NEW DELHI -
Aadite è un cucciolo di cartapesta. Non riesce a camminare né a stare in piedi,
tanto fiacchi sono i suoi muscoli. Guarda i cartoni animati alla tv come tutti
bambini, ma lui non può fare altro tutto il giorno. Vive disteso, Aadite. Da
sempre. Da quando è nato, nove anni fa, e gli hanno diagnosticato una paralisi
cerebrale infantile. Che purtroppo non è una sciagura rara a Kabit Pura, uno
dei quartieri di Bhopal - circa 720 chilometri a sud di New Dheli - che sorgono
accanto al relitto della fabbrica indiana della Union Carbide, che 30 anni fa
causò il più grave incidente industriale della storia: migliaia di morti e
oltre 600 mila persone con danni permanenti subìti. Era il 1984. La mezzanotte
del 3 dicembre era appena passata, quando quaranta tonnellate di isoscianato di
metile - utilizzato per produrre antiparassitari, annoverato tra i prodotti più
tossici nel amercato chimico -fuoriuscirono dallo stabilimento della
multinazionale statunitense che produceva un potente pesticida. Una nube urticante
avvolse la città mentre dormiva. Oltre 3700 persone morirono all'istante, altre
16mila nelle settimane e negli anni successivi. Come poté accadere? Questioni
di budget, probabilmente una decisa sforbiciata ai costi di manutenzione aveva
abbassato i livelli di sicurezza. Le cause della fuga di gas non sono tuttora
chiarissime, fatto sta che il disastro di Bhopal non è ancora finito. Ancora
miete vittime, di seconda generazione. Bambini come Aadite, che quel maledetto
giorno neanche erano stati concepiti, ma che hanno madri che quando li avevano
in grembo bevevano acqua contaminata dalle scorie dello stabilimento distrutto.
Inquinate le falde acquifere. Nel terreno su cui svettano cupi i resti della
fabbrica furono interrate o lasciate abbandonate all'aria aperta tonnellate di
sostanze tossiche. Mercurio, piombo, diclorobenzene. L'organizzazione Bhopal
Medical Appeal e Greenpeace sostengono da anni che le scorie hanno inquinato
suolo e falde acquifere. Provocando tumori, difetti congeniti e altre malattie.
Alla Clinica Sambhavna, una delle poche strutture dove i supersiti ricevono
cure gratuite, continuano ad arrivare neonati con malattie congenite. "E
non sono solo i figli di coloro che furono esposti al gas", spiega
Satinath Sarangi. "Labioschisi, paralisi cerebrali infantili e problemi
respiratori hanno un'incidenza fuori dal comune qui a Bhopal". Mai in
tribunale: il risarcimento? 400 dollari. In tutto, le 500mila persone che nel
1984 respirarono i fumi hanno ricevuto una compensazione di 400 dollari dal colosso
chimico. Ma sono migliaia quelli che hanno subito gli effetti successivi del
disastro e non hanno visto un soldo. Alla vigilia di questo trentesimo
anniversario cittadini e attivisti di Bhopal sono tornati a chiedere altri 1600
dollari per ogni sopravvissuto. Ma difficilmente verranno accontentati e
avranno giustizia. I rappresentanti dell'ex Union Carbide non sono mai apparsi
in tribunale. Warren Anderson, l'allora amministratore delegato della società
chimica, è morto il mese scorso, vanificando del tutto i timidi tentativi del
governo indiano di estradarlo. Mai nessuna bonifica. Remota appare anche
l'opera di bonifica dei terreni, di cui non vogliono farsi carico né il governo
indiano né la Dow Chemical, che nel 2001 comprò la Union Carbide e considera
chiusa la vicenda dal 1989, quando la società concesse il risarcimento da 470
milioni di dollari ai sopravvissuti. Così, mentre continua, senza troppo
fervore, la disputa su chi dovrebbe smantellare i rifiuti tossici, lo scheletro
della fabbrica è ancora lì come un cimelio minaccioso di una tragedia
inconclusa. La cisterna ormai arrugginita da cui fuoriuscì il materiale tossico
è ancora identificabile dal suo numero seriale: E-610. E tra le erbacce e i
vetri in frantumi della sala di controllo resiste - straordinaria beffa
all'usura - l'avviso della Carbide ai suoi dipendenti: "La sicurezza è
compito di tutti". © Riproduzione riservata India: 30 anni di
inquinamento, l'eredità tossica
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