Nazionalizzare l'Ilva".
Intervista a Rizzo (Usb)
Il problema
del salvataggio dell'Ilva è finalmente esploso anche sui media padronali, dopo
che Matteo Renzi ha pronunciato la parola maledetta “nazionalizzazione”.
Naturalmente un premier neoliberista e di passaggio non è diventato “matto” (si
legga: “neostatalista”) all'improvviso. La soluzione che immaginano i suoi coéquipier
è più che altro una riproposizione del “modello Alitalia” (suggerimento
esplicito di Confindustria su IlSole24Ore di oggi); ovvero suddivisione fra una
bad company cui accollare tutti i debiti e i costi del risanamento
ambientale e una good company alleggerita e pronta a sfornare nuovamente
profitti. Indovinate quale parte dovrebbe prendersi lo Stato, secondo gli
industriali italiani?
Fatto sta che la “nazionalizzazione” è venuta fuori dopo un incontro tra Renzi e diversi rappresentanti sindacali delle diverse sigle presenti nello stabilimento di Taranto. E fino a quel punto “nazionalizzazione” era una proposta sostenuta soltanto dall'Usb, il sindacato di base che sta velocemente scalando posizioni importanti anche nell'industria privata, non solo nel settore pubblico.
Abbiamo quindi intervistato Francesco Rizzo, ex dirigente sindacale Fiom (ne era stato anche componente del Comitato centrale), fondatore dell'Usb all'Ilva e protagonista diretto del conflitto in fabbrica e anche dell'incontro con Renzi.
Ci racconti cosa è avvenuto davvero durante quell'incontro?
Mah, si è trattato di una tavola rotonda, con le diverse organizzazioni sindacali presenti. Ognuno ha espresso la sua posizione e quindi abbiamo potuto spiegare perché riteniamo che la nazionalizzazione sia l'unica soluzione a questo punto possibile. Perché un qualsiasi privato non spenderà mai 3 miliardi per applicare l'Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale, ndr) e risanare l'impianto, senza alcuna certezza di poterli recuperare. Lo Stato è sicuramente corresponsabile della situazione attuale e quindi la nostra richiesta è che se ne assuma anche la proprietà, come attore principale. Tutti i possibili compratori privati, infatti, dicono “io sono disposto a farmi carico dei problemi da domani in poi”. Ma i soldi per il risanamento dei disastri combinati nel passato chi ce li mette? In ogni caso lo Stato. Ma non ci piace affatto la “soluzione Alitalia”, che sarebbe soltanto una socializzazione dei debiti. Invece abbiamo detto a Renzi: se l'azienda che produce acciaio è “strategica”- definizione data più volte nei mesi scorsi – non deve finire in mano ai privati. La nazionalizzazione, insomma, non deve essere solo temporanea. E fa specie constatare – è anche molto divertente – che prima tutti dicevano che “non si può fare”, “l'Unione Europea non ce lo permette”: ora sono tutti d'accordo. La Fiom, per dire, ora sostiene che questa era stata sempre la sua posizione... Basta rileggersi i loro comunicati degli ultimi anni per sapere se è vero o no.
Fatto sta che la “nazionalizzazione” è venuta fuori dopo un incontro tra Renzi e diversi rappresentanti sindacali delle diverse sigle presenti nello stabilimento di Taranto. E fino a quel punto “nazionalizzazione” era una proposta sostenuta soltanto dall'Usb, il sindacato di base che sta velocemente scalando posizioni importanti anche nell'industria privata, non solo nel settore pubblico.
Abbiamo quindi intervistato Francesco Rizzo, ex dirigente sindacale Fiom (ne era stato anche componente del Comitato centrale), fondatore dell'Usb all'Ilva e protagonista diretto del conflitto in fabbrica e anche dell'incontro con Renzi.
Ci racconti cosa è avvenuto davvero durante quell'incontro?
Mah, si è trattato di una tavola rotonda, con le diverse organizzazioni sindacali presenti. Ognuno ha espresso la sua posizione e quindi abbiamo potuto spiegare perché riteniamo che la nazionalizzazione sia l'unica soluzione a questo punto possibile. Perché un qualsiasi privato non spenderà mai 3 miliardi per applicare l'Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale, ndr) e risanare l'impianto, senza alcuna certezza di poterli recuperare. Lo Stato è sicuramente corresponsabile della situazione attuale e quindi la nostra richiesta è che se ne assuma anche la proprietà, come attore principale. Tutti i possibili compratori privati, infatti, dicono “io sono disposto a farmi carico dei problemi da domani in poi”. Ma i soldi per il risanamento dei disastri combinati nel passato chi ce li mette? In ogni caso lo Stato. Ma non ci piace affatto la “soluzione Alitalia”, che sarebbe soltanto una socializzazione dei debiti. Invece abbiamo detto a Renzi: se l'azienda che produce acciaio è “strategica”- definizione data più volte nei mesi scorsi – non deve finire in mano ai privati. La nazionalizzazione, insomma, non deve essere solo temporanea. E fa specie constatare – è anche molto divertente – che prima tutti dicevano che “non si può fare”, “l'Unione Europea non ce lo permette”: ora sono tutti d'accordo. La Fiom, per dire, ora sostiene che questa era stata sempre la sua posizione... Basta rileggersi i loro comunicati degli ultimi anni per sapere se è vero o no.
Non c'è
dunque nessun altra soluzione?
Non se ne
esce se lo Stato non ci mette mano, se non se ne assume la piena
responsabilità. Se l'intervento è immediato, si risana, si salvaguarda
finalmente la salute di chi ci lavora e della popolazione di Taranto; e si può
anche ripartire con la produzione, salvando migliaia di posti di lavoro. Non
dobbiamo dimenticare che tra dipendenti diretti e indotto qui ci lavorano
15.000 persone, dopo picchi di 18.000 nei momenti migliori.
Dicevi che
non vi piace il “modello Alitalia”...
Sarebbe una
beffa. Quello è un meccanismo che paradossalmente darebbe ragione ai Riva (gli
attuali padroni dell'Ilva, sotto processo per disastro ambientale e corruzione,
ndr). Riproporrebbe lo schema per cui un imprenditore arriva, lo Stato
spende per risanare e loro si prendono il bottino, lo fanno sparire e se ne
vanno. È la domanda che poniamo nel caso dei Riva: com'è possibile che
spariscano cifre per miliardi senza che nessuno – nelle istituzioni preposte –
se ne accorga? Comunque, il “modello Alitalia” è la soluzione per cui chi ha
inquinato non paga, è chi è stato inquinato ci mette anche i soldi. Chiediamo
perciò di evitare soluzioni ormai vecchie, e che non funzionano, come
dimostrato proprio dalla vicenda Alitalia. In cui l'azienda non c'è più e
restano soltanto i licenziamenti.
In Italia
non ci sono solo i casi Alitalia e Ilva...
Il governo
deve farsi carico di fare un progetto, di delineare un'idea di politica industriale
seria, non di tante “soluzioni” caso per caso. Specie in casi come l'Ilva, dove
alla crisi drammatica sul piano economico si è aggiunta la vicenda giudiziaria.
Ilva, Piombino, ThyssenKrupp sono facce della stessa medaglia. Specie per un
governo in cui sono presenti – o viene votato in Parlamento da – così tanti ex
sindacalisti. Gente che una volta tutelava i lavoratori. I diritti, il reddito
e ora fa tutto l'opposto...
Molti
vengono dalla Cgil...
Io dico
sempre che è l'uomo che fa il sindacato, non il sindacato che fa l'uomo. Ma
evidentemente per qualcuno è il contrario. E quindi quando stavano in Cgil si
comportavano in modo, ora che sono parlamentari in tutt'altro. Prendiamo
Guglielmo Epifani. Nel 2002, al Circo Massimo, era sul palco insieme a Cofferati
a difendere l'articolo 18; ora ha votato a favore del jobs act che lo cancella.
Con Renzi
avete parlato anche di politiche industriali?
Ha fatto
solo qualche passaggio vago. Ha cominciato dicendo che il limite, qui in
Italia, è che tutti pensano che siamo un grande paese industriale, appetibile
per le imprese straniere che vogliono investire... Ma perché Mittal (gigante
indiano dell'acciacio, ndr) dovrebbe venire a produrre qui se nel suo
paese può fare le stesse cose a prezzo molto più basso? La verità è che questo
stabilimento non lo vuole nessuno, se non a costo zero, risanato sul piano
ambientale e reso produttivo di profitto. Le voci di corridoio sui possibili
compratori, per esempio, dicono che l'offerta Mittal oscilla tra zero euro e
250 milioni. Niente, insomma. Anche la loro idea è di lasciare debiti e costi
di bonifica allo Stato, quindi ai lavoratori; e i profitti futuri ai privati.
Per voi Usb,
in fabbrica, come sta andando?
Siamo
l'unico sindacato ad aumentare gli iscritti, al ritmo di 30-40 al mese. Un anno
fa eravamo in cento, ora siamo 700. In cento abbiamo preso il 20% nelle
elezioni Rsu, che si sono svolte in condizioni per noi proibitive, con
pochissimi soldi e senza permessi sindacali. Questo impianto è una città. Per
“fare le cassette” - per la propaganda elettorale e poi esser presenti ai seggi
per evitare brogli, ecc – ci siamo tassati per 250 euro a testa. Ma i risultati
si sono visti. Ora tutti i sindacati parlano di “democrazia sui posti di
lavoro”. E ci resta il sospetto che si voglia la democrazia “solo quando serve
a me”.
Nazionalizzare l'Ilva? Non
solo è possibile, è anche necessario
La proposta
di un intervento pubblico per l’ILVA, ipotesi annunciata da Renzi in questi
giorni, muove nella direzione auspicata da diversi anni dall’USB, sostenuta
anche nell’incontro sull’ILVA che l’USB ha avuto con il presidente del
consiglio nel mese di settembre; nel corso dell’incontro Renzi non rigettò la
nostra proposta di nazionalizzare l’ILVA ed ammise che sull’ILVA vi erano due
posizioni in campo, quella dell’USB e quella di Confindustria, sostenuta anche
da Fim Fiom e Uilm.
Non soddisfa
invece la modalità con cui il governo annuncia il possibile intervento, ossia
la possibile acquisizione del sito mediante l’intervento della cassa depositi e
prestiti, il suo risanamento, anche ambientale, e la sua successiva
collocazione sul mercato, rendendo possibile questo intervento mediante il
rafforzamento dei poteri del commissario straordinario.
L’USB
ritiene invece che si debba procedere ad una vera nazionalizzazione del
siderurgico di Taranto, intervento che se non si volesse effettuare mediante
l’esproprio, come da noi auspicato, potrebbe essere effettuato utilizzando
metologie analoghe a quelle già esistenti, sul modello della possibilità di intervento
delle A.S.I. (consorzi per lo sviluppo delle aree industriali) che
consentirebbe, nei fatti, l’acquisizione a costo zero, consentendo così di
poter procedere alla bonifica del sito ed al suo rilancio come industria
strategica per il nostro paese, sotto il diretto controllo pubblico. Come noto
l’A.S.I. può, infatti, esercitare il diritto di prelazione nell’acquisizione di
stabilimenti, detrarre dal costo di acquisto il totale dei finanziamenti
pubblici ricevuti dallo stabilimento in oggetto, risanarli e farli tornare ad
essere produttivi.
In altre
parole la nazionalizzazione sarebbe l’unico strumento che consentirebbe un
intervento pubblico non oneroso per l’acquisto dell’acciaieria, mentre gli
impegni di spesa potrebbero essere destinati al reale risanamento e bonifica
del territorio e dello stabilimento, oltre che al mantenimento dei livelli
occupazionali ed al rilancio dell’attività produttiva, garantendo così che
l’ILVA non segua la tragica fine di altri strategici siti produttivi Italiani
che, ceduti a privati o a multinazionali, sono stati progressivamente spolpati,
svuotati di tecnologie e, infine, chiusi, con enorme danno per lo stato
Italiano che ha dovuto accollarsi i costi sociali e materiali di queste
chiusure che hanno lasciato sul lastrico decine di migliaia di lavoratori.
In ultimo
riteniamo che l’ intervento diretto dello stato nei settori industriali e non
solo, ritenuti strategici per il paese, sia l’unico modo per interrompere la
lunga catena di cessazioni di attività, di spoliazione di competenze, di
tecnologie, di saperi che l’onda lunga del liberismo e delle privatizzazioni ha
prodotto nel nostro paese, lasciandosi dietro macerie e disoccupazione ed
impoverendo il tessuto industriale che è stato la spina dorsale dell’economia
Italiana.
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