ROMA – Cosa ci guadagna un’impresa
ad assumere e licenziare nel giro di pochi mesi? Ora come ora, solo grane
giudiziarie. E il rischio di reintegrare e risarcire il lavoratore, se così
decide il giudice. Dal primo gennaio, belle cifre. Per uno stipendio medio (22
mila euro lordi annui), dai 5 ai 16 mila euro, a seconda se si licenzia dopo
uno o tre anni. Ma si può arrivare anche a 6.600 euro dopo appena dodici mesi.
È l’effetto matematico e paradossale degli sconti su Irap e contributi
previdenziali inseriti nella legge di Stabilità, da una parte. E degli
indennizzi previsti dal Jobs Act per il nuovo contratto a tutele crescenti,
dall’altra. Gli incentivi sono assai cospicui, mentre l’esborso dovuto in caso
di licenziamento illegittimo – ora che l’articolo 18 di fatto non esiste più –
è davvero risibile.
Una mensilità e mezzo per anno lavorato,
secondo l’ipotesi più accreditata (ma le associazioni imprenditoriali puntano a
meno). Così, visto che il lavoro oramai ha un prezzo, al datore conviene
davvero il contratto nuovo. Più che le tutele, a crescere sarà solo il suo
conto in banca.
Si dirà, è un’ipotesi di scuola. Se
prendo un lavoratore e lo tengo tre anni, perché licenziarlo? Per lo stesso
motivo per cui ora i contratti a termine durano pochi mesi. Porte girevoli. La
crisi è tutta qui. Lo sconto Irap (deducibilità del costo del lavoro) è
permanente. Quello sui contributi previdenziali per i neoassunti (con un tetto a
8.060 euro annuo) vale fino al 2017. Entrambi non hanno vincoli. Né alla
stabilizzazione del lavoratore, né a creare posti aggiuntivi. Tantomeno
prevedono riserve, ad esempio ad aziende meritevoli che investono in ricerca o
che non hanno licenziato nel recente passato (la sinistra dem diceva di voler
inserire paletti alla Camera, non è stato fatto). Dunque perché rinunciare ai
soldi pubblici dati a tutti, se poi licenziando anche in modo illegittimo si
deve sborsare appena una mensilità e mezza per anno lavorato?
Viva il contratto a tutele crescenti,
dunque. Il saldo a favore delle imprese, calcolato per diversi livelli di
reddito dal Servizio politiche territoriali della Uil, lascia sgomenti. Dopo un
solo anno, si possono intascare oltre 6 mila euro. Dopo tre anni, quasi 19
mila. Il massimo al Sud, perché lo sconto Irap è più generoso, grazie alla
norma Monti. A proposito di Sud, i fondi per coprire il bonus contributivo sui
neoassunti (3 miliardi e mezzo nel triennio) sono stati scippati dal Piano
azione e coesione creato dall’ex ministro Barca. Fondi europei, dunque. E fondi
destinati proprio al Sud, ora spalmati su tutta Italia (con presumibile
maggiore beneficio al Nord, laddove si assumerà di più). Il paradosso nel
paradosso.
Impossibile che gli imprenditori
italiani non facciano questi calcoli. Nel giro di tre settimane,quando il primo
decreto delegato del Jobs Act sarà ormai messo a punto, il quadro emergerà
ancora più nitido. Il decreto dirà, finalmente, come funziona il contratto a
tutele crescenti. E cioè che a crescere sarà solo l’indennizzo, visto che di
riavere il posto dopo il licenziamento benché illegittimo neanche a parlarne
(spetta solo se c’è discriminazione e in selezionatissimi casi disciplinari).
Ma come crescerà, l’indennizzo? Una mensilità e mezzo per anno lavorato è
davvero poco. La legge Fornero ora in vigore prevede fino a 12 mensilità, a
prescindere dall’anzianità, e il reintegro: entrambi decisi dal giudice al
termine della causa di lavoro. Per le aziende sotto i 15 dipendenti il reintegro
non c’è ed è sempre il giudice a decidere un risarcimento tra le 6 e le 12
mensilità. In tutti e due i casi, una situazione certo migliore, specie per i
precari con poca anzianità, di quanto si profila con il Jobs Act. Qualcosa
davvero non funziona.
Da La Repubblica del 09/12/2014.
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