Riceviamo
e pubblichiamo
La professione della difesa dei
diritti. La lotta di Slai Cobas e i
500
di Montello
Di Federica
Agrò –
Abbiamo già trattato di Montello
SPA un
paio di settimane fa nella rubrica #EcoWomen, con una Video
intervista della nostra Alice Castiglione ad un’operaia.
Questa
volta Abbiamo parlato con Sergio
Caprini,
sindacalista di SLAI Cobas e a lui abbiamo chiesto chiarimenti su ciò
che sta accadendo a Montello e più in generale sulla violazione dei
diritti nel mondo del lavoro operaio.
La
più grande ditta di smaltimento rifiuti situata nel cuore del
Bergamasco, la Montello SPA (la fabbrica dello sporco, come la
chiamano gli abitanti della zona, non riferendosi alla sua materia
prima), ha iniziato a far parlare di sé lo scorso autunno a causa
del licenziamento ingiustificato di 17 lavoratrici straniere. Tutte e
17 le operaie sono rientrate al lavoro, ma al prezzo di una lotta
durissima accompagnata dalla diffidenza delle altre operaie,
spaventate dalle minacce di licenziamento (come racconta Bashide,
27 anni).
Pochi mesi dopo un’altra lettera di licenziamento, questa volta nei
confronti di un uomo, Manpreet.
Giovane operaio ventottenne impegnato alla Montello da molti anni ha
ricevuto una contestazione pretestuosamente disciplinare. Possiamo
parlare di pretestuosità perché, con l’aiuto di SLAI
Cobas,
Manpreet ha presentato ricorso contro il licenziamento per cui il
tribunale si è pronunciato in tal senso: «Accoglie il ricorso e,
per l’effetto, annulla il licenziamento disciplinare inflitto dalla
società». Nonostante l’annullamento del provvedimento in data 18
gennaio 2019, però, al giovane Manpreet non è stato ancora concesso
di rientrare a lavorare. Continua, dunque, la protesta per il rientro
del lavoratore, sostenuta dal sindacato, che pur non essendo di
grandi dimensioni, ha dimostrato di conoscere i diritti e la volontà
di proteggerli.
Come
funziona un provvedimento disciplinare? Facciamo,
però un passo indietro, e chiediamoci come sia possibile che un
licenziamento per giusta causa possa basarsi su di un fatto non
accaduto. Ce lo spiega Sergio
Caprini:
«L’azienda che viene a conoscenza di una possibile infrazione del
lavoratore (o del regolamento in caso di cooperative) scrive una
lettera di contestazione seguendo la prassi, e la comunica per
iscritto al lavoratore a cui viene richiesto di giustificare il dato
fatto. L’azienda, quindi, formula l’accusa, il lavoratore si
giustifica, l’azienda ascolta le giustificazioni e poi emette la
sentenza. Quindi abbiamo in un’entità accusatore avvocato e
giudice! Questo è uno strumento di repressione notevole che viene
utilizzato quando un lavoratore decide di non subire più. L’azienda
con questo metodo ha la possibilità di licenziare senza dare
giustificazione a tutti».
Il
ruolo di Slai COBAS.
Slai COBAS ha iniziato la sua difesa dei 500 operai di Montello da
poco più di un anno, aprendo gli occhi ai lavoratori, e fornendo
loro lo strumento per reclamare i propri diritti. A questo punto la
domanda sorge spontanea, perché il sindacato presente in azienda
prima dell’arrivo di SLAI Cobas non agiva per proteggere i
lavoratori? La risposta di Caprini è
che quella di chi si trovava già a Montello prima do loro: «È una
linea sindacale neocorporativa in accordo con i padroni che ha
portato al progressivo abbandono dei lavoratori e dei loro diritti,
lasciando la massima autonomia ed economia alle aziende. Nello
specifico a Montello abbiamo una realtà che si comporta in linea con
l’organizzazione nazionale, non esiste una sezione autonoma,
applicano solo gli accordi nazionali e hanno una cooperazione con le
aziende». Rispetto alla rivendicazione di un risarcimento dovuto
agli operai per il mancato pagamento delle pause Caprini dichiara:
«Per le mezz’ore di soldi sottratte è stata preparata la vertenza
da SLAI Cobas, per poter riprendere in toto le somme cui gli operai
avevano diritto, circa 5000 euro ciascuno. Al contrario, il sindacato
dell’azienda ha proposto una conciliazione per un forfettario che
andava dai 150 ai 250 euro rispetto all’anzianità. Questo accordo
andava a sanare anche altre eventuali voci pregresse, impedendo ai
lavoratori di fare ricorso rispetto a qualsiasi altro fatto accaduto
prima di questa liberatoria. Più di 300 hanno firmato».
Sindacalista
che parla con un operaio alla fine del turno (foto di Alice
Castiglione)
Il
cancro delle cooperative.
Slai COBAS lavora tra Milano e Brescia e lotta per porre al centro
della discussione pubblica le cooperative come problema strutturale e
generale. Sergio
Caprini ci
spiega infatti come: «Le cooperative sfruttano il bisogno degli
immigrati di lavorare, sono la chiave per poter gestire un numero
così grande di lavoratori senza diritti». Ma parliamoci chiaro,
Montello è una fabbrica, ha degli impianti e delle linee di
produzione che lavorano stabilmente da almeno 15 anni con 500 operai.
Non segue alcun tipo di flessibilità che possa richiedere un
cambiamento di necessità di numero, è un’attività industriale
stabile, non ha bisogno di cooperative. Da
cosa è giustificata l’intermediazione di manodopera? Ecco
la risposta: nessun rapporto con la committente, un rapporto con la
cooperativa, un contratto formalmente legato al contratto nazionale
ma subordinato ai regolamenti interni della cooperativa. Tra l’altro,
nel caso della Montello le operaie hanno un contratto merci
logistiche (sfavorevole rispetto a ciò che spetterebbe) e
l’assunzione da parte della cooperativa le rende licenziabili
semplicemente da un cambio appalto. Gli appalti alle cooperative
sono caporalato
legalizzato.
Protesta
per il rientro di Manpreet (foto di Sergio
Caprini)
«Le
cooperative sono un cancro tollerato», conclude. Noi non possiamo
fare altro che cercare di illuminare queste condizioni di sfavore che
vivono per metà nel buio e ringraziare chi, come questo piccolo
sindacato, continua a credere nella rivendicazione dei diritti di
tutti.
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