martedì 12 luglio 2016

12 luglio - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! NEWSLETTER N. 262 DEL 12/07/16




NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE

MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE PER MICROCLIMA CALDO E ESPOSIZIONE A RAGGI SOLARI
1
NOTA SUL RISCHIO CALORE
5
NECESSITA’ DELL’INSERIMENTO NEL CODICE PENALE DEL REATO DI VESSAZIONI SUL LAVORO
7
REGOLAMENTO EUROPEO DPI: PROGETTAZIONE E REQUISITI DEI DISPOSITIVI
10
QUANDO NOMINARE IL MEDICO COMPETENTE IN AZIENDA?
13
IMPARARE DAGLI ERRORI: GLI INFORTUNI CON GLI AGENTI USTIONANTI
15


MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE PER MICROCLIMA CALDO E ESPOSIZIONE A RAGGI SOLARI

Con l’avvicinarsi della stagione estiva, molte categorie di lavoratori che operano all’aperto (in genere lavoratori edili, agricoli, della industria peschiera, ecc.), si troveranno ad affrontare condizioni di alte temperatura e umidità ed esposizione diretta ai raggi del sole.
Al di là del semplice aspetto di disagio fisico (accompagnato dal fatto che spesso al lavoro all’aperto si associa anche sforzo muscolare), occorre considerare che tali condizioni di lavoro possono portare a patologie professionali anche gravi e a infortuni derivanti dalle disagevoli condizioni psicofisiche.
Ricordo infatti, ad esempio, che condizioni di lavoro termiche estreme calde possono portare a collassi cardiocircolatori, mentre l’esposizione prolungata ai raggi solari (radiazioni ottiche naturali) può portare a carcinomi della pelle.

Tutti i rischi correlati al lavoro all’aperto nella stagione estiva devono essere debitamente considerati nel documento di valutazione dei rischi.
Infatti tale tipologia di fattori di rischio rientra tra gli agenti fisici pericolosi per la salute di cui al Titolo VIII del D.Lgs.81/08, che riguarda appunto gli agenti fisici, così come definiti dall’articolo 180, comma 1:
Ai fini del presente decreto legislativo per agenti fisici si intendono il rumore, gli ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni meccaniche, i campi elettromagnetici, le radiazioni ottiche, di origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori”.

Per tutti tali agenti il datore di lavoro ha l’obbligo di eseguire una specifica valutazione del rischio, all’interno della quale definire le misure di prevenzione e protezione per la protezione della salute dei lavoratori. Tale obbligo è sancito dall’articolo 181 del Decreto:
1. Nell’ambito della valutazione di cui all’articolo 28, il datore di lavoro valuta tutti i rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici in modo da identificare e adottare le opportune misure di prevenzione e protezione con particolare riferimento alle norme di buona tecnica ed alle buone prassi.
2. La valutazione dei rischi derivanti da esposizioni ad agenti fisici é programmata ed effettuata, con cadenza almeno quadriennale, da personale qualificato nell’ambito del servizio di prevenzione e protezione in possesso di specifiche conoscenze in materia. La valutazione dei rischi é aggiornata ogni qual volta si verifichino mutamenti che potrebbero renderla obsoleta, ovvero, quando i risultati della sorveglianza sanitaria rendano necessaria la sua revisione. I dati ottenuti dalla valutazione, misurazione e calcolo dei livelli di esposizione costituiscono parte integrante del documento di valutazione del rischio.
3. Il datore di lavoro nella valutazione dei rischi precisa quali misure di prevenzione e protezione devono essere adottate. La valutazione dei rischi é riportata sul documento di valutazione di cui all’articolo 28, essa può includere una giustificazione del datore di lavoro secondo cui la natura e l’entità dei rischi non rendono necessaria una valutazione dei rischi più dettagliata”.
In generale la violazione, da parte del datore di lavoro, dell’articolo 181 del Decreto, configurandosi come violazione dell’articolo 29, comma 1, relativo all’obbligo della redazione della valutazione del rischio è punita, dall’articolo 55, comma 1, lettera a), con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.
Nello specifico poi la violazione, da parte del datore di lavoro, dell’articolo 181, comma 2 del decreto è punita, dall’articolo 219, comma 1, lettera a), con l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.

Oltre agli obblighi generali di prevenzione e protezione dagli agenti fisici legati al microclima e alle radiazioni solari, il datore di lavoro e i dirigenti sono obbligati a fornire ai lavoratori e ai RLS adeguata e specifica informazione e formazione, come stabilito dall’articolo 184 del Decreto:
Nell’ambito degli obblighi di cui agli articoli 36 e 37, il datore di lavoro provvede affinché i lavoratori esposti a rischi derivanti da agenti fisici sul luogo di lavoro e i loro rappresentanti vengano informati e formati in relazione al risultato della valutazione dei rischi con particolare riguardo:
a) alle misure adottate in applicazione del presente titolo;
b) all’entità e al significato dei valori limite di esposizione e dei valori di azione definiti nei Capi II, III, IV e V, nonché ai potenziali rischi associati;
c) ai risultati della valutazione, misurazione o calcolo dei livelli di esposizione ai singoli agenti fisici;
d) alle modalità per individuare e segnalare gli effetti negativi dell’esposizione per la salute;
e) alle circostanze nelle quali i lavoratori hanno diritto a una sorveglianza sanitaria e agli obiettivi della stessa;
f) alle procedure di lavoro sicure per ridurre al minimo i rischi derivanti dall’esposizione;
g) all’uso corretto di adeguati dispositivi di protezione individuale e alle relative indicazioni e controindicazioni sanitarie all’uso”.
La violazione, da parte del datore di lavoro o dei dirigenti, dell’articolo 184 del Decreto è punita dall’articolo 219, comma 2, lettera b) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 750 a 4.000 euro.

Infine i lavoratori esposti in maniera significativa a microclima caldo e a radiazioni solari devono essere sottoposti a specifica sorveglianza sanitaria, secondo quanto disposto dall’articolo 185 del Decreto:
1. La sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti agli agenti fisici viene svolta secondo i principi generali di cui all’articolo 41, ed é effettuata dal medico competente nelle modalità e nei casi previsti ai rispettivi capi del presente titolo sulla base dei risultati della valutazione del rischio che gli sono trasmessi dal datore di lavoro per il tramite del servizio di prevenzione e protezione.
2. Nel caso in cui la sorveglianza sanitaria riveli in un lavoratore un’alterazione apprezzabile dello stato di salute correlata ai rischi lavorativi il medico competente ne informa il lavoratore e, nel rispetto del segreto professionale, il datore di lavoro, che provvede a:
a) sottoporre a revisione la valutazione dei rischi;
b) sottoporre a revisione le misure predisposte per eliminare o ridurre i rischi;
c) tenere conto del parere del medico competente nell’attuazione delle misure necessarie per eliminare o ridurre il rischio”.
La violazione da parte del medico competente dell’articolo 185 del decreto è punita, dall’articolo 220, con l’arresto fino tre mesi o con l’ammenda da 400 a 1.600 euro.

Tenendo conto che su questi argomenti (come d’altro canto su molti altri relativi alla tutela della salute e della sicurezza) le aziende fanno poco o niente, nel seguito riporto due schede (estratte dal Piano Operativo di Sicurezza di un’azienda edile) da me redatte relativamente ai possibili rischi derivanti dal microclima caldo e/o dalle radiazioni ottiche solari, alle misure di prevenzione e protezione, alle procedure da adottare per eliminare o ridurre i rischi e infine alla sorveglianza sanitaria a cui sottoporre i lavoratori esposti.
Ricordo che tutte le misure indicate nelle schede sono a totale onere e responsabilità del datore di lavoro e/o dei dirigenti e del medico competente.

Marco Spezia

* * * * *

MICROCLIMA CALDO
POSSIBILI RISCHI
Tenendo conto del periodo temporale in cui verranno eseguiti i lavori e che parte di essi verranno eseguiti all’aperto e in zone non ombreggiate, potranno essere presenti nei luoghi di lavoro temperature superiore ai 30 °C, accompagnate da tassi di umidità elevati (> 80%) tali da creare condizioni microclimatiche di discomfort termico (ambienti moderati caldi) o addirittura di stress termico (ambienti estremi caldi).
In tali condizioni i rischi per la salute dei lavoratori sono, in ordine di gravità:
-         disturbi dermatologici sotto forma di eruzioni cutanee e vescicole;
-         sudorazione eccessiva con perdita di sali e conseguente spossatezza, vertigini, nausea, cefalea;
-         sbalzi termici (soprattutto nel caso di utilizzo di mezzi di sollevamento e trasporto condizionati o accesso alle baracche di cantiere se condizionate) con conseguenti disturbi muscolari o del sistema respiratorio;
-         congestioni da ingestione di bevande molto fredde;
-         modificazioni delle attività psicosensoriali e psicomotorie, quali affaticamento e abbassamento del livello di attenzione;
-         crampi muscolari da calore;
-         instabilità del sistema cardiocircolatorio;
-         sincope da calore con possibile ipossia cerebrale e perdita di coscienza;
-         colpo di calore con possibile perdita di coscienza, coma.
Tali rischi per la salute, associati ai rischi specifici di cantiere, possono poi essere fonte di infortuni anche gravi.
A tali rischi si sommano quelli derivanti da esposizione a radiazioni ottiche naturali (vedi scheda specifica).
MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE
Per limitare l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per limitarne o ridurne gli effetti, il datore di lavoro e i dirigenti provvedono a:
-         definire turni di lavoro solo nel periodo mattutino (dalle 6 alle 12) o serale (dalle 18 alle 24);
-         programmare le lavorazioni più impegnative fisicamente nelle prime ore della mattina o nelle ultime ore della sera;
-         prevedere adeguati periodi di riposo per le lavorazioni più impegnative fisicamente;
-         evitare lavorazioni in aree con scarso ricambio di aria;
-         predisporre ripari dal sole (teloni, ombrelloni);
-         se possibile prevedere l’umidificazione periodica delle pareti e dei pavimenti in prossimità dei luoghi di lavoro;
-         mettere a disposizione adeguati quantitativi di acqua minerale naturale da bere e di acqua corrente per inumidirsi;
-         fornire ai lavoratori indumenti di lavoro in tessuto naturale e non sintetico;
-         fornire ai lavoratori adeguati copricapi (berretti in cotone con visiera o cappelli a larga falda in paglia);
-         eseguire manutenzione preventiva dei sistemi di climatizzazione dei mezzi di sollevamento e trasporto e delle baracche di cantiere, con verifica dell’efficienza e pulizia dei filtri.
PROCEDURE DI LAVORO
Per limitare l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per limitarne o ridurne gli effetti, i lavoratori interessati sono tenuti a:
-         evitare l’esposizione prolungata ai raggi solari, alternando lavori al sole con lavori in zone d’ombra;
-         se molto sudati, evitare l’esposizione a zone fortemente ventilate;
-         bere regolarmente acqua minerale naturale non fredda;
-         asciugarsi regolarmente il sudore;
-         inumidirsi regolarmente il capo;
-         se non obbligatorio indossare il casco antinfortunistico, indossare berretti in cotone con visiera o cappelli a larga falda in paglia;
-         in caso di utilizzo di mezzi di sollevamento e trasporto condizionati, mantenere una temperatura non eccessivamente bassa e prevedere un periodo di acclimatazione con riduzione graduale della temperatura impostata;
-         mantenere all’interno delle baracche, se dotate di condizionatore, temperature non inferiori di 5 °C rispetto alla temperatura esterna;
-         durante il pasto evitare l’assunzione di alimenti ricchi di grassi, mentre è consigliabile l’assunzione di frutta e verdura;
-         in caso di percezione di sintomi quali giramenti di testa, spossatezza, difficoltà di concentrazione, interrompere le attività e portarsi in zona all’ombra e moderatamente ventilata.
SORVEGLIANZA SANITARIA
Per i lavoratori esposti in maniera significativa a condizioni microclimatiche estreme calde, il medico competente, sentito il Servizio di Prevenzione e Protezione ha previsto la seguente sorveglianza sanitaria:
-         visita medica obiettiva cardiologica con cadenza annuale;
-         elettrocardiogramma con cadenza biennale.
Su giudizio del medico competente sono poi possibili come esami di secondo livello:
-         elettrocardiogramma sotto sforzo;
-         ecocardiografia.
ESPOSIZIONE A RADIAZIONI OTTICHE NATURALI (RAGGI SOLARI)
POSSIBILI RISCHI
Tenendo conto del periodo temporale in cui verranno eseguiti i lavori e che parte di essi verranno eseguiti all’aperto e in zone non ombreggiate, i lavoratori che non operano all’interno di mezzi di sollevamento e trasporto potranno essere sottoposti a rischio da esposizione a radiazioni naturali (raggi solari).
In tali condizioni i rischi per la salute dei lavoratori per la pelle sono, in ordine di gravità:
-         eritema (scottatura);
-         reazione di fotosensibilità;
-         processo accelerato di invecchiamento;
-         tumori cutanei;
In tali condizioni i rischi per la salute dei lavoratori per gli occhi sono, in ordine di gravità:
-         fotocheratite;
-         fotongiuntivite.
MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE
Per limitare l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per limitarne o ridurne gli effetti, il datore di lavoro e i dirigenti provvedono a:
-         definire turni di lavoro solo nel periodo mattutino (dalle 6 alle 12) o serale (dalle 18 alle 24);
-         predisporre ripari dal sole (teloni, ombrelloni);
-         fornire ai lavoratori indumenti da lavoro a trama fitta in tessuto naturale e non sintetico;
-         fornire ai lavoratori adeguati copricapi (berretti in cotone con visiera o cappelli a larga falda in paglia);
-         fornire ai lavoratori creme per la pelle con Fattore di Protezione Solare (FPS) per i raggi UVB pari almeno a 30 e fattore Persistent Pigment Darkening (PPD) per i raggi UVA pari almeno a 10;
-         in caso di lavorazioni con possibilità di riflesso dalla pavimentazione fornire ai lavoratori occhiali con numero di gradazione per la protezione dalla luce solare pari almeno a 6-2 secondo UNI EN 172:2003.
PROCEDURE DI LAVORO
Per limitare l’esposizione ai citati fattori di rischio oppure per limitarne o ridurne gli effetti, i lavoratori interessati sono tenuti a:
-         evitare l’esposizione prolungata ai raggi solari, alternando lavori al sole con lavori in zone d’ombra;
-         indossare sempre gli indumenti da lavoro;
-         se non obbligatorio indossare il casco antinfortunistico, indossare berretti in cotone con visiera o cappelli a larga falda in paglia;
-         applicare a inizio lavorazioni la crema di protezione solare, ripetendo l’applicazione almeno ogni 3 ore;
-         in caso di lavorazioni con possibilità di riflesso dalla pavimentazione indossare occhiali con protezione UV;
-         in caso di percezione di sintomi quali bruciori della pelle o degli occhi, interrompere le attività e portarsi in zona all’ombra.
SORVEGLIANZA SANITARIA
Per i lavoratori esposti in maniera significativa a radiazioni ottiche naturali (raggi solari), il medico competente, sentito il Servizio di Prevenzione e Protezione ha previsto la seguente sorveglianza sanitaria:
-         visita medica obiettiva dermatologica con cadenza annuale.
Su giudizio del medico competente sono poi possibili come esami di secondo livello:
-         visita medica specialistica dermatologica.



NOTA SUL RISCHIO CALORE

Da Ufficio Salute Ambiente Sicurezza FIOM CGIL
20 Maggio 2016

Nelle prossime settimane si determineranno condizioni climatiche caratterizzate da alte temperature che proseguiranno, salvo brevi interruzioni per tutto il mese di giugno e luglio, a causa dei cambiamenti climatici causati dall’eccessivo riscaldamento dell’atmosfera per le notevoli quantità di anidride carbonica emessa.
Il prevedibile eccessivo calore degli ambienti di lavoro, somma del calore prodotto dalle macchine e del calore esterno non sarà circoscritto, come negli anni passati, solo alle prime due settimane di luglio con le cosiddette “ondate di calore” ma permarrà per molto tempo e deve essere affrontato per tempo e adeguatamente.
E’ opportuno che le RSU e gli RLS chiedano alle direzioni aziendali l’immediata apertura di un confronto per valutare correttamente il rischio del calore eccessivo, individuando i più adeguati e urgenti interventi e nel contempo dando adeguate informazioni ai lavoratori.
Nell’eventualità che le aziende si rendessero indisponibili a tale confronto, si deve immediatamente inviare denuncia, firmata dagli RLS e dal segretario territoriale della FIOM, al Servizio di Prevenzione e Protezione sul lavoro delle Asl competenti.

In assenza degli interventi necessari, in attesa dell’intervento della ASL, determinandosi le condizioni di alta temperatura, scarsa o nulla ventilazione, rischio di stress calorico per i lavoratori, gli RLS possono comunque chiedere ai lavoratori di interrompere le attività lavorative, intendendo tale astensione lavorativa non come sciopero, ma applicazione di ciò che è previsto dal D.Lgs 81/08 in tema di tutela della salute dei lavoratori, in quanto sono state disattese le norme presenti nell’allegato IV dello stesso Decreto al capitolo 1.9 (microclima) e in particolare al comma 1.9.1 (aerazione dei luoghi di lavoro chiusi), comma 1.9.2 (temperatura dei locali) e 1.9.3 (umidità).
La retribuzione riferita al periodo di astensione lavorativa a causa dell’alta temperatura deve essere, dalle aziende integralmente retribuita come espressamente norma l’articolo 1206 del Codice Civile che afferma “Quando la prestazione offerta dal lavoratore non è eseguibile per danno imputabile all’azienda il rischio della obbligazione, cioè la retribuzione ricade sull’azienda medesima”.

Il calore eccessivo negli ambienti di lavoro può risultare ai lavoratori e soprattutto alle lavoratrici insopportabile in quanto si accompagna a stati di malessere che possono risultare anche di natura acuta tale da portare a uno stato di stress calorico.
Lo stress da calore può essere colto anticipatamente se si presta grande attenzione a quei sintomi che correttamente si definiscono “eventi sentinella” che sommariamente e per esemplificazione possono essere: cefalee, confusione mentale e comportamenti insicuri.

A seguire riportiamo gli effetti sulla salute dello stress da calore:
-         sfogo da calore: si presenta con sfoghi rossi irregolari con prurito; occorre cambiare i vestiti con vestiti asciutti, evitare ambienti caldi, rinfrescare la pelle con acqua fresca;
-         svenimento: è preannunciato da pelle pallida e fredda, polso debole; occorre ricevere cure mediche, spostare la persona in area fresca, allentare i vestiti, farla sdraiare, se la persona è cosciente offrire piccoli sorsi d’acqua;
-         crampi di calore: i crampi di calore sono dolorosi spasmi involontari della muscolatura, l’inadeguata assunzione di liquidi spesso contribuisce a questo problema, i muscoli più colpiti sono polpacci, braccia, addome e schiena; in presenza di un crampo occorre fermarsi e bere acqua, fare un leggero stiramento e massaggio;
-         sfinimento di calore: assomiglia molto allo shock, appare in maniera improvvisa, con i sintomi dello svenimento, nausea, pallore, polso rapido, bassa pressione sanguigna, pelle rossa, secca, febbre lieve; occorre portare la persona in un luogo ombreggiato, stenderla, alzargli leggermente le gambe, allentare o rimuovere i vestiti, fare bere acqua senza ghiaccio, rinfrescare la persona spruzzando acqua fresca;
-         colpo di calore: si manifesta con aumento della temperatura corporea sopra i 40 gradi, pelle secca, alterazione della coscienza, battito cardiaco accelerato, respiro rapido, cessazione della sudorazione; occorre spostare la persona lontana dalla fonte di calore, in un luogo ombreggiato o climatizzato, chiamare il 118, spruzzare acqua fresca.

Per impedire l’instaurarsi di tali situazioni bisogna individuare correttamente gli obiettivi da conseguire nello svolgimento della riunione con l’azienda.
A tale proposito vi proponiamo una sintesi delle linee guida che sono state definite e prescritte da diversi Servizi di Prevenzione delle ASL, sia per una corretta valutazione del rischio e sia per attivare le misure necessarie a impedirli.

Occorre dare immediatamente la più estesa informazione ai lavoratori sui rischi inerenti i colpi di calore.
E’ essenziale che i lavoratori imparino a riconoscere i segnali precoci del sintomo dello stress da calore e che sappiano come prevenirli:
-         aumentando la quantità di acqua bevuta, almeno 240 ml ogni 20 minuti;
-         richiedendo l’effettuazione di pause lavorative aggiuntive;
-         utilizzando un vestiario adeguato (l’evaporazione del sudore è il primo modo con cui il corpo elimina l’accumulo di calore, perciò il miglior abbigliamento è quello che rende più facile l’evaporazione del sudore e cioè magliette di cotone leggere e pantaloni e intimo sempre di cotone e leggeri; per i lavoratori che indossano tute o coperture sopra l’abbigliamento estivo si devono conteggiare circa 3 gradi in più di temperatura).

Insieme al RSPP aziendale deve essere effettuato il processo di valutazione del rischio da calore, non solo generale per l’intero sito lavorativo, ma per ciascun reparto o area, selezionando le aree di lavoro più calde e determinando il livello di dispendio calorico di ciascun lavoratore coinvolto secondo la norma UNI EN 28996 e poi mappando le aree selezionate in base alla misurazione dei parametri quali l’umidità relativa, misurata con l’igrometro, di cui l’azienda deve dotarsi insieme al termometro. Deve essere anche misurata la velocità dell’aria per ogni ora durante il turno pomeridiano, che è prevalentemente il più caldo.
Il rischio da calore eccessivo può essere più o meno ampio a secondo delle attività svolte in ciascun reparto anche per la presenza di sorgenti interne di calore.
La valutazione del rischio deve essere fatta per tutte le postazioni tenendo conto del dispendio energetico di ciascun lavoratore e secondo l’attività che svolge, dell’isolamento termico determinato dal vestiario indossato, soprattutto se c’è l’obbligo di indossare indumenti protettivi che ostacolano l’evaporazione del sudore dell’umidità relativa, del calore radiante, della velocità dell’aria circolante nell’ambiente di lavoro.

Fatta la valutazione del rischio si deve verificare il risultato: se questo è alto, già dalla fascia gialla e/o rossa devono essere messi immediatamente in atto gli interventi correttivi e deve essere coinvolto anche il medico competente per la necessaria sorveglianza sanitaria:
-         bisogna ridurre il dispendio energetico di ciascun lavoratore, diminuendo il carico di lavoro fisico aumentando il numero e la durata delle pause e riducendo la frequenza e la velocità delle linee di produzione;
-         si deve aumentare la velocità di circolazione dell’aria, aumentando la velocità di condizionamento in presenza di eventuali impianti di condizionamento centralizzati, aprendo porte e finestre, predisponendo opportuni e adeguati ventilatori o condizionatori in prossimità di ogni postazione;
-         deve rendersi disponibile per ogni lavoratore, vicino alla postazione di lavoro, un’adeguata quantità di acqua fresca che significa, perlomeno la possibilità di bere un bicchiere d’acqua ogni 20 minuti;
-         le zone di riposo e la mensa devono essere condizionate per consentire una adeguata dispersione di calore accumulato da ciascun lavoratore.

Riteniamo utile che già dai prossimi giorni si proceda nella richiesta di incontri con le aziende per far sì che ci sia il tempo corretto per fare la valutazione e per predisporre le azioni opportune.
Speriamo che queste indicazioni vi siano utili, chiarendo che sono ormai consolidate norme e comportamenti definite dalle ASL e a cui le aziende non possono opporsi.


NECESSITA’ DELL’INSERIMENTO NEL CODICE PENALE DEL REATO DI VESSAZIONI SUL LAVORO

Da: Lavoro e Salute
06 luglio 2016

Sintesi redazionale di un intervento dell’avvocato Alessandro Rombolà al convegno tenutosi a Milano il 7 giugno 2016 “Stress, molestie lavorative e organizzative del lavoro: aspetti preventivi clinici e normativi-giuridici. Le soluzioni possibili”.

Il problema è quello dell’opportunità che tutte le condotte illecite che, forse con eccessiva semplificazione, sono comunemente conosciute come mobbing, debbano o meno essere oggetto dell’attenzione del legislatore penale.
Parto da una mia profonda convinzione: ritengo necessario un intervento legislativo che dia disciplina unitaria e rigorosa completa a tale problema.
Infatti sino ad oggi l’impressione degli addetti ai lavori è che il mobbing sia un concetto elaborato dalla giurisprudenza ma, colpevolmente, poco considerato dal legislatore.

La Suprema Corte di Cassazione ha ormai elaborato da tempo il concetto di mobbing: figura complessa che designa un eterogeneo fenomeno consistente in una serie di atti e comportamenti vessatori protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati di un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obbiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo.
Questa è la definizione che si ricava da una recentissima sentenza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione (Sentenza n. 20230 del 25/09/14) che sostanzialmente conferma i precedenti sul punto del giudice di legittimità.
Le caratteristiche del mobbing sono state poi ribadite anche nella sentenza n. 10037 del 15/05/15 in cui la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito, confermando la precedente giurisprudenza, che l’onere della prova grava integralmente sul lavoratore che denunci di essere stato vittima di condotte vessatorie da parte del datore di lavoro.
Onere probatorio duplice in quanto il lavoratore parte offesa dovrà dare prova piena e rigorosa sia del fatto che i comportamenti subiti abbiano natura illecita, sia della quantificazione del danno subito.

Il problema, dicevo, nasce dalla mancanza di una precisa definizione da parte del legislatore il quale prende in considerazione (a mio parere in modo non sempre convinto e convincente) e stigmatizza tali condotte.
Illuminante è a tale proposito il D.Lgs. 81/08 il quale prende in considerazione anche le patologie collegate allo stress lavoro-correlato, senza però (questa è almeno l’impressione degli addetti ai lavori) dare indicazioni valide per la soluzione concreta di tali problematiche.
Ed allora la domanda che sorge spontanea è la seguente: nell’attuale ordinamento giuridico italiano la normativa atta a contrastare il mobbing è da ritenersi sufficiente e, soprattutto, efficace?
A mio parere, sulla base della mia esperienza professionale quasi decennale sul tema, la risposta non può essere che negativa.
Cercherò di motivare tale mia convinzione.

Attualmente due sono le strade sostanziali e processuali per tutelare i lavoratori che siano stati vittima di mobbing: quella giuslavoristica-previdenziale e quella penale.
Occorre subito rilevare come l’opinione prevalente della giurisprudenza (confermata dagli interventi di quasi tutti i magistrati che intervengono sul tema) è quella di vedere con sospetto e talvolta con malcelato fastidio la tutela penale.
Per la giurisprudenza prevalente, il problema sul piano giuridico esiste, ma l’unica strada da percorrere è quella della vertenza previdenziale (riconoscimento della natura professionale della malattia da parte dell’INAIL) e lavoristica.
Tale assunto non mi trova d’accordo.

Come ho detto poc’anzi, a oggi nel nostro ordinamento non esiste il reato di mobbing.
Tale assunto trova peraltro conferma in una sentenza della Sezione VI della Cassazione penale la cui massima vale la pena di riportare: nel nostro Codice Penale, nonostante una delibera del consiglio d’Europa del 2000 che vincolava tutti gli stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente, non v’è traccia di una specifica figura incriminatrice per contrastare la pratica persecutoria definita mobbing. Pertanto, sulla base del diritto positivo, la via penale non appare praticabile mentre è certamente percorribile la strada del procedimento civile.
In realtà occorre capire il motivo per cui l’azione penale (obbligatoria nell’attuale ordinamento italiano) spesso si areni in richieste di archiviazione troppo spesso proposte dai Pubblici Ministeri e puntualmente accolte dai Giudici delle Indagini Preliminari.

A mio parare tutto il problema nasce dal fatto che l’attuale legislazione penale non prevede il mobbing quale autonomo reato penale.
Sino ad oggi i Pubblici Ministeri delegati all’esercizio dell’azione penale si trovano di fronte ad una oggettiva difficoltà di dare una precisa qualificazione giuridica a condotte illecite inquadrabili nel mobbing.
Mancando il reato di mobbing infatti, la fantasia si è sbizzarrita: talvolta l’imputazione è quella di violenza privata; altre quella di lesioni personali (dolose o colpose); altre ancora quella di violenza sessuale o, addirittura, maltrattamenti in famiglia. Insomma, in mancanza di una precisa norma incriminatrice, ogni Giudice o Pubblico Ministero è libero di rifarsi all’uno o l’altro dei reati con effetti a dir poco deleteri.
Si consideri poi che ogni reato ha sue peculiarità che rendono difficile l’inserimento nel suo contesto del mobbing e quindi spesso il giudice è costretto ad assolvere il mobber perché nella di lui condotta non sono stati riscontrati tutti gli elementi di fatto e di diritto che il legislatore chiede per quel tipo di reato.
Si aggiunga poi la frequente inadeguatezza (spesso ignoranza, intesa ovviamente come non conoscenza) dei medici legali chiamati come ausiliari dal Giudice e dalle cui conclusioni dipendono troppo spesso le sorti dei processi penali.

In base alle considerazioni sinora svolte, ritengo che sia non solo opportuno, ma anche necessario che il legislatore affronti, nel quadro di una più complessa disciplina unitaria del fenomeno, l’opportunità (ma arriverei a dire la necessità) di introdurre nel nostro ordinamento il reato specifico di mobbing.
Attualmente la legislazione è carente sul punto e questo comporta due conseguenze negative:
-         l’assoluta inadeguatezza nella doverosa repressione dei fenomeni di mobbing;
-         l’assoluta incertezza sull’esito delle denunce penali che troppo spesso dipende dalla sensibilità (ed anche conoscenza del fenomeno) da parte dell’inquirente cui viene assegnata l’istruttoria penale.
Ed allora si deve, una volta per tutte, uscire dall’ipocrisia: o si ritiene che il mobbing sia un fatto gravissimo (come in effetti è) e allora si mette mano a provvedimenti efficaci per combatterlo; oppure si continua nell’incertezza attuale con palliativi come quello di volere forzatamente includere il mobbing in già esistenti figure di reato.

La soluzione da me prospettata ovviamente non è esente da critiche: quella più comune è che la mala pianta del mobbing va sradicata, ma senza arrivare alla forzatura dell’intervento penale.
Gli assertori di tale tesi fanno riferimento alle soluzioni che sono state adottate (non sempre con successo, mi permetto di osservare) in altri paesi dove gli ordinamenti spesso prevedono l’istituzione di collegi arbitrali o di conciliazione nei quali dirimere (anche preventivamente) le controversie in materia di mobbing; oppure l’adozione da parte delle aziende di codici etici o comportamentali che dovrebbero risolvere, preventivamente, i casi di mobbing.

Sarò sincero: non credo molto che l’adozione di tali strumenti in Italia possa risolvere granché e questo per vari motivi.
In primo luogo perché nel nostro paese manca una seria sensibilità culturale sul problema, presupposto necessario e indispensabile per il buon esito di tali soluzioni.
In secondo luogo perché spesso il mobbing non è casuale, ma rientra in precise strategie aziendali e quindi sarebbe ingenuo credere nella buona fede del mobber (se l’avesse non sarebbe tale).
Infine l’attuale gravissima crisi economica in cui versa il nostro paese impedisce una seria valutazione delle problematiche conseguenti al mobbing.
Troppo spesso la risposta (ahimè, anche da parte di taluni giudici) che viene data al lavoratore vittima di condotte gravemente vessatorie è la seguente: ringrazia che almeno il posto di lavoro lo hai.
Su questi presupposti è pensabile la validità di soluzioni come quelle adottate nei paesi nord europei?
Il pessimismo è d’obbligo.

Concludo queste mie osservazioni, esaminando brevemente un altro aspetto che rende auspicabile (a mio parere) l’introduzione del reato di mobbing e la conseguente tutela in ambito penale.
In un processo penale vige il principio basilare della presunzione d’innocenza dell’indagato-imputato e quindi è sull’accusa che ricade interamente l’onere di provare la penale responsabilità del medesimo.
E’ del tutto evidente che il Pubblico Ministero abbia la possibilità di avvalersi di strumenti inquisitori che sono preclusi al lavoratore vittima del sopruso.
Ma allora ritenere, come fanno molti qualificati operatori, che la tutela in sede civile sia assolutamente sufficiente è pura ipocrisia.
Ricordiamo infatti quelli che, sul piano processuale civile, sono i principali ostacoli alla tutela del lavoratore persona offesa:
-         la difficoltà di fornire prove esaustive della condotta illecita di cui è rimasto vittima sul luogo di lavoro;
-         la mancata previsione delle malattie conseguenti ad azioni mobbizzanti nelle tabelle INAIL: non essendo malattie tabellate, la prova talvolta (anzi spesso) è pressoché impossibile;
-         la difficoltà di trovare magistrati e Consulenti Tecnici di Ufficio medico-legali con una competenza specifica su tali illeciti e patologie.
In sede penale, la questione cambia in quanto, il Pubblico Ministero nell’esercizio dell’azione penale, ha poteri ispettivi e inquisitori preclusi al lavoratore, parte offesa.
Ecco perché la repressione penale di queste condotte illecite sarebbe infinitamente più efficace e quindi è auspicabile.
Questo è l’attuale stato dell’arte.

Ormai da tempo l’Associazione Italiana Benessere e Lavoro (AIBeL) sta conducendo una lotta per l’introduzione del reato di condotte vessatorie sul luogo di lavoro. Si tratta di un’iniziativa che ha portato alla stesura di un disegno di legge che l’Associazione sta illustrando e facendo conoscere nel corso di seminari e convegni in tutta Italia.
Anche in questo caso, come d’altronde in tutte le battaglie dure e difficili, soltanto l’azione congiunta di tutte le realtà che, a vario titolo si occupano del tema del disagio lavorativo, potrà portare a qualche risultato utile.



REGOLAMENTO EUROPEO DPI: PROGETTAZIONE E REQUISITI DEI DISPOSITIVI

Da: PuntoSicuro
01 luglio 2016

Indicazioni sui requisiti essenziali di salute e di sicurezza dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) come riportati nel nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del 9 marzo 2016. Focus sui principi di progettazione e sull’innocuità dei DPI.

L’articolo 5 è chiaro: i DPI devono soddisfare i requisiti essenziali di salute e di sicurezza, di cui all'Allegato II, ad essi applicabili. E il quarto “Considerando” sottolinea che tali requisiti essenziali di salute e di sicurezza, come le procedure di valutazione della conformità dei DPI, devono essere identici in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea.

Stiamo parlando di quanto contenuto nel nuovo Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui DPI, che abroga la Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989. Regolamento che è già entrato in vigore, ma che si applicherà (con alcune eccezioni) dal 21 aprile 2018 (è in questa data che sarà abrogata la Direttiva 89/686/CEE).

Con questo articolo, PuntoSicuro comincia ad affrontare il delicato argomento dei requisiti essenziali di salute e di sicurezza dei DPI, come riportati nell’Allegato II del nuovo Regolamento.

Vediamo alcune osservazioni preliminari contenute nell’Allegato II:
-         i requisiti essenziali di salute e di sicurezza elencati nel presente Regolamento sono inderogabili;
-         gli obblighi relativi ai requisiti essenziali di salute e di sicurezza si applicano soltanto se per il DPI in questione sussiste il rischio corrispondente;
-         i requisiti essenziali di salute e di sicurezza sono interpretati e applicati in modo da tenere conto dello stato della tecnica e della prassi al momento della progettazione e della fabbricazione, nonché dei fattori tecnici ed economici, che sono conciliati con un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza;
-         il fabbricante effettua una valutazione dei rischi al fine di individuare i rischi che concernono il suo DPI; deve quindi progettarlo e fabbricarlo tenendo conto di tale valutazione;
-         in sede di progettazione e di fabbricazione del DPI, nonché all'atto della redazione delle istruzioni, il fabbricante considera non solo l'uso previsto del DPI, ma anche gli usi ragionevolmente prevedibili; se del caso, occorre assicurare la salute e la sicurezza delle persone diverse dall'utilizzatore.

Vediamo anche alcuni requisiti di carattere generale applicabili a tutti i DPI, ricordando che essi devono offrire una protezione adeguata nei confronti dei rischi da cui sono destinati a proteggere.

Queste le indicazioni sui principi di progettazione:
-         ergonomia: i DPI devono essere progettati e fabbricati in modo tale che, nelle condizioni prevedibili di impiego cui sono destinati, l'utilizzatore possa svolgere normalmente l'attività che lo espone a rischi, disponendo al tempo stesso di una protezione appropriata del miglior livello possibile;
-         livelli e classi di protezione: il livello di protezione ottimale da prendere in considerazione all'atto della progettazione è quello al di là del quale le limitazioni risultanti dal fatto di portare il DPI ostacolerebbero il suo utilizzo effettivo durante l'esposizione al rischio o il normale svolgimento dell'attività; qualora le diverse condizioni prevedibili di impiego portino a distinguere vari livelli di uno stesso rischio, all'atto della progettazione del DPI devono essere prese in considerazione classi di protezione adeguate.

Altre indicazioni sono poi date sull’innocuità dei DPI:
-         assenza di rischi intrinseci e di altri fattori di disturbo: i DPI devono essere progettati e fabbricati in modo da non creare rischi o altri fattori di disturbo nelle condizioni prevedibili di impiego;
-         materiali costitutivi appropriati: i materiali di cui sono fatti i DPI, compresi i loro eventuali prodotti di decomposizione, non devono avere effetti negativi sulla salute o sulla sicurezza degli utilizzatori;
-         stato della superficie soddisfacente di ogni parte di un DPI a contatto con l'utilizzatore: ogni parte di un DPI a contatto, o suscettibile di entrare in contatto con l'utilizzatore durante l'impiego non deve avere asperità, spigoli vivi, punte acuminate e simili suscettibili di provocare una irritazione eccessiva o delle ferite;
-         impedimento massimo ammissibile per l'utilizzatore: gli impedimenti causati dai DPI alle azioni da svolgere, alle posizioni da assumere e alle percezioni sensoriali devono essere ridotti al minimo; inoltre, l'utilizzo dei DPI non deve comportare azioni che potrebbero mettere in pericolo l'utilizzatore.

Segnaliamo che l’Allegato II si sofferma poi su altri aspetti quali il comfort e l’efficacia dei DPI e le istruzioni fornite obbligatoriamente dal fabbricante.

Queste le indicazioni della normativa europea sui requisiti di comfort ed efficacia:
-         adeguamento dei DPI alla morfologia dell'utilizzatore: i DPI devono essere progettati e fabbricati in modo tale da poter essere correttamente posizionati il più comodamente possibile sull'utilizzatore e da rimanervi durante il periodo di impiego prevedibile, tenendo conto dei fattori ambientali, dei gesti da compiere e delle posizioni da assumere; a tal fine deve essere possibile adattare i DPI alla morfologia dell'utilizzatore mediante ogni mezzo opportuno, come adeguati sistemi di regolazione e fissaggio o una gamma sufficiente di misure e numeri;
-         leggerezza e solidità: i DPI devono essere il più possibile leggeri senza pregiudicarne la solidità e l'efficacia; i DPI devono soddisfare i requisiti supplementari specifici per assicurare una protezione efficace dai rischi che sono destinati a prevenire e devono essere in grado di resistere ai fattori ambientali nelle condizioni prevedibili di impiego;
-         compatibilità tra tipi diversi di DPI destinati a essere utilizzati simultaneamente: se uno stesso fabbricante immette sul mercato diversi modelli di DPI di tipi diversi per assicurare simultaneamente la protezione di parti contigue del corpo, tali modelli devono essere compatibili;
-         indumenti protettivi contenenti dispositivi di protezione amovibili: gli indumenti protettivi contenenti dispositivi di protezione amovibili costituiscono un DPI e devono essere valutati in quanto combinazione durante le procedure di valutazione della conformità.

Gli ultimi requisiti di carattere generale applicabili a tutti i DPI, come riportati nell’Allegato II, riguardano le istruzioni e le informazioni del fabbricante.

Si indica che le istruzioni fornite obbligatoriamente dal fabbricante con i DPI devono recare, oltre al nome e all'indirizzo del fabbricante, ogni informazione utile concernente:
a)    le istruzioni di magazzinaggio, di impiego, di pulizia, di manutenzione, di revisione e di disinfezione; i prodotti per la pulizia, la manutenzione o la disinfezione consigliati dai fabbricanti non devono avere nell'ambito delle loro modalità di impiego alcun effetto nocivo per i DPI o per l'utilizzatore;
b)    le prestazioni registrate durante le pertinenti prove tecniche effettuate per verificare i livelli o le classi di protezione dei DPI;
c)    se del caso, gli accessori che possono essere utilizzati con i DPI e le caratteristiche dei pezzi di ricambio appropriati;
d)    se del caso, le classi di protezione adeguate a diversi livelli di rischio e i corrispondenti limiti di utilizzo;
e)    laddove applicabile, il mese e l'anno o il termine di scadenza dei DPI o di alcuni dei loro componenti;
f)     se del caso, il tipo di imballaggio appropriato per il trasporto;
g)    il significato delle eventuali marcature (sul punto interviene, più nel dettaglio, anche un successivo paragrafo dedicato ai DPI con una o più marcature o indicazioni di identificazione riguardanti direttamente o indirettamente la salute e la sicurezza);
h)   il rischio da cui il DPI è destinato a proteggere;
i)     il riferimento al Regolamento e, se del caso, i riferimenti ad altre normative di armonizzazione dell'Unione;
j)     il nome, l'indirizzo e il numero di identificazione dell'organismo notificato o degli organismi notificati coinvolti nella valutazione della conformità dei DPI;
k)    i riferimenti alla o alle pertinenti norme armonizzate utilizzate, compresa la data della o delle norme, o i riferimenti ad altre specifiche tecniche utilizzate;
l)     l'indirizzo internet dove è possibile accedere alla dichiarazione di conformità UE.

Si ricorda infine che le informazioni di cui alle lettere i), j), k) e l) non devono essere contenute nelle istruzioni fornite dal fabbricante, se la dichiarazione di conformità UE accompagna il DPI.

Il Regolamento (UE) 2016/425 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui Dispositivi di Protezione Individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio è scaricabile all’indirizzo:

La Direttiva 89/686/CEE del 21 dicembre 1989 del Consiglio delle Comunità Europee, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative ai Dispositivi di Protezione Individuale è scaricabile all’indirizzo:



QUANDO NOMINARE IL MEDICO COMPETENTE IN AZIENDA?

Da: PuntoSicuro
05 luglio 2016

Un volume dedicato alla Piccola e Media Impresa e al mondo dell’artigianato riepiloga la normativa in materia di salute e sicurezza.
Focus sulla nomina, sul ruolo, sulla funzione e gli obblighi del medico competente. La sorveglianza sanitaria e i giudizi di idoneità.

Per comprendere la figura del medico competente nel mondo del lavoro è importante avere chiara la distinzione tra una malattia professionale e un infortunio lavorativo. Se sono entrambi eventi dannosi per la salute del lavoratore, sono distinguibili dal “fattore tempo”.
L’infortunio sul lavoro è infatti l’evento dannoso (per causa violenta) per la salute del lavoratore che si manifesta in un lasso di tempo molto breve, istantaneo; ad esempio la lesione che si verifica a causa del contatto con una lama, dell’inciampo su un gradino, della caduta di un carico su un piede, di un incidente d’auto, ecc. Ovviamente l’evento deve avvenire in occasione di lavoro.
Mentre la malattia professionale è l’evento dannoso per la salute del lavoratore che si manifesta in un lasso di tempo lungo, a causa della ripetitività dell’esposizione ad un agente (chimico, fisico o biologico) o a una postura, a uno sforzo, a un movimento.

A fare questa distinzione e a dare alcune indicazioni sul ruolo del medico competente in azienda è il volume “Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare”, realizzato dall’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia (OPRA Lombardia) e dai vari Organismi Paritetici Territoriali Artigiani (OPTA), che offre un utile strumento di consultazione per favorire una corretta applicazione delle disposizioni di legge.

Riguardo alle malattie professionali il volume ricorda poi che queste sono elencate in apposita lista definita “Tabella INAIL delle malattie professionali”. E ogni forma morbosa che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa deve essere denunciata all’INAIL, anche se non è compresa fra le malattie “tabellate”; in questo caso il lavoratore avrà l’onere di dimostrare, attraverso documentazione, il nesso causale tra l’attività lavorativa e la malattia.

Una volta fatta la distinzione tra infortuni e malattie professionali, il volume cerca di fornire una regola generale per stabilire quando è necessario ricorrere alla figura del medico competente.

Ricordiamo innanzitutto che il D.Lgs. 81/08, Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, disciplina l’obbligo di nominare il medico competente, i requisiti e i compiti di quest’ultimo: la Sezione V del Capo III del Titolo I è dedicata alla sorveglianza sanitaria. In particolare il datore di lavoro, se svolge attività per la quale è prevista la sorveglianza sanitaria, ha l’obbligo di nominare il medico competente (articolo 18 del D.Lgs. 81/08).

Il medico competente è figura necessaria in quelle aziende nelle quali si svolgono mansioni che espongono a un rischio di malattia professionale ad esempio rischio di ipoacusie per lavoratori esposti al rumore, rischio di ernia discale lombare per i lavoratori addetti a movimentazione manuale dei carichi eseguita con continuità durante il turno lavorativo, il rischio di bronchiti croniche per i lavoratori esposti a fumi e gas di saldatura, il rischio di asma bronchiale per lavoratori esposti all’inalazione di polveri di legno, ecc.
E dunque il ricorso alla figura del medico competente passerà necessariamente attraverso il processo di valutazione dei rischi.

Il documento OPRA, dopo aver elencato i requisiti che devono avere i medici competenti, riporta anche obblighi e funzioni.

Sintetizzando quanto riportato nell’articolo 25 del Testo Unico, il medico competente:
-         collabora con il Datore di Lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi;
-         programma ed effettua la sorveglianza sanitaria;
-         istituisce, (...) aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria: tale cartella è conservata con salvaguardia del segreto professionale presso il luogo di custodia concordato al momento della nomina del medico competente;
-         consegna al Datore di Lavoro, alla cessazione dell’incarico, la documentazione sanitaria in suo possesso, con salvaguardia del segreto professionale;
-         consegna al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, la documentazione sanitaria in suo possesso e gli fornisce le informazioni necessarie relative alla conservazione della medesima;
-         fornisce informazioni ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione della attività che comporta l’esposizione a tali agenti;
-         informa ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41 e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria;
-         comunica per iscritto, in occasione delle riunioni di cui all’articolo 35, i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata e fornisce indicazioni sul significato di detti risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori;
-         visita gli ambienti di lavoro almeno una volta all’anno o a cadenza diversa che stabilisce in base alla valutazione dei rischi.

Inoltre si ricorda che la sorveglianza sanitaria, effettuata dal medico competente, comprende:
-         visita medica preventiva;
-         visita medica periodica (periodicità in linea di principio annuale);
-         visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute;
-         visita medica in occasione del cambio della mansione;
-         visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro (in alcuni casi previsti in maniera specifica);
-         visita medica preventiva in fase preassuntiva;
-         visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi.

Si ricorda poi che il medico competente svolge la propria opera o in qualità di dipendente o collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata, convenzionata con l’imprenditore, o quale libero professionista o come dipendente del Datore di Lavoro (articolo 39). E può avvalersi, per motivate ragioni, della collaborazione di medici specialisti scelti dal Datore di Lavoro che, in questo caso, ne sopporta gli oneri.
Ricordiamo, a questo proposito, l’Interpello n. 27/2014 del 31 dicembre 2014 sul conflitto di interessi delle ASL nell’attività di “sorveglianza sanitaria” assegnate al medico competente.

Concludiamo ricordando che il medico competente esprime inoltre i giudizi di idoneità specifica alla mansione.
Giudizio che potrà essere di:
-         idoneità;
-         idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
-         inidoneità temporanea;
-         inidoneità permanente.
Si ricorda che avverso tale giudizio è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente che dispone dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.

Il documento dell’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia “Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si deve fare”:

IMPARARE DAGLI ERRORI: GLI INFORTUNI CON GLI AGENTI USTIONANTI

Da: PuntoSicuro
07 luglio 2016
di Tiziano Menduto

Esempi di infortuni correlati al contatto con agenti ustionanti. Lo spostamento con carroponte di un recipiente con metallo fuso, l’alimentazione di un forno di fonderia e l’uso di fiamme libere in presenza di materiale infiammabile.

Quando si analizzano gli infortuni gravi nel mondo del lavoro spesso si analizzano le cadute dall’alto, che (come ricordato da una scheda informativa di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio) descrivono oltre la metà degli eventi mortali. O sulle cadute di gravi sui lavoratori o sui problemi correlati alla perdita di controllo di macchine e veicoli. Esistono tuttavia molte altre tipologie di infortuni di cui possono essere vittime i lavoratori, magari meno diffuse e, in alcuni casi, con conseguenze meno gravi, per le quali è necessario attuare precise strategie di prevenzione.

Uno degli infortuni diffuso nei luoghi di lavoro, e in relazione al quale sono presenti molte schede in INFOR.MO., è correlato alla presenza e al contatto con agenti ustionanti, ad esempio in relazione alla proiezione di schizzi di materiale incandescente.
Le dinamiche infortunistiche che presentiamo sono chiaramente tratte dall’archivio di INFOR.MO. correlato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

Il primo caso riguarda un infortunio dovuto a un’ustione termica all’orecchio destro di un lavoratore.
Un lavoratore sta seguendo lo spostamento di una siviera (un recipiente per metallo fuso) per mezzo di un carroponte dalla zona forno alla zona fuori forno per poi proseguire con altre operazioni.
Nel percorrere la via l’uomo ha avvertito un sibilo e si è accorto che un corpo estraneo incandescente è entrato nel suo orecchio destro.
Il fattore causale dell’infortunio, individuato nella scheda, è chiaramente la proiezione di un solido incandescente nello spostamento di una siviera per mezzo di un carroponte.

Il secondo caso riguarda un infortunio durante attività con il forno di fonderia.
Un lavoratore alimenta manualmente la bocca del forno di fonderia, con i pezzi metallici di scarto. Durante tale operazione un lapillo di materiale fuso, uscendo dalla bocca del forno, lo investe colpendolo al ginocchio sinistro, e dopo aver forato la tuta ignifuga, precipitando lungo la gamba, si deposita sul collo del piede sinistro.
Il lavoratore riporta una profonda ustione al piede sinistro.
La bocca del forno fusorio non risultava essere protetta da un idoneo schermo o riparo.
In questo caso sono due i fattori causali rilevati:
-         la bocca del forno era priva di schermi di protezione;
-         la tuta ignifuga si buca con un lapillo di materiale fuso.

Il terzo caso riguarda un infortunio avvenuto in un cantiere edile.
In un cantiere edile si stanno posizionando dei pilastri prefabbricati. Durante la manovra di posizionamento il pilastro si è incastrato e dopo vari tentativi si decide di allargare i fori della base del pilastro utilizzando un cannello da taglio.
Si precisa che la parte esterna del muro limitrofo, ove operano gli operai, è ricoperta da una guaina isolante infiammabile.
Un lavoratore inizia ad operare con fiamma libera, in presenza di materiale infiammabile e senza la dotazione del paraschizzi.
Durante tale operazione del materiale fuso è caduto sulla guaina incendiandola.
Due lavoratori sono stati investiti dal fuoco procurandosi così ustioni su sedi multiple.
I fattori causali rilevati:
-         mancanza di protezione da schizzi di materiale incandescente;
-         il lavoratore utilizzava fiamma libera, in presenza di materiale infiammabile.

Benché il rischio di ustioni sia diffuso in molti comparti lavorativi, uno degli ambiti lavorativi dove questo rischio è più presente è il settore metalmeccanico.
In questo settore industriale il pericolo di ustioni è presente sia nelle lavorazioni di carattere meccanico vero e proprio (saldature, lavorazioni a caldo e a freddo dei metalli, lavorazioni su fonti elettriche o in prossimità di superfici calde, quali tubazioni per fluidi di processo), sia in quelle che prevedono l’uso di sostanze caustiche (decapaggio, galvanica, sverniciatura).

E per trovare del materiale sulla prevenzione dai rischi degli agenti ustionanti possiamo fare riferimento al documento “Labor Tutor Un percorso formativo sulla prevenzione dei fattori di rischio tipici del settore metalmeccanico”, un opuscolo realizzato dall’INAIL in collaborazione con ENFEA (Ente Nazionale per la Formazione e l’Ambiente) per migliorare la tutela della sicurezza e salute dei lavoratori nel comparto metalmeccanico.

Il documento ricorda che le ustioni si possono distinguere in ustioni da agenti fisici (radiazioni solari, infrarosse e ultraviolette; calore sotto forma di fiamma, di corpo solido ad alta temperatura, di liquido bollente o vapore; corrente elettrica) e ustioni da agenti chimici (ad esempio sostanze fortemente acide o fortemente basiche).
A seconda dell’aggressività dell’agente ustionante, si possono avere lesioni più o meno gravi, ma la gravità dipende anche dalla zona che viene colpita: l’ustione sulla superficie dell’occhio è ben più grave dell’ustione sulla superficie del braccio. Ma ancora più importante è l’estensione della superficie ustionata: ustioni che interessano gran parte della superficie del corpo sono gravissime e spesso portano a morte.
E generalmente le situazioni che possono determinare ustioni sono quasi sempre imputabili a carenze tecniche e/o organizzative, che non permettono il contenimento del rischio. Infatti, le proiezioni di corpi incandescenti o gli schizzi di sostanze caustiche, sono spesso dovuti alla mancanza di adeguati schermi o alla carenza di dispositivi individuali di protezione. Le ustioni causate dagli incendi sono determinate da una sottostima del rischio in fase di analisi e quindi dalla carenza di provvedimenti tecnici e organizzativi.
Senza dimenticare che gli infortuni possono essere determinati anche dalla insufficiente informazione/formazione dei lavoratori e dalla loro mancata percezione del rischio.

Le indicazioni sulle modalità di contenimento dei rischi di ustione nell’industria metalmeccanica sono, a seconda dei casi:
-         proiezioni di materiali incandescenti: schermi e barriere fisse o portatili durante le operazioni di saldatura; schermi per intercettare schegge o trucioli surriscaldati, provenienti dalla molatura o da lavorazioni per asportazione di metalli, o schizzi di liquidi surriscaldati (oli, acqua);
-         irraggiamento: sistemi di raffreddamento dell’aria in prossimità di fonti di calore intenso (forni di cottura); barriere anti-irraggiamento adatte a radiazioni ultraviolette o infrarosse (saldatura, trattamenti particolari quali le lavorazioni al laser);
-         contatto diretto con superfici calde: uso di sistemi di presa (pinze, ganci, ecc.) o di guanti contro le alte temperature per la manipolazione di pezzi surriscaldati dalle lavorazioni; uso di DPI (guanti, grembiuli, ecc.) resistenti alle alte temperature per le lavorazioni di piegatura o deformazione a caldo; coibentazione delle superfici di impianti caldi;
-         contatto con sostanze chimiche: barriere fisse (ad esempio su vasche di decapaggio); DPI (guanti, occhiali o schermi facciali, abiti resistenti a sostanze caustiche); procedure per la decontaminazione da sostanze chimiche; procedure per la manipolazione di sostanze reattive;
-         inalazione di agenti ustionanti: adozione di impianti di captazione per impedire lo sviluppo di concentrazioni pericolose di vapori chimici e se necessario adozione di DPI (respiratori, maschere, ecc.); raffreddamento o captazione di vapori o aria caldi;
-         contatto con fiamme libere: adozione concreta delle misure di prevenzione degli incendi; manutenzione periodica degli impianti e degli apparecchi che possono produrre fiammate e incendi (revisione tubi gas, cannelli, valvole di non ritorno, ecc.); utilizzo di abiti impermeabili e ignifughi, laddove è possibile che essi si contaminino con sostanze infiammabili;
-         elettrocuzione: procedure di manutenzione affidate solo a personale autorizzato ed esperto, per le attività di manutenzione su quadri elettrici, cabine elettriche, cavi; manutenzione periodica di impianti, apparecchi, quadri elettrici, ecc.

Il documento ricorda infine che, per ogni tipo di rischio, deve essere innanzitutto verificata la possibilità di eliminarlo alla fonte e/o cercare di contenerlo, con provvedimenti collettivi. L’offerta tecnologica del mercato è in grado di soddisfare ampiamente la necessità di protezione contro il rischio da ustione. Sono disponibili, infatti, materiali ad alta resistenza termica e chimica per approntare barriere o proteggere parti di macchine e impianti.

Nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 3598, 1518 e 2754 (archivio incidenti 2002/2010) tratto dal sito web di INFOR.MO., consultabile all’indirizzo

Il documento “Labor Tutor Un percorso formativo sulla prevenzione dei fattori di rischio tipici del settore metalmeccanico”, opuscolo realizzato dall’INAIL in collaborazione con ENFEA è scaricabile all’indirizzo:

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