(Dal responsabile Slai Cobas sc per
il gruppo Stellantis)
Sul piano Stellantis che il Ceo JP Imparato, responsabile europeo
del gruppo ha presentato al Mimit, il tavolo ministeriale, davanti ai
ministri Urso Giorgetti Calderone e ai sindacati, il quotidiano ‘Il
Messaggero’ scrive significativamente:
‘Il
governo e Stellantis depongono le armi. Il primo intervento di Jean
Philippe Imparato al Ministero delle Imprese è stato soddisfacente
ed a chiudere il tavolo sulla multinazionale transatlantica è stato
lo stesso padrone di casa, il ministro Adolfo Urso che ha seguito la
vicenda dichiarando che non avrebbe fatto sconti. Il rappresentate
dell’esecutivo voleva un nuovo piano ed impegni precisi e il
manager di origini italiane è riuscito a centrare l’obiettivo.
«Questa è una giornata importante, così è stata definita da tutti
gli attori - ha spiegato Urso - Importante per l’auto italiana, per
l’industria e per i lavoratori. Avevamo chiesto a Stellantis di
confrontarsi su un piano industriale assertivo con investimenti,
ricerca e sviluppo, modelli e piattaforme per i siti italiani e
garanzia dei livelli occupazionale. E responsabilità nel governare
la transizione del comparto auto italiano, indotto e filiera».
Due miliardi di investimenti più sei miliardi di acquisti dai
diversi fornitori, per incrementare la produzione Stellantis negli
stabilimenti italiani di city car e modelli ibridi collocati in tutte
le fabbriche del gruppo, con la messa in opera delle piattaforme STLA
modulari che sulle catene di montaggio permettono di gestire la
produzione di più modelli, con la piattaforma large, a Cassino, la
medium a Melfi e, annunciata a sorpresa, la piattaforma small a
Pomigliano per le vetture piccole a produzione di massa, il polo del
lusso concentrato a Modena.
Questa
l’esposizione di JP Imparato per Stellantis al tavolo ministeriale.
Ma appunto questa è la versione padronale che i problemi non li
chiude ma li apre.
Il
governo parla della fine di un conflitto. Non può che riferirsi alla
recente e a suo modo inevitabile fase polemica, persino per il
governo, dei "lasciamo fare ai padroni che producono",
sollevata verso
Stellantis dopo il clamore, provocato
nell’acuirsi della crisi con effetti ancora più pesanti per
l’occupazione dei lavoratori, delle dimissioni di Tavares e della
sua liquidazione milionaria. Quanto fatto dal governo in precedenza
non si era distaccato nella sostanza dalla programmatica
dichiarazione di via libera a Confindustria fatta personalmente dalla
Meloni al suo insediamento.
Quindi
questa pace fatta tra Stellantis e governo Meloni, è al servizio di
Stellantis, ne rappresenta una copertura governativa al piano
padronale, ma vuole parlare al paese, rassicurare le masse del buon
governo. Suona ancor più come un messaggio rivolto ai lavoratori
per oscurare tutti i punti critici di quanto presentato da Imparato,
per indurli ad aspettarne fiduciosi, al lavoro o in cassa
integrazione, gli sviluppi del piano.
Senza
ostacolarlo, senza pensare a riprendere la spinta dello sciopero di
gruppo del 20 ottobre.
Ma
questo è appunto il piano padronale per governare e scaricare la
crisi ora, per ‘gestire’ i lavoratori. Lasciato a se stesso è
tutt’altro che concreto, è lontano dal rispondere ai bisogni e
agli interessi della classe operaia, dei lavoratori degli
stabilimenti del Gruppo e dell’indotto.
Per
quanto riguarda la difesa del salario, ad esempio, esso è già
ridotto dalla cassa integrazione e il piano prevede tempi lunghi per
la ripresa delle produzioni, quindi un ulteriore utilizzo massiccio
della cassa integrazione che colpirà ancora la paga dei lavoratori.
E
poi ci sono le reali prospettive di quanto annunciato, di quanto
Stellantis realizzerà nel futuro per gli stabilimenti di Mirafiori,
Melfi, Cassino, Atessa, Pomigliano, Modena e quindi del peso
effettivo che queste fabbriche avranno nei piani del Gruppo.
Perchè la storia dei piani industriali ridotti a promesse mancate
accompagna la produzione di Fiat, FCA, Stellantis passando per la
roboante "Fabbrica Italia" di Marchionne, annunciata nel
2010 con il classico stile dei due tempi: una produzione dichiarata
per 1.650.000 vetture entro il 2014 a condizione di una
ristrutturazione immediata dei diritti dei lavoratori.
Che
non va letta come la versione facile di una situazione complessa. Le
dinamiche che hanno attraversato e modificato il settore auto fino a
ridurre pesantemente il numero degli operai occupati e ad azzerare
praticamente il rapporto di forza degli operai a livello di Gruppo,
meritano di essere adeguatamente approfondite, così come di
sintetizzare tutti gli elementi necessari allo scontro di oggi.
Questo
è un primo quadro di una prospettiva industriale al tempo della
crisi internazionale del settore auto.
Abbiamo
la cronaca infinita di questi decenni fino a quella del 27 marzo 24:
"… dopo i 2000 esuberi annunciati ieri, oggi altre 1550 uscite
concentrate negli stabilimenti del sud, con il benestare di un pezzo
del sindacato. La Fiom anche questa volta non ha firmato. Tra ieri e
oggi sono state annunciate oltre 3500 uscite volontarie incentivate.
Quelle di oggi sono prevalentemente negli stabilimenti di Melfi,
Pomigliano d’Arco, Termoli. Quelle di Ieri tra Mirafiori (il 10%
della forza lavoro rimasta) e Cassino. Un programma per dimezzare la
produzione in Italia che arriva nel deserto di politica industriale
del governo. Verso lo spostamento all’estero della produzione, i
profitti record e gli utili distribuiti agli azionisti...".
E
sono gli stessi operai, tra i pochi in fabbrica in queste settimane a
Mirafiori, che a caldo commentano in questo modo:
‘stanno
continuando sulla falsa riga di Tavares che dichiarava non chiuderemo
stabilimenti, produrremo nuovi modelli, faremo investimenti, ecc…’
‘non
servono i commenti al momento, sono vecchie promesse, aspettiamo i
fatti adesso, sperando che le istituzioni continuino a spingere
l’azienda ad azioni concrete’
‘…
portano due macchine, non sono molte, poi continua la cig per un
anno, poi ci sarà sta 500 elettrica che dicono che non va, chi è
che la compra, poi la 500 normale anche quella uguale…'
'non
so ma per me non bastano due macchine. Ne hanno portato 7 a Melfi, ma
i trasfertisti che sono qua mi dicono che hanno portato macchine che
costano care e che così non ci saranno i numeri... e
poi non è bello avere ancora questa cig'.
'Dalla
Lear sentiamo che non porteranno nuovi sedili, che fine farà?'
'Al
cambio elettrico lavoriamo e facciamo 20 turni senza pausa mensa,
l’hanno tolta, la mensa è lontana e ci danno sempre un sacchetto,
lasciamo le macchine fuori ci sono problemi di parcheggio...'
'non
hanno fatto niente, solo due cambi da 10 minuti, è poco perché è
diventata una vera linea, anche se i lavori sono più leggeri devi
sempre stare in piedi e attaccata, e poi hanno obbligato al turno di
notte, e tante non hanno potuto farlo e hanno rinunciato…'
Imparato
non parla di un piano di difesa ma di sviluppo. Chiama il governo a
fare la sua parte, subito dice che non si scherza con le sanzioni
europee previste per il 2025, che imporrebbero di portare dal 12 al
21% le auto elettriche vendute, e per allinearsi agli altri
costruttori annuncia il rientro in ACEA. Trovando nelle dichiarazioni
governative di Urso sintonia tanto che ora anche Elkann in questo
clima favorevole dice ‘andrò in Parlamento a rispondere’.
Sul
piano sindacale Fiom Uil Fim dopo la loro presenza per niente
critica al tavolo hanno rilasciato dichiarazioni caute sulle
prospettive delle promesse, in continuità con la linea sindacale
concertativa tenuta di tutti questi anni.
Ma
utile riprendere una dichiarazione di Marchionne e Elkann ci arriva
dal 14 settembre del 2012:
‘...Il
progetto "Fabbrica Italia" non è mai stato un piano
finanziario, ma l’espressione di un indirizzo strategico che Fiat
intende seguire ed ha
il significato e lo scopo di esprimere l’impegno di Fiat a
risolvere le problematiche che interessano i suoi siti industriali
italiani e contribuire allo sviluppo delle potenzialità
industriali del Paese. Fiat ha sempre indicato con estrema
chiarezza che sono condizioni imprescindibili per il raggiungimento
di tale risultato, il concorso di tutte le componenti sociali,
sindacati ed istituzioni, nell’assicurare la governabilità dei
siti produttivi e l’attuazione degli accordi che garantiscono
adeguata flessibilità operativa.
Fiat, come ogni suo
concorrente, riesamina continuamente i propri piani ed ha la
necessità di poterli adeguare alle condizioni del mercato, per
replicare alle azioni e posizioni adottate dagli altri produttori ed
ai più vari fattori che possono influenzare e condizionare la loro
attuazione e ed il loro successo finale. Le assunzioni su cui si
basano i piani di Fiat sono di natura generale e non hanno un livello
di dettaglio tale da consentire, attraverso la verifica del grado di
attuazione di uno specifico target, il riscontro continuo e
sistematico del grado di avanzamento di Fabbrica Italia. (…)'
In
altre parole sono i padroni che affermano che i loro piani non sono
credibili nel senso scientifico del termine, perchè a prescindere
saranno adeguati ‘al mercato’, ovvero alle condizioni più adatte
a garantire il massimo profitto a seconda della evoluzione generale
della situazione di crisi o di sviluppo/ristrutturazione verso aree
anche internazionali che possano garantire condizioni migliori di
sfruttamento a seconda della situazione specifica, stabilimento per
stabilimento, compresa la composizione della classe operaia. A
seconda dei piani finanziari del Gruppo, come ha dimostrato il
periodo appena trascorso di Stellantis, alla ricerca di profitti
negli investimenti finanziari, riducendo la parte produttiva.
E' a
questi piani che i padroni nel loro insieme chiedono ai lavoratori,
attraverso le loro organizzazioni sindacali, il consenso, la pace
sociale in fabbrica, la cessazione del conflitto, e ad aspettare le
trattative dove il limite è dato da quanto di volta in volta i
padroni sono disposti ad offrire. E affrontare le crisi
stabilimento per stabilimento come fatto finora dai sindacati
confederali è il primo gradino dell’adesione a questa visione
aziendalista.
Anche
le chiare parole delle operaie di Mirafiori oggi ci parlano di
questo: il lavoro che c’è e che ci sarà dopo le ristrutturazioni
delle nuove piattaforme alzerà lo sfruttamento (vedi già da oggi
peggioramento pause, mensa, notte); la produzione dei cambi elettrici
è a ciclo continuo data l’importanza per tutti i modelli ma
migliaia di operai sono in cassa fino all’estate prossima, nel
silenzio sindacale che allarga così la separazione e la solidarietà
di classe tra i lavoratori, alimentando la fiducia mal riposta sulle
pressioni del governo verso le scelte produttive del Gruppo nel
nostro paese.
Lo
abbiamo già scritto, il lavoratori e nello specifico i lavoratori
del settore auto, in Italia il Gruppo Stellantis e tutto l’indotto
che ha raggiunto una notevole dimensione, devono riprendere
la via dello sciopero generale di settore del 20 di
ottobre, lavorando per abbattere le barriere tra
stabilimenti, per una mobilitazione autonoma da padroni e governo,
che riunisca gli operai attorno ad una piattaforma che metta al
centro salario, lavoro, sicurezza, l’integrazione al 100% della
cassa integrazione, la riduzione di orario a parità di salario. Per
avere un peso come classe operai, di fronte al mutare degli scenari
degli interessi dei padroni.