+16% I MORTI NEL
2015
C'è un indicatore certo delle
caratteristiche omicide dello sfruttamento capitalistico, e sono gli infortuni
sul lavoro. Per qualche anno, con l'avvitarsi della crisi economica, i dati
relativi erano stati registrati in lieve calo. Meno gente sul lavoro, meno
morti e feriti. Tutto normale, ma anche quel calo fisiologico era comunque
inferiore (percentualmente) a quello dei posti di lavoro che si erano intanto
perduti. Se ne poteva dedurre facilmente che si lavorava comunque in condizioni
peggiori, con meno attenzione, tanto da parte delle aziende, quanto da parte di
lavoratori molto più ricattati di prima, alle misure di sicurezza.
Del resto i Governi (tutti) si erano
sforzati di ridurre i controlli e gli Ispettori del lavoro, segnalando così
alle aziende che ora dovevano preoccuparsi ancor meno di prima.
E’ bastato che il tasso di occupazione
ufficiale smettesse di scendere (molte nuove assunzioni sono in realtà
"emersioni dal lavoro nero" oppure passaggi contrattuali dalle varie
forme di precariato al nuovo "contratto a tutele crescenti",
incentivato con una decontribuzione che può arrivare fino a 8.000 euro annui
per tre anni) perché il numero dei morti ricominciasse a crescere in modo
addirittura drammatico: 163 morti in più rispetto al 2014 (+ 16%), cresciuti
del 18% gli infortuni mortali in occasione di lavoro. e del 12%.
I dati, elaborati dal l'Osservatorio
Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre, sulla base di dati INAIL, non
lasciano margini alle interpretazioni riduttive. "E' una vera strage che a
fine anno prende forme e contenuti di un massacro. Una tragedia che racconta di
1.172 vittime registrate sul lavoro da gennaio a dicembre 2015 e che fa
registrare un'inquietante media di 98 infortuni mortali al mese (24 alla settimana
e più di 3 al giorno). Uno scenario che diventa ancor più drammatico nel
confronto con il 2014. Perché l'incremento della mortalità registrato è del 16%
(163 morti in più); e arriva al 18% l'aumento dei decessi nella rilevazione
degli incidenti mortali avvenuti in occasione di lavoro (erano 746 nel 2014 e
878 nel 2015). Mentre quelli in itinere sono passati da 263 a 294 (+12%)".
In totale, 1.072 uomini e 100 donne. La
differenza, com'è intuibile, dipende dal fatto che i lavori più rischiosi sono
ancora appannaggio ("privilegio", direbbe magari qualche opinionista
ben foraggiato) dei maschi.
I dati disaggregati, peraltro, confermano
una certa uniformità su base territoriale, a conferma che lo sfruttamento
funziona dappertutto in modo sostanzialmente simile. Non c'è insomma differenza
significativa tra regioni più industrializzate e meno, tra territori più
rispettosi della legalità e quelli a maggiore presenza di attività
semi-illegali.
E’ infatti la Lombardia a indossare la
maglia nera con il più elevato numero di vittime in occasione di lavoro (124
decessi); seguono: la Campania (87), la Toscana (79), il Lazio (76), il Veneto
(71), l'Emilia Romagna (69), il Piemonte (66), la Sicilia (62), la Puglia (57).
E poi ancora: le Marche (29), l'Abruzzo (28), l'Umbria (22), la Calabria (21),
il Trentino Alto Adige e la Liguria (19), il Friuli Venezia Giulia (15), la
Sardegna (12), il Molise e la Basilicata (11). Mentre l'indice di rischio più
elevato rispetto alla popolazione lavorativa viene registrato in Molise (110,6)
contro una media nazionale di 39,2. Seguono Umbria (61,4) e Basilicata (61,1).
La disaggregazione per comparti produttivi
assegna ancora una volta all'edilizia la palma d'oro dei lavori killer: 132
vittime, pari al 15 per cento del totale. Seguono le attività manifatturiere
(109 decessi) e il trasporto e magazzinaggio (91).
Pesante anche la differenza per fasce di
età, perché (a dispetto delle regole scritte a tavolino da criminali che non
sanno cos'è il lavoro manuale) con l’avanzare dell'età aumenta fisiologicamente
il rischio di incidenti: più della metà delle vittime aveva un'età compresa tra
i 45 e i 64 anni (485 morti).
La provincia in cui si conta il maggior
numero di infortuni mortali è il regno storico dei "palazzinari",
Roma con 47 morti; seguono Milano (35), Napoli (34), Bari (26), Torino (23),
Brescia (21), Palermo e Salerno (19), Cuneo e Perugia (17), Verona e Bologna
(15).
Le donne che hanno perso la vita nel 2015
in occasione di lavoro sono state 48. Gli stranieri deceduti sul lavoro sono
138, pari al 15,7 per cento del totale, pur rappresentando una percentuale
assai inferiore sul piano degli occupati in generale. Significa che a loro sono
riservate le mansioni più rischiose, aggravate spesso dalla insufficiente
conoscenza della lingua e ovviamente anche delle leggi poste a tutela del
lavoratore.
“L’appellarsi al buon senso dei datori di
lavoro e dei dipendenti, a volte, non è sufficiente per esorcizzare i pericoli
in azienda” - conclude il presidente dell'Osservatorio, Rossato – “e allora
diventa sempre più indispensabile invocare controlli più diffusi e severi e,
senza alcun dubbio, pene certe e processi più veloci per gli evasori della
sicurezza sul lavoro".
L'esatto contrario di quel che vanno
facendo i Governi da 25 anni a questa parte.
22/01/2016
Redazione Contropiano
Redazione Contropiano
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