Marco Spezia
ingegnere e
tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto
“Sicurezza sul lavoro: Know Your Rights!”
Medicina
Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus
e-mail: sp-mail@libero.it
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INDICE
SlaiCobas per
il Sindacato di classe slaicobasta@gmail.com
LOGISTICA
KAMILA BERGAMO: CONTINUA LA LOTTA E LA SOLIDARIETA’
La Città Futura
noreply@lacittafutura.it
SPALLANZANI:
VERGOGNOSO ATTACCO ALLA LIBERTA’ DI PAROLA E ALL’ATTIVITA’ SINDACALE
La Città Futura
noreply@lacittafutura.it
FCA, LA PRODUZIONE
CONTINUA NONOSTANTE L’INCENDIO
Carlo Soricelli
carlo.soricelli@gmail.com
REPORT MORTI
SUL LAVORO DALL’INIZIO DELL’ANNO AL 31 LUGLIO 2017
Ancora in
marcia!!! redazione@ancorainmarcia.it
P.CARC. Sezione
di Massa carcsezionemassa@gmail.com
PRESIDIO AL
TRIBUNALE DI MASSA
La Città Futura
noreply@lacittafutura.it
UNA CRITICA
MARXISTA DEL “REDDITO MINIMO GARANTITO”
La Città Futura
noreply@lacittafutura.it
LAVORATORI
AUTOCONVOCATI DI TUTTO IL PAESE... UNITEVI!!
USB Ospedale
Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
I PROBLEMI
DELLA SICUREZZA SONO FRUTTO DEL PROFITTO
La Città Futura
noreply@lacittafutura.it
STRAGE DI
VIAREGGIO: DOPO OLTRE OTTO ANNI, ECCO LA SENTENZA
USB Ospedale
Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
SICUREZZA DEI
LAVORATORI IN SANITA’: UN MALFUNZIONAMENTO CREATO AD HOC
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From: P.CARC.
Sezione di Massa carcsezionemassa@gmail.com
To:
Sent: Monday, July 17, 2017 11:28 AM
Subject: PRESIDIO AL TRIBUNALE DI MASSA
SOSTENIAMO CHI
HA LOTTATO CONTRO IL JOBS ACT!
Il 20 luglio,
presso il Tribunale di Massa, si è tenuta la seconda udienza del processo
contro il compagno Marco Lenzoni accusato di aver promosso, il 2 dicembre del
2014, un corteo non autorizzato partito dal Comune di Massa e diretto alla sede
del PD, nell’ambito di una mobilitazione contro l’approvazione del Jobs Act che
era in discussione in Parlamento.
Il Jobs Act,
che è poi è stato approvato, è (come tutti ben sappiamo) un grave attacco ai
diritti dei lavoratori e non fa altro che aumentare precarietà e sfruttamento.
I risultati li
abbiamo sotto gli occhi. Basta guardare nel nostro territorio: disoccupazione
al pari delle zone più povere del sud Italia e lavori sempre più precari.
Marco verrà
processato per aver violato l’articolo 18 del Decreto Regio fascista del 1931.
Ecco a quali articoli si appella l’attuale classe dirigente per impedire le
contestazioni alle sue manovre antipopolari e criminali! Una legge del regime
fascista ancora in vigore nel nostro Paese.
Questo è
l’articolo 18 che piace ai padroni! Mentre hanno fatto di tutto per distruggere
e svuotare di ogni significato un altro articolo 18: quello dello Statuto dei
lavoratori.
Questo è il
solco netto che divide le masse popolari dai padroni, affaristi e capitalisti:
non è vero che siamo sulla stessa barca!
Oggi chi vuole
stare dalla parte delle masse popolari deve lottare per l’applicazione delle
parti progressiste contenute nella Costituzione, proprio quelle parti che,
guarda caso, dal dopoguerra ad oggi sono state sistematicamente disattese.
Basta un esempio, quello dell’articolo 4 che dice: “La Repubblica riconosce a
tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano
effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le
proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che
concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
A qualcuno
risulta che lo Stato garantisca, anche solo minimamente, il lavoro ad ognuno di
noi? Eppure i primi dodici articoli della Costituzione sono chiamati “Principi
fondamentali” e dovrebbero essere applicati prima degli altri!
Dobbiamo
organizzarci e applicare dal basso le parti progressiste della Costituzione
come ha fatto Marco e tutti coloro che si sono mobilitati contro l’approvazione
del Jobs Act, che colpiva lo Statuto dei lavoratori. Dobbiamo organizzarci e
rendere inapplicabili le norme antipopolari e apertamente anti-costituzionali
che vengono messe in campo solo nell’ottica del profitto, come ha fatto proprio
Marco Lenzoni (infermiere dell’ASL) nel 2013: quando ha effettuato il prelievo
ad una ragazza di Montignoso, anche se non aveva la possibilità di pagare
immediatamente il ticket sanitario, rischiando addirittura un provvedimento
disciplinare da parte della direzione della ASL.
Partito dei
Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo (CARC)
Sezione di
Massa “Aldo Salvetti” presso Spazio Popolare di via San Giuseppe Vecchio, 98
cellulare: 320
29 77 465
e-mail: carcsezionemassa@gmail.com
Profilo
Facebook: Aldo Salvetti (Carc Massa)
Pagina
Facebook: Sezione Massa P.CARC
web: http://www.carc.it
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From: La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday,
July 17, 2017 11:37 AM
Subject: UNA
CRITICA MARXISTA DEL “REDDITO MINIMO GARANTITO”
di Marco
Paciotti
15/07/17
Di fronte alla
crescente disoccupazione le forze politiche “progressiste” non riescono a
proporre altro che il “reddito d’inclusione”. Perché questa parola d’ordine non
è compatibile con un “Programma Minimo” comunista.
Il presente
articolo trae spunto dal materiale didattico (lucidi) preparato da Domenico
Laise, docente dell’Università La Sapienza di Roma, e presentato a un seminario
“Sull’attualità del pensiero economico di Marx”, tenuto presso l’Università
Popolare Antonio Gramsci, nell’anno accademico 2016-2017. Si desidera
ringraziare il professor Laise per i commenti alla prima stesura del presente
articolo.
Negli ultimi
decenni il dibattito sui temi economici è stato sistematicamente inquinato
dall’utilizzo di vari miti e credenze pseudo-scientifiche spacciati per dati
acquisibili attraverso la scienza economica. I principali argomenti sfruttati
in maniera strumentale per sviare l’opinione pubblica sono la “Fine del Lavoro”
umano, per cui viene indicato come responsabile l’incessante sviluppo
tecnologico, e la “Decrescita Felice”, secondo cui sarebbe possibile realizzare
un sistema capitalistico migliore, ovvero in grado di permettere una maggiore
tutela dell’ambiente.
La critica di
questi miti, portata avanti dal nostro giornale sulla base dell’analisi
economica di Marx, permette di spiegare l’importanza dell’obiettivo della
riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, come principale
rivendicazione di un “Programma Minimo Comunista” in una fase non
rivoluzionaria. In questa fase tale misura è l’unica in grado di fornire una
risposta praticabile alle contraddizioni intrinseche al sistema capitalista,
dato che i padroni, di fronte all’aumento della composizione organica del
capitale, che a sua volta determina la caduta tendenziale del saggio di
profitto, fanno di tutto per allungare la giornata lavorativa, spremendo al
massimo i lavoratori occupati. Processo, questo, accompagnato dall’aumento
della disoccupazione, imputabile all’utilizzo capitalistico della tecnologia
robotica.
Naturalmente,
in una fase di profonda crisi della soggettività comunista, che in Italia è al
suo apice, sui mezzi dell’informazione mainstream tale proposta risulta
pressappoco assente. Le forze politiche sedicenti progressiste, di converso, di
fronte all’approfondimento della crisi, dovuto all’implementazione senza freni
di politiche economiche irrazionali, non riescono a proporre altro rimedio che
il “Reddito Minimo Universale”, o “Reddito di inclusione”, nella sua versione
più recente, passata al vaglio del governo Gentiloni.
L’idea sottesa
al “Reddito Minimo” è il prodotto di un errato presupposto ideologico, quello
secondo cui è possibile modificare la distribuzione del reddito lasciando allo
stesso tempo inalterato il modo di produzione. Dall’altro lato esso risponde a
una strategia di redistribuzione in riposta alla cosiddetta “disoccupazione
tecnologica”. Gli economisti borghesi, che ritengono tale disoccupazione un
fatto naturale dovuto al “progresso tecnico esogeno”, hanno spesso proposto di
redistribuire il reddito. Le strategie redistributive sono essenzialmente di
due tipi: una redistribuzione del reddito tra le diverse classi sociali, oppure
una redistribuzione di reddito tra gli individui di una stessa classe.
La prima forma
è stata sempre sostenuta dai socialdemocratici riformisti, i quali, di fronte
alla constatazione che la classe dei lavoratori salariati non riceve mai il
“giusto salario”, affermano che bisogna modificare la distribuzione tra salari
e profitti, senza però alterare il modo di produzione. Posto in questi termini,
l’obiettivo della strategia redistributiva dall’alto verso il basso paventata
dai riformisti non è altro che un’utopia. Infatti, se si lascia invariato il
sistema produttivo, il salario tende al costo di riproduzione della forza
lavoro. Se invece il salario fosse significativamente oltre il costo della
riproduzione della forza lavoro il capitalismo vedrebbe minate le sue
condizioni d’esistenza. Il padrone già paga al lavoratore un “salario equo”,
nella misura in cui tale “equità” è quella definita dai rapporti di produzione
a lui favorevoli.
Lo stesso Marx,
criticando il programma di Gotha, che rivendicava la “giusta ripartizione del
frutto del lavoro”, affermava: “Che cosa è giusta ripartizione? Non affermano i
borghesi che l’odierna ripartizione è giusta? E non è essa in realtà l’unica
ripartizione giusta sulla base dell’odierno modo di produzione? Sono i rapporti
economici regolati da concetti giuridici oppure non sgorgano, al contrario, i
rapporti giuridici da quelli economici? Non hanno forse i membri delle sètte
socialiste le più diverse concezioni della giusta ripartizione?”. Piuttosto che
parlare di ingiustizia retributiva è più corretto parlare di iniquità
nell’utilizzo della forza-lavoro, sfruttata a esclusivo profitto di colui che
detiene il capitale, mentre il salariato è costretto a vendere giornalmente la
sua forza-lavoro. Il superamento di tale iniquità presuppone necessariamente il
superamento del modo di produzione capitalistico.
Nell’Anti-Dühring,
Engels sintetizzava tali posizioni, condivise dal filosofo tedesco Dühring e da
ampi settori della SPD, nella formula: “il modo di produzione capitalistico va
bene e può continuare a esistere, mentre il modo di distribuzione capitalistico
è del maligno e deve sparire”. Engels ribatté in questo modo: “aspettare dal
modo di produzione capitalistico un’altra distribuzione dei prodotti, significa
pretendere che gli elettrodi di una batteria, stando in collegamento con la
batteria, non debbano scomporre l’acqua e sviluppare ossigeno al polo positivo
e idrogeno al polo negativo”. Non si può rimuovere una conseguenza necessaria
(la ineguale distribuzione di ricchezza) senza rimuoverne le cause! D’altronde,
giova ripeterlo, il salario sociale reale è dato, nel sistema capitalista,
dall’insieme di merci necessarie in un dato momento storico alla riproduzione dei
lavoratori salariati e delle loro famiglie.
Fino a questo
momento abbiamo svelato la natura utopica delle proposte di redistribuzione
dall’alto verso il basso, ossia dalla quota profitti alla quota salari, tenendo
ferme le condizioni della produzione. Veniamo ora alle concrete proposte
dell’attuale governo, che ovviamente si inquadrano in una strategia
redistributiva sostanzialmente conservatrice, ossia orizzontale, tra le varie
categorie salariali dei lavoratori. In ultima analisi, il significato che assume
realmente la redistribuzione del reddito nella forma del “Reddito Minimo
Garantito” all’interno del salario sociale può essere illustrato facendo
riferimento alla proposta dell’imposta negativa sul reddito (NIT: Negative
Income Tax), avanzata da Milton Friedman, proprio lui l’ispiratore della Reagan
Economics. Tale meccanismo è semplice: un lavoratore che ha un reddito
inferiore al “Minimo Garantito”, riceve un sussidio, il quale è finanziato con
le tasse pagate dai lavoratori che hanno un reddito superiore al “Minimo
Garantito”. Quindi, il sussidio è positivo solo quando vi è uno scarto negativo
tra Reddito Percepito e la soglia di Reddito Minimo Garantito. Per gli altri
lavoratori il cui Reddito Percepito è pari o superiore alla stessa soglia, il
sussidio è nullo o negativo. In buona sostanza la NIT provoca una
redistribuzione del reddito all’interno del salario sociale, il quale resta
invariato. Ecco svelata la vera natura di trucco contabile del “Reddito Minimo
Garantito”, che non può assolutamente far parte di un “Programma Minimo” che si
prefigga di avanzare rivendicazioni nell’interesse dell’intera classe dei
lavoratori salariati, ivi incluso l’esercito industriale di riserva costituito
dalla massa dei disoccupati.
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From: La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday,
July 17, 2017 11:37 AM
Subject:
LAVORATORI AUTOCONVOCATI DI TUTTO IL PAESE... UNITEVI!!
di Roberto
Villani
15/07/17
Il giorno 7
luglio, presso la sala de Il cielo sopra l’Esquilino di via Galilei a Roma, i
lavoratori e le lavoratrici del neonato Coordinamento lotte unite hanno
organizzato un importante e partecipatissima assemblea in cui si è parlato
delle diverse vertenze aperte nella città di Roma.
Il
coordinamento, che comprende lavoratori di tante realtà diverse (Almaviva,
Alitalia, Sky, ACI informatica, Teatro dell’opera di Roma, GSE, AMPAL servizi,
Lavoratori Autoconvocati Scuola, Wind-3, Coordinamento Assistenti
Specialistici…) dopo aver partecipato nei mesi scorsi a diversi appuntamenti di
lotta, ha deciso di presentare pubblicamente il proprio percorso, i materiali e
le riflessioni fin qui realizzate e le proprie piattaforme rivendicative.
Nel confronto,
incentrato su come i lavoratori subiscono la crisi e l’attacco padronale in
questa difficile fase, si è parlato particolarmente della desertificazione del
tessuto produttivo romano a causa di esternalizzazioni, delocalizzazioni,
privatizzazioni, licenziamenti di massa.
Sono state
presentate le principali vertenze romane e non solo, da quelle di realtà
produttive come Alitalia, Almaviva, Tim, Sky, ACI informatica, Tuodì,
Spallanzani, GSE, a quelle dei lavoratori della scuola pubblica (dagli
insegnanti agli operatori specialistici).
Ed oltre ai
lavoratori autoconvocati di queste realtà sono intervenuti nel dibattito
esponenti di Cobas, Cub e USB, del PRC e del nostro giornale La città Futura.
La discussione
è stata ampia ed articolata. Più volte si è parlato dei recenti attacchi al
diritto di sciopero, delle leggi filo-padronali Jobs Act, buona scuola, riforma
Fornero, dei tagli ai servizi ed allo stato sociale (salario indiretto), della
compressione dei salari e dilatazione degli orari di lavoro, ma soprattutto
sono state cercate ed elaborate idee e soluzioni per contrastare l’attacco
padronale in atto.
Tutti i
presenti hanno convenuto sulla necessità di unire le lotte e le vertenze e
sull’importanza di organizzare strutture consiliari di lavoratori autonome e
trasversali alle rispettive appartenenze sindacali.
Il
Coordinamento lotte unite ha presentato materiali frutto di un’elaborazione
collettiva: due documenti con elementi utili a costruire piattaforme
rivendicative trasversali romane e nazionali ed un “Vademecum per il lavoratore
del XXI secolo – L’arte della lotta” che sarà presto disponibile on-line.
L’assemblea si
è conclusa con l’elaborazione e l’assunzione di due comunicati, uno contro la
privatizzazione dell’ATAC in contrapposizione al vergognoso referendum promosso
dai radicali e l’altro di solidarietà ai due lavoratori del coordinamento
autoconvocato dell’ospedale Spallanzani che, per aver denunciato i disservizi
dell’azienda sono vittime di un procedimento disciplinare.
Ovviamente il
percorso di radicamento e lotta del Coordinamento lotte unite continuerà, a
partire dai prossimi presìdi allo Spallanzani ed al GSE.
L’obiettivo del
percorso è sostanzialmente quello di costruire strutture consiliari di
lavoratori autoconvocati nei luoghi di lavoro della città e del paese per
aprire una nuova stagione di lotta che non possa esser frenata o gestita “al
ribasso” dalle burocrazie sindacali.
Negli anni ‘20
e negli anni ‘70 i consigli di fabbrica teorizzati da Gramsci nell’Ordine nuovo
rappresentarono le strutture che permisero un grande allargamento delle lotte e
nuovi rapporti di forza nel conflitto capitale-lavoro.
In questa
terribile fase di attacco violento del capitale in crisi, il Coordinamento
delle lotte unite vuole ripartire proprio da strutture consiliari di questo
tipo, per dare la necessaria spinta dal basso al movimento dei lavoratori, per
creare la connessione e l’unità che manca tra le diverse vertenze, per
costringere i sindacati ad unirsi e mettersi a disposizione della lotta
promossa dal basso.
Lavoratori
autoconvocati di tutto il paese… unitevi!!!
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From: USB
Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
To:
Sent:
Wednesday, July 19, 2017 5:32 AM
Subject: I
PROBLEMI DELLA SICUREZZA SONO FRUTTO DEL PROFITTO
Genova,
17/07/17
GASLINI: I
PROBLEMI DELLA SICUREZZA SONO IL FRUTTO DEL PROFITTO
Stamattina si è
verificato ennesimo incidente al Gaslini per un malfunzionamento di un frigo
che per immediato intervento dei Vigili del Fuoco non ha comportato eccessive
problematiche.
Recentemente il
Gaslini sta dimostrando di investire sulla sicurezza, perchè obbligato da PSAL
e Organo di Vigilanza ma ciò che mette a rischio ogni tentativo di miglioria è
il rapporto tra questa amministrazione e questa dirigenza con il personale ed i
loro referenti.
Dopo la recente
situazione che ha visto erogare un provvedimento disciplinare ad un
rappresentante della sicurezza dei lavoratori dopo che lo stesso ha subito
un’aggressione dalla caposala solo per essere andato a visionare un sito dopo
segnalazione di un lavoratore, è facilmente immaginabile che d’ora in poi, chi
si accorgesse di qualche malfunzionamento di qualche apparecchiatura avrà il
timore di segnalarlo. Questa caposala e la dirigente che ha firmato il
provvedimento disciplinare stanno instaurando un clima di paura che potrebbe
ripercuotersi sulla sicurezza.
Purtroppo non
si tratta di un caso isolato ma questo genere di situazioni si verificano in
molte aziende pubbliche e private.
Le Linee Guida
INAIL dichiarano che la sicurezza sul lavoro non può mai essere di livello
conflittuale ma sappiamo benissimo che le cose stanno diversamente. Per chi
denuncia all’inizio vi è il silenzio e se insiste vi sono le minacce e le
ritorsioni.
La sicurezza
sul lavoro ha sicuramente un alto costo ma mai alto come il costo che devono
pagare INAIL e INPS per infortuni, pensioni, malattie professionali, danni. La
visione dell’apparato è miope. I dirigenti di prima fascia sono a tempo
determinato e non devono sforare un certo budget, i medici competenti hanno
contratti brevi e si muovono sul filo del rasoio, le risorse per gli organi
adibiti al controllo sono molto poche e non vengono sanzionati i dirigenti che
utilizzano soldi pubblici per cause giudiziarie facilmente evitabili.
Recentemente
abbiamo chiesto in Commissione Sanità l’istituzione di un albo ex esposti
amianto. Il silenzio della politica è stato assordante. Perchè?
“Semplicemente”
perchè la salute ha un costo e non ce lo possiamo permettere o perlomeno questo
è ciò che ci vogliono far credere.
La sicurezza ha
sicuramente un costo e non vogliono pagarlo per la salute di ciò che questi
dirigenti e questa politica considerano merce ovvero lavoratori e cittadini.
Osservatorio
Sicurezza Sanità USB
USB FEDERAZIONE
REGIONALE LIGURIA
via Cantore
29/2 16149 Genova
telefono: 010
41 69 34
fax: 010 46 61
06
web: http://genova.usb.it
e-mail: liguria@usb.it
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From: SlaiCobas
per il Sindacato di classe slaicobasta@gmail.com
To:
Sent: Monday, July
24, 2017 8:09 AM
Subject:
LOGISTICA KAMILA BERGAMO: CONTINUA LA LOTTA E LA SOLIDARIETA’
LOGISTICA
KAMILA: CONTINUA LA LOTTA E LA SOLIDARIETA’ ANCHE CON LA “TENDA DEL LAVORO”
SOSTENERE LA
CASSA DI RESISTENZA
Continua la
lotta dei lavoratori Kamila dello Slai Cobas per la difesa del posto di lavoro,
contro il cambio appalto improvviso, 90 lavoratori messi fuori dopo 10 anni di
anzianità nel magazzino e dal 25 maggio sospesi senza stipendio, perchè una
delle due cooperative ha lasciato da un giorno all’altro l’appalto. Mentre da
quel giorno è iniziata una vera e propria sostituzione con altri lavoratori non
sindacalizzati e con paghe più basse, che attraverso le cooperative del
consorzio Cisa vengono presi tra i disoccupati di lungo corso disposto anche ad
avere una paga dimezzata, o tra lavoratori spostati da altri appalti facendo
anche la doppia giornata lavorativa, per svolgere il lavoro dei 90 sospesi. Lo
scopo, come è emerso da dichiarazioni degli stessi responsabili aziendali, è
far fuori una realtà, lo Slai Cobas, che stava combattendo per condizioni
migliori.
Tutto questo
con l’avvallo dell’appaltante Kamila che continua così a fornire le merci alla
grande distribuzione, garantendo il servizio al padrone delle merci e cliente
di maggioranza del magazzino di Brignano: il network Agorà (supermercati
Tigros, Iperal, Poli, ecc.), che ogni giorno, a seconda delle vendite, impone
il flusso delle merci nel magazzino di Brignano, ossia quanti migliaia di colli
e in quanto tempo, devono essere movimentati dai lavoratori delle cooperative.
Un sistema di
appalti e subappalti fondato all’aumento dei ritmi di lavoro e lo sfruttamento
dei facchini usa e getta, da cui traggono profitti: cooperative, consorzi,
grandi trasportatori, gestori delle logistiche, padroni della distribuzione.
Una situazione
inaccettabile e paradossale, legittimata dalla mancanza di garanzie del
mantenimento del posto di lavoro in caso di cambio appalto, visto che nel
contratto nazionale della logistica di CGIL, CISL, UIL gli articoli 42 e 42bis
lasciano mano libera alle cooperative che possono in qualsiasi momento
abbandonare l’appalto e lasciare per strada i lavoratori, liberando anche il
resto della catena della distribuzione logistica (consorzi, committenti,
clienti) delle loro responsabilità di fronte a veri e propri licenziamenti
collettivi mascherati quando il lavoro c’è e continua nel magazzino.
Lo Slai Cobas
con i lavoratori ha deciso di riprendere la mobilitazione e nei giorni scorsi
anche nella forma della tenda del lavoro, per denunciare il silenzio delle
istituzioni (Prefettura), degli enti preposti al controllo sui luoghi di lavoro
(ASL e DTL), dei media locali che non hanno mai voluto approfondire le
condizioni dentro i magazzini logistici, quando ci sono tutti gli elementi per
farlo, perchè sulle loro testate ci stanno in bella evidenza gli sponsor dei
grandi marchi della distribuzione...
Ma anche e
principalmente del cliente Agorà che a precise responsabilità su quanto sta
avvenendo, visto che aprono nuovi supermercati eliminando gli operai che con il
loro lavoro decennale hanno permesso la crescita del magazzino.
Una tenda per
non lasciare in pace tutto questo sistema che prima ti spreme e ti rompe la
schiena e poi ti butta via come una merce avariata.
Una tenda del
lavoro, per cercare di unire tutti i 90 lavoratori alla lotta per la difesa del
posto di lavoro, ma un lavoro dignitoso con i diritti, non a testa bassa come
vorrebbero le cooperative.
Una tenda per
chiamare alla solidarietà gli altri lavoratori che lottano nello stesso settore
della logistica e trasporti, se toccano uno, toccano tutti, perchè se passa in
silenzio questo scempio siamo tutti più deboli.
Ma dobbiamo
denunciare che questa solidarietà, unità dei lavoratori viene rotta anche da
chi dovrebbe sostenerla. In particolare denunciamo l’USB che si muove con la
logica del 4° sindacato e che con il verbale dell’ultimo incontro segna la sua
distanza dalla lotta dei lavoratori e sceglie di fare un lavoro di
fiancheggiatori delle cooperative e della loro criminalizzazione della lotta
del sindacato avvallando la tesi del sabotaggio (vedi verbale e commento
pubblicati nei giorni scorsi):
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From: La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday,
July 24, 2017 3:11 PM
Subject:
SPALLANZANI: VERGOGNOSO ATTACCO ALLA LIBERTA’ DI PAROLA E ALL’ATTIVITA’
SINDACALE
di Roberto
Villani
22/07/17
SPALLANZANI:
VERGOGNOSO ATTACCO ALLA LIBERTA’ DI PAROLA E ALL’ATTIVITA’ SINDACALE
MA
ALL’ARROGANZA DEI PADRONI RISPONDE LA SOLIDARIETA’ DEI LAVORATORI RIUNITI IN
PRESIDIO
PRESENTI
LAVORATORI EX-ALMAVIVA, SKY, ACI INFORMATICA E ALTRE REALTA’ DI LOTTA
Martedì 18
luglio, alle ore 8.30, presso l’ospedale Spallanzani di Roma, i lavoratori e le
lavoratrici dell’ospedale e di altre realtà in lotta nella capitale hanno
svolto un presidio di solidarietà per Alessia e Lorenzo, infermieri e
rappresentanti sindacali COBAS chiamati a rispondere davanti al collegio
disciplinare sotto la minaccia di licenziamento.
La motivazione
del procedimento disciplinare fa rabbrividire. I due lavoratori sono infatti
“rei” di aver compiuto semplicemente il loro dovere, ossia di aver
pubblicamente denunciato i vergognosi risultati di anni di politiche di
privatizzazioni selvagge e di tagli indiscriminati ai servizi pubblici
essenziali: carenze di personale, condizioni di lavoro sempre peggiori, a
partire da un assurdo regime orario che non risparmia neanche i turni notturni,
una conseguente diminuzione della qualità dell’assistenza e dei servizi e la
chiusura di interi reparti. Il tutto condito da una direzione dell’ospedale che
ha assunto un atteggiamento sempre più dirigista e verticista, che vuole
precludere ai lavoratori ogni confronto riguardo le decisioni intraprese.
Evidentemente i
lorsignori, non contenti di questa progressiva distruzione della Sanità
Pubblica, a tutto vantaggio del profitto privato e della logica aziendalista,
ben consci della sostanziale irrazionalità delle loro decisioni, vogliono anche
evitare che i lavoratori esercitino i sacrosanti diritti di critica e
d’informazione. Così facendo, essi tradiscono la loro paura. Paura perché le
lavoratrici e i lavoratori hanno alzato la testa, e, costituendo un
Coordinamento, stanno organizzando una opposizione alle scellerate politiche
sanitarie volute dai padroni, avallate dalle varie giunte regionali e dai vari
governi; cercando in questo modo di estendere la coscienza dei propri diritti a
tutti i lavoratori del settore (amministrativi, tecnici, ausiliari) e ai
pazienti, coinvolgendoli nella lotta. In poche parole SOLIDARIETA’ e COSCIENZA
DI CLASSE: due ottimi antidoti alla “peste” infettiva rappresentata dalle
politiche padronali.
In questo senso
è importante sottolineare la presenza al partecipato presidio di numerose altre
realtà lavorative in lotta (ex-Almaviva, Sky, Aci Informatica), una
partecipazione importante che preannuncia future mobilitazioni, perché il caso
che ha coinvolto Alessia e Lorenzo è veramente emblematico di una filosofia di
direzione aziendale che pretende il potere assoluto e la negazione di ogni
libertà d’espressione e di critica. Un caso che deve trovare la solidarietà di
tutti i lavoratori.
ALESSIA E
LORENZO SONO PARTE DELLA NOSTRA LOTTA. GUAI, GUAI, GUAI A CHI LI TOCCA!
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From: La Città
Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Monday,
July 24, 2017 3:11 PM
Subject: FCA,
LA PRODUZIONE CONTINUA NONOSTANTE L’INCENDIO
di Pavel Vlasov
29/07/17
UN INCENDIO
DEVASTANTE COINVOLGE ANCHE LO STABILIMENTO FCA DI TERMOLI
MA LA
PRODUZIONE NON SI E’ FERMATA IMMEDIATAMENTE
LA DENUNCIA DEL
PRC E DEI SINDACATI
Quanto vale
l’incolumità di un lavoratore? Quanto vale in FCA? Quanti pezzi costa la sua
sicurezza? Le domande possono apparire provocatorie (e forse un po’ lo sono),
ma sono domande che vanno poste, dopo gli eventi che hanno coinvolto lo
stabilimento FCA di Termoli, in Molise.
Nella città
molisana dove è presente lo stabilimento FCA che produce motori e cambi, nei
giorni scorsi si è sviluppato un pauroso incendio. Buona parte dell’area dove sorge
la zona industriale è andata a fuoco, fortunatamente senza interessare le
industrie chimiche che lì sono presenti. Ma le fiamme non hanno risparmiato lo
stabilimento FCA.
Per avere
un’idea delle proporzioni dell’incendio, si pensi che per motivi di sicurezza
sono stati chiusi decine di chilometri di autostrada A14 (da Vasto Sud a Poggio
Imperiale), la Strada Statale 87 è stata bloccata al traffico per 6 kilometri.
Anche il transito ferroviario è stato interrotto. Non ha subito interruzioni
immediate, invece, la produzione FCA.
Nello
stabilimento molisano la produzione è andata avanti per diverso tempo
nonostante le fiamme lambissero lo stabilimento, fino a coinvolgerlo in aree al
suo interno. Mentre le fiamme devastavano la zona industriale e i fumi rendevano
impraticabili diverse strade nei suoi pressi, i lavoratori FCA sono rimasti
diverso tempo nei capannoni a produrre motori e cambi. Né il management dello
stabilimento si sarebbe premurato di evitare l’ingresso in fabbrica degli
operai del secondo turno. Quasi tutto normale: lo spettacolo (della produzione)
deve continuare. E’ quanto denunciano siano i sindacati che il PRC, con una
nota del segretario nazionale, Maurizio Acerbo.
Questa la
ricostruzione, minuto per minuto, della USB.
“Alle 13.30 un
importante incendio sviluppatosi nei pressi dello stabilimento, interessa
l’ingresso retrostante, dal lato delle centrali della fabbrica. Il vento forte
e le temperature altissime non lasciano possibilità di ben sperare, rispetto
alla pericolosità dell’avanzata del fronte di fuoco.
Alle 14 il
turno inizia regolarmente. Chi è uscito a quell’ora ha avuto immediata la
misura della drammaticità del disastro.
Alle 14.15 c’è
stato un primo blackout di circa dieci minuti, e verso le 14.30 un secondo
simile. Intanto ancora panico e confusione. La notizia dell’interruzione delle
prime strade intorno allo stabilimento, poi Termoli e tutto il Molise, fino in
Puglia, Basilicata, Abruzzo e Campania.
Alle 14.45
suona l’allarme bitonale. Ma le indicazioni date ai lavoratori sono state
diverse tra le varie aree, e comunque molte non coerenti con le norme di
sicurezza.
Dalle 15.15 i
lavoratori si recano finalmente fuori. Ma se di ordine di evacuazione si è
trattato, perché a molti di loro è stato chiesto, se volessero uscire o no?
Ma l’interesse
per la sicurezza dei lavoratori, importa ancor meno fuori dai cancelli. Senza
effetti personali e senza mezzi di trasporto pubblici si sono dovuti
arrangiare. Abbandonati in un’area industriale con un incendio in corso, vicino
agli impianti FCA nonché a fabbriche chimiche e turbogas.
E se ci fossero
state dispersioni di fumi? Gli altri con mezzo proprio, hanno vagato per ore
alla ricerca di una strada percorribile per uscire dall’anello di fiamme creato
intorno alla zona industriale e tornare a casa.
Poi
contrariamente all’interruzione delle attività, il messaggio della ripresa
delle produzioni è giunto chiaro e tempestivo alle 19, quando ancora non era
stato completamente spento il fuoco. Ovviamente era il solito messaggio di
notifica mandato in serie dalla FCA al Consiglio delle RSA firmatarie, e da
queste inoltrato ai lavoratori: alle 22 l’attività riprende normalmente.
Chi ha valutato
la salubrità degli ambienti e la tossicità dei materiali combusti
nell’incendio? Cosa abbiamo respirato quella sera in fabbrica, e cosa
continueremo a respirare, tra tanfo e caldo terribile, e con impianti
malfunzionanti? E’ sicuro, al rientro, un ambiente di lavoro, che la notte
scorsa è stato di nuovo evacuato per due ore, a causa dei fumi che rientravano
da fuori? Quale materiale è capace di continuare a bruciare dopo ancora due
giorni?”
Michele De
Palma, coordinatore nazionale FCA della FIOM CGIL, fa notare dal suo profilo
Facebook che “visto che l’incendio di vaste proporzioni minacciava lo
stabilimento, sarebbe stato utile al fine di prevenire e garantire da qualsiasi
rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori, allontanare per tempo chi
già era sul primo turno e fermare l’arrivo e l’ingresso in fabbrica del secondo
turno”. Stessa denuncia dal SOA (Sindacato Operai Autorganizzati), che racconta
come i lavoratori “nonostante tutto, avevano cominciato regolarmente la
produzione e solo in un secondo momento, quando è saltata la corrente elettrica
e le macchine hanno smesso di funzionare, gli operai sono stati allarmati e
invitati nelle aree di raccolta emergenza a 40 gradi sotto il sole”. “Eppure” -
continua la nota del SOA - “quando alle 13.30 circa i dipendenti del secondo
turno erano arrivati, c’era già una situazione di pericolo e di disagio e pertanto
non sarebbero nemmeno dovuti entrare”.
Molto duro
Maurizio Acerbo (PRC): “Il pericolo era evidente, eppure la dirigenza dello
stabilimento di Termoli ha ritenuto di far proseguire le attività produttive e
addirittura di far entrare i lavoratori del secondo turno. Cosa sarebbe
accaduto se le fiamme, favorite dai forti venti di scirocco, avessero coinvolto
serbatoi e impianti pericolosi? Non vogliamo nemmeno immaginarlo e per fortuna
nessun lavoratore si è fatto male. Ma non si può sottacere l’ingordigia e la
protervia del management FCA, che anche davanti a un fronte di fuoco che
minaccia la fabbrica e l’incolumità dei lavoratori impone la prosecuzione delle
attività”.
Ingordigia di
produzione, di produttività, di profitti. D’altronde è questa la tara del
modello Marchionne: estrarre profitto dalla fatica dei lavoratori fino
all’ultima goccia di sudore; un modello che strizza acqua anche da un
asciugamano asciutto. Un modello, quello Marchionne, che “spreme i lavoratori
fino all’ultimo secondo utile e che viene applicato in FCA anche quando
l’incolumità dei lavoratori è oggettivamente a rischio”, accusa il segretario
nazionale di Rifondazione Comunista, secondo cui è proprio il modello
Marchionne che deve essere contrastato. Perché dopo questo nuovo (e solo per
fortuna non tragico) evento, è ancora più evidente che per la FCA di Marchionne
i profitti vengono prima di tutto, anche quando si è di di fronte ad una
emergenza che mette a rischio l’incolumità dei lavoratori.
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From: Carlo
Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Monday,
July 31, 2017 6:09 PM
Subject: REPORT
MORTI SUL LAVORO DALL’INIZIO DELL’ANNO AL 31 LUGLIO 2017
L’osservatorio
Indipendente di Bologna morti sul lavoro monitora tutti i morti sul lavoro e
non solo gli assicurati INAIL
Al 31 luglio
2017 dall’inizio dell’anno sono 399 i morti sui luoghi di lavoro, oltre 900 con
le morti sulle strade e in itinere. Al 31 luglio nel 2016 erano 374 i
lavoratori morti per infortuni sui luoghi di lavoro, registriamo un aumento del
+ 6,3%. Al 31 luglio del 2008 anno di apertura dell’Osservatorio i morti per
infortuni sui luoghi di lavoro furono 354 (+11,2%).
Chi parla di
continui cali non spiega agli italiani che quelli diffusi dall’INAIL e dai
media non sono rappresentativi di tutti i morti sul lavoro. Se si vogliono
confrontare con i morti dell’Osservatorio con quelli dell’INAIL occorre fare
riferimento ai morti di questo istituto senza il mezzo di trasporto. Tantissime
denunce arrivate all’INAIL per infortuni mortali, che tra l’altro sono parziali
e non comprensive di tutte le categorie, l’anno successivo, una volta valutate
le cause spariranno dalle statistiche. Mediamente ogni anno sono il 30/40% di
tutte le denunce arrivate a questo Istituto dello Stato non vengono
riconosciute come infortuni mortali sul lavoro. Ma quelle denunce non
riconosciute, chi riguardano, e perché non sono riconosciute? Parliamo di
400/500 denunce di lavoratori morti per infortuni. E’ un miracolo che fa
resuscitare questi morti?
L’anno scorso
in Europa sono stati 10.000 i lavoratori morti mentre andavano o tornavano dal
lavoro (indagine europea). Tantissime le donne sovraccaricate sul posto di
lavoro, oltre che dal carico famigliare e dai lavori domestici. Quando in
itinere sono alla guida di un’automobile hanno spesso incidenti anche mortali.
Molti infortuni poi non vengono riconosciuti come tali a causa della normativa
specifica dell’itinere. E quando andate a vedere ogni anno le denunce per
infortuni pervenute all’INAIL vi accorgete che poi successivamente non vengono
riconosciute come morti sul lavoro mediamente il 30/40% delle denunce per
infortuni mortali.
Occorre
ricordare che anche quest’anno, come i precedenti, che un lavoratore su cinque
muore schiacciato dal trattore che guida. Ma con questa casta parlamentare,
nessuno escluso, parlare della vita di chi lavora e come parlare di niente.
Le percentuali
delle morti nelle varie categorie sono sempre quelle tutti gli anni.
L’agricoltura ha sempre più del 30% delle morti sul totale, segue l’edilizia
che supera ogni anno il 20%. Poi l’industria e l’autotrasporto che si
contendono sempre il terzo e quarto posto in questa triste classifica. Ma
queste due categorie sono sempre sotto il 10%, nonostante milioni di addetti e
questo, per fortuna, abbiamo ancora sindacati che esercitano controlli sulla
Sicurezza. Gli stranieri morti per infortuni sui luoghi di lavoro sono in
questo momento il 10% sul totale.
E’ spaventoso
pensare che i nostri giovani non trovano lavoro e si è innalzata l’età per
andare in pensione di molti anni anche a chi svolge lavori pericolosi. Anche
quest’anno il 31% dei morti sui luoghi di lavoro ha dai 61 anni in su.
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LE MORTI VERDI
PROVOCATE DAL TRATTORE
Strage
continua, sono già 92 dall’inizio dell’anno gli agricoltori morti schiacciati
dal trattore. A questi occorre aggiungere tanti altri che sono morti o perché
trasportati a bordo (anche bambini) o per le strade a causa di incidenti
provocati da questo mezzo. Da quando nel 2014 si insediò il Governo Renzi, poi
Gentiloni abbiamo come ministro delle Politiche Agricole Martina, sono morti in
modo così atroce ben 496 guidatori di questo mezzo mortale. Tra l’altro il
parlamento ha rinviata per l’ennesima volta la Legge Europea che obbliga chi
giuda questo mezzo mortale a sottoporsi a un esame che ne verifichi l’idoneità
alla guida.
Un morto su
cinque sui luoghi di lavoro di tutte le categorie è causato dal ribaltamento
del trattore. Occorrerebbe (ma lo scriviamo da tanti anni senza nessun
risultato) che chi ci governa faccia una campagna informativa sulla
pericolosità del mezzo. E chi di dovere metta a disposizione forti incentivi
per mettere in sicurezza i vecchi trattori.
MORTI NELLE
REGIONI E PROVINCE ITALIANE NEL 2017 PER ORDINE DECRESCENTE
Sono esclusi
dalle province i morti sulle autostrade e all’estero.
NOTA BENE
I morti
segnalati nelle Regioni sono solo quelli sui LUOGHI DI LAVORO. Con le morti
sulle strade e in itinere gli infortuni mortali in ogni provincia e regione
sono mediamente il 120% in più ogni anno.
VENETO 40:
Venezia 5, Padova? 4, Rovigo 5, Treviso 7, Verona 10, Vicenza 9.
LOMBARDIA 39:
Milano 6, Bergamo 6, Brescia 6, Como 1, Cremona 1, Lecco 3, Lodi 2, Mantova 3,
Monza Brianza 4, Pavia 3, Sondrio 4.
ABRUZZO 30:
L’Aquila 7, Chieti 4, Pescara 12 Teramo 7.
SICILIA 26:
Palermo 4, Agrigento 5, Catania 2, Enna 2, Messina 1, Ragusa 4, Siracusa 1,
Trapani? 7.
CAMPANIA 28:
Napoli 10, Avellino 2, Benevento 3, Caserta 7, Salerno 6.
EMILIA ROMAGNA
25: Bologna 3. Forlì Cesena 1, Ferrara 3, Modena 4, Parma 4, Piacenza 3,
Ravenna 4, Reggio Emilia 3.
PIEMONTE 23:
Torino 8, Alessandria 2, Asti 2, Biella 1, Cuneo 8, Verbano Cusio Ossola 1,
Vercelli 1.
TOSCANA 20:
Firenze 2, Grosseto 4, Livorno 3, Lucca 2, Massa Carrara 1, Pisa? 5, Pistoia 1,
Prato 1.
LAZIO 19: Roma
6, Viterbo 6, Frosinone 2, Latina 5.
PUGLIA 18: Bari
4, BAT 1, Brindisi 4, Foggia 3, Lecce 5.
CALABRIA 16:
Catanzaro 2, Cosenza 8, Crotone 1, Reggio Calabria 3, Vibo Valentia 2.
LIGURIA 11:
Genova 3, Imperia 2, La Spezia 1, Savona 5.
MARCHE 11:
Ancona 2, Macerata 1, Pesaro Urbino 6, Ascoli Piceno 2.
SARDEGNA 9:
Cagliari 3, Oristano 3, Sassari 3.
UMBRIA 8:
Perugia 5, Terni 3.
FRIULI VENEZIA
GIULIA 7: Trieste 2, Gorizia 1, Udine 4.
TRENTINO ALTO
ADIGE 6: Trento 1, Bolzano 5.
MOLISE 6:
Campobasso 3, Isernia 3.
BASILICATA 1:
Potenza 1.
I morti sulle
autostrade e all’estero non sono a carico delle province.
I MORTI DEL
TERREMOTO IN EMILIA
Molte delle
vittime del terremoto in Emilia erano lavoratori rimasti schiacciati per il crollo
dei capannoni. Lo stesso terremoto che ha colpito l’Umbria e le Marche ha
evidenziato che i capannoni industriali in Italia sono per la maggior parte a
rischio sismico. E’ un miracolo che non ci siano stati morti nella cartiera a
Pioraco di Macerata. Il tetto è crollato nel cambio turno, nella fabbrica
stavano lavorando solo 20 persone che sono riuscite a scappare. L’intero tetto
della sala macchine è crollato. In questa fabbrica ci lavorano complessivamente
146 lavoratori e se fossero stati tutti all’interno ci sarebbe stata una
strage. E’ un miracolo, come nel terremoto in Emilia che pur provocando vittime
tra i lavoratori è capitato di notte e in orari dove nelle fabbriche ci
lavoravano pochissime persone. La maggioranza dei capannoni industriali in Italia
sono stati costruiti in anni dove non si teneva in nessun conto del rischio
sismico. Tantissimi di questi capannoni hanno le travi solo appoggiate sulle
colonne e nel caso di terremoti possono muoversi dall’appoggio e crollare.
Se non si
comincia a farli mettere in sicurezza è a rischio la vita di chi ci lavora
sotto, e parliamo di milioni di lavoratori. Del resto con incentivi e
detassazioni si potrebbero mettere tutti in sicurezza con una spesa non
eccessivamente alta.
REPORT MORTI
SUL LAVORO NELL’INTERO 2016
Nel 2016 sono
morti 641 lavoratori sui luoghi di lavoro e oltre 1.400 se si considerano i
morti sulle strade e in itinere (stima minima per l’impossibilità di
conteggiare i morti sulle strade delle partite IVA individuali e dei morti in
nero), e di altre innumerevoli posizioni lavorative, ricordando che solo una
parte degli oltre 6 milioni di Partite IVA individuali sono assicurate
all’INAIL. L’unico parametro valido per confrontare i dati dell’INAIL e di chi
li utilizza per fare analisi, e dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti
sul lavoro sono i morti per infortuni INAIL senza mezzo di trasporto, e
confrontare quanti ne registra in più l’Osservatorio. Si ha così il numero
reale delle morti per infortuni sui LUOGHI DI LAVORO IN ITALIA e non solo degli
assicurati INAIL.
Carlo Soricelli
Curatore
dell’Osservatorio Indipendente d Bologna morti sul lavoro
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From: Ancora in
Marcia!!! redazione@ancorainmarcia.it
To:
Sent: Thursday,
August 03, 2017 10:18 AM
Subject: STRAGE
DI VIAREGGIO: DOPO OLTRE OTTO ANNI, ECCO LA SENTENZA
ANCORA IN
MARCIA!
GIORNALE DI
CULTURA, TECNICA E INFORMAZIONE POLITICO SINDACALE, DAL 1908
STRAGE DI
VIAREGGIO: I GIUDICI, “SI POTEVA EVITARE”
DOPO OLTRE OTTO
ANNI, ECCO LA SENTENZA.
STRAGE DI VIAREGGIO,
PUBBLICATE LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
SCRITTO IL
PRIMO ATTO DELLA STORIA GIUDIZIARIA DELLA STRAGE DI VIAREGGIO. I GIUDICI DICONO
CHE “SI POTEVA EVITARE”.
ECCO LA
SENTENZA COMPLETA DELLE MOTIVAZIONI DI CONDANNE E ASSOLUZIONI PER IL GRAVISSIMO
DISASTRO FERROVIARIO AVVENUTO IL 29 GIUGNO 2009:
Quella che
resterà alla storia come la strage ferroviaria di Viareggio, 32 morti e
centinaia di feriti, poteva essere evitata.
Ecco le
motivazioni della sentenza.
REGOLE TECNICHE
NON RISPETTATE E SEGNALI DI ALLARME IGNORATI
In queste
parole scritte dai tre giudici del Tribunale di Viareggio vi è la sintesi
estrema di questa tragedia, essa “costituisce un ‘evento’ derivato da una
concatenazione di accadimenti strettamente consequenziali tra loro che sarebbe
stato possibile evitare attraverso il rispetto di consolidate regole tecniche
create proprio al fine di garantire la sicurezza del trasporto ferroviario e
soprattutto, prestando massima attenzione ai diversi segnali di allarme che si
erano manifestati già prima del fatto e che preludevano al disastro”. Così si
esprime il Tribunale di Lucca in una delle 1.027 pagine della sentenza. Una
frase che sintetizza al meglio e conferma solennemente quello che da otto anni
affermiamo insieme ai familiari delle vittime.
RISPARMO E
SCELTE GESTIONALI
I giudici,
riguardo alle società coinvolte nel processo, ritengono che esse abbiano
“ottenuto vantaggi consistenti nel risparmio economico derivato dalla omissione
di interventi di carattere tecnico”.
RESPONSABILITA’
DELL’AMMINISTRATORE DELEGATO
Un passaggio
importante è dedicato alla figura apicale, quella dell’Amministratore Delegato,
al quale “non poteva e non doveva sfuggire l’assenza di adeguata analisi e
valutazione dei rischi connessi alla circolazione di convogli trasportanti
merce pericolosa sull’intera rete nazionale”.
Secondo i
giudici “le omissioni sono espressione di una generale linea aziendale e
imprenditoriale di precise scelte gestionali, in particolare in materia di
manutenzione, nonché di strutturali carenze organizzative e valutative
risalenti nel tempo e facenti capo direttamente ai vertici di RFI e
all’amministratore delegato”. Quindi chi ricopriva quell’incarico “era ben
consapevole delle violazioni, dell’assenza dei livelli di sicurezza. Avrebbe
potuto ben prevedere i tragici effetti che potevano conseguire dalla violazione
delle norme cautelari e avrebbe potuto evitare gli eventi”.
UN’ATTESA LUNGA
OTTO ANNI
Ci sono voluti
oltre otto anni per vedere riconosciute le “cause” della strage che sconvolse
la città di Viareggio quella tragica sera del 29 giugno 2009 e per conoscere le
motivazioni delle condanne inflitte a 23 degli imputati. Oltre che le ragioni
delle condanne, sono di notevole interesse anche quelle delle assoluzioni
totali e parziali riconosciute ad alcuni imputati, tra cui Mauro Moretti e
Vincenzo Soprano. Decisioni che non mancheranno di produrre ulteriori sviluppi
in sede di appello.
DOCUMENTO
COMPLESSO
E ci sono
voluti oltre sei mesi al Collegio giudicante per scrivere, nero su bianco in
oltre mille pagine, la storia giudiziaria della strage. Un documento che, per
la sua complessità, necessita di un’attenta e approfondita lettura. Ci
riserviamo di effettuare un commento dettagliato sulle principali questioni nei
prossimi giorni.
MORETTI “NON
ERA” IL CAPO
Tra le
motivazioni più attese vi è quella della controversa assoluzione parziale di
Moretti per il suo ruolo di amministratore della Società Capogruppo, FS SpA.
Secondo il Tribunale non sono sufficienti i suoi innumerevoli interventi
nell’attività propria delle società controllate e della sua presenza incombente
in ogni attività aziendale di RFI e Trenitalia, ampiamente documentati
dall’accusa, per stabilire una responsabilità penale.
PIENAMENTE
APPLICABILI LE LEGGI SULLA SICUREZZA DEL LAVORO
Altro aspetto
significativo è il riconoscimento delle aggravanti relative alla violazione
della normativa sulla sicurezza del lavoro. Il Collegio giudicante ha
ampiamente motivato che al disastro ferroviario di Viareggio si applicano le
norme del Testo Unico D.Lgs. 81/08 con particolare riguardo all’obbligo di
effettuare la “valutazione dei rischi” anche a fronte dell’esistenza di
normative specifica del settore ferroviario e relative alle sostanze chimiche
pericolose. Anzi, sottolineano i giudici, la evidente pericolosità del GPL
imponeva cautele maggiori da parte di tutti i soggetti coinvolti.
UNA SENTENZA
PER COMPRENDERE LA NUOVA “JUNGLA FERROVIARIA”
Una sentenza
complessa e articolata che può aiutare a comprendere (quasi fosse un trattato
di economia politica e tecnica ferroviaria) i sofisticati meccanismi
regolamentari, societari e tecnici, che governano il traffico ferroviario in
Italia e in Europa nell’attuale regime concorrenziale. Un traffico,
liberalizzato e privatizzato che somiglia sempre più alla “giungla” della
strada, con frammentazione degli operatori e forti difficoltà di controlli e
accertamenti preventivi da parte delle istituzioni statali.
23 CONDANNE
Il verdetto,
letto in aula a Lucca il 31 gennaio scorso, ha riconosciuto colpevoli e
condannato 23 imputati tra 5 e 9 anni, tra loro Mauro Moretti (7 anni), Michele
Elia (7 anni e 6 mesi), Vincenzo Soprano (7 anni e 6 mesi) e Giulio Margarita
(6 anni e 6 mesi) e assolto gli altri dieci. Condannate pure cinque società per
responsabilità amministrative.
CONFERMATA
SOSTANZA DELLE ACCUSE
Pur riducendo
la maggior parte delle pene richieste, salvo che per alcuni imputati per i
quali sono state aumentate (e una condanna per un imputato che la procura
chiedeva di assolvere), la sentenza ha confermato l’impianto accusatorio e
l’individuazione delle responsabilità anche per gli amministratori, sebbene per
Mauro Moretti e Vincenzo Soprano siano stati giudicati non pertinenti alcuni
capi d’imputazione.
DOCUMENTO A
DISPOSIZIONE DI TUTTI
Pur nella sua
poderosa mole, e nella difficoltà di lettura e comprensione, mettiamo a
disposizione di tutti l’intero documento affinché chiunque possa leggerlo ed
entrare (anche se attraverso il freddo linguaggio giuridico) nella tragedia che
si è compiuta a Viareggio in quella calda notte d’estate. Un modo per
comprendere il dolore dei sopravvissuti, dei familiari delle vittime, ma anche
la presa d’atto istituzionale della vulnerabilità e dei pericoli connessi ai
sistemi di trasporto delle merci pericolose, circostanze che da oggi le
imprese, lo Stato e l’Unione Europea non possono più ignorare.
DALLE AULE GIUDIZIARIE
A QUELLE DEI PARLAMENTI
Mentre la
vicenda giudiziaria proseguirà con i suoi riti e i suoi tempi, il problema
della sicurezza del trasporto ferroviario si sposta oggi nei luoghi della
politica. Dopo questa sentenza, quali che siano gli esiti nei successivi gradi
di giudizio, i “decisori politici” che siedono nelle aule dei parlamenti
nazionali e in quello europeo, nonché i tecnocrati dell’Agenzia Europea (ERA) e
di quelle nazionali (ANSF per l’Italia), non potranno più privilegiare “il
totem” della concorrenza sfrenata sui binari a danno della sicurezza. In questa
sentenza sono tracciate (seppure in modo non esplicito) le cause strutturali
intrinseche alle ferrovie liberalizzate, al pari delle autostrade, e indicati i
correttivi da adottare per ottenere controlli realmente efficaci da imporre su
tutti gli aspetti tecnici e politico economici del trasporto ferroviario.
---------------------
From: USB
Ospedale Gaslini ospedalegaslini.sanita@usb.it
To:
Sent: Monday,
August 07, 2017 4:46 PM
Subject:
SICUREZZA DEI LAVORATORI IN SANITA’: UN MALFUNZIONAMENTO CREATO AD HOC
COMUNICATO
STAMPA
SICUREZZA DEI
LAVORATORI IN SANITA’: UN MALFUNZIONAMENTO CREATO AD HOC
Come in ogni
azienda i RLS (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza) sono i delegati
a tutela della sicurezza. I lavoratori possono rivolgersi a loro in caso di
richiesta di aiuto.
Cosa succede?
Gli RLS si
rivolgono al RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione e
quindi “consulente” per il Direttore Generale in qualità di datore di lavoro
per questa materia) per porre la questione.
Quando il RSPP
non interviene, l’RLS può rivolgersi all’ente esterno preposto a tutelare la
sicurezza dei lavoratori.
In Liguria si
chiama PSAL ed è un organo della ASL3 (in ogni regione si chiama in maniera
differente) e a Genova consta in organico di soli 3 medici che si dovrebbero
occupare del rispetto del D.Lgs. 81/08 e delle malattie professionali di ogni
singola azienda pubblica e privata (tranne che per i lavoratori della ASL3 per
non rischiare un conflitto) e quindi è letteralmente impossibile che ciò
accada.
Quindi il RLS
aziendale (sempre che rispetti il suo ruolo e non sia nominato da sigle
sindacali che gli dicano di stare al “suo posto”) cercherà di portare avanti la
questione. A questo punto scattano le ritorsioni, i provvedimenti disciplinari
e minacce varie in un’ottica contraria al bene pubblico. Infatti maggiormente
un lavoratore è tutelato, meno spese vi sono per i cittadini.
Pertanto, a
nostro avviso, questo tipo di dirigenti dovrebbero essere sanzionati.
Ma vi è un
altro aspetto, ovvero che i dirigenti in questione sono di nomina politica e
quindi anche da questa parte non vi saranno interventi di alcun tipo.
Non
dimentichiamo che tra i dirigenti e i Medici Competenti vi sono moltissime
persone oneste ma sono a tempo determinato e di nomina politica quindi
perennemente sotto ricatto.
Ma veniamo a
due esempi pratici.
Un’estate molto
calda ha riportato in auge la questione del microclima adeguato nei luoghi di
lavoro (Allegato IV del D.Lgs. 81/08 e Linee Guida INAIL 2006 per chi volesse
approfondire).
Un RLS chiede
al datore di lavoro un controllo sulle condizioni microclimatiche del sito
lavorativo. Il datore non interviene. Allora chiede intervento dello PSAL.
L’azienda pubblica, che non ha effettuato alcun controllo risponde che questa
attività non è soggetta a controllo esterno e che è tutto in regola, Lo PSAL
non ha disposizione alcuna centralina (ricordiamo che l’unico strumento per la
misurazione del microclima è apposita centralina con personale formato per
leggere i dati). E quindi nulla, resta tutto come è.
Riteniamo
incredibile che vi siano solo 3 medici del lavoro per tutto il territorio
genovese e che la Regione Liguria non si doti di apposita centralina per il
controllo microclimatico. E non riguarda “solamente” i lavoratori, ma anche i
cittadini in siti, ad esempio, come le scuole se pur “sotto” il Comune.
Secondo
esempio.
Le linee guida
regionali sulle funzioni del Medico Competente invitano le aziende a creare un
percorso a tutela del lavoratore con prescrizione/limitazioni che preservi da
incidenti sia il lavoratore che l’utenza.
Ma questo non
avviene.
Solitamente
viene detto al lavoratore di arrangiarsi e viene inserito nel pieno
dell’organico a causa della carenza di personale.
Sareste
contenti se a somministrarvi la terapia fosse magari un infermiere con problemi
di burn out o che da mesi subisce mobbing in costante terapia?
Gli
investimenti, la correttezza e la cultura della sicurezza (oltre che dirigenti
adeguati) permettono di risparmiare e di evitare gravi incidenti.
NON
DIMENTICHIAMOLO!!!
Genova,
07/08/17
Osservatorio
Nazionale Sanità USB per la sicurezza sul lavoro
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