mercoledì 6 gennaio 2021

5 gennaio - contributo al dibattito: IL DIBATTITO NEL PATTO D'AZIONE SERVE SE LEGATO ALLA REALTA' CONCRETA

 Nei giorni scorsi si è svolto nel Patto d'azione un "dibattito" attraverso documenti, interventi on line, in particolare su nazionalizzazione e patrimoniale. A premessa, indipendentemente dal merito, riteniamo non utile, sbagliato fare un dibattito a prescindere dalla realtà concreta. Il dibattito deve far crescere l'analisi, la lotta, o altrimenti si usa uno spazio, quello del PdA solo per sciorinare le proprie posizioni. Nel PdA discriminante del dibattito deve essere il legame con la realtà concreta e in funzione dell'intervento del PdA nella realtà concreta, capace di intervenire nelle lotte importanti, indipendentemente se ci siamo o non ci siamo. E' fenomenale che si facciano documenti, per esempio, su “nazionalizzazione”, e non venga detta parola sulla Whirpool che chiude e mette fuori tutti gli operai mentre il governo balbetta, come sul passaggio – decisivo, di valore nazionale, punto di riferimento di capitale e governo per altri accordi in altre fabbriche – dell'accordo governo/ArcelorMittal, su cosa accade nella più grande fabbrica in Italia e in Europa dove oggi lo Stato entra con capitale pubblico. E' l'azione del capitale, della borghesia da un lato e l'azione del movimento operaio dall'altra che danno l'ordine di priorità dei temi da affrontare e soprattutto di come devono essere affrontati, per quale scopo. Altro non interessa. E' l'azione del capitale, della borghesia da un lato e l'azione del movimento operaio dall'altra che danno l'ordine di priorità dei temi da affrontare e soprattutto di come devono essere affrontati, per quale scopo. Altro non interessa. 

Ma diciamo qualcosa anche nel merito.

Sulla patrimoniale. La patrimoniale è una legittima, necessaria, storica rivendicazione sindacale/sociale contro lo scaricamento della crisi sui lavoratori e le masse popolari; va insieme alla tassazione dei redditi alti, e alla lotta contro evasione fiscale; è un obiettivo di difesa per i proletari che evidenzia che lo scontro è contro il sistema capitalista e la divisione di classe tra un pugno di ricchi e la stragrande maggioranza di lavoratori e masse popolari. I comunisti usano questa rivendicazione per denunciare la vera natura del governo, dello Stato al servizio dei capitalisti e dei ricchi e mostrare anche su questo che la vera possibilità di attaccare gli utili dei padroni, i patrimoni della borghesia è porre fine al dominio economico politico della classe capitalista. Tutto il resto è economicismo, per cui la lotta economica, rivendicativa dovrebbe addirittura espropriare le ricchezze borghesi e nazionalizzare le banche senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto controllo dei lavoratori. Per avallare queste posizioni, si usa un pezzo dell'Indirizzo alla Lega dei Comunisti del 1850 (*) che dice esattamente il contrario di ciò che si vuole dimostrare; dice che gli operai devono smascherare le illusioni riformiste, devono essere “disfattisti” verso lo Stato, propugnare la rovina del grande capitale, perchè dicano: vogliamo tutto, non ci accontentiamo di risultati parziali; dice che gli operai “debbono spingere all'estremo le misure proposte dai democratici.. e trasformarle in attacco diretto alla proprietà privata” - vale a dire: sono i democratici che fanno queste proposte, e gli operai radicalizzandole mostrano che quelle proposte sono possibili attaccando la proprietà privata, 

(*)“Naturalmente al principio del movimento, gli operai non potranno ancora proporre misure direttamente comuniste. Ma essi... debbono spingere all'estremo le misure proposte dai democratici.. e trasformarle in attacco diretto alla proprietà privata. Così, ad esempio, quando i piccolo borghesi proporranno di acquistare le ferrovie e le fabbriche, gli operai dovranno rivendicare che tali ferrovie e fabbriche siano confiscate dallo Stato puramente e semplicemente, senza risarcimento... Se i democratici proporranno l'imposta proporzionale, o una imposta progressiva moderata, gli operai insisteranno per una imposta così rapidamente progressiva che il grande capitale ne sia rovinato. Se i democratici chiederanno che si regolino i debiti dello Stato, gli operai chiederanno che lo Stato faccia bancarotta.. Essi debbono fare l'essenziale per la loro vittoria finale chiarendo a se stessi i propri interessi di classe, non lasciando che le frasi ipocrite dei piccolo borghesi li sviino neppure per un istante dall'organizzazione indipendente del partito del proletariato.. Il loro grido di battaglia dev'essere: la rivoluzione in permanenza!”

Sulla nazionalizzazione - sostenuta in particolare dal Pcl - E' una rivendicazione necessaria lì dove la fabbrica chiude e tutti gli operai vengono licenziati. Qui, necessariamente bisogna rivendicare che sia lo Stato a prendere la fabbrica. Si tratta quindi di una lotta difensiva, per respingere la chiusura di una fabbrica. E' un primo passo inevitabile.

Ma ciò non cambia affatto le leggi del sistema capitalista che regolano le azioni anche dello Stato – non solo perchè lo Stato è al servizio del capitale, ma perchè non potrebbe fare altrimenti, anche se volesse sarebbe anch'esso ristretto nelle leggi del capitale (per esempio, sulla questione delle fabbriche dell'acciaio, anche lo Stato si troverebbe ad affrontare la crisi mondiale del mercato dell'acciaio, e a rispondere con tagli della forza-lavoro e riduzione dei costi generali del lavoro, tra cui quelli per la sicurezza e la salute). Chi parla di nazionalizzazione senza legarla ad una lotta precisa contro la chiusura di una fabbrica nasconde che le leggi del capitale regolano la situazione a livello mondiale; che ogni azione in Italia, in una zona, in una fabbrica è determinata dalla situazione mondiale e assoggettata ad un mercato sempre più internazionalizzato. I casi portati ad esempio dai "nazionalizzatori" – Argentina, altro in America Latina, cooperative di autoproduzione, ecc. mostrano, a volte utilmente, le potenzialità, possibilità di un sistema socialista ma non l'attualità, permanenza di esse in un sistema capitalista; altre volte sono invece negative perchè vengono poste come la via alternativa al rovesciamento rivoluzionario del sistema capitalista, e in questo soprattutto non pongono/nascondono la questione del potere politico e che è necessario che la classe operaia lotti per un cambiamento politico non solo economico. In altre ipotesi che non siano quelle di fabbriche in chiusura, la nazionalizzazione è una parola d'ordine sbagliata. Neanche lì dove c'è un grave problema di inquinamento, perchè nel momento in cui c'è il padrone, è il padrone che deve pagare i danni. Sono invece stupidaggini riformiste parlare di “senza indennizzo” e “sotto controllo operaio”. Chiaro, se una fabbrica chiude, il capitalista va via, la nazionalizzazione senza indennizzo è un dato di fatto, ma in generale lo Stato in questo sistema capitalista dovrà per forza indennizzare il padrone. Sul “controllo operaio”, poi, si dicono “parole al vento”: “...proprio l'occupazione dell'azienda chiama in causa il tema della proprietà. Travalica i confini di una normale vertenza sindacale e pone il problema di chi comanda. La rivendicazione della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo degli operai, cioè dell'esproprio degli azionisti, è la proiezione naturale dell'occupazione dell'azienda”.

Non si possono tirare fuori questioni come “controllo operaio”, “occupazioni di fabbriche” e non far riferimento alla situazione concreta, alla storia del movimento operaio in Italia nelle sue punte più alte, l'"Autunno caldo” e alle esperienze concrete di questi anni (Innse); e soprattutto senza l'intervento prioritario del Patto alle fabbriche.

Su questa questione della "nazionalizzazione" ha detto parole che chiameremmo di buon senso in questo dibattito Roberto Luzzi: “Se l’unità produttiva faceva parte di un gruppo, che se ne libera, risulterà impossibile continuare a produrre separandosi dalle catene di approvvigionamento e fornitura (e reti di vendita) del gruppo, quindi si dovrebbe mettere in piedi ex novo catene di approvvigionamento sul mercato mondiale (verosimilmente spuntando prezzi meno favorevoli dato il minore potere di mercato) e una rete di vendita. Se invece era un’azienda a sé stante, si tratta di riuscire dove il vecchio padrone/la vecchia dirigenza aveva fallito. Dovrebbe farlo lo Stato, tramite un curatore fallimentare o un manager di nomina pubblica, “sotto controllo operaio”. Oppure, nel caso dell’esproprio tout court, dovrebbero farlo gli operai, dopo essersi improvvisati manager. Dovranno riuscire a stare sul mercato, là dove i vecchi manager avevano fallito. Perché il prodotto resta una MERCE, che deve essere venduta sul MERCATO, in regime di concorrenza.
Una volta che prenderanno in mano i libri contabili, e faranno i conti sui costi dei componenti, i costi di esercizio, gli indicatori di produttività, ecc. si renderanno conto che occorrerebbero ad es. nuovi macchinari, per acquistare i quali dovranno rivolgersi alle banche, che se faranno loro credito chiederanno alti tassi di interesse dato l’alto rischio (oppure, nel caso di esproprio da parte del collettivo, dovranno impegnare il loro TFR, rischiando il tutto per tutto), e si troveranno a disporre di un’unica “variabile indipendente” su cui possono agire per diventare più competitivi: il “costo del lavoro”, l’abbassamento del loro salario… Non c’è nessun “controllo operaio” che possa controllare il mercato mondiale...”.

Noi l'avevamo già detto a proposito dell'Ilva: “...lo Stato avrebbe comunque il problema della “crisi di mercato”. Non è che solo perchè interviene lo Stato il mercato improvvisamente compra l'acciaio, non c'è più il problema dei dazi, della crisi di sovrapproduzione che loro stessi hanno provocato, ecc.. Lo avrebbero uguale questo problema. Allora, o stiamo parlando di uno Stato che impone che tutti prendano l'acciaio italiano, alla Salvini maniera, o altrimenti la nazionalizzazione non è la panacea.

Mittal o nazionalizzazione, intervento dello Stato... Il problema è che chiunque venga, nessuno operaio deve uscire fuori, nessuno operaio deve essere messo in cassintegrazione, nessun padrone o Stato non deve fare le bonifiche reali dentro e fuori la fabbrica. Ma questo neanche lo Stato lo garantisce! Per questo se si vede l'intervento dello Stato come la soluzione, è sbagliato e profondamente riformista: non di obiettivo di “transizione” si tratta ma rischia di essere obiettivo di conservazione, di soluzione per un sistema produttivo del capitalismo in crisi”.


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