Nell’ultima udienza di giugno noi siamo stati gli unici che abbiamo
parlato per portare le ragioni dei lavoratori e di tutte le parti
civili, perché dall'altra parte gli avvocati degli imputati sono
stati attrezzatissimi, per ben
tre udienze si sono presi l'egemonia generale perorando la loro
causa. È una questione da un punto di vista formale, giuridico e
processuale molto importante perché loro contestano la competenza
della Corte d'appello di Taranto, secondo loro il processo non doveva
essere celebrato a Taranto perché i giudici di Taranto non
garantirebbero una imparzialità nella decisione, perché i giudici,
dichiarano questi avvocati, anche loro respirano l'aria inquinata e
quindi non possono dare un giudizio imparziale.
Già
in primo grado gli avvocati degli imputati hanno posto questa
eccezione, che però è stata respinta dalla Corte. Riproponendo
questa eccezione in Corte d'appello, qualora venisse accolta,
significherebbe veramente un danno alla città di Taranto, perché
il processo si sposta in un'altra corte d'appello, quella di
Potenza generalmente riconosciuta per competenze territoriale.
Di fatto,
significherebbe che il processo deve essere rifatto completamente
tutto da capo. E questo significa incorrere nella prescrizione.
E' quindi un danno anche da un punto di vista morale per la
cittadinanza che ha subito e subisce un danno ambientale di questa
portata; nei confronti dei lavoratori poi il danno è ancora più
grande, perché riguarda anche la sicurezza. Il processo “Ambiente
svenduto” infatti non riguarda soltanto la questione ambientale, ma
tratta anche delle gravi inadempienze a livello di sicurezza in
fabbrica.
Quindi, il
trasferimento del processo significherebbe veramente fare un
ulteriore smacco a questa città già colpita e che, come ha definito
la Corte internazionale di giustizia, è una “zona di sacrificio”,
cioè una zona che deve accettare, che deve subire questa situazione
generale
Ma la questione di
questa fabbrica non si pone soltanto in termini di mancato rispetto
delle regole ambientali. Ciò che sottolinea anche questo processo è
che una fabbrica di per sé non è un danno per una popolazione,
ma è un danno quando questa fabbrica viene gestita in funzione solo
e soltanto del capitalismo. In quel momento la fabbrica diventa
dannosa.
Ecco perché
strenuamente si difendono i diritti dei lavoratori, i diritti di
tutela del lavoro, perché non è colpa della fabbrica, ma di come è
stata gestita. E’ ovvio che se questa fabbrica viene gestita
soltanto per raggiungere e massimizzare il profitto, costituisce
tutti questi danni a livello ambientale e a livello delle condizioni
di lavoro degli operai stessi.
Nella sentenza del
processo Ilva, di più di 3000 pagine, ci sono delle testimonianze in
cui i lavoratori parlano per esempio della tuta ignifuga, quella che
viene data per tutelare da eventuali problemi di incendio, ma una
volta che viene lavata, non è più ignifuga. Quindi di fatto un
lavoratore dell'Ilva su 300 giorni di lavoro ne passa 295 a rischio
incendio e solo per 5 giorni è tutelato. Uno potrebbe dire, vabbè,
basta dare un'altra tuta. E invece non avviene, perché per il
padrone significherebbe spendere più soldi.
All'Ilva ci sono
stati moltissimi grossi infortuni, tipo quelli avvenuti alla gru,
dove dopo 7 anni si è ripetuto lo stesso identico infortunio
causando la morte di un altro operaio e dando la dimostrazione che in
7 anni praticamente non è stato fatto niente: il governo niente
perché non è il diretto responsabile, il datore di lavoro perché
ha gestito la fabbrica per fare profitto e basta, e di tutto il resto
non si interessa.
Perché, quindi,
dire “chiudere la fabbrica” è sbagliato, perché non è la
fabbrica in sé che fa male, ma è come è gestita. Questo è un
concetto che deve essere ripetuto più volte: è una fabbrica
gestita in favore del profitto che fa male, non la fabbrica in sé.
Il 13 settembre noi
avremo la decisione del giudice della Corte d'appello circa
l’accoglienza o meno dell’eccezione che hanno sollevato gli
avvocati degli imputati. Le premesse non sono buone. Alla prima
udienza il Presidente ha annullato anche la provvisionale concessa
dal giudice di primo grado in favore di tutte le parti civili. La
provvisionale significa un risarcimento che viene dato appunto in
modo provvisorio, finché poi si calcola quello definitivo. Oltre
tutti i problemi per riuscire a rintracciare i soldi, perché nel
frattempo le società si sono fatte trovare tutte senza soldi, il
Presidente ha avuto la buona idea di togliere la provvisionale perché
- ed è un aspetto dell'ordinanza veramente deprecabile - ha detto
che il danno economico che subirebbero gli imputati qualora fossero
assolti sarebbe superiore rispetto a quello delle parti civili: "come
farebbero a recuperare questi soldi?". Quindi, ciò che è
diventato preminente da tutelare è il potere economico, la tutela
del patrimonio degli imputati rispetto alla salute, a tutti gli
operai morti, a tutti gli abitanti dei Tamburi morti e che continuano
a morire, a tutti i bambini morti per la leucemia. Il danno a questi
operai, a questi bambini è inferiore rispetto a quello patrimoniale
che subirebbero gli imputati.
Alcune
pagine della sentenza di primo grado sono un gigantesco
affresco del modo di produzione capitalista in action; Carlo Marx ci
sarebbe andato pazzo. Alcuni passi smontano l'idea che sia solo
una sentenza riguardante l'ambiente, quando invece è un'analisi del
processo produttivo e del rapporto produzione condizione operaia,
fotografato in maniera dettagliata attraverso i fatti concreti e le
perizie.
Noi siamo tenuti
a essere ottimi. Però stiamo allarmando le parti civili che può
succedere il contrario, che il processo venga realmente trasferito da
Taranto.
In questo caso
sarà legittimo protestare dentro e fuori del tribunale.
L’abbiamo già
fatto dentro il Tribunale contro un procuratore, Capristo, che voleva
affossare il processo. Abbiamo protestato in 10 in tribunale, la
Digos minacciava denunce, ecc. Però cosa è successo? Che alcuni
mesi dopo questo procuratore della Repubblica è stato arrestato.
Il processo
“Ambiente svenduto” è unico in Italia. Ha fatto storia. Ora
siamo a uno snodo perché il trasferimento del processo sarebbe
clamoroso, e deve trovare oltre la nostra protesta immediata la
mobilitazione della città e
anche su scala nazionale.