riduzione dei costi di produzione, la priorità assoluta del profitto rispetto a ogni altra cosa. Mentre si sprecano i richiami troppo facili a porre termine alle morti bianche. Così vengono chiamate quando non si vuole indagare sulle cause di una strage quotidiana, inarrestata e inarrestabile se la vita umana diventa variabile dipendente dal profitto. Morte bianca, come se fosse una morte innocente. Morte bianca, per evitare di raccontare la fatica del lavoro, l’ansia di una condizione di precarietà, la paura della povertà, l’umiliazione del lavoro sottopagato, la rabbia della costrizione a un lavoro senza diritti, la voglia di riscatto di un operaio, lo stato di necessità della stragrande maggioranza di chi ogni giorno deve vendere muscoli e nervi e cervello al mercato del lavoro. Morte bianca per non raccontare la vita di un operaio. Morte bianca è la definizione che dà alla morte sul lavoro chi non si schiera e che non schierandosi sta con il più forte in questa lotta di classe della quale non si ricordano padroni morti sul lavoro per la sete di profitto, produttività, accumulazione dei lavoratori. Morte bianca è la definizione che serve a non indagare le cause di quelle morti; a non cercare i colpevoli; a dare il senso dell’ineluttabilità di quelle tragedie che di ineluttabile non hanno niente.
Così che poi, prima ancora di leggere i titoli dei giornali del giorno dopo, si può sempre tornare a scandire il solito ritmo: produci, consuma, crepa. Produci, consuma, crepa. Produci, consuma, crepa...

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“PASQUA DI RESURREZIONE” I 149 LAVORATORI MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO DALL’INIZIO DELL’ANNO NON RESUSCITERANNO.
Di Carlo Soricelli soricarlo49@gmail.com

IL REALE NUMERO DI MORTI SUL LAVORO SENZA TRUCCHI
1° aprile. Report morti sui luoghi di lavoro (escluso itinere e morti sulle strade che sono almeno altrettanti ogni anno) nei primi tre mesi del 2018.
I morti sui luoghi di lavoro sono stati 149, rispetto ai 133 dello stesso periodo del 2017 registriamo un aumento del 10,7% rispetto ai primi tre mesi del 2017.
I morti schiacciati dal trattore sono stai ben 15 e con l’arrivo del bel tempo le vittime provocate da questo mezzo aumenteranno spaventosamente.
Ci sono state nel 2018 già due morti multiple: i Vigili del Fuoco di Catania e dei due lavoratori nel Porto di Livorno.
Ce ne saranno ancora: ogni anno sono dalle 4 alle 6 le morti per infortuni che coinvolgono diversi lavoratori. Con 20 morti è il Veneto la Regione con più morti sul lavoro, e questa Regione che ci dicono sia guidata bene è sempre ai vertici di questa triste classifica, segue la Lombardia con 17, il Piemonte con 12, Campania e Toscana con 10.
E’ Milano, con 8 morti la provincia con più morti sul lavoro, seguono due province venete, Treviso e Verona con 7 morti.
Ho fondato l’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro il 1° gennaio 2008, a seguito della tragedia della Thyssen-Krupp di Torino, dopo 40 anni di lavoro in fabbrica, e non mi arrenderò fino a quando la vita di chi lavora non sarà rispettata e protetta come una cosa preziosa, come dovrebbe essere in un Paese civile.
L’indifferenza vista in questi anni dalla politica e dalla classe dirigente italiana è stata spaventosa. Le ultime elezioni politiche hanno dimostrato che non si può truccare la realtà. E’ emerso con evidenza che chi lavora non si fa infinocchiare dalle chiacchiere da chi, voleva far passare come conquiste leggi porcate come il Jobs act e la Fornero, che contribuiscono a far aumentare i morti sul lavoro: è stato devastante far svolgere lavori pericolosi a chi ha acciacchi e riflessi poco pronti dovuti all’età, togliendogli il diritto di andare in pensione.
Il Jobs Act che ha abolito l’articolo 18 per tutti i nuovi assunti, è la forma di precariato più umiliante: la democrazia non si può fermare davanti alla soglia di un luogo di lavoro. Posso affermare, senza temere smentite, visto che i morti sui luoghi di lavoro (escluso itinere) sono per il 95% dove non esiste l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Soluzioni? Lasciare andare in pensione chi svolge lavori pericolosi, far lavorare in tarda età solo chi se la sente. Ripristinare l’articolo 18 per tutti, anche a chi ne è stato sempre privo. Chi lavora ha il diritto di rifiutarsi di svolgere un lavoro pericoloso senza correre il rischio di essere licenziato? Si. Chi lavora non ci sta più a fare l’utile idiota per chi poi legifera contro i suoi interessi: è quello che è stato fatto in questi ultimi vent’anni.
Quelli come me mica si arrendono, sono sannita di nascita: testardi abbiamo combattuto duecento anni contro i romani per difendere la nostra libertà, mica ci spaventano altri anni di impegno per cose giuste e civili. In più sono cresciuto a Bologna, una città che è stata culla della sinistra in Italia e dei diritti dei lavoratori per decenni.
Continueremo a denunciare, chiunque governerà questo paese.
Grazie agli oltre 10.000 visitatori del blog di questi ultimi giorni. E al 1.500.000 che l’hanno visitato in questi anni.
Per approfondimenti Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro:

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LIVORNO: BASTA MORTI, BASTA SFRUTTAMENTO
Da Federazione Anarchica Livornese t.antonelli@tin.it

Il deposito costiero Neri, impianto di cui si prospetta un ulteriore ampliamento, è composto di numerosi serbatoi (l’esplosione è avvenuta nel n. 62), soggetti a frequenti cambi dei prodotti stoccati e questi cambiamenti comportano una serie di manovre ad alto rischio perché i prodotti sono altamente infiammabili, esplosivi, etc.
Questo deposito è in una zona dove ci sono altre attività industriali ad alto rischio, vicino a una
raffineria e in una zona di passaggio anche per i cittadini, che soprattutto nella stagione estiva, si recano al mare.
Qui non è in ballo solo la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori, ma la sicurezza di un’intera area della città di Livorno. Questo è un segnale che va colto.
Non sappiamo ancora le precise cause di questa esplosione ma comunque ogni incidente sul lavoro accade perché non si spende sulla prevenzione a vantaggio del profitto. Spesso si sente dire che va ridotto il costo del lavoro, e quei risparmi vengono fatti scommettendo sulla vita delle lavoratrici e dei lavoratori.
Con il ricatto della disoccupazione i padroni, i proprietari dei mezzi di produzione, impongono alle lavoratrici e ai lavoratori condizioni da “nuovo schiavismo”, mentre i risparmi sui costi della
sicurezza ingrassano i profitti e i dividendi.
Intanto chi chiede condizioni di lavoro più sicure, in porto e altrove, subisce provvedimenti disciplinari, mentre i sindacati che non si piegano ad accettare accordi capestro vengono emarginati, il tutto sotto l’occhio paterno dell’Autorità Portuale.
Sappiamo bene tutte e tutti che la richiesta di maggiori norme di sicurezza cade nel vuoto in questa società, società capitalista il cui fine è il profitto individuale.
Una società in cui la Confindustria, che applaude al proprio congresso gli assassini della Thyssen-Krupp, si preoccupa della produttività e di maggiori margini di profitto chiedendo nuovi finanziamenti statali, i ministri rilanciano il messaggio, i politici mettono in programma con l’approvazione dei sindacati “rappresentativi” e... i lavoratori muoiono.
Per una società e una vita libera dallo sfruttamento.

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PASQUA NEL SANGUE CON ALTRI DUE MORTI SUL LAVORO
Di Marco Bazzoni - Operaio metalmeccanico e Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza

Oggi è Pasqua, doveva essere un giorno di festa, di gioia, di divertimento, di speranza. Purtroppo non lo è stato.
Stamani due operai sono morti sul lavoro, alla ECB di Treviglio nel bergamasco. L’esplosione dell’autoclave è stata loro fatale.
Oramai è uno stillicidio quotidiano, che non conosce sosta (neppure nei giorni di festa). L’Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti sul lavoro parla già di 151 morti sul lavoro nei primi 3 mesi del 2018 (nei primi 3 mesi del 2017 erano 133).
Ho ascoltato i TG e da quello che dicono questa ECB era un’azienda sicura.
E allora perché questi 2 operai sono morti? L’azienda oggi era chiusa per la festività Pasquale. E allora perché quei due operai erano lì a lavorare?
Anche la Labromare di Livorno, dicevano, era sicura, eppure il 28 marzo altri 2 operai sono morti per l’esplosione di un serbatoio.
C’è qualcosa che non va, queste morti sul lavoro accadono troppo spesso, e non ci credo che ci sia tutta questa sicurezza sul lavoro in Italia.
Quando accadono questi drammi è perché in quelle aziende non si rispettavano neanche le minime norme per la sicurezza sul lavoro.
E nel 2018 ancora le chiamano “morti bianche”, un termine ipocrita, che mi fa rizzare quei pochi capelli che mi sono rimasti. Un termine assurdo, che andrebbe abolito, perché è un insulto ai familiari e alle vittime sul lavoro.
La sicurezza sul lavoro è un tema che deve tornare centrale. E la politica deve tornare a occuparsene come si deve. Di fronte a queste tragedie non vedo quasi più nessuno indignarsi, se non i soliti, cioè gli “addetti al lavoro”, cioè chi di sicurezza sul lavoro se ne occupa tutti i giorni.
La sicurezza sul lavoro dovrebbe essere al primo posto nell’agenda politica del governo. Vi pare che questo stia accadendo in Italia?
Come si può sperare che le morti sul lavoro calino quando con il Jobs Act e la cancellazione dell’articolo 18 si è precarizzato ancora di più il lavoro?
Il Jobs Act è costato alle casse dello Stato Italiano 20 miliardi di euro e non ha portato posto di lavoro.
Le chiamano “morti bianche”, fanno clamore, giusto il tempo di una prima pagina. Poi le vittime e le loro famiglie finiscono spesso nel dimenticatoio.

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LIVORNO: DUE OMICIDI SUL LAVORO PER IL MANCATO RISPETTO DELLA NORMATIVA SULLE ATMOSFERE ESPLOSIVE
Da Medicina Democratica https://www.medicinademocratica.org

Poteva esserci un effetto domino, il sindacato indica uno sciopero
Oggi al porto di Livorno si è verificata un’esplosione in un serbatoio della zona in cui vengono stoccati vari materiali combustibili o esplosivi. Due sono gli operai rimasti uccisi nell’esplosione: Nunzio Viola, e Lorenzo Mazzoni, dipendenti della Labromare, una ditta specializzata nelle bonifiche, che lavorava in appalto alla ditta società Neri.
La Repubblica, edizione di Firenze, fornisce una prima ipotesi di quanto accaduto: “Secondo una prima ricostruzione i due operai stavano effettuando lavori di manutenzione. Il serbatoio interessato dallo scoppio si trova all’interno del deposito costiero della società Neri e conteneva acetato di etile, una sostanza molto infiammabile. [...] Forse l’esplosione può essere stata causata da una sacca di gas formatasi all’interno della cisterna stessa”.
Oltre al dolore e alla rabbia non si può che rimanere sgomenti dall’accaduto.
Come è possibile che in Italia ogni giorno muoiano 4 lavoratori a causa di quelli che di fatto sono omicidi sul lavoro?
Eppure in Italia esistono norme ben precise per la sicurezza in generale e per le lavorazioni all’interno di serbatoi in particolare.
Il D.Lgs. 81/08 (legge penale) definisce obblighi sanzionabili ben precisi sulla gestione delle attività lavorative e impone al datore di lavoro di definire procedure di lavoro in sicurezza.
Il committente deve informare la ditta appaltata dei rischi che incontrerà nei luoghi di lavoro in cui andrà ad operare.
Per attività all’interno dei cosiddetti “spazi confinati”, come quello in cui è avvenuto l’incidente devono essere adottate specifiche accortezze tecniche per evitare infortuni per intossicazione o asfissia o incendi ed esplosioni.
Inoltre il D.P.R. 177/11, che richiama il D.Lgs. 81/08, impone norme procedurali per le attività all’interno degli spazi confinati, specifiche abilitazioni per le ditte incaricate di tali attività e specifica formazione e addestramento per i loro lavoratori.
In attesa degli accertamenti che verranno eseguiti dalle autorità competenti, bisogna chiedersi allora:
-         la ditta Labromare era regolarmente abilitata all’esecuzione di lavori all’interno degli spazi confinati?
-         i lavoratori della ditta Labromare erano stati adeguatamente formati e addestrati per questo tipo di lavoro?
-         sono state eseguite tutte le procedure per lavori in spazi confinati (in questo caso, in particolare, la verifica con idonea strumentazione dell’avvenuta bonifica da sostanze pericolose del serbatoio?
-         è stata fatta una valutazione specifica dei rischi da atmosfere esplosive all’interno del serbatoio?
-         i lavoratori della ditta Labromare erano dotati di attrezzature e di dispositivi di protezione individuali adeguati ai rischi presenti del serbatoio?
-         la ditta Neri ha verificato in maniera adeguata l’idoneità tecnico professionale della ditta Labromare?
-         la ditta Neri ha fornito informazioni specifiche e dettagliate dei rischi presenti negli ambienti di lavoro in cui la ditta Labromare doveva eseguire le proprie lavorazioni?
A una o più di queste domande la risposta sarà sicuramente negativa.
Ancora una volta non si può parlare di tragica fatalità.
In ogni infortunio sul lavoro esiste sempre un nesso causale tra omissione di obblighi legislativi sulla sicurezza e infortunio stesso.
Ma la domanda fondamentale è: perché tutti i giorni abbiamo a che fare con omissioni di questi obblighi e quindi con infortuni mortali?
Le leggi e le norme tecniche ci sono e se applicate regolarmente ridurrebbero a livelli bassissimi le possibilità di infortunio. Allora perché non si applicano?
Per il semplice motivo che questi adempimenti hanno un costo e il profitto dei padroni è enormemente più importante della vita dei lavoratori.
Ma ricordiamoci anche, al di là della rilevanza mediatica che viene data alla notizia, che quella di oggi è una realtà che si ripete tutti i giorni.
Inoltre, dato il contesto (molti altri serbatoi accanto a quello coinvolto) poteva esserci un effetto domino, magari un’esplosione a catena, causando altre vittime: il sindacato indica uno sciopero di protesta, a sottolineare l’estrema necessità di mettere molta più attenzione agli aspetti della sicurezza e alla diminuzione strutturale del rischio del porto e delle aziende livornesi (ricordiamo i precedenti disastri alla raffineria ENI nel 1986 e nel 1995 e all’Italso), anche costringendo aziende ed istituzioni a muoversi.
Marco Spezia e Maurizio Marchi

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ANCORA MORTI SUL LAVORO, MA NON E’ FATALITA’!
Da USB Firenze http://firenze.usb.it

Le cronache di questi giorni riportano in evidenza un fenomeno molto diffuso, ma sempre oscurato dai mezzi di informazione le morti sul lavoro. Tre morti in Toscana, due a Livorno e uno ad Arezzo, uno in Emilia, poi ancora due a Catania e infine due nel giorno di Pasqua in Lombardia. Uno stillicidio che colpisce il mondo del lavoro da nord a sud, caduti nel settore privato e anche in quello pubblico (due Vigili del Fuoco).
Dall’inizio del 2018 sono cadute sul lavoro 151 persone con una media di 1,67 al giorno con un incremento dell’11% rispetto all’anno precedente, un numero esorbitante che denota una scarsa applicazione delle norme vigenti in materia di sicurezza e che di fatto trasforma il lavoro in un campo di battaglia. Da una parte il profitto “che conta”, dall’altra il valore della vita umana “che conta ogni giorno sempre meno”.
Eppure nel nostro paese esiste una legge la 81/08 “Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro” che per altro sarebbe una “buona legge”, ma poi come sempre accade non si creano gli strumenti idonei per vigilare sulla sua applicazione. E poi c’è la crisi e allora con la spending rewiew si tagliano, per economicizzare la spesa, i soggetti preposti al sistema ispettivo e allora il sistema di protezione resta solo sulla carta, si tagliano le spese sulla sicurezza sul lavoro (cosa interessa a loro del lavoro e delle vite di chi lavora?), ma non si tagliano certo le spese inutili.
E poi si varano leggi, a partire dalla Fornero, che hanno fatto crescere a dismisura le morti e gli infortuni fra gli ultra sessantenni, perché volenti o nolenti a una certa età non è più consigliabile svolgere certi lavori, anche se poi per vivere uno è costretto a farli. Stesso discorso vale per il Jobs Act che ha precarizzato ulteriormente il lavoro, rendendo la licenziabilità del lavoratore estremamente facile e senza appello, rendendo i lavoratori ulteriormente ricattabili e quindi quasi impossibilitati a opporsi a svolgere un’attività potenzialmente pericolosa. Come scordare poi che oltre il 20% dei morti sul lavoro ha oltre 61 anni!
Se poi si osservano i dati forniti dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, se ne evince che sul totale dei controlli effettuati sono state verificate irregolarità in oltre il 60% dei casi e allora con una diffusione così ampia di “evasione” come meravigliarsi per quanto continua ad accadere.
Certo per i datori di lavoro è più “conveniente” ed “economico” pagare una sanzione che mettere in totale sicurezza un luogo di lavoro.
Ma se in un “paese normale”, il valore della vita di un lavoratore dovrebbe essere superiore a quello delle merci che manipola o che produce, da noi invece il concetto viene letto al contrario, per cui quando cade un lavoratore basta fare a gara a battersi il petto, politici in testa!

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LIVORNO: BASTA OMICIDI SUL LAVORO!
Da Potere al Popolo https://poterealpopolo.org

Potere al Popolo Livorno è vicina ai familiari e agli amici di Lorenzo e Nunzio, i due lavoratori della Labromare, morti nell’esplosione avvenuta al Deposito Costiero Neri.
Pochi giorni fa avevamo evidenziato la controtendenza rispetto al resto della Toscana, degli infortuni, mortali e non, che avvengono nella città di Livorno. 6 furono i morti nel 2013, ben 11 nel 2016. In calo invece nel resto della regione.
Non si può non fare subito un accostamento tra la crisi della nostra provincia e gli infortuni in aumento. Dove la crisi picchia duro, probabilmente c’è un’inevitabile ricerca del profitto da parte dei datori di lavoro, e una paura della perdita del posto da parte dei lavoratori stessi. Costretti quindi a obbedire a straordinari, turni massacranti, contratti e livelli con mansioni diverse rispetto a quelle praticate e molto altro.
Questa è la situazione che spesso riscontriamo nella nostra provincia e nella nostra città e i numeri lo fanno capire.
Per quanto riguarda lo specifico caso del Porto di Livorno gli incidenti mortali sono innumerevoli negli ultimi anni: Dasonor morto nel 2010, Priscillano investito nel marzo di 3 anni fa, e Gabriele morto sulla nave Urania in bacino soltanto 5 mesi più tardi. Molte furono le promesse di un aumento della sicurezza, rimaste vane. Le leggi sulla sicurezza del lavoro in un periodo di crisi devono essere ancora più severe, mentre in questi anni i vari governi le hanno allentate, oltretutto “lasciando morire” il sistema di controllo.
La questione della sicurezza deve uscire dalla ritualità! La “cultura della sicurezza” è un approccio che scarica sottilmente anche sui lavoratori le responsabilità. Se un “errore umano” rischia di costare la vita a sé stesso e/o ad altre persone, vuol dire che va rivisto in toto il “sistema sicurezza” di quell’azienda o di quel luogo di lavoro.
Potere al Popolo Livorno

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ANCORA DUE OMICIDI IN FABBRICA, ANCORA MANCATO RISPETTO DELLE NORME
Da Medicina Democratica https://www.medicinademocratica.org

Anche a Pasqua il non rispetto della normativa di sicurezza sul lavoro miete morti tra i lavoratori.
Alla ECB di Treviglio sono stati uccisi Giuseppe Legnano e Giambattista Gatti.
Le informazioni parlano di un intervento presso l’azienda, non operativa, per la segnalazione di cittadini per maleodoranze e la esplosione di una autoclave utilizzata per “cuocere” sottoprodotti animali per la produzione di cibo per animali.
Dunque:
a) si verifica una sovrapressione dell’autoclave (in attività pur senza lavoratori??!!) che determina un rilascio da uno dei sistemi di emergenza che gli impianti a pressione devono avere (da qui gli odori sentiti dai residenti, problema frequente per molte aziende di trasformazione di sottoprodotti animali e in genere di grassi animali);
b) i lavoratori intervengono e durante l’intervento si verifica una ulteriore sovrapressione che determina l’esplosione dell’autoclave.
Non occorre essere dei tecnici laureati per individuare dove svolgere gli accertamenti tenendo conto che la normativa su tali impianti è molto precisa, e in particolare:
1) impone “macchine” a pressione dotate di tutte le sicurezze proprio per evitare le sovrapressione;
2) obbliga a manutenzioni e verifiche periodiche (queste ultimi da parte di ASL/INAIL) stringenti per mantenere gli impianti in sicurezza;
3) non permette certamente che gli impianti siano eserciti “in automatico” senza lavoratori.
Dopo i morti di Livorno (certamente per un problema di formazione di atmosfere esplosive non correttamente prevenute/gestite) ci troviamo di fronte ad un altro capitolo che richiama un altro aspetto importante ben presente e ben codificato nella normativa sulla sicurezza sul lavoro dagli anni ‘50: gli impianti a pressione.
Condizioni prevedibili, morti prevenibili.

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DUE OPERAI MORTI A CROTONE: E’ QUESTO IL VERO “TERRORISMO”
Da Contropiano http://contropiano.org

Finiscono sui media solo se muoiono almeno in due, altrimenti se ne accorgono solo i familiari.
L’ennesimo “incidente sul lavoro” è avvenuto stamattina a Crotone, in Calabria, e ha coinvolto diversi operai in un cantiere edile.
Due di loro (un italiano e un ucraino) sono stati estratti ormai morti dalle macerie di un muro di contenimento crollato all’improvviso. Un altro è rimasto ferito in modo molto grave ed è ora ricoverato in ospedale.
La ditta per cui lavoravano è incaricata della ristrutturazione e il prolungamento del lungomare verso Capo Colonna.
Con quelle di oggi salgono a 154 le vittime sul lavoro dal 1 gennaio di quest’anno.
Una cifra superiore a quella registrata nello stesso periodo dello scorso anno, il che dimostra come la strage di diritti e regole sul mercato del lavoro abbia avuto come conseguenza anche la diminuzione delle misure di sicurezza (per “ridurre i costi”) e della capacità dei lavoratori di farle rispettare.
Ah, dimenticavamo. Nello stesso periodo le vittime del terribile “terrorismo” sono state zero. Esattamente come in tutto lo scorso anno.
Forse sarebbe ora, per noi che andiamo a lavorare tutti i giorni, di cominciare a preoccuparci dei pericoli veri.

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INFORTUNI, SENZA REGOLE PAGA IL LAVORO
Da Rassegna.it http://www.rassegna.it

“Con la ripresa dell’attività produttiva si è ricominciato a morire sul lavoro. Riparte il motore dell’economia e della produzione e ripartono gli infortuni, soprattutto quelli mortali. Questo significa che non vi è una ripresa che porta con sé significativi elementi di qualità e innovazione”. Lo ha detto Franco Martini, segretario nazionale CGIL, ai microfoni di RadioArticolo1, commentando il drammatico incremento di morti sul lavoro degli ultimi giorni.
L’incidente più recente, quello avvenuto a Crotone, “conferma che le causali che si registrano, soprattutto nei settori più esposti come appunto quello dell’edilizia, sono le stesse identiche che oramai da decenni segnano la dinamica di questi infortuni”, ha detto Martini nel corso del programma ItaliaParla.
“Siamo di fronte a una ripresa dell’attività economica e produttiva che non avviene con la priorità dell’investimento sulla qualità del fattore lavoro e quindi sulla qualità del lavoro umano, ed è una grande contraddizione nel momento in cui parliamo delle profonde trasformazioni tecnologiche, dall’intelligenza artificiale alla robotica. E’ veramente drammatico vivere queste contraddizioni: il fatto che si trascini il vecchio modo di lavorare e il fatto che siamo ancora impreparati e indifesi a governare quelle che saranno le implicazioni sulla salute del nuovo modo di lavorare”.
“Nel dibattito che soprattutto in questi ultimi giorni si è sviluppato ricorre frequentemente il concetto di cultura della sicurezza, cioè è innanzitutto un problema culturale, e questo è vero. Ma la cultura della sicurezza non è che l’altra faccia di una medaglia che riguarda la cultura dell’impresa e la cultura del lavoro” - prosegue Martini.
“Le politiche condotte in tutti questi anni, sia da parte delle imprese che da parte dei governi, hanno svalorizzato il lavoro e incentivato tipologie contrattuali di breve durata. Sono esplosi i contratti a termine, ed è del tutto evidente che la precarietà non è il terreno più idoneo per l’investimento formativo. Per quale motivo un’impresa dovrebbe investire sulla formazione, oltre l’obbligo naturalmente, se non vi fosse l’interesse alla stabilizzazione occupazionale? Se dobbiamo assumere la cultura della sicurezza come il tracciato di rotta fondamentale per lo sviluppo del Paese, dobbiamo parlare di cultura dell’impresa e di cultura del lavoro. E’ vero, c’è bisogno di implementare l’investimento formativo, ma solo a condizione che sia scelta in maniera irreversibile la via della competizione alta, perché se si pensa di riagganciare la ripresa alla vecchia maniera noi non faremo altro che arricchire questo triste pallottoliere che è il numero dei morti sul lavoro, dei feriti, degli infortunati, per non parlare addirittura delle malattie professionali”.
C’è poi il tema che attiene ai controlli, allo smantellamento delle centrali che dovrebbero presidiare la sicurezza sul lavoro, al calo delle risorse a disposizione di ASL, INAIL e Ministero del Lavoro.
“Al riguardo” - precisa Martini - “le leggi per la sicurezza nei luoghi di lavoro ci sono. Certo ogni legge può essere perfezionata e migliorata, ma intanto quelle che abbiamo nel nostro Paese sono positive. Purtroppo l’Italia è uno degli ultimi Paesi a non aver ancora adottato una propria strategia nazionale, perché una strategia per la sicurezza non può che essere una politica interdisciplinare che mette insieme i vari ingranaggi del governo dello sviluppo e quindi anche della parte pubblica e delle parti sociali”.
“Ciò detto, è evidente che se le leggi già esistenti sono comunque importanti, vanno fatte rispettare. E qui viene fuori un problema: il definanziamento del Servizio Sanitario Nazionale, dove il tema della prevenzione, che era uno dei cavalli di battaglia delle grandi riforme sanitarie che abbiamo fatto, è oramai ridotto al lumicino nelle spese di quasi tutte le regioni. Assistiamo inoltre all’indebolimento, se non al vero e proprio smantellamento, di organi che avevano funzioni ispettive, quindi di controllo. E’ chiaro che se indeboliamo l’esercito che deve controllare il rispetto delle leggi, non facciamo altro che incentivare un disinteresse e una fuga dagli obblighi che impongono le leggi stesse. Non c’è ombra di dubbio” - conclude Martini – “che, se non vogliamo piangere lacrime di coccodrillo, dobbiamo ripensare la spesa nella direzione della sicurezza sul lavoro, quella pubblica e quella privata, ma dobbiamo partire da quella pubblica”.

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LA MATTANZA IMPROPRIAMENTE DEFINITA “MORTI BIANCHE”
Delegati e lavoratori indipendenti Pisa http://delegati-lavoratori-indipendenti-pisa.blogspot.it
Di Federico Giusti

Una autentica mattanza impropriamente definita “morti bianche”, non conosciamo altre parole per denunciare la strage di lavoratori e lavoratrici. I mezzi di informazione giocano un ruolo dirimente nell'occultare le morti sul lavoro relegandole a fatti di cronaca o catalogandone le cause come errori umani.
Uno stillicidio che accomuna tutte le regioni d'Italia, colpisce indistintamente lavoratori pubblici (Vigili del Fuoco) o del settore privato. Anche a volere rinchiudere le morti sul lavoro dentro asettici dati statistici non riusciremmo nell'intento, in media si registrano nei primi 100 giorni del 2018 ben 1,67 morti al giorno con incremento di oltre l'11% rispetto al 2017.
Le Regioni più colpite sono quelle del Nord che registrano il maggior numero di impiegati e di ore lavorate, Veneto, Lombardia e Piemonte, ma anche nel centro Italia non si scherza (10 morti in Toscana) o nel Sud (11 in Campania).
Le statistiche dell'INAIL sono parziali perchè innumerevoli infortuni e morti sul lavoro non risultano tali, la consuetudine di non denunciare gli infortuni di piccola e media entità è diffusa nel mondo del lavoro, le pressioni delle aziende timorose di subire sanzioni e controlli sono spesso determinanti
Non si tratta solo di una insufficiente (a dir poco) applicazione delle norme vigenti in materia di sicurezza. Fin dalla sua approvazione, il Testo Unico sulla sicurezza ha subito attacchi delle aziende e in Parlamento miranti a contenere le sanzioni a carico delle aziende inadempienti e a ridurre il penale a favore di semplici multe.
In Italia si è operato in ambito legislativo per ridurre il sistema dei controlli, per anni abbiamo denunciato l'assenza di Ispettori nei cantieri. Il problema non può essere ridotto alla semplice osservanza di regole e normative, le ragioni del profitto hanno prevalso nell'ignavia e nel disinteresse degli stessi sindacati.
Esistono accordi e protocolli che vedono protagonisti sindacati, aziende e istituzioni locali, accordi disattesi e destinati a rimanere lettere morta, protocolli fatti di chiacchere perchè lo stato e le autorità competenti in materia di salute, prevenzione e sicurezza hanno abdicato alle imprese.
L'ingresso nella UE non è stato determinante, anzi spesso sono proprio le regole europee ad avere creato una attenzione formale che magari produce delle leggi accettabili che poi vengono, pezzo dopo pezzo, smontate e addomesticate. Troppi vincoli alle imprese vengono ritenuti negativi per la crescita delle stesse, le regole, quando esistono, sono facilmente aggirabili perchè i padroni possono agire indisturbati.
Il sindacato confederale non ha mai portato avanti istanze e lotte reali per la sicurezza nei luoghi di lavoro, non basta ampliare l'elenco delle malattie professionali riconosciute, esiste una interminabile trafila burocratica perchè il lavoratore colpito possa raggiungere il sospirato riconoscimento, ancora più lunghi sono i tempi per la corresponsione di un indennizzo.
Gli anni della crisi hanno acuito il problema, si lavora precariamente e con appalti al ribasso e le spese per la sicurezza rappresentano costi sempre più ridotti, del resto l'obiettivo dei Governi è stato quello di alleggerire gli oneri a carico delle imprese.
Le morti sul lavoro sono un problema di classe: o si combattono oppure si fanno solo chiacchere.
Ma per combatterle non si può assecondare il lavoro gratuito, il Jobs Act, la cancellazione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori o far finta di opporsi quando non si convocano neppure degli scioperi.
La spending rewiew (Ricordate l'uomo del Fondo Monetario Cottarelli? Quel Cottarelli che viene invocato anche dai Grillini...) ha tagliato anche la spesa per gli Ispettori senza i quali mancano le figure preposte al controllo effettivo dei cantieri. Lavorare a ritmi insostenibili e allungare l'età lavorativa, questo accade da anni e rappresenta una delle principali cause dell'aumento di infortuni e di morti sul lavoro, aumentano infatti i casi di infortuni/morti di over sessantenni.
E il sindacato? A loro signori basta accordare un anticipo della pensione ampliando di poco le categorie dei lavori usuranti che per altro escludono innumerevoli mansioni pericolose. Ma anche quel anticipo è di pochi mesi e non incide più di tanto in un mondo del lavoro all'insegna dello sfruttamento sempre più intensivo, il logoramento psico-fisico è tangibili, basterebbe ricordare e documentare quanto accade da anni negli stabilimenti della FCA
E infine la inosservanza delle normative in materia di salute e sicurezza va di pari passo con l'evasione, ossia con la presenza sempre più numerosa di lavori irregolari, al nero o pagati solo per poche ore rispetto alla loro effettiva prestazione lavorativa. Del resto con il voucher è stato possibile sottopagare la forza lavoro, esentare le imprese dal pagamento di tante tasse ed aggirare le normative di sicurezza, quel voucher che avrebbe dovuto essere cancellato ma negli ultimi tempi sta tornando in altre vesti.
I datori di lavoro hanno ottenuto quello che volevano, libertà di sfruttare e di licenziare chi alza la testa e rivendica diritti, hanno ottenuto di scambiare un processo penale con il pagamento di qualche sanzione. Il profitto ha vinto, ha assoldato i sindacati nella folta schiera dei servi, i lavoratori e le lavoratrici morti diventano oggetto di statistiche, occasione per qualche patetico discorso istituzionale o articoli di cronaca.
Noi non vogliamo adattarci a questo stato di cose, il solo modo che conosciamo per difendere la dignità e i salari dei lavoratori è quello di intraprendere percorsi conflittuali: senza lotta, senza far male ai padroni non si tutelano i lavoratori, la loro stessa salute e sicurezza.
Non può esserci consociativismo e accordo istituzionale con i responsabili della mattanza.

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MORTI E PRODUTTIVITA’, ROVESCIARE IL RAGIONAMENTO
di Federico Giusti

La mattanza continua, le statistiche degli infortuni e delle morti, delle malattie professionali contratte nei luoghi di lavoro andrebbero aggiornate di giorno in giorno. 1,67 morti al giorno, è questa la percentuale stando alle statistiche ufficiali che poi in fatto di salute e sicurezza sono sottostimate.
Non si tratta di applicare normative di legge perché queste normative sono facilmente aggirabili e chi dovrebbe vigilare (gli Ispettori ASL) sono in numero insufficiente da anni, anzi hanno organici così risibili da effettuare ormai solo controlli a campione.
La lotta contro il lavoro, e a solo vantaggio del capitale, è stata sostenuta con tenacia negli ultimi 30 anni, lustri nei quali ogni legge approvata, ogni accordo sindacale sottoscritto, è andato nella direzione auspicata dai padroni.
Il Jobs act, la revisione Fornero dell'articolo 18, il voucher, il lavoro gratuito non hanno prodotto occupazione stabile anni i contratti a tempo determinato continuano a imperversare, cresce l'interinale e nel frattempo i morti e gli infortuni sui luoghi di lavoro continuano imperterriti, la notizia è relegata alla cronaca locale di qualche giornale per poi scomparire.
I processi poi sono così lunghi e tortuosi che in molti casi arriva la prescrizione invece della condanna a carico del datore di lavoro inadempiente. Ma spesso a essere condannati sono gli anelli deboli della filiera della sicurezza, i meri esecutori di ordini e non chi ha deciso gli appalti/lavori al ribasso e la inosservanza effettiva delle normative.
La precarietà contrattuale e salariale va allora di pari passo con gli infortuni, le malattie e le morti sul lavoro, non si combatte la mattanza se cediamo a logiche confindustriali come accaduto con l'accordo sulla rappresentanza (gennaio 2014), sui salari (2018) per non parlare poi del diritto di sciopero e dei contratti nazionali siglati negli ultimi due anni che scambiano aumenti salariali con i bonus e misure di previdenza e sanità integrativa.
Aborriamo l'ipocrita cordoglio istituzionale e le lacrime di coccodrillo ai funerali, non serve qualche sciopero rituale, ma invertire la marcia giorno dopo giorno, ripristinare e rafforzare non solo le sanzioni, ma le pene e i processi penali, le interdizioni, a carico dei veri responsabili delle morti e degli infortuni, evitiamo di abbassare i costi degli appalti perché la salute e la sicurezza non sono optional o variabili dipendenti da sacrificare sull'altare della crisi.
Chi ha inquinato per anni in Italia dovrebbe essere colpito con la requisizione e la nazionalizzazione delle sue proprietà, esistono decine di siti da anni inquinati a costituire una minaccia non solo per l'ambiente, ma per la nostra salute e sicurezza (ci sentiamo minacciati dai problemi reali e non dalla presenza di migranti). Invece di pagare gli interessi del debito (ai quali viene indirizzata gran parte della ricchezza prodotta) dovremmo utilizzare i soldi per le bonifiche.
E a partire da queste elementari considerazioni (che tuttavia determinerebbero una catarsi sindacale all'insegna del conflitto), ci colleghiamo al mantra della produttività, luoghi comuni declinati ogni giorno come pietre miliari di una campagna martellante a solo vantaggio degli interessi capitalistici
Il tracollo finanziario del 2007-2008 è ancora oggi analizzato solo dal punto di vista del calo produttivo e occupazionale, tanto da far parlare di una seconda Grande Depressione dopo quella dell'ormai lontano 1929. Ma quella depressione venne documentata da intellettuali comunisti (e per questo partì contro di loro una feroce caccia alle streghe) che ne evidenziarono i disastri sociali, la crisi del 2007/8, eccezion fatta per poche e isolate voci, è stata riletta solo dal punto di vista capitalistico omettendo la devastazione sociale che ha colpito le classi meno abbienti, quanti sono stati ridotti sul lastrico, cacciati di casa, senza un lavoro o un reddito.
Il reddito nazionale raggiunse il suo apice nel 2006, tre anni dopo era inferiore del 5%, nell'arco di 4/5 anni ha recuperato il gap e ormai da anni ha superato la crisi. Al contrario, in Italia, sono serviti 10 anni per ritornare, e superare di poco, i livelli ante crisi.
Il capitalismo USA ha superato in fretta le difficoltà quando nel 1929 furono necessari dieci anni e il ricorso neokeynesiano alla guerra.
Ma il parametro di confronto continua ad avvenire in termini errati, si interpreta l'economia solo dal punto di vista della produttività del lavoro, dimenticando gli investimenti statali, la spesa sociale, la spesa sanitaria e per l'istruzione e il loro effetto benefico sulla crescita del PIL.
E' ormai consuetudine leggere i dati economici solo dal punto di vista del capitale o per favorire, in Italia come nel resto dei paesi, politiche fiscali a solo vantaggio delle imprese.
Non a caso, sempre negli USA, sotto accusa è la politica di Obama in ambito sanitario, quella legge destinata alle cure di quanti ormai erano così poveri da non potersi permettere una assicurazione sulla salute. La produttività del lavoro elevata a mantra determinerà scelte ancora più radicali in ambito liberista, contrazione dei salari e delle pensioni, riduzione dello stato sociale e aumento degli infortuni e delle morti sul lavoro.
Se vogliamo tutelare la nostra salute mentale, proviamo almeno a leggere le dinamiche economiche e sociali in materia diametralmente opposta ai padroni e ai loro lacchè. Basta parlare di produttività, di morti bianche, ripristiniamo i termini giusti per descrivere la guerra del capitale contro i lavoratori.


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