La
sicurezza e la vita umana non si monetizzano
Michele
Michelino * | Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di
Lavoro e nel Territorio
29/06/2019
Viareggio. Assemblea Nazionale delle Associazioni e Comitati delle stragi Per la difesa della vita, per la salute, la sicurezza, l'ambiente Alcune note dopo la sentenza d'Appello di condanna dei responsabili della strage ferroviaria di Viareggio (32 morti).
29/06/2019
Viareggio. Assemblea Nazionale delle Associazioni e Comitati delle stragi Per la difesa della vita, per la salute, la sicurezza, l'ambiente Alcune note dopo la sentenza d'Appello di condanna dei responsabili della strage ferroviaria di Viareggio (32 morti).
I
morti sul lavoro, le malattie professionali e del profitto non sono
mai una fatalità.
Gli
infortuni sul lavoro, le malattie professionali, e le stragi del
profitto sono sempre il risultato della mancanza di adeguate misure
di sicurezza, che provocano condizioni di vita e di lavoro insicure
in ambienti insalubri, a contatto con sostanze nocive e cancerogene,
senza adeguate protezioni per i lavoratori che coinvolgono sempre più
spesso anche la popolazione.
Secondo
l'ILO (l'International Labour Office), ogni giorno muoiono nel mondo
più di seimila persone per infortuni e malattie professionali,
mentre le stragi provocati da disastri ambientali a tutt'oggi non
sono conteggiate.
Le
stragi di lavoratori morti per infortuni sul lavoro e malattie
professionali sono sempre da bollettino
di guerra, nonostante la diminuzione dei posti di lavoro dovuti alla crisi economica che dura dal 2008.
di guerra, nonostante la diminuzione dei posti di lavoro dovuti alla crisi economica che dura dal 2008.
Le
malattie professionali diluiscono semplicemente le morti nel tempo:
per esposizione o contatto con sostanze nocive e cancerogene nel
processo di produzione, l'ILO stima che ogni anno perdano la vita
circa 438.000 lavoratori, cifra senz'altro in difetto rispetto alla
realtà.
L'amianto,
in particolare, è responsabile della morte di 100.000 persone l'anno
(più di 4.000 nella sola Italia, 11 al giorno, uno ogni due ore).
Nella
crisi si sono ridotti i posti di lavoro, ci sono meno lavoratori
occupati ma aumentano i morti sul lavoro e le malattie professionali.
Secondo
i dati INAIL le denunce d'infortunio sul lavoro presentate
all'Istituto tra gennaio e dicembre 2018 sono state 641.261 (+0,9%)
rispetto allo stesso periodo del 2017), 1.133 delle quali con esito
mortale (+10,1%). In aumento anche le patologie di origine
professionale denunciate, che sono state 59.585 (+2,5%). Eppure il
governo invece di far pressione sui datori di lavoro per migliorare
gli ambienti di lavoro e di vita e sull'INAIL per aumentare le
rendite (in alcuni casi miserabili per chi è invalido a vita) ha
premiato i datori di lavoro diminuendo il premio assicurativo. Cioè
meno
soldi per i risarcimenti delle vittime sul lavoro: questa è la
novità di una delle nuove leggi contenute nel decreto, "Sblocca
cantieri", che prevede una riduzione del 30% dei premi
assicurativi contro gli infortuni che devono essere pagati all'Inail
dalle aziende.
Sul
lavoro e di lavoro per il profitto si continua a morire come
nell'Ottocento: ogni anno come prima e più di prima
Anche
nel 2019 i morti e gli infortuni sono in aumento- Le denunce
d'infortunio sul lavoro presentate all'Istituto tra gennaio e aprile
2019, sono state 210.720 (+2,4% rispetto allo stesso periodo del
2018), 303 delle quali con esito mortale (+5,9%). In lieve aumento
anche le patologie di origine professionale denunciate, che sono
state 21.224 (+164 casi) .
Questo
ha comportato un aumento dei processi tuttora in corso per ottenere
una giustizia che non arriva mai e che - quando tardivamente arriva -
grazie alla prescrizione concede l'impunità a chi avrebbe dovuto
tutelare la salute dei lavoratori ma non l'ha fatto. La stessa
comunità scientifica - distinta fra consulenti delle multinazionali
(lautamente pagati) e quelli del PM e delle vittime - è divisa su
quale approccio utilizzare. Così per i giudici attribuire le
responsabilità è molto difficile: di solito si sceglie di assolvere
gli assassini .
Il
nostro Comitato, parte civile in numerosi processi, ha visto esposte
tesi diverse con esiti giudiziari opposti.
Milano
è il simbolo della complessità giudiziaria della materia. Pirelli,
Breda, La Scala, Alfa Romeo, Enel di Turbigo, Franco Tosi, ATM e
altre ancora: la maggior parte dei processi in cui sono imputati i
dirigenti delle aziende i cui dipendenti si sono ammalati di
mesotelioma si è finora conclusa con assoluzioni. Pirelli è stata
portata in tribunale sia nel capoluogo lombardo sia in quello
piemontese: una vicenda giudiziaria all'apparenza speculare che però
ha avuto esiti opposti. Nel maggio del 2017 il quarto processo
Pirelli di Settimo Torinese ha visto condannati in primo grado sei ex
dirigenti dello stabilimento. A Milano i sette ex manager dei poli di
viale Sarca e via Ripamonti, imputati per la morte di 28 operai, sono
stati invece assolti.
Datori
di lavoro o manager che mandano a morte consapevolmente i lavoratori
senza fornirgli misure di protezioni individuali e collettive pur di
risparmiare sulla sicurezza, senza dare informazioni sui rischi e la
pericolosità delle sostanze usate mettendo a rischio anche la
popolazione vanno perseguiti penalmente.
Per i responsabili delle stragi dell'amianto, come per quelli di altre stragi (Viareggio, Ponte Morandi, Casa dello Studente dell'Aquila e altre ancora) secondo noi non esiste solo l'omicidio colposo ma anche il reato di dolo eventuale, che andrebbe punito con un aggravamento della pena, almeno al pari di quella per omicidio stradale, ipotizzando in questi casi anche il reato di anche il reato di strage.
Per i responsabili delle stragi dell'amianto, come per quelli di altre stragi (Viareggio, Ponte Morandi, Casa dello Studente dell'Aquila e altre ancora) secondo noi non esiste solo l'omicidio colposo ma anche il reato di dolo eventuale, che andrebbe punito con un aggravamento della pena, almeno al pari di quella per omicidio stradale, ipotizzando in questi casi anche il reato di anche il reato di strage.
Oggi
gli esperti che stanno dalla parte delle aziende portano avanti una
teoria più articolata - rispetto all'amianto - per impedire
l'attribuzione di responsabilità ai manager. Sostengono che vadano
prese in considerazione solo le esposizioni iniziali all'asbesto che
risalgono ai momenti più remoti della storia lavorativa di quella
persona, negando tutte le esposizioni successive, che secondo questo
ragionamento, non avrebbero alcuna influenza sull'insorgere della
malattia. Una tesi che, nella stragrande maggioranza dei casi, non
permette di perseguire penalmente i dirigenti perché si va troppo
indietro nel tempo, i diretti interessati non ci sono più e quindi
il reato è prescritto.
In
realtà noi vediamo sulla nostra pelle e quella dei nostri compagni
che più amianto respiri, più sei a rischio.
Un'altra
fetta di ricercatori si è però schierata a favore di un'altra tesi
che mette in correlazione l'esposizione prolungata all'amianto con il
rischio di sviluppare il mesotelioma. Interpretazione che nei
processi è solitamente presentata dall'accusa, perché riconosce
anche ai manager che si sono succeduti negli anni la responsabilità
di non aver bonificato gli stabilimenti.
Chi
appoggia la teoria delle esposizioni iniziali non prende in
considerazione il numero di studi a disposizione: ricerche condotte
su lavoratori esposti all'asbesto da decenni e studi autoptici su
persone morte di mesotelioma hanno dimostrato univocamente una
relazione di proporzionalità tra la quantità di esposizione alla
fibre e la probabilità di ammalarsi.
Più
si è esposti e respira o ingerisce amianto, più fibra si deposita
nella pleura, nei polmoni e nel corpo più è probabile che si formi
il tumore o si acceleri la malattia. Lo stesso vale per tutti i
cancerogeni: non esiste soglia di sicurezza se non il rischio zero da
noi rivendicato.
Nell'incertezza
su chi abbia ragione e chi torto, dunque, non si arriva ad alcuna
attribuzione di responsabilità. Per questo la sentenza sull'Enel di
Chivasso (Torino) è considerata un caso-scuola eccezionale: per la
prima volta la Cassazione ha riconosciuto l'effetto patogeno
provocato dall'esposizione continuata all'amianto, rigettando le
teorie sulla "dose killer" o sulle esposizioni iniziali. I
tre amministratori della centrale avvicendatisi negli anni alla guida
dell'azienda sono stati condannati in via definitiva per omicidio
colposo.
Di
lavoro si continua a morire
Gli
incidenti sul lavoro in Italia hanno fatto più morti fra i
lavoratori che fra i soldati dell'alleanza occidentale della 2°
guerra del Golfo. L'Eurispes ha calcolato che dall'aprile 2003
all'aprile 2007 i militari che hanno perso la vita sono stati 3.520,
mentre dal 2003 al 2006 in Italia i morti sul lavoro sono stati ben
5.252 e l'età media di chi perde la vita è intorno ai 37 anni.
Secondo
dati Eurostat (del 2005) ogni anno 5.700 persone muoiono a causa di
incidenti sul lavoro. L'OIL (Organizzazione Internazionale del
Lavoro) stima che altri 159.500 lavoratori perdano la vita a causa di
malattie professionali. Sommando i dati, si stima che ogni 3 minuti e
mezzo nell'Unione Europea ci sia un decesso per cause legate
all'attività lavorativa.
Anche
le malattie professionali non tabellate dall'INAIL sono in aumento:
nel 2002 erano il 71%, nel 2006 sono arrivate all'83%, mentre si
calcolano in 200mila gli incidenti sommersi e non denunciati.
Questi
dati ci dicono che avremmo estremo bisogno di prevenire gli
"incidenti", le malattie professionali e le stragi
ambientali, mettendo in sicurezza i luoghi di lavoro ed eliminando le
sostanze cancerogene dai processi e dagli ambienti di lavoro.
Serve
una medicina preventiva in grado di rintracciare le cause che
producono malattie e morte e di eliminarle, ma questo non è
nell'interesse di chi ha trasformato la salute e la morte in una
fonte di profitto.
In questa società gli esseri umani sono trattati come merce, come cose e la natura è ridotta a qualcosa da saccheggiare selvaggiamente. Da qui la causa delle "catastrofi naturali" che di naturale non hanno niente. Oltre ai governi, ai datori di lavoro, tocca quindi anche alle Associazioni e Comitati delle vittime, ai lavoratori, ai RLS ricordare - anche entrando in conflitto con padroni, governi e istituzioni - che i lavoratori sono esseri umani e non numeri.
In questa società gli esseri umani sono trattati come merce, come cose e la natura è ridotta a qualcosa da saccheggiare selvaggiamente. Da qui la causa delle "catastrofi naturali" che di naturale non hanno niente. Oltre ai governi, ai datori di lavoro, tocca quindi anche alle Associazioni e Comitati delle vittime, ai lavoratori, ai RLS ricordare - anche entrando in conflitto con padroni, governi e istituzioni - che i lavoratori sono esseri umani e non numeri.
Il
nostro paese ha il suo fondamento nella Costituzione Repubblicana,
che all'art. 32 recita "La
Repubblica Italiana tutela la salute come fondamentale diritto
dell'individuo e della collettività",
arrivando a dichiarare che la stessa iniziativa privata - pur essendo
libera - "non
può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da
recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana"
(art. 41 II comma cost.).
Il
ruolo delle associazioni e dei RLS consiste proprio nel fare
applicare questa norma. Non basta intervenire dopo che il danno c'è
stato, bisogna intervenire per prevenirlo.
L'amianto
come tutte le sostanze cancerogene provocano danni che sono
all'origine di numerosi tumori. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti
che non esistono soglie di sicurezza o di tolleranza alle sostanze
cancerogene.
Sebbene
sia necessario, non basta predisporre dispositivi di protezione
individuali o collettivi per la riduzione del rischio, ma bisogna
adoperarsi affinché il rischio sia ridotto a zero. L'esposizione
alle fibre di amianto riduce l'attesa di vita di chi è stato
esposto, facendo inoltre vivere lui e la sua famiglia nel terrore di
ammalarsi, e questa situazione è già una malattia.
I
lavoratori non devono delegare solo alle istituzioni, al medico del
padrone, ai RLS il problema della sicurezza e della difesa della
salute, ma essere protagonisti mobilitandosi in prima persona
rivendicando il rischio zero, anche se questo può generare contrasti
con i padroni e manager, come dimostra il licenziamento del
ferroviere Riccardo Antonini cui va tutta la nostra stima e
solidarietà. Sulla sicurezza e la salute non si scherza! Non si può
accettare, sotto il ricatto del posto di lavoro, di venire meno al
principio di solidarietà operaia e umana.
Spesso,
nel nostro paese, i diritti sanciti nella Costituzione sono
subordinati ai poteri forti e applicati solo se compatibili con essi.
Per
noi la sicurezza sui posti di lavoro e la salute dei lavoratori e dei
cittadini, viene prima di tutto, anche se questo comporta il rischio
di scontrarsi con i datori di lavoro e le istituzioni che spesso sono
in conflitto di interesse.
Le
nomine dei direttori dei vari Enti - INAIL, INPS, ATS (ex ASL) - e
delle aziende pubbliche sono decisi dalla politica cui rispondono,
cosi come i manager delle aziende private rispondono agli azionisti,
ai quali interessa realizzare il massimo profitto risparmiando anche
i pochi euro sulla sicurezza, anche se questo va a scapito della
salute dei lavoratori. Basti qui ricordare solo alcune delle
innumerevoli stragi, da quelle della ThyssenKrupp a quelle dell'ILVA
di Taranto, da quelle dell'amianto di Casale Monferrato, a quelle di
Broni, Sesto San Giovanni e altre ancora, fino alla strage
ferroviaria di Viareggio.
Ruolo
dell'INAIL
L'INAIL
è l'Ente che deve accertare e nello stesso tempo indennizzare le
malattie professionali: e quindi è in palese conflitto d'interessi.
Generalmente in prima istanza respinge le domande di malattia
professionale, anche per casi di mesotelioma.
Per
questo noi rivendichiamo che sia un ente terzo (ASL o altri) e non
l'INAIL a riconoscere le malattie professionali lasciando all'INAIL
(assicurazione pubblica) solo il compito di indennizzare e pagare la
malattia professionale o infortunio.
Non
si può subordinare la salute e la vita umana alla logica del
profitto, ai costi economici aziendali o ai bilanci dello stato.
Senza rispetto per la sicurezza sul lavoro, gli operai, i lavoratori
continueranno a subire infortuni, ad ammalarsi e morire sul lavoro e
di malattie professionali e l'amianto e altre sostanze cancerogene
presenti sul territorio, se non si eliminano, continueranno a
uccidere gli esseri umani e la natura.
I
limiti legali imposti per legge alle sostanze cancerogene non danno
alcuna garanzia alla tutela della salute. Alla presenza di
cancerogeni la salute è continuamente esposta a rischi.
Lottare
per ambienti di lavoro salubri e per un mondo pulito significa
lottare contro chi - pur di fare soldi sulla pelle dei lavoratori e
cittadini - condanna a morte ogni anno migliaia di esseri umani,
anteponendo i suoi interessi privati a quelli collettivi della
società su cui, tra l'altro, ricadono i costi di tutte queste
malattie e queste morti: vere stragi del profitto.
Vogliamo
infine ricordare che sottoscriviamo tutte le richieste del Comitato
Nazionale "NOI NON DIMENTICHIAMO".
La battaglia per ottenere giustizia per le vittime non va mai in prescrizione.
Fiducia nello Stato non ne abbiamo, ma non c' arrendiamo. La lotta continua
La battaglia per ottenere giustizia per le vittime non va mai in prescrizione.
Fiducia nello Stato non ne abbiamo, ma non c' arrendiamo. La lotta continua
Note:
*) Presidente del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
cip.mi@tiscali.it - comitatodifesasalutessg.jimdo.com
*) Presidente del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
cip.mi@tiscali.it - comitatodifesasalutessg.jimdo.com
Via
Magenta 88 / 20099 Sesto San Giovanni MI
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