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Crac Blutec, i giudici: «Ginatta ha usato i soldi di Termini Imerese per scopi personali»
Il manager è stato condannato a 7 anni. Nella sentenza è raccontata la storia del polo siciliano che «ancora oggi è alla ricerca di un imprenditore che lo rivitalizzi»
Roberto Ginatta «diede vita» a Blutec «per rilevare lo stabilimento di Termine Imerese» e, «per quanto sorprendente possa apparire, già poche ore dopo gli amministratori iniziarono a macchiarsi di condotte distrattive», alle quali «si aggiunsero ben presto altre condotte dolose». Partono da questa premessa i giudici della Terza sezione penale del Tribunale per spiegare la condanna a sette anni di carcere per l’imprenditore. Ginatta (difeso dall’avvocato Nicola Menardo) era accusato di malversazione, bancarotta, riciclaggio e autoriciclaggio. Nello stesso procedimento erano imputati il figlio minore Matteo (difeso da Luigi Chiappero e Luigi Giuliano) e la storica segretaria Giovanna Desiderato (assistita da Stefania Nubile). La contestazione riguardava due episodi di riciclaggio attraverso società di cui erano legali rappresentanti: sono stati assolti.
Il processo Blutec non racconta solo le vicende di una società creata con l’unico scopo di ottenere finanziamenti pubblici da destinare ad altre compagini del gruppo, per poi farla fallire. Ma anche le vicissitudini di uno stabilimento — quello di Termini Imerese — che «a pieno titolo appartiene alla storia contemporanea del nostro Paese». «Ginatta — scrivono i giudici — destinò il finanziamento (la prima parte, perché poi intervenne la revoca) a finalità “altre” rispetto al rilancio del polo industriale. Polo industriale che, va constatato con amarezza, è ancora oggi alla ricerca di un imprenditore che lo rivitalizzi». Blutec viene costituita il 18 dicembre 2014. Appena 4 giorni più tardi, il 22 dicembre, viene presentata al Mise una «domanda di accesso al contratto di sviluppo» con un progetto da 94 milioni che prevede 73 milioni di agevolazioni (cifra poi scesa a 71). Il 15 febbraio 2016 la richiesta viene accolta: a Termini si sarebbe dovuto produrre componenti per auto. Ma il piano non decolla e parte dei 21 milioni di anticipo ricevuti da Invitalia, circa 15 milioni, viene destinata a «scopi personali». Tra questi, finanziare la casa madre Metec che era in stato d’insolvenza. Nella sentenza i giudici evidenziano anche operazioni di tipo speculativo come il trasferimento di «8 milioni di euro — con buona pace delle esigenze di Termini Imerese — su un conto d’investimento in titoli esteri».
Il Tribunale si esprime in maniera severa nei confronti dell’imprenditore nel capitolo in cui tratta la possibilità di applicare nel calcolo della pena altre attenuanti generiche, oltre all’età «non più verdissima» di 75 anni. Ed è in questo contesto che viene respinta la tesi difensiva secondo la quale Ginatta avrebbe agito in stato di necessità, «cioè pressato da sollecitazioni politiche e dal management di Fca, che esercitava sul gruppo Metec un’influenza dominante». «Dalle affermazioni della difesa, ciò che se ne può dedurre è che Ginatta fu indotto dal “soffocante abbraccio” di Fca e da sollecitazioni politiche (ma non è chiaro di quali strumenti disponesse il Mise) a prestarsi “all’azzardo” di acquistare Termini Imerese. Tuttavia, questa condizione personale avrebbe potuto giustificare il fallimento di Blutec e il prolungare dell’agonia del complesso siciliano. Non una bancarotta fraudolenta e la massiccia distrazione di fondi: condotte che rispondevano a specifici ed esclusivi interessi dell’imputato e che non dipesero da condizionamenti esterni».
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