mercoledì 6 luglio 2016

6 luglio - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! NEWSLETTER N. 260 DEL 05/07/16



NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE

RESPONSABILITA’ DELLA SICUREZZA DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO
1
MANCATO GODIMENTO DEL RIPOSO SETTIMANALE: SI’ AL RISARCIMENTO PER USURA PSICOFISICA
5
NORMA CEI 11-27: IL RUOLO DI RESPONSABILE DELL’IMPIANTO ELETTRICO
6
INFORTUNI SUL LAVORO, QUANDO A RISPONDERNE E’ ANCHE IL LAVORATORE?
8
LAVORATORI STRESSATI, SANZIONI PESANTI PER LE AZIENDE
10
LA NON CORRETTA ELABORAZIONE DEL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI
12
IMPARARE DAGLI ERRORI: ANCORA INCIDENTI CON LE PIATTAFORME DI LAVORO ELEVABILI
15


RESPONSABILITA’ DELLA SICUREZZA DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO
LE CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.77

Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne fanno richiesta, su tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di richieste e devo dire che per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire con le mie risposte a fare chiarezza sui diritti dei lavoratori.
Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che hanno la pazienza di leggere le mie newsletters, queste consulenze.
Esse trattano di argomenti vari sulla materia e possono costituire un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a che fare con casi simili o analoghi.
Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza ometterò il nome delle persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende coinvolte.
Marco Spezia


QUESITO

Carissimo Marco,
sono RLS di azienda di igiene ambientale e ti sottopongo ancora una volta un quesito sui Veicoli Raccolta Rifiuti (VRR).
Dopo continue sollecitazioni all’azienda per una verifica e un controllo, coinvolgendo anche gli Organi di Controllo ASL SPISAL, per quanto riguarda i mezzi messi in servizio per la raccolta porta a porta, abbiamo riscontrato, rispetto alle normative vigenti (la Direttiva Macchine 17/10, la norma UNI EN 1501-1:2015, gli articoli 70 e 71 del Testo Unico 81/08), alcune non conformità (come il gradino di entrata nell’abitacolo a una altezza superiore a 53 cm, lo scarico dei fumi da catalizzatore sul lato guida, in questo caso a destra, e il sedile non ammortizzato dal quale si trasmettono tutte le sollecitazioni muscolo-scheletriche e vibrazioni mano-braccio a danno dei colleghi).
L’azienda ha predisposto un noleggio temporaneo con altri mezzi con le stesse caratteristiche, salvo i sedili del guidatore, ai quali il fabbricante ha applicato un ammortizzatore del quale ci riserviamo la sua efficacia dopo l’uso, visto che è di nuova concezione.
Visto tutto questo, la mia domanda sorge spontanea: ma qual è l’ente preposto alla certificazione di tali mezzi e basta solo quello per autorizzare l’acquisto da parte dell’azienda e al suo impiego?
Quanto incide il Documento di Valutazione dei Rischi sulle scelte dei mezzi più idonei a svolgere il nostro lavoro e quanto gli interessi economici per scegliere mezzi certificati, ma non idonei per ciò che quotidianamente dobbiamo fare?
Vi sono altri enti oltre alla ASL SPISAL con i quali confrontarci per avere delucidazioni in merito alle scelte fatte dall’azienda?
Ti ringrazio anticipatamente per il tempo utile che potrai dedicarmi per poter svolgere nel migliore dei modi il mio mandato.


RISPOSTA
 
Ciao,
il quesito (anzi i quesiti) che mi poni è parecchio complesso perché va a coinvolgere le responsabilità di molte figure (costruttore, organismo notificato, datore di lavoro, utilizzatore, organismi di vigilanza) e interessa numerosa normativa in materia (D.Lgs.17/10, norma armonizzata, D.Lgs.81/08).
Una risposta esauriente e documentata da riferimenti normativi e giurisprudenziali prenderebbe lo spazio di un corposo articolo o forse di un libro (cosa che prima o poi farò, ma tu non puoi certo aspettare).
Mi limito pertanto, pur essendo rigoroso, a una risposta non eccessivamente approfondita e senza i riferimenti di dettaglio, che spero comunque possa esserti utile.
A disposizione per ulteriori chiarimenti.
Marco
IMMISSIONE SUL MERCATO DI UNA MACCHINA
L’immissione su una macchina sul mercato (cioè la sua commercializzazione o la sua messa a disposizione) è regolata dal D.Lgs.17/10 (recepimento italiano della Direttiva Macchine 2006/42/CE), che è legge dello stato e ha perciò carattere cogente, con apparato sanzionatorio di tipo penale.
L’immissione deve seguire ben determinati passi che si riassumono in:
-         verifica del rispetto dei Requisiti Essenziali di Sicurezza (RES) di cui all’allegato I del D.Lgs.17/10;
-         costituzione del fascicolo tecnico della macchina (il suo “progetto” secondo principi di salute e sicurezza, i cui contenuti sono stabiliti dal D.Lgs.17/10, da mantenere a disposizione degli organismi di vigilanza);
-         redazione del manuale delle istruzioni (da consegnare all’utilizzatore);
-         implementazione di procedure di valutazione della conformità di ciascuna macchina prodotta ai contenuti del D.Lgs.17/10 e del fascicolo tecnico;
-         redazione per ogni singola macchina immessa sul mercato della dichiarazione di conformità CE che attesta la rispondenza della macchina al fascicolo tecnico e al D.Lgs.17/10;
-         apposizione sulla macchina della marcatura CE.
Per le macchine in generale la valutazione della conformità della macchina al D.Lgs.17/10 e al fascicolo tecnico viene fatto internamente dal costruttore mediante:
-         elaborazione del fascicolo tecnico;
-         controllo interno della produzione per garantire il rispetto di ogni macchina costruita dei contenuti del fascicolo tecnico.
Per macchine “particolarmente pericolose” (mia semplificazione), quelle cioè elencate nell’allegato IV del D.Lgs.17/10 (tra cui i VRR) la procedura di valutazione della conformità avviene (nella maggior parte dei casi, ma ci sono altre possibilità) con l’intervento di un Organismo notificato (organismo privato autorizzato dal Ministero delle sviluppo economico secondo precisi criteri stabiliti dal D.Lgs.17/10) che provvede a:
-         esame della correttezza del fascicolo tecnico e delle misure adottate nella progettazione della macchina con riferimento all’allegato I e a eventuali norme armonizzate;
-         esame di un esemplare significativo della macchina e prove pratiche di verifica della rispondenza all’allegato I e a eventuali norme armonizzate;
-         verifica della organizzazione del costruttore e della sua adeguatezza al rispetto per ogni singola macchina prodotta della conformità all’esemplare esaminato.
Il rispetto dei RES deve essere dimostrato all’interno del fascicolo tecnico (che deve a tale proposito contenere una analisi dei rischi e delle soluzioni adottate).
Il rispetto integrale di una norma armonizzata (norma tecnica emessa dalla EN e recepita in Italia dalla UNI, i cui riferimenti siano pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Unione Europea) relativa alla tipologia di macchina fornisce presunzione di conformità ai RES del D.Lgs.17/10.
Il rispetto della norma armonizzata può anche essere parziale (deroga a uno o più punti della norma), ma in questo caso nell’analisi dei rischi contenuta nel fascicolo tecnico deve essere dimostrato (per i punti derogati) il rispetto in ogni caso dei RES dell’allegato I del D.Lgs.17/10. 
 
UTILIZZO DELLA MACCHINA
Secondo il D.Lgs.81/08 (legge dello stato e pertanto anch’essa cogente, con apparato sanzionatorio di natura penale), il datore di lavoro di ogni azienda deve mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature costruite secondo il recepimento delle Direttive comunitarie di prodotto (in questo caso il D.Lgs.17/10, recepimento della Direttiva Macchine 2006/42/CE).
In alternativa egli deve mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature costruite antecedentemente al recepimento delle Direttive comunitarie di prodotto (macchine “non marcate CE”) purché conformi ai requisiti dell’allegato V del D.Lgs.81/08.
La macchina deve essere utilizzata, a cura e responsabilità del datore di lavoro, in conformità alle istruzioni fornite dal costruttore della macchina che devono contenere anche chiara indicazione di tutte le misure di salute e sicurezza da adottare per eliminare o ridurre i “rischi residui” della macchina, che il rispetto dei RES non è stato in grado di eliminare completamente.
Secondo il D.Lgs.81/08, le istruzioni (in genere “manuale d’uso e manutenzione”) devono essere messe a disposizione dei lavoratori, che devono inoltre essere adeguatamente informati, formati e addestrati, sempre a cura e responsabilità del datore di lavoro, sull’uso della macchina.
 
RESPONSABILITA’
Responsabile primario di non conformità di una macchina ai RES del D.Lgs.17/10 (nonostante la formale marcatura CE) è il costruttore, che non ha seguito integralmente quanto richiesto dal D.Lgs.17/10 medesimo e che quindi ha immesso sul mercato una macchina non conforme.
L’immissione sul mercato di una macchina non conforme è reato penale sanzionato dal D.Lgs.17/10.
In caso di macchine in allegato IV vi può essere una parziale responsabilità dell’Organismo notificato intervenuto nella procedura di valutazione di conformità, nel caso non abbia segnalato (e chiestone la risoluzione) la mancata integrale osservanza di quanto stabilito dal D.Lgs.17/10.
Una eventuale responsabilità dell’Organismo notificato non prevede però sanzioni penali, ma può essere motivo di ritiro dell’autorizzazione da parte del Ministero delle sviluppo economico.
Secondo il D.Lgs.81/08, il datore di lavoro deve individuare le macchine da acquistare in funzione delle effettive attività lavorative da svolgere e dell’ambiente di lavoro in cui svolgerle.
Il datore di lavoro utilizzatore della macchina, secondo il D.Lgs.81/08, non ha responsabilità dirette sulla mancata conformità della macchina al D.Lgs.17/10 (che è di diretta responsabilità del costruttore, come detto).
Giurisprudenza consolidata dimostra però che esiste una condivisione di responsabilità anche da parte del datore di lavoro utilizzatore, dove le non conformità della macchina siano particolarmente evidenti (assenza di protezioni di organi in movimento pericolosi, impianti evidentemente non costruiti secondo norme di buona tecnica, ecc.).
Tale responsabilità non è sanzionata dal D.Lgs.81/08, ma lo può essere ai sensi dei Codici Penale e Civile se da essa deriva un danno (lesioni o morte) a un lavoratore.
In ogni caso il datore di lavoro della azienda utilizzatrice ha la piena responsabilità dell’utilizzo della macchina da parte dei lavoratori secondo quanto contenuto nelle istruzioni del costruttore (come sopra detto) e del mantenimento della macchina conformemente a come consegnata (integrità dei ripari e dei dispositivi di sicurezza), anche attraverso la regolare manutenzione della macchina come indicato dal costruttore.
Inoltre il datore di lavoro dell’azienda utilizzatrice della macchina deve valutarne il suo utilizzo in funzione dei luoghi specifici e delle attività lavorative in cui la macchina viene utilizzata (anche secondo quanto disposto dall’allegato VI del D.Lgs.81/08) e tale valutazione deve essere parte integrante del Documento di Valutazione dei Rischi di cui al D.Lgs.81/08.
 
RUOLO DEI SERVIZI DI VIGILANZA
Secondo il D.Lgs.17/10 l’autorità di vigilanza sulla corretta applicazione del D.Lgs.17/10 è il Ministero dello sviluppo economico, per tramite degli organi ispettivi dell’INAIL (ex ISPESL), che devono notificare al Ministero delle sviluppo economico qualunque non conformità al D.Lgs.17/10 rilevata nel corso della loro attività.
Inoltre i servizi di vigilanza su tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (ASL SPISAL in Italia) hanno anch’essi il dovere, in sede di attività ispettiva ordinaria o a seguito di segnalazione o infortunio, di notificare al Ministero delle sviluppo economico qualunque non conformità al D.Lgs.17/10 rilevata.
A sua volta il Ministero dello sviluppo economico, dopo specifica istruttoria con il costruttore, ha la facoltà di ordinare il ritiro della macchina dal mercato, di vietarne l’ulteriore immissione sul mercato e di limitarne la libera circolazione (“clausola di salvaguardia”), informandone la Commissione Europea per un’eventuale analoga azione su tutto il territorio della CE.
I servizi di vigilanza (ASL SPISAL) devono poi sanzionare il datore di lavoro utilizzatore per utilizzo della macchina non conforme a quanto contenuto nelle istruzioni della macchina o per utilizzo della macchina non conformemente a quanto fornito dal costruttore (ripari danneggiati o eliminati, sicurezze non funzionanti, carenza di manutenzione, ecc.).
 
PROBLEMATICHE SPECIFICHE SEGNALATE
In merito alle problematiche specifiche da te segnalate, queste le mie considerazioni.
L’altezza del primo gradino di accesso alla cabina e la disposizione della tubazione di scarico sono stabilite dal costruttore dell’autotelaio sul quale il costruttore del VRR va ad assemblare il cassone compattatore e non può essere modificata da quest’ultimo.
Sarebbe buona norma che il costruttore prima di ordinare l’autotelaio verificasse che tali contenuti siano coerenti con la norma tecnica (UNI EN 1501-1:2015), ma questo non viene quasi mai fatto per motivi in genere di ordine economico.
Sarebbe poi bene che tali non conformità fossero segnalate come rischi residui nelle istruzioni per permettere all’utilizzatore di adottare procedure di lavoro e compensative di riduzione del rischio, anche in funzione della valutazione del rischio fatta dal datore di lavoro (ad esempio in funzione della frequenza di salita e discesa dal veicolo o della reale necessità di lavorare in prossimità della tubazione di scarico).
Per quanto riguarda il tipo di sedile, l’allegato I e le norme armonizzate non specificano che questo debba essere ammortizzato. Esse impongono però al costruttore di segnalare nelle istruzioni i valori di vibrazioni per il corpo intero a cui sono soggetti i guidatori del veicolo.
Il datore di lavoro dovrà integrare tali informazioni con quelle da lui individuate nello specifico documento di valutazione del rischio da vibrazioni meccaniche per il corpo intero (richiesto dal D.Lgs.81/08) per individuare l’effettivo livello di vibrazioni a cui sono sottoposti i guidatori (che potrebbe essere diverso da quanto dichiarato dal costruttore, ad esempio, in funzione del tipo di fondo stradale e di tempo trascorso alla guida) e le eventuali misure di prevenzione e protezione (rotazione del personale, sorveglianza sanitaria, ecc.).

RISPOSTE ALLE DOMANDE SPECIFICHE
-         Qual è l’ente preposto alla certificazione di tali mezzi e basta solo quello per autorizzare l’acquisto da parte dell’azienda e al suo impiego?
Il costruttore è il primo responsabile della certificazione dei VRR, in questo caso (macchina in allegato IV) con la parziale responsabilità dell’Organismo notificato che ha certificato la conformità del fascicolo tecnico e del prototipo esaminato.
-         Quanto incide il DVR sulle scelte dei mezzi più idonei a svolgere il proprio lavoro e quanto gli interessi economici per scegliere mezzi certificati, ma non idonei per ciò che quotidianamente dobbiamo fare?
Il datore di lavoro deve scegliere mezzi adeguati alle attività lavorative da svolgere, ma l’acquisto di macchine targate CE è requisito sufficiente ad adempiere ai suoi obblighi. Solo nel caso che il mezzo acquistato non sia evidentemente conforme alla Direttiva Macchine, la responsabilità del suo utilizzo ricade anche sul datore di lavoro.
-         Vi sono altri enti oltre allo SPISAL con il quale confrontarci per avere delucidazioni in merito alle scelte fatte dall’azienda?
L’ente preposto alla verifica del mercato riguarda alla Direttiva Macchine e quindi al D.Lgs.17/10 è l’INAIL su mandato del Ministero dello sviluppo economico.



MANCATO GODIMENTO DEL RIPOSO SETTIMANALE: SI’ AL RISARCIMENTO PER USURA PSICOFISICA

da Associazione Infermieri Legali e Forensi
28 Giugno 2015
di Eugenio Cortigiano  

CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, SENTENZA N.7 DEL 19 APRILE 2015

L’attribuzione patrimoniale rivendicata da un dipendente pubblico per danno da usura psicofisica, derivante dalla perdita del riposo settimanale, ha natura risarcitoria e non retributiva, non consistendo in una voce ordinaria o straordinaria della retribuzione da corrispondersi periodicamente e destinata a compensare l’eccedenza della prestazione lavorativa, bensì essendo diretta a indennizzare ai sensi dell’articolo 2059 del Codice Civile il lavoratore per il predetto danno correlato all’inadempimento contrattuale del datore di lavoro.
Pertanto, essa si prescrive nell’ordinario termine decennale di cui all’articolo del Codice Civile, e non nel termine breve (quinquennale) di cui ai successivi articoli 2947, previsti per il risarcimento del danno aquiliano, e all’articolo 2948, previsto per i crediti.

E’ questo il principio di diritto stabilito dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria con la sentenza n. 7 del 19 aprile 2013, in tema di risarcimento del danno derivante dalla perdita di risposo settimanale.

Infatti, secondo il Supremo Consesso nell’ipotesi in cui il dipendente pubblico chieda in giudizio il risarcimento per danno da usura psicofisica, deducendo che tale danno sia stato provocato dal frequente mancato godimento del riposo settimanale, reiterato nell’arco di un notevole periodo complessivo di tempo, senza che egli abbia fruito di riposo compensativo e ancorché abbia percepito le previste maggiorazioni retributive per lo svolgimento di attività lavorativa in giorno festivo, deve ritenersi soddisfatto dal ricorrente l’onere di allegazione concernente sia l’oggetto della domanda che le circostanze costituenti il fatto-base su cui essa si fonda, sicché il giudice possa far ricorso alle presunzioni, basate sulle regole di esperienza, per ritenere provato il fatto-conseguenza del pregiudizio subìto dall’istante.

Nel caso di specie alcuni dipendenti di un’azienda di trasporto pubblico di passeggeri avevano proposto ricorso contro la stessa chiedendo il risarcimento del danno per aver prestato servizio in più occasioni e ai fini dell’assunzione anche nel giorno destinato al riposo settimanale.
Ciò senza fruire dei riposi compensativi. Il Tribunale Amministrativo Regionale accoglieva il ricorso perché la prestazione di servizio in giorno festivo, pur a fronte di una maggiorazione della retribuzione, ma non compensata con riposo in altro giorno, dà luogo a risarcimento del danno derivante dall’usura psicofisica, assistito da presunzione assoluta, e che per la pretesa di tale risarcimento, concernente danno derivante da inadempimento contrattuale di un obbligo non patrimoniale, opera la prescrizione decennale e non quella quinquennale, non vertendosi in materia di pagamento di somme periodicamente dovute.

L’azienda di trasporti proponeva appello contro la Sentenza di primo grado, chiedendone la riforma in quanto era stato riconosciuto il risarcimento di un danno senza che il fatto fosse provato né con riferimento alla sussistenza né al nesso eziologico con la presunta attività usurante.
Inoltre, trattandosi di un credito di lavoro, concernente il pagamento periodico di somme di denaro dovute a causa di un inadempimento, per l’appellante si doveva applicare il termine prescrizionale di cinque anni in luogo dei dieci ordinari.

Il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, dopo aver rilevato l’esistenza di due orientamenti contrastanti in materia rimetteva la questione all’Adunanza plenari che risolveva la questione nel senso già indicato.


NORMA CEI 11-27: IL RUOLO DI RESPONSABILE DELL’IMPIANTO ELETTRICO

Da Progetto Albatros News
28 giugno 2016
di Mario Ferraioli     

NORMA CEI 11-27: IL RUOLO DI RESPONSABILE DELL’IMPIANTO ELETTRICO
In base alla norma tecnica CEI 11-27, prima di poter eseguire qualsiasi lavoro elettrico è necessario nominare due figure di riferimento: il Responsabile dell’Impianto e il Preposto ai Lavori.
Tutte le considerazioni esposte mirano a fornire delle considerazioni sulle varie responsabilità che sono in carico al Responsabile dell’Impianto, fermo restando che la norma prevede la possibilità di ripartire tale ruolo su più persone, a condizione che tale ripartizione non crei ambiguità o incomprensioni.
E’ comunque necessario, per applicazioni professionali, che si faccia riferimento direttamente al testo originale della CEI 11-27.

DEFINIZIONI
Il Responsabile dell’Impianto, secondo la visione della CEI 11-27 è, in linea generale, la persona che ha la responsabilità di tutte le attività preliminari e successive allo svolgimento del lavoro vero e proprio.
Il Responsabile dell’Impianto è infatti responsabile della pianificazione, della redazione dei documenti preliminari, dell’esecuzione dei sezionamenti (per i lavori fuori tensione), della delimitazione della porzione di impianto su cui intervenire, della sua messa in assetto e poi del riposizionamento finale in vista dell’esercizio operativo.
In generale, il Responsabile dell’Impianto è un ruolo prettamente correlato al lavoro elettrico e quindi non deve necessariamente coincidere con la persona che è responsabile dell’impianto durante la sua operatività.
Come ben specifica la norma, è ammessa la delega dal responsabile “operativo” dell’impianto al Responsabile dell’Impianto (nel senso della CEI 11-27) purché tale delega sia “integrale”, ossia escluda il rischio di manovre autonome da parte del responsabile in fase di operazione: è ovvio che se ciò non accadesse si avrebbe un rischio inaccettabile dal punto di vista della salute e sicurezza sul lavoro.
Più in dettaglio, i compiti del Responsabile dell’Impianto sono descritti nei paragrafi seguenti.

PIANIFICAZIONE E PROGRAMMAZIONE DEI LAVORI
In questa responsabilità sono riassunte tutte le prerogative del Responsabile dell’Impianto di pianificare in modo dettagliato e programmare le attività lavorative (nel senso di lavoro elettrico) sull’impianto. E’ evidente che egli dovrà tenere conto anche dell’urgenza dell’intervento, delle necessità di funzionamento dell’impianto stesso e di altri aspetti, sicuramente non ultimo la sicurezza dei lavoratori, componendo il tutto in un unico piano generale e nel relativo programma.

REDAZIONE DEL PIANO DI LAVORO
A fronte della pianificazione e della programmazione effettuate, il Responsabile dell’Impianto ha la responsabilità di redigere il Piano di Lavoro.
Tale responsabilità, come ovvio ed evidente, comporta la messa per iscritto (o in formato elettronico adeguato) dei contenuti che la CEI 11-27 prevede per il Piano di Lavoro e prevede che esso venga firmato (a vario titolo) dai ruoli coinvolti.

PROGRAMMAZIONE ED ESECUZIONE DELLE MODIFICHE GESTIONALI
La programmazione e l’esecuzione delle modifiche all’impianto che si rendono necessarie per eseguire il lavoro elettrico pianificato deve essere effettuata dal Responsabile dell’Impianto.
Tali modifiche consistono, ad esempio, nell’inibire controalimentazioni o nell’alterare le tarature dei dispositivi di protezione.
Analogamente sono da intendersi modifiche gestionali le manovre eseguite sull’impianto (elettrico) che è oggetto dei lavori.

ESECUZIONE DEL SEZIONAMENTO
Quando si sta trattando di lavori fuori tensione, l’esecuzione dei sezionamenti è compito del Responsabile dell’Impianto. Analogamente, tutti i provvedimenti necessari per evitare richiusure non desiderate sono a carico del Responsabile dell’Impianto.
Sua è, inoltre, la responsabilità della realizzazione delle eventuali terre di sezionamento, così come l’apposizione della segnaletica opportuna (cartelli di pericolo, di divieto, di avvertimento ecc.).

DELIMITAZIONE DELL’IMPIANTO
L’individuazione dell’impianto elettrico (o della sua porzione) interessato dai lavori è un preciso compito del Responsabile dell’Impianto.
Una volta individuata la parte d’impianto oggetto dei lavori è compito del Responsabile dell’Impianto delimitarla in maniera opportuna, in modo che sia chiaro a tutti in quale zona sia consentito il lavoro (ovviamente secondo le modalità definite).

TRASFERIMENTO DELLE INFORMAZIONI
Una responsabilità importantissima del Responsabile dell’Impianto è il trasferimento al Preposto ai Lavori di tutte le informazioni sui rischi ambientali ed elettrici presenti nell’area di intervento.
Naturalmente dovrà trasferirgli anche tutte le altre informazioni necessarie per l’esecuzione del lavoro.

CONSEGNA DELL’IMPIANTO
Si tratta di un passaggio formale e sostanziale in cui il Responsabile dell’Impianto “consegna” l’impianto elettrico al Preposto ai Lavori. Da tale istante il Responsabile dell’Impianto non è più, di fatto, “responsabile” dell’impianto (ossia dell’area di intervento e di tutte le porzioni ad essa correlate, ad esempio dal punto di vista della manovra) che, invece, passa sotto la responsabilità del Preposto ai Lavori.
Ovviamente esiste anche il passaggio inverso di “riconsegna” o “restituzione” dell’impianto.

COSA FARE QUANDO SI HANNO PIU’ RESPONSABILI D’IMPIANTO
Quando il ruolo di Responsabile dell’Impianto è suddiviso su più persone, è essenziale che tali persone comunichino senza soluzione di continuità, passandosi reciprocamente tutte le informazioni necessarie per il corretto adempimento delle responsabilità suddette.
Nel caso in cui più persone rivestano il ruolo suddetto è necessario che sia comunque definita un’unica figura con compiti di Responsabile dell’Impianto che funga da interfaccia con il Preposto ai Lavori per l’intera durata dei lavori, ossia dalla consegna dell’impianto fino alla sua restituzione.

CONCLUSIONI
Il Responsabile dell’Impianto è una figura chiave che, assieme al Preposto ai Lavori, permette la realizzazione di un’organizzazione molto semplice ma molto efficace, facilmente scalabile anche per realtà molto complesse.
In questa organizzazione si ritrovano tutti i principi di corretta assegnazione e segregazione delle responsabilità e la possibilità di rappresentare, in maniera distinta, le esigenze e le competenze dei due attori tipicamente coinvolti nell’esecuzione di un lavoro elettrico: il soggetto proprietario dell’impianto e il soggetto tecnico che eseguirà il lavoro.



INFORTUNI SUL LAVORO, QUANDO A RISPONDERNE E’ ANCHE IL LAVORATORE?

Da Il Fatto Quotidiano
22 giugno 2016
di Francesca Garisto

Un operaio ha subito un grave infortunio sul lavoro nel corso del quale ha perso due dita della mano destra, avvenuto mentre operava su un macchinario destinato alla lavorazione del materiale trattato dall’azienda.
Nei giorni immediatamente successivi all’incidente, mentre si trovava ricoverato e sotto l’effetto di morfina, somministratagli per meglio sopportare il dolore che gli impediva di dormire e di ragionare lucidamente, riceveva la visita del responsabile di reparto dell’azienda che, sin da quel momento già gli contestava, seppure informalmente, di avere operato in modo improprio, attribuendogli e convincendolo della responsabilità dell’accaduto.

Seguiva, a distanza di qualche giorno, una contestazione disciplinare, in cui si addebitava all’operaio di non aver seguito la procedura corretta di arresto della macchina; per questa ragione sarebbe rimasto impigliato nella stessa con la mano.
Il lavoratore, senza opporre troppa resistenza, veniva successivamente indotto a sottoscrivere un verbale di accordo in sede sindacale con il quale si assumeva la responsabilità della “grave infrazione” mentre l’azienda, per pura “benevolenza”, gli comminava la “sola” sanzione della multa per alcune ore con conseguente trattenuta della corrispondente retribuzione (!).

I fatti sono andati effettivamente così, ma nessuna valutazione di responsabilità potrà essere obiettiva senza considerare l’intero contesto in cui sono avvenuti i fatti.
Casi come questi, purtroppo, sono all’ordine del giorno, e non occorre scomodare la giurisprudenza per percepire l’ingiustizia di una definizione della vicenda tanto spiccia quanto faziosa.

Ad ogni modo, per meglio comprendere l’ingiustizia sul piano giuridico oltre che morale, e soprattutto per delineare le reali e rispettive responsabilità del datore di lavoro e del lavoratore ci soccorrono varie sentenze emanate negli anni, fino a giungere a stabilire alcuni principi ineludibili per garantire ai lavoratori una adeguata tutela.

In particolare, da ultimo, la Sentenza n. 4347 del 2 febbraio 2016 della IV Sezione della Corte di Cassazione ha affermato che la responsabilità del datore di lavoro in caso di infortunio del suo dipendente, può essere esclusa, in tutto o in parte, solo qualora sia provato che il comportamento del lavoratore sia stato abnorme e che, proprio questa abnormità, abbia causato l’incidente; abnormità che per la sua imprevedibilità sta al di fuori della possibilità di controllo dei soggetti che hanno il ruolo di garanti.

Si tratta di una Sentenza coerente con le decisioni della Suprema Corte che l’hanno preceduta e che avevano precisato che il comportamento “abnorme” è quello che esorbita rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute e dunque come tale completamente imprevedibile, proprio nel senso che il datore di lavoro non possa prevedere quel pericolo e certamente non possa evitarlo.

Un’altra importante pronuncia della Cassazione del 2015, seguita da altre conformi, ha stabilito che non sussiste la responsabilità o la corresponsabilità del lavoratore per l’infortunio occorsogli, quando il sistema di sicurezza predisposto dal datore di lavoro presenti evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche sono finalizzate a tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette.

Il lavoratore di cui si è detto, peraltro, non aveva ricevuto alcuna formazione specifica prima di essere applicato a lavorare su quella macchina; al contrario, come capita di frequente, lo stesso datore di lavoro gli aveva fornito “istruzioni verbali” destinate perlopiù ad evitare rallentamenti della produzione che non a prevenire infortuni ai suoi danni, raccomandandogli semplicemente di usare “prudenza”.

E così che un lavoratore potrebbe essere indotto, ingiustamente, ad attribuirsi responsabilità che non gli sono proprie pur di compiacere il datore di lavoro e pur avendo subito conseguenze nefaste.
Ma il datore di lavoro cui spetta l’onere di provare l’abnormità e l’imprevedibilità del comportamento del lavoratore non potrà certo ritenersi forte della sottoscrizione del verbale di accordo da parte del proprio dipendente per affrontare un giudizio che lo possa davvero esimere dalle responsabilità, penali e civili.

Analoghe responsabilità ricadono sull’azienda anche nel caso di collaborazioni non subordinate, per l’obbligo del datore di lavoro di predisporre un ambiente salubre ed esente da rischi.
L’articolo 2 del D.Lgs 81/15 (Decreto Attuativo del Jobs Act) prevede infatti che per i rapporti stipulati a far data dal primo gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche con riferimento alla normativa di prevenzione degli infortuni per i rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Quello che occorre per tutelare al meglio gli interessi del lavoratore è assicurarsi che le indagini, (comprensive di sopralluoghi, verifiche sul macchinario e sua rispondenza alle norme di sicurezza, verifica di avvenuta e adeguata formazione del lavoratore) portino alla luce oltre che il mero fatto, anche il contesto in cui lo stesso si è verificato.

La Sentenza n. 4347 del 2 febbraio 2016 della IV Sezione penale della Corte di Cassazione è consultabile all’indirizzo:

L’articolo “Infortuni: comportamento abnorme del lavoratore esclude la responsabilità del datore” è consultabile all’indirizzo:


NOTA
Francesca Garisto è avvocata penalista, consulente della CGIL di Milano, vice-presidente del Centro antiviolenza Casa delle donne maltrattate di Milano, da sempre impegnata nella difesa delle donne vittime di violenza, psicologica, fisica ed economica, che si consuma in ambito “domestico” e nella difesa di uomini e donne che subiscono violenza, in tutte le sue espressioni, nei luoghi di lavoro.



LAVORATORI STRESSATI, SANZIONI PESANTI PER LE AZIENDE

Da La Legge per Tutti
01 luglio 2016

LA MANCATA VALUTAZIONE DEL RISCHIO STRESS DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO ESPONE A SANZIONI SINO A 6.400 EURO E ALL’ARRESTO SINO AI 6 MESI.
Lo stress nel lavoro deve essere valutato alla pari degli altri rischi e deve essere evitato utilizzando le opportune misure di prevenzione: chi non lo fa, è esposto a sanzioni, anche penali, che possono arrivare sino al pagamento di 6.400 euro ed all’arresto sino a 6 mesi.
Il rischio stress, difatti, può causare delle conseguenze molto serie nel lavoratore, che possono degenerare e, da “semplici” cefalee, dolori alla pancia e tensioni muscolari, possono trasformarsi in gravi patologie croniche; peraltro, nei lavoratori più stressati possono verificarsi anche notevoli disturbi comportamentali e psicologici.

CHE COSA E’ LO STRESS?
Lo stress non è, di per sé, negativo: anche se nel linguaggio quotidiano, con tale termine si fa riferimento a una pressione esterna che crea disagio e difficoltà, si tratta, in realtà, di una risposta fisiologica agli eventi esterni.
In particolare, lo stress può essere:
-         “positivo”, o eustress: si manifesta sotto forma di stimolazioni ambientali costruttive e interessanti, come una promozione lavorativa, che attribuisce maggiori responsabilità, ma anche maggiori soddisfazioni; l’eustress ha effetti positivi sul livello di attenzione e sulle capacità cognitive in generale;
-         negativo, o distress: questo si verifica quando l’individuo non riesce a reagire alle richieste dell’ambiente esterno, perché queste superano le sue capacità di risposta.

STRESS NEL LAVORO
Se è vero che ogni individuo risponde allo stress in modo differente, è anche vero che eccessivi carichi di lavoro, un ambiente particolarmente ostile o inadeguato, precarietà, episodi di mobbing o, in generale, eventi particolarmente negativi, possono far giungere all’esaurimento anche il lavoratore più reattivo.
La risposta allo stress, difatti, avviene in tre fasi:
-         nella prima fase, definita fase di allarme, lo stress suscita nell’organismo un senso di allerta e attiva dei processi psicofisiologici, come l’aumento del battito cardiaco, l’iperventilazione, etc;
-         nella seconda fase, detta di resistenza, l’organismo tenta di adattarsi alla situazione e gli indici fisiologici tendono ad abbassarsi;
-         nel caso in cui l’adattamento non sia sufficiente, si arriva alla terza fase, la fase dell’esaurimento, in cui l’organismo non riesce più a difendersi e la naturale capacità di adattamento viene a mancare.
Con il passare del tempo, uno stress non controllato o controllato male può portare a conseguenze gravi:
-         di tipo fisico: frequenti e intense emicranie, tensioni muscolari, problemi digestivi e formazione di ulcere, diarrea, colite, malfunzionamento della tiroide, facilità ad ammalarsi, ipertensione e disturbi cardiaci;
-         di tipo psicologico: cattivo umore, noia, depressione, affaticamento, attacchi di ansia, scarsa stima di sé, mancanza o difficoltà di concentrazione, distrazioni frequenti, continui pensieri negativi su sé stessi;
-         di tipo comportamentale: ad esempio, possono verificarsi disturbi del sonno, tendenza a bere e fumare più del solito, alimentazione disordinata, difficoltà a rilassarsi e a stare fermi, iperattività.
Valutare il rischio stress e fare il possibile per prevenirlo, dunque, è indispensabile non solo perché si tratta di un obbligo previsto dal Testo Unico della sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/08), ma anche per il benessere dei lavoratori e la produttività dell’azienda stessa.

VALUTAZIONE STRESS LAVORO CORRELATO
La valutazione del rischio stress lavoro correlato deve essere inserita, in un apposito fascicolo, all’interno del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR): la valutazione dei rischi è un compito del datore del lavoro che non può essere delegato; questi, però, può avvalersi dell’aiuto di un professionista esperto in materia, come uno psicologo del lavoro.
La valutazione non può limitarsi a un’indicazione generica, ma devono essere riportati:
-         i criteri di valutazione utilizzati nell’analisi del rischio stress lavoro correlato;
-         le opportune misure di prevenzione necessarie o i programmi delle varie procedure da mettere in atto;
-         le mansioni che possono esporre i lavoratori al rischio di stress;
-         i riferimenti dei ruoli all’interno dell’organizzazione che hanno il dovere di provvedere alla redazione del DVR.

VALUTAZIONE STRESS LAVORO CORRELATO: LE SANZIONI
Se la valutazione dello stress nella compilazione del DVR non è effettuata, il datore di lavoro è soggetto (ai sensi del D.Lgs. 81/08) al pagamento di una sanzione che va da un minimo di 2.500 euro fino ad un massimo di 6.400, con l’arresto da 3 a 6 mesi nei casi più gravi. La stessa sanzione è applicata anche se il fascicolo sul rischio stress è redatto senza l’effettiva presenza del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e del Medico competente.
Se nel fascicolo mancano le misure di prevenzione necessarie, o non sono riportati i riferimenti di chi ha il dovere di provvedere alla redazione del DVR, è prevista una sanzione tra i 2.000 ed i 4.000 euro.
Se nel fascicolo mancano i criteri di valutazione utilizzati nell’analisi della valutazione del rischio stress lavoro correlato, o le mansioni più a rischio, la pena prevista è un’ammenda tra i 1.000 e i 2.000 euro.
In ultimo, è punita anche la mancata consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza nella redazione del fascicolo stress, con una sanzione economica da euro 2.000 a 4.000 euro.



LA NON CORRETTA ELABORAZIONE DEL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI

Da: PuntoSicuro
20 giugno 2016
di Gerardo Porreca

Non si può in un Documento di Valutazione dei Rischi imporre un divieto in relazione alla presenza di un pericolo senza fornire indicazioni sulle misure da adottare onde eliminare o ridurre al minimo il rischio che porti a un infortunio.

E’ stata messa sostanzialmente in evidenza dalla Corte di Cassazione in questa sentenza una carenza nella elaborazione di un Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) riguardante un pericolo per la sicurezza dei lavoratori  presente in azienda per la cui eliminazione o riduzione al minimo il datore di lavoro non ha provveduto a fornire nel documento delle indicazioni, pericolo che nella circostanza presa in esame dalla Suprema Corte ha portato all’infortunio di un dipendente mentre era impegnato nel sistemare in un tornio un grosso cilindro sospeso a un apparecchio di sollevamento.

Non si può, viene precisato infatti nella Sentenza, imporre in un DVR un divieto in relazione alla presenza di un pericolo tra l’altro in termini del tutto generali come l'indicazione di "non guidare con le mani il carico sospeso" e di "non sostare sotto i carichi", senza fornire indicazioni e istruzioni alternative circa le misure da adottare onde eliminare o ridurre al minimo il rischio che conduca ad un infortunio.
Così facendo, infatti, viene sostanzialmente devoluto ai lavoratori di scegliere la maniera con cui ovviare alle problematiche connesse al lavoro da svolgere anche perché, non essendo stati messi a disposizione degli stessi strumenti alternativi, questi decidono semplicemente di contravvenire al divieto medesimo.

La Corte di Appello ha confermata la Sentenza emessa dal Tribunale disponendo la correzione di un errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado. Il Tribunale aveva dichiarato il datore di lavoro di una società in quanto direttore tecnico di uno stabilimento esercente la produzione e commercializzazione di cilindri per uso siderurgico, con delega specifica in materia di igiene e sicurezza sul lavoro nonché il responsabile dei settore sicurezza ed ecologia presso il medesimo stabilimento per avere cagionato per colpa a un lavoratore dipendente con mansioni di tornitore, lesioni personali gravi consistite nello schiacciamento del primo dito della mano sinistra con frattura e ferita lacero contusa con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni pari a giorni 154 e con grado di invalidità riconosciuta dall'INAIL pari al 4%.

In particolare il lavoratore, assunto con la mansione di tornitore addetto al carico e scarico dei cilindri in lavorazione sulle macchine senza aver mai partecipato a corsi di formazione specifici, durante l'operazione di caricamento di un rullo di notevoli dimensioni su di un tornio, cercando di orientare il carico con una mano all'interno del mandrino del tornio stesso (come da prassi in uso tra gli operatori), si schiacciava il pollice fra il cilindro e una ganascia del mandrino, in contrasto con le prescrizioni di sicurezza del reparto torneria, con colpa consistita in negligenza imprudenza imperizia e inosservanza delle norme per la prevenzione sugli infortuni del lavoro.

La colpa specifica a carico del direttore tecnico dello stabilimento è consistita, in particolare, nella violazione dell’articolo 28, comma 2, lettere b) e d) del D.Lgs 81/08, in quanto il DVR non conteneva l'indicazione delle misure e procedure di prevenzione e di protezione concrete ed efficaci per le attività di carico e scarico dei cilindri di grosse dimensioni dalle macchine utensili  (se non, in termini dei tutto generali con l'indicazione di "non guidare con le mani il carico sospeso" e di "non sostare sotto i carichi") e non conteneva altresì l'indicazione delle misure idonee a ridurre al minimo i possibili rischi di investimento dei pesanti carichi sospesi, trattandosi di attività pericolosa comportante gravi rischi di investimento per gli operatori, fatto aggravato per aver cagionato al lavoratore le lesioni personali gravi sopra indicate.
Il datore di lavoro è stato condannato, alla pena di mesi 3 di reclusione, anche se, per un errore materiale nel dispositivo della sentenza impugnata, è stata indicata quella di mesi 6.

Avverso il provvedimento della Corte di Appello l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, adducendo varie motivazioni e chiedendo l’annullamento della sentenza.
L’imputato ha fatto osservare in particolare che la sentenza impugnata avrebbe posto a fondamento della condanna il dato della conoscenza da parte sua della carenza determinante la condotta del lavoratore e l'evento lesivo.
Tale presunta conoscenza è stata individuata nonostante il soggetto titolare di apposita delega, inizialmente coimputato nello stesso giudizio, non avesse mai effettuato la necessaria segnalazione. La sentenza di condanna avrebbe individuata la sussistenza della sua responsabilità sulla base di due elementi di fatto e cioè quello di non imposto il divieto agli operai di guidare il carico con le mani, senza dare istruzioni alternative e quindi di aver devoluto sostanzialmente agli stessi di scegliere la maniera come ovviare alle problematiche connesse allo svolgimento del lavoro e quello inoltre di essere a conoscenza in ogni caso del problema per cui la presenza di un delegato responsabile, sempre presente e referente dei lavoratori, non avrebbe inciso sul percorso logico che ha portato all'affermazione della sua responsabilità.

Il ricorrente ha fatto presente altresì che l’infortunato aveva detto di aver inserito le mani nell'intercapedine tra il corpo del cilindro imbracato e le ganasce del tornio, non limitandosi a toccare il pezzo imbragato, che non era a conoscenza della problematica e che con la sua saltuaria presenza nello stabilimento non avrebbe mai potuto sperimentare personalmente l'esistenza di impercettibili oscillazioni del carico sospeso.
Ha sostenuto, altresì, che nel momento in cui vi è nello stabilimento un delegato effettivamente presente e referente diretto dei lavoratori, l'osservazione diretta delle eventuali criticità operative non spetta al datore di lavoro, originario garante, ma al delegato che deve pertanto essere chiamato a rispondere dell'omessa sorveglianza sulla procedura specifica di sicurezza.

La Corte suprema, con riferimento alle violazioni contestate all’imputato ha fatto notare che i giudici del gravame di merito avevano dato conto con motivazione specifica, coerente e logica della insufficienza e della "singolarità" del divieto imposto dal datore di lavoro ai dipendenti nel DVR di guidare con le mani i carichi sospesi non accompagnato da alcuna indicazione in positivo sul come agire in quella situazione. Ciò era equivalso in sostanza a segnalare il pericolo senza però spiegare come ci si dovesse comportare per evitarlo nell'eseguire la lavorazione in argomento.

L’imputato, ha quindi sostenuto la Sezione IV della Corte di Cassazione, non poteva non avvedersi “ab inizio”, nell'imporre quel divieto senza fornire istruzioni alternative, del fatto che veniva in sostanza devoluto agli stessi lavoratori (come infatti era avvenuto, secondo le deposizioni rese da quelli sentiti come testi) scegliere la maniera con cui ovviare alle problematiche connesse al lavoro da svolgere (e i lavoratori, anche perché non erano stati messi loro a disposizione strumenti alternativi, avevano semplicemente deciso di contravvenire a quel divieto).
Il cambiamento nelle modalità di esecuzione di quella lavorazione del resto avvenuto anni prima che si verificasse l'infortunio (precedentemente la movimentazione avveniva a opera di un gruista che adoperava la pulsantiera, mentre un altro operaio si occupava di guidare il cilindro nella giusta direzione), per quanto da mettersi in relazione all'introduzione del telecomando radio, non aveva certo reso più sicura la lavorazione, posto che spesso (come nel caso di specie) la stessa veniva posta in essere da un unico operaio, il quale doveva con una mano azionare il telecomando e con l'altra indirizzare il cilindro verso il mandrino (e nel contempo occorreva guardare anche in altre direzioni).

Con riferimento poi alla responsabilità del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), entrambi i giudici di merito, secondo la suprema Corte, avevano fatto buon governo dei principi affermati in materia dalla giurisprudenza della Corte medesima secondo cui il RSPP è un mero ausiliario del datore di lavoro privo di autonomi poteri decisionali e non è dunque destinatario degli obblighi dettati dalla legge in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle sanzioni, penali e amministrative, previste per la loro violazione.
Ciò non esclude peraltro la sua responsabilità penale per l'infortunio conseguito alla mancata adozione di una misura prevenzionale, qualora si accerti che lo stesso abbia indotto il datore di lavoro all'emissione, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale (per il caso in esame lo stesso ha riportato condanna per quanto accaduto).
Corretta in tal senso è stata ritenuta, altresì, dalla Sezione IV della Corte di Cassazione l'affermazione fatta dai giudici dei primi gradi di giudizio secondo la quale il datore di lavoro è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica e che non si vede per quale ragione chi ricopre una tale posizione, nell’effettuare la valutazione dei rischi, non debba prendere conoscenza di tutte le fasi operative inerenti all'attività dell'azienda.

L’imputato nel suo ricorso, ha fatto osservare la suprema Corte, ha chiesta in pratica una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione della Corte di Appello e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione, ma un siffatto modo di procedere non è ritenuto ammissibile perché trasformerebbe la Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.

Essendo quindi il ricorso inammissibile e, a norma dell'articolo 616 del Codice di Procedura Penale, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la Corte di Cassazione ha in definitiva condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 1000 euro in favore della cassa delle ammende.

La Sentenza n. 1036 del 13 gennaio 2016 della Corte di Cassazione Penale Sezione IV è consultabile all’indirizzo:



IMPARARE DAGLI ERRORI: ANCORA INCIDENTI CON LE PIATTAFORME DI LAVORO ELEVABILI

Da: PuntoSicuro
23 giugno 2016
di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni correlati all’utilizzo di Piattaforme di Lavoro Elevabili (PLE). Infortuni correlati alla manutenzione di coperture e alla decorazione delle pareti di un condominio. La dinamica degli infortuni e la prevenzione.

In questi mesi la rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni lavorativi, ha iniziato un percorso, arrivato oggi alla sua conclusione, attraverso gli incidenti e i rischi correlati all’uso delle PLE.

In questi mesi abbiamo parlato, ad esempio, di linee elettriche, di stabilizzatori, di piattaforme su autocarro, di imbragature di sicurezza, di malfunzionamenti delle PLE e, chiaramente, dei rischi di caduta dall’alto. Ma in tutti i percorsi dedicati ad un argomento specifico, che non possono comunque esaurire tutte le casistiche di infortunio e la prevenzione possibile, rimangono sempre dinamiche di incidenti che non trovano posto nelle varie puntate dedicate ai singoli fattori di rischio.

Ne riprendiamo oggi alcuni ricordando, come sempre, che le dinamiche infortunistiche che presentiamo sono tratte dall’archivio di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il primo caso riguarda un incidente avvenuto durante un intervento di manutenzione sulla copertura e sulla gronda di un tetto.
Un lavoratore, socio della ditta, sta lavorando da solo e per accedere al tetto e utilizza una PLE, un “cestello” montato su di un camion.
Per la rottura del braccio estensibile in prossimità dello snodo centrale, rottura dovuta ad una saldatura inadeguata, il cestello cade giù da una altezza compresa tra 6 e 9 metri provocando la caduta dell’operatore che viene rinvenuto esanime fuori dal cestello con il radiocomando sotto al corpo.
L’infortunato, deceduto per aver sbattuto la testa sul terreno, non indossava le cinture di sicurezza presenti nel camion, inoltre l’alloggiamento del radiocomando sul cestello era stato manomesso per consentire l’utilizzo del radiocomando stesso fuori dalla sede prevista.
Chiaramente il fattore causale rilevato è lo “snodo centrale del braccio del cestello con saldatura inadeguata”.

Il secondo caso riguarda invece un infortunio al titolare di una ditta specializzata nella realizzazione di coperture e lattoneria.
Il lavoratore conduce una PLE presso un deposito agricolo, posto in campagna, per visionare una copertura da riparare. Sul luogo opera solo. La copertura è realizzata con lastre in fibrocemento posate su coppelle in cemento che la rendono portante.
Il lavoratore sale in quota con la PLE e scende da questa sulla copertura in prossimità delle lastre danneggiate. Ad un certo punto la lastra su cui si trova cede determinandone la caduta, da un’altezza di circa 8 metri, sulla pavimentazione sottostante interna al fabbricato.
Dalle indagini si è rilevato che in corrispondenza delle lastre danneggiate la coppella sottostante che doveva dare portanza alla copertura, era stata spostata dalla sua sede a causa dei lavori sottostanti di movimentazione di rotoballe, e ciò aveva creato un’area non portante sotto le lastre. L’infortunato non aveva indosso nessun sistema di trattenuta (DPI) contro le cadute dall’alto. Dall’interno e dall’esterno del fabbricato era possibile vedere che una porzione della copertura, seppur di dimensioni ridotte, non era più portante non avendo il sostegno della coppella in cemento.
Questi i fattori causali rilevati, non solo legati al lavoro su PLE:
-         il lavoratore è sceso dalla PLE su di una copertura;
-         la copertura nella porzione calpestata non era portante a causa dei lavori sottostanti di movimentazione di rotoballe;
-         l’infortunato non indossava DPI anticaduta.

Il terzo caso riguarda un infortunio ad un lavoratore autonomo decoratore in sub-appalto.
Il lavoratore ha ricevuto l’incarico di decorare le pareti esterne di un condominio di sette piani. Per svolgere il proprio lavoro utilizza una PLE con i comandi a bordo e sale in quota, in prossimità di un balcone al sesto piano del condominio.
Nell’eseguire questa operazione, a causa di un errore di manovra, la piattaforma urta una mensola metallica posta sopra il balcone, incastrandosi. Il lavoratore tenta più volte di sbloccare il cestello incastrato effettuando delle manovre a bordo tramite il radiocomando, ma la macchina, bloccata, non si muove.
A questo punto il lavoratore tenta di sbloccare manualmente la piattaforma accedendo sul balcone vicino: nell’eseguire questa operazione, a 20 metri di altezza da terra e sporgendosi nel vuoto, rimane disteso, afferrando il corrente del parapetto della piattaforma con entrambe le mani, mantenendo i piedi sulla ringhiera del balconcino. Improvvisamente la piattaforma si libera dal punto che la vincola e ha un’oscillazione verso l’esterno ovvero torna nella sua posizione iniziale.
In quel momento il lavoratore viene sbalzato verso l’esterno e precipita per circa 20 metri, impattando il pavimento in battuto di cemento del cortile sottostante, riportando un trauma mortale. Il lavoratore non faceva uso di imbracatura di sicurezza.
Questi i fattori causali rilevati:
-         il lavoratore tentava di spostare il cestello in modo pericoloso;
-         mancanza di dispositivi di protezione dalla caduta dall’alto.

In questi mesi abbiamo riportato diverse indicazioni, suggerimenti, buone prassi sulla prevenzione di specifici rischi e sul corretto utilizzo delle piattaforme mobili elevabili.
Ci soffermiamo oggi su un breve riepilogo della prevenzione riportato nel documento (realizzato da INAIL Direzione regionale per le Marche, con la collaborazione dell’International Powered Access Federation) “PLE nei cantieri. L’uso delle piattaforme di lavoro mobili in elevato nei cantieri temporanei o mobili”

Il documento segnala che se per la valutazione dei rischi è indispensabile consultare il manuale del costruttore fornito con la macchina, in linea generale i maggiori rischi da valutare e le relative misure di prevenzione (senza pretesa di esaustività) sono:
-         rovesciamento e ribaltamento => misure di prevenzione: verificare le condizioni e portata del terreno, non superare la portata della piattaforma, non superare l’inclinazione massima ammessa del carro, utilizzare correttamente gli stabilizzatori, rispettare il diagramma di lavoro, impedire il contatto con mezzi in movimento, verificare le condizioni del terreno prima di effettuare la traslazione, non utilizzare la macchina in presenza di vento oltre la velocità massima ammessa dal costruttore ecc.;
-         investimento e schiacciamento di persone => misure di prevenzione: delimitare l’area di lavoro, utilizzare segnaletica di sicurezza, prima di effettuare manovre verificare che non vi sia presenza di persone nell’area di manovra, effettuare la traslazione a velocità ridotta;
-         elettrocuzione per contatto con linee elettriche aeree => misure di prevenzione: rimanere a distanza di sicurezza da linee aeree in tensione che possono interferire con i movimenti del braccio, se necessario far disattivare la linea;
-         caduta del carico e di materiale dall’alto e proiezione di materiale => misure di prevenzione: posizionare correttamente attrezzature e materiali all’interno del cestello;
-         caduta dall’alto dell’operatore => misure di prevenzione: utilizzare dispositivi di protezione anticaduta e ancorarli al punto predisposto in piattaforma, non arrampicarsi sui parapetti del cestello; non utilizzare scale o altri dispositivi per aumentare l’altezza di lavoro;
-         uso improprio del mezzo => misure di prevenzione: utilizzare la macchina come prescritto dal costruttore, impedire l’utilizzo a personale non autorizzato: solo lavoratori autorizzati e formati possono utilizzare la macchina;
-         urti, colpi, impatti, compressioni, cesoiamento e schiacciamento => misure di prevenzione: rimanere a distanza di sicurezza dagli organi in movimento, non sporgersi dal cestello in fase di movimentazione;
-         interferenze con altre macchine e attrezzature in cantiere => misure di prevenzione: impedire che mezzi in movimento interferiscano con la macchina, impedire che bracci meccanici, gru e carroponte in movimento interferiscano con l’area di lavoro della macchina;
-         rischi indotti da malfunzionamenti => misure di prevenzione: effettuare i controlli previsti prima di ogni utilizzo, effettuare la manutenzione come previsto dal costruttore;
-         ribaltamento durante le operazioni di salita e discesa del mezzo dal veicolo di trasporto => misure di prevenzione: seguire le modalità di carico indicate sul manuale del costruttore.

Nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 2501, 3996 e 3251 tratte dal sito INFOR.MO:

Il documento (realizzato da INAIL e IPAF) “PLE nei cantieri. L’uso delle piattaforme di lavoro mobili in elevato nei cantieri temporanei o mobili” è scaricabile all’indirizzo:
http://www.ipaf.org/fileadmin/user_upload/documents/it/PLECantieri.pdf

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