Marco Spezia
ingegnere e tecnico della
salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto “Sicurezza sul
lavoro: Know Your Rights!”
Medicina Democratica -
Movimento di lotta per la salute onlus
e-mail: sp-mail@libero.it
---------------------
INDICE
Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
NEWSLETTER MEDICINA
DEMOCRATICA
Federazione Toscana PCARC
federazionetoscana@gmail.com
SOLIDARIETA’ A MARCO
LENZONI!
Giusti Federico giustifederico@libero.it
LA RETORICA DELLA
SICUREZZA SUL LAVORO
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
QUANTI SONO I LAVORATORI
ITALIANI CHE MUOIONO DI KAROSHI?
Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
PROCESSO FARSA CONTRO
OPERATORI DELLA PREVENZIONE A FIRENZE
SI ALZA IL CORO DEGLI
SCANDALIZZATI
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
HONEYWELL: LA BALLATA DEL
PROFITTO CIECO
La Città Futura noreply@lacittafutura.it
NON E’ LAVORO, E’
SFRUTTAMENTO
Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
APPELLO PER L’ADESIONE AL
FORUM INTERNAZIONALE PER IL DIRITTO ALLA SALUTE E L’ACCESSO UNIVERSALE ALLE
CURE
Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
DICIAMO NO ALLA COMMERCIALIZZAZIONE
DELLA SALUTE
MicroMega newsletter@micromega.net
ILVA, IL DRAMMA
(ANNUNCIATO) DI TARANTO
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From: Medicina
Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Monday, October 02, 2017 12:43 PM
Subject: NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA
DA VENEZIA I COMITATI DI
DIVERSE CITTA’ PORTUALI RILANCIANO LA CAMPAGNA INTERNAZIONALE “FACCIAMO
RESPIRARE IL MEDITERRANEO”
Lo scorso sabato e
domenica nell’ambito delle due Giornate di “Mobilitazione Europea dei movimenti
per la difesa dei territori per la giustizia ambientale e la democrazia” si è
tenuto un workshop a palazzo Persico dove si sono incontrati per la prima volta
i rappresentanti di diversi comitati ed associazioni che operano in alcune
città portuali italiane che hanno già aderito alla campagna internazionale
“Facciamo Respirare il Mediterraneo”.
Leggi tutto al link:
* * * * *
PERFLUOROALCHILI,
L’EMERGENZA VENETA, IL CONFRONTO CON L’AVVOCATO BILLOT, LA CONOSCENZA E LA
COSCIENZA POPOLARE
Riportiamo le impressioni
di una partecipante all’incontro organizzato, tra gli altri, da Medicina
Democratica a Lonigo sulla crisi ambientale dovuta ai decennali sversamenti di
perfluoroalchili (PFOA, PFAS) dalla Miteni di Trissino.
La conoscenza va di pari
passo alla coscienza popolare del problema e alle iniziative di lotta con cui,
tra l’altro, premere nei confronti delle istituzioni politiche e sanitarie.
Un metodo da estendere
ovunque.
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* * * * *
COME SI DISTRUGGE UN
SERVIZIO DI PREVENZIONE: PROCESSO FARSA CONTRO OPERATORI DELLA PREVENZIONE A
FIRENZE
Riportiamo il comunicato
stampa a cura della Sezione di Medicina Democratica di Firenze sulla messa in
discussione dell’operato dei tecnici e dei medici del servizio di prevenzione
ASL nel periodo dei lavori per la TAV e il nuovo tracciato autostradale nel
tracciato Bologna-Firenze.
Un attacco da respingere
nettamente ancor più nel momento in cui gli infortuni aumentano e i politici,
con lacrime da coccodrillo, lamentano controlli insufficienti e inadeguati
Leggi tutto al link:
* * * * *
PERFLUORALCHILI: CONTINUA
LA MOBILITAZIONE POPOLARE IN VENETO
Dopo il successo della
iniziativa, tra gli organizzatori Medicina Democratica di Vicenza, del primo
ottobre a Lonigo con l’avvocato Billot, la manifestazione del 8 ottobre ha
visto 10.000 persone chiedere la tutela della propria salute, delle falde
sotterranee e dell’acqua potabile.
Leggi tutto al link:
* * * * *
NON UNA DI MENO: LE
PROSSIME INIZIATIVE
Riportiamo il comunicato
di Nonunadimeno sulle prossime iniziative, a Pisa sarà presente anche una
rappresentanza di Medicina Democratica.
Non Una Di Meno: la marea
sta tornando, non si fermerà (Comunicato del 29/09/2017 sul sito https://nonunadimeno.wordpress.com)
Leggi tutto al link:
* * * * *
NAVI D’AMIANTO:
L’ESPOSIZIONE DEI MILITARI
Segnaliamo il testo di
Lino Lava e Giuseppe Pietrobelli nel quale si ricorda il ruolo di Medicina
Democratica anche nei processi contro la Marina Militare condotti presso il
Tribunale di Padova.
Di seguito una scheda del
libro.
Leggi tutto al link:
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RIFIUTI ZERO: INCONTRO
DEI COMUNI E DELLE COMUNITA’ RIFIUTI ZERO
Segnaliamo l’incontro dei
comuni e delle comunità rifiuti zero che si terrà a Campi Bisenzio (FI) dal 27
al 29 ottobre.
Tutti invitati e tutti
protagonisti per una gestione dei rifiuti (delle merci !!!) corretta
nell’ambito di una economia circolare, senza inceneritori e senza discariche.
Leggi tutto al link:
* * * * *
SICUREZZA SUL LAVORO:
KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 287 DEL 13/10/17
INDICE
Cambio di mansione e
obblighi relativi a salute e sicurezza
Le giornate sulla
sicurezza nei luoghi di lavoro
Infortuni sul lavoro: dal
12 ottobre obbligo di segnalare anche quelli di un giorno
Invecchiamento e lavoro:
un nuovo strumento per gli operatori
Ancora sugli infortuni
per interferenze nei luoghi di lavoro
Infortuni con cavedi e
bocche di lupo
Lucernari non sicuri
Invito ancora tutti i
compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in
tutti i modi.
Leggi tutto al link:
* * * * *
AMIANTO: MORTI OPERAIE
SENZA RESPONSABILI
Sara Riboldi, giornalista
in testate locali della provincia di Milano ha fatto il punto e commentato le
recenti sentenze, per lo più assolutorie, riguardanti la responsabilità di
lavoratori esposti e deceduti a causa dell’amianto (Breda, Enel Turbigo, Alfa
Romeo, Fibronit, ecc.) ove Medicina Democratica è parte civile a sostegno delle
vittime e per ottenere giustizia.
Leggi tutto al link:
* * * * *
Forum di discussione per
contattarci discutere e proporre argomenti:
Aiuta Medicina
Democratica Onlus devolvendo il tuo 5 per mille firmando nella tua
dichiarazione dei redditi nel settore volontariato e indicando il codice
fiscale 97349700159
Sito web:
Facebook:
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From: Federazione Toscana
PCARC federazionetoscana@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, October 04, 2017 3:13 PM
Subject: SOLIDARIETA’ A MARCO LENZONI!
SOLIDARIETA’ A MARCO
LENZONI!
L’UNICO ARTICOLO 18 CHE
VOGLIAMO E’ QUELLO DELLO STATUTO DEI LAVORATORI!
Mercoledì 11 ottobre alle
9, presso il tribunale di Massa, si terrà la quarta udienza del processo contro
il compagno Marco Lenzoni accusato di aver promosso, il 2 dicembre del 2014, un
corteo non autorizzato partito dal Comune di Massa e diretto alla sede del PD,
nell’ambito di una mobilitazione contro l’approvazione del Jobs Act che era in
discussione in Parlamento.
Il Jobs Act, che è poi è
stato approvato, è (come tutti ben sappiamo) un grave attacco ai diritti dei lavoratori
e non fa altro che aumentare precarietà e sfruttamento.
I risultati li abbiamo
sotto gli occhi, nonostante gli spot fantasia del governo Gentiloni dove
l’occupazione continua a crescere, basta guardare nel nostro territorio:
disoccupazione al pari delle zone più povere del sud Italia e lavori sempre più
precari.
Il Jobs Act è un coacervo
di leggi e leggine anticostituzionali che minano la vita sociale del nostro
paese e che calpestano il diritto al lavoro; la cancellazione dell’articolo 18
è un affronto alla Costituzione perché rende legale il licenziamento dei
lavoratori anche quando non sussiste la giusta causa.
Marco verrà processato
per aver violato l’articolo 18 del Decreto Regio fascista del 1931.
Ecco a quali articoli si
appella l’attuale classe dominante per impedire le contestazioni alle sue
manovre antipopolari e criminali! Una legge del regime fascista ancora in
vigore nel nostro Paese.
Nel mese di agosto tanta
indignazione ha suscitato l’esposizione della bandiera nazifascista sul monte
Sagro (ad opera del fascista Manfredo Bianchi, insegnante presso una scuola di
Carrara), ma a ben guardare l’operazione repressiva orchestrata dalla questura
di Massa contro il compagno Lenzoni è una provocazione e un attacco molto più
grave: vengono applicate leggi fasciste per punire il dissenso verso la
cancellazione dei diritti costituzionali della Repubblica come il diritto al
lavoro.
Bisogna schierarsi: o si
sta da una parte o dall’altra, o si sta dalla parte dei diritti o si sta dalla
parte di chi i diritti li vuole cancellare.
Schierarsi senza se e
senza ma dalla parte di Marco Lenzoni e delle migliaia di donne e uomini come
lui che nel paese vengono colpiti dagli attacchi repressivi mirati a fiaccare
la resistenza delle masse popolari contro gli effetti della crisi, schierarsi
significa resistere in difesa del diritto al lavoro, del diritto alla salute,
del diritto alla casa o alla scuola, i diritti si conquistano e si applicano
nella pratica soltanto attraverso la lotta.
Non possiamo aspettarci nessuna
soluzione positiva all’andamento disastroso della società da parte di chi
preferisce dare i soldi alle banche piuttosto che destinare tutti i fondi a
disposizione per la creazione di posti di lavoro, mettere mano a tutti gli
interventi necessari nel nostro Paese (recuperare il patrimonio edilizio
lasciato a marcire inutilizzato, intervenire sul dissesto idro-geologico che
ogni anno fa morti e sfollati, moltiplicare e rendere più efficienti i servizi
per le masse popolari).
Oggi chi vuole stare
dalla parte delle masse popolari deve lottare per l’applicazione delle parti
progressiste contenute nella Costituzione, proprio quelle parti che, guarda
caso, dal dopoguerra ad oggi sono state sistematicamente disattese. Basta un
esempio, quello dell’articolo 4 che dice:
“La Repubblica riconosce
a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano
effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le
proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che
concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
A qualcuno risulta che lo
Stato garantisca, anche solo minimamente, il lavoro ad ognuno di noi? Eppure i
primi dodici articoli della Costituzione sono chiamati “Principi fondamentali”
e dovrebbero essere applicati prima degli altri!
Dobbiamo organizzarci e
applicare dal basso le parti progressiste della la Costituzione come ha fatto
Marco e tutti coloro che si sono mobilitati contro l’approvazione del Jobs Act,
che colpiva lo Statuto dei lavoratori.
Dobbiamo organizzarci e
rendere inapplicabili le norme antipopolari e apertamente anti-costituzionali
che vengono messe in campo solo nell’ottica del profitto, come ha fatto proprio
Marco Lenzoni (infermiere dell’ASL) nel 2013: quando ha effettuato il prelievo
ad una ragazza, anche se non aveva la possibilità di pagare immediatamente il
ticket sanitario, rischiando addirittura per questo un provvedimento
disciplinare da parte della direzione della ASL.
Questo vuol dire mettere
davanti a tutto gli interessi delle masse popolari, prima di tutto i diritti
universalmente riconosciuti, questo dovrebbero fare sindaci e consiglieri che
amministrano i nostri territori. Non bisogna aver paura di violare le leggi
ingiuste, non farlo significa essere complici di un sistema che ci sta portando
rovina e disperazione. Bisogna avere paura quando i diritti costituzionali non
vengono rispettati.
Per questo vi invitiamo a
presenziare al presidio di solidarietà che si terrà a partire dalle 9 davanti
al tribunale (durante lo svolgimento dell’udienza), per la cancellazione delle
leggi fascistissime del codice Rocco che vergognosamente vengono ancora
applicate, per la libertà di espressione e di dissenso, per il diritto al
lavoro e la cancellazione del Jobs Act.
La lotta per il diritto
al lavoro non si processa!!!
Stracciamo il codice
fascista Rocco!!!
Applichiamo con la forza
della lotta le parti progressiste della Costituzione, tutti devono avere un
lavoro utile e dignitoso!
Partito dei Comitati di
Appoggio alla Resistenza per il Comunismo (CARC)
Sezione di Massa “Aldo
Salvetti” c/o Spazio Popolare di Via San Giuseppe Vecchio, 98
Telefono: 320 29 77 465
email: carcsezionemassa@gmail.com
Profilo FB: Aldo Salvetti
(Carc Massa)
Pagina FB: Sezione Massa
P.CARC
Web: http://www.carc.it
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From: Giusti Federico giustifederico@libero.it
To:
Sent: Wednesday, October
04, 2017 6:49 PM
Subject: LA RETORICA
DELLA SICUREZZA SUL LAVORO
Le giornate nazionali ed
europee per la sicurezza sul lavoro sono diventati appuntamenti rituali utili
alle statistiche, ma avulse dalle dinamiche reali del lavoro. Innalzamento
dell’età lavorativa, aumento dei carichi di lavoro, codici disciplinari
repressivi, lavoro sempre più precario, responsabilità civili, penali ed
erariali pesano come macigni.
Ma anche guardare ai
dati, a una forza lavoro sempre più avanti con gli anni è utile per comprendere
che la cancellazione della Riforma Fornero e dei tetti imposti alla spesa di
personale nella Pubblica Amministrazione sono due rivendicazioni utili e
necessarie per ridurre lo stress e abbattere i rischi sul lavoro.
Nei settori privati
l’aumento dell’orario di lavoro e i ritmi imposti anche attraverso i contratti
nazionali degli ultimi anni, il lavoro nei giorni festivi, lo straordinario
obbligatorio sanciscono il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
Il 22 % dei lavoratori
che hanno superato i 50 anni di età sono certi che non saranno in grado di fare
il loro lavoro attuale all’età di 60.
Il 26 % dei lavoratori
sono certi che il lavoro influisca negativamente sulla loro salute.
Il 45 % dei lavoratori e
delle lavoratrici europei percepisce con sempre maggiore ansia la
discriminazione per motivi legati alla età avanzata, il timore è di essere
inseriti nelle liste degli esuberi per sopraggiunti motivi produttivi.
Solo il 35 % dei
lavoratori che ha superato i 50 anni di età ha ricevuto una formazione a carico
del datore di lavoro nel corso dell’anno passato (41% per la fascia di età
35-49). La fonte è di European Sul e la dice lunga sulla assenza di percorsi
formativi e di riqualificazione nei settori pubblici e privati.
Il 32 % degli stabilimenti
non hanno una procedura per sostenere il ritorno al lavoro.
In Italia si spende meno
che in formazione della media europea, i dati di assenza dal lavoro sono in
linea con le percentuali comunitarie. Occorre ricordarlo a chi in questi anni
ha sanzionato economicamente i primi giorni di malattia e ha condotto una
battaglia mediatica contro i cosiddetti fannulloni.
In Italia si muore sul
lavoro per incidenti, ci si infortuna, ci si ammala per patologie legate al
lavoro più che in molti altri paesi del capitalismo avanzato.
Anche le misure per
prevenire malattie e infortuni sono giudicate dagli esperti insufficienti e
inadeguate: la legislazione spesso e volentieri non viene applicata dalle
aziende per motivi di risparmio economico, ben sapendo che i controlli da parte
degli Organismi di Vigilanza sono rarissimi e spesso “pilotati”, i
Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza più determinati vengono messi
dalle aziende nella impossibilità di nuocere con ricatti più o meno velati, i
lavoratori svolgono un lavoro sempre più precario e hanno così perso il potere
di fare valere i loro diritti.
Le giornate ufficiali per
la salute e la sicurezza dovrebbero partire da questi dati incontrovertibili,
sostenere l’abbassamento dell’età lavorativa, la riduzione dei ritmi e dei
carichi di lavoro, aumentare i controlli da parte degli Organi di Vigilanza e
applicare seriamente le pene previste dalla normativa contro i datori che non
rispettano salute e sicurezza. Il resto sono solo chiacchere.
Federico Giusti - Sindacato
Generale di Base
Marco Spezia - Progetto Know Your Rights
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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Friday, October 06, 2017 10:25 AM
Subject: QUANTI SONO I LAVORATORI
ITALIANI CHE MUOIONO DI KAROSHI?
“Karoshi”: il termine giapponese significa
letteralmente “morte per un carico eccessivo di lavoro”. Quanti sono i Karoshi
in Italia? Tantissimi, più di quanti si creda.
Miwa Sado era giornalista
televisiva giapponese morta di infarto a 31 anni dopo aver fatto 159 ore di
straordinario in un mese e appena due giorni di riposo, ora la rete per cui
lavorava ammette responsabilità.
Ma ci chiediamo quanti
sono i lavoratori morti di Karoshi in Italia. Probabilmente non si arriva a
livelli simili in Italia, ma noi pensiamo in certe categorie ci siamo molto
vicini. Forze dell’Ordine, dirigenti aziendali, medici e infermieri negli
ospedali, ma anche artigiani e lavoratori dipendenti, Partite IVA a tanti
altri.
Se per esempio un
camionista o un edile che lavora su un tetto, e che supera i sessant’anni, che
già rischia un infortunio nell’orario normale, quanto rischia un malore o un
infarto se addirittura fa straordinari?
Le autorità I giapponesi
stanno già correndo ai ripari contro questo fenomeno, che riguarda anche
tantissime categorie di lavoratori italiani. I normali orari di lavoro non
vengono quasi mai rispettati, sia nel Pubblico che nel Privato. E’ ora che
anche in Italia si facciano leggi severe contro chi questi orari li supera, che
spesso non vengono neppure pagati.
Carlo Soricelli
Curatore
dell’Osservatorio Indipendente di Bologna Morti sul Lavoro
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From: Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent: Saturday, October
07, 2017 12:11 PM
Subject: PROCESSO FARSA
CONTRO OPERATORI DELLA PREVENZIONE A FIRENZE
Il titolo potrebbe
essere: come si distrugge un servizio di prevenzione.
L’inchiesta del dottor
T.C. della Procura della Repubblica di Firenze sugli operatori della Unità
Funzionale TAV e Grandi Opere di Firenze ha sicuramente dell’incredibile. Gli
operatori avrebbero deliberatamente “gonfiato” i dati sui sopralluoghi e degli
interventi in azienda (cantieri della Variante di Valico e della Terza Corsia
autostradale) per incrementare di pochissimi spiccioli i loro stipendi.
I militari dei NAS hanno
speso circa 2 anni a rovistare nei cassetti e sui computer per cercare prove
sul presunto maltolto alle casse dello Stato e della Regione. Tutto questo
sarebbe da considerarsi completamente ridicolo se non fosse invece purtroppo
estremamente tragico.
La Magistratura completa
l’opera già intrapresa a livello dirigenziale ASL di distruggere un’Unità
Funzionale che aveva ben operato ricevendo anche numerosi encomi.
Aveva lavorato a 360
gradi su tutti i rischi presenti in un grande cantiere: da quelli
dell’antinfortunistica, contenendo gli infortuni gravi e mortali a un numero
limitato rispetto a grandi opere degli anni ‘90 (5 morti sulla TAV e 3 morti
sulla Variante di Valico contro 8 morti in 8 chilometri nei lavori della
Direttissima Firenze–Roma negli anni ‘90) alle malattie professionali, fino a
progetti su stress, mobbing e uso abuso di sostanze sui cantieri.
L’inchiesta sui 3 morti
del Viadotto Lora che aveva portato alla condanna dei responsabili aziendali
aveva persino ricevuto i complimenti del Pubblico Ministero.
E’ chiaro che nella
Magistratura c’è un po’ di tutto, come in ogni luogo di lavoro. Magistrati
ottimi (pochi) e altri che svolgono molto male il loro lavoro.
Qualche anno fa un
Pubblico Ministero che non sapeva neppure scrivere in italiano (l’avviso di
garanzia che mi arrivò conteneva numerosi errori di sintassi) aveva tentato
(invano) di mandarmi sotto processo per... una prescrizione fatta per
salvaguardare la salute di un lavoratore.
A Reggio Emilia un medico
del lavoro sta subendo un processo per aver fatto una disposizione a un medico
competente che aveva omesso una denuncia di malattia professionale.
E ora questa nuova
inchiesta su un intero Servizio!
La mia impressione è che
la Magistratura (o almeno una sua parte non piccola) ha fiutato il vento
cambiato (i lavoratori non contano più niente in questa società basata più che
mai sullo sfruttamento e sul neo-schiavismo del lavoro) per adeguarsi e per
contribuire ad affossare definitivamente le sacche di coloro che nella società
e, nel caso specifico, nei servizi di prevenzione lavorano ancora con passione
e professionalità. E forse non se ne rendono neanche conto!
Se penso a quante
inchieste su gravissimi episodi di patologie mobbing correlate da me inviate
quando ero Ufficiale di Polizia Giudiziaria sono state regolarmente archiviate
dalla Procura della Repubblica mi vien da dire che oggi il mondo gira proprio
al contrario.
Ovviamente anche la
stampa nella vicenda sta avendo il suo ruolo: i fogli locali filo padronali
(Repubblica Firenze, il Corriere Fiorentino e la Nazione) hanno dedicato molto
risalto alla vicenda.
Come ex operatore, come
coordinatore insieme a Gianluca Garetti della sezione di Medicina Democratica
di Firenze, esprimo tutta la mia solidarietà agli operatori coinvolti.
Medicina Democratica, la Società Italiana Operatori della Prevenzione e singoli che vogliono
difendere gli ultimi spazi di democrazia dovranno a loro volta non far mancare
la loro solidarietà agli operatori ed ex operatori coinvolti.
Gino Carpentiero
Medicina Democratica Firenze
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To:
Sent: Monday, October 09,
2017 5:51 PM
Subject: SI ALZA IL CORO
DEGLI SCANDALIZZATI
Si alza il coro di
scandalizzati perché oggi sono morti 4 lavoratori, mentre è uno stillicidio
giornaliero.
Tra l’altro un terzo dei
lavoratori morti sul lavoro spariscono dalle statistiche. Che fine fanno gli
altri? Resuscitano ovviamente.
Questa mattina del 9
ottobre sono morti a Naro di Agrigento due lavoratori cadendo in una cisterna
di una diga. A Torino Mirafiori è morto un manovratore della ditta Villanava.
Un operaio è morto in provincia di Ascoli Piceno cadendo da un silos.
Sono diventati 4 i lavoratori
morti in questa giornata. Ai due operai siciliani si sono aggiunti altri due
morti; a Torino Mirafiori è morto un manovratore, nella provincia di Ascoli
Piceno un operaio di 60 anni è caduto in un silos.
Purtroppo sapevo che a
breve ci sarebbero state delle morti collettive sul lavoro. Guardando le
statistiche di dieci anni di monitoraggio sapevo che sarebbe stato inevitabile.
E questo lavoro serio devo farlo io che sono un volontario mentre le
istituzioni se ne fregano?
Già la settimana scorso,
come avevo già fatto in passato, volevo lanciare l’allarme, anche ieri ho avuto
la tentazione di scriverlo. Ma poi dove si sarebbe verificata la tragedia
collettiva?
E’ possibile anche
prevedere quali sono i giorni più a rischio in edilizia e agricoltura e per chi
svolge il lavoro all’aperto. Ma purtroppo non si riesca a scalfire
l’indifferenza che c’è nella politica, e non solo, per queste tragedie.
Tutti gli italiani sanno,
e anche per merito di questo Osservatorio, che le morti sul lavoro sono molte
di più di quelle che diffonde l’INAIL, ma anche ieri l’ANMIL, che collabora con
l’INAIL prende per buoni questo numero di morti, pur sapendo anche loro che
quello che scriviamo è vero. Tra l’altro, anche se sono parziali, quelle
diffuse sono solo denunce, e una buona parte di queste ogni anno non verranno
riconosciute come tali da l’INAIL.
Ormai sfioriamo a oggi i
1.100 morti complessivi dall’inizio dell’anno Ma i politici fanno finta di
credere che i morti calano da decenni, i media prendono per buono questo calo,
ma sanno anche loro che non è vero. tra l’altro anche l’anno scorso in questo
periodo era stato dato l’allarme “Aumentano i morti sul lavoro”. Poi nessuno va
a vedere che nei primi mesi dell’anno dopo, quando diffondono le morti per
infortunio riconosciute come tali un terzo delle denunce non vengono
riconosciute.
Quando ci sarà il
risveglio delle coscienze della nostra classe dirigente e dei partiti politici
informati mensilmente da questo Osservatorio che i morti aumentano ogni anno?
Ma tiriamo avanti e
continuiamo a fare il nostro lavoro volontario, che contrariamente a altri non
ha nessun interesse da difendere.
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Tuesday, October 10, 2017 10:29 PM
Subject: HONEYWELL: LA BALLATA DEL PROFITTO CIECO
di Carmine Tomeo
07/10/17
I lavoratori sono entrati
in sciopero ad oltranza: la Honeywell Garrett ha imposto ai lavoratori
sacrifici crescenti in termini di flessibilità. Ha usufruito di soldi pubblici
e ora vorrebbe abbandonare l’Italia per produrre dove è più facile lo
sfruttamento.
420 lavoratori
dell’Honeywell Garrett di Atessa, in provincia di Chieti, sono in attesa di
conoscere il proprio futuro lavorativo. Quattrocentoventi. Scritto in lettere
fa più effetto: i numeri, spesso, sono troppo freddi e nascondo la
preoccupazione per il futuro incerto.
All’incontro ministeriale
dello scorso giovedì era presente il ministro Calenda (che inizialmente aveva
minacciato di non convocare il tavolo se i lavoratori non avessero interrotto
lo sciopero) con i massimi dirigenti Honeywell. I sindacati non sono stati
convocati. Un incontro nel corso del quale la multinazionale non ha potuto dimostrare
che lo stabilimento sia improduttivo e logoro (visto che i numeri dicono il
contrario) e perciò l’azienda è stata impegnata a presentare un piano di
rilancio entro due settimane. Ma intanto, almeno fino ad allora, il presidio
permanente continua con lo sciopero davanti ai cancelli della fabbrica.
La Honeywell Garrett è
una multinazionale statunitense che nel 2015 ha realizzato vendite per 40
miliardi di dollari. Nello stabilimento della Val di Sangro, ad Atessa, la
Honeywell produce turbocompressori. Non è un dettaglio: questo è l’unico
stabilimento Honeywell in Italia a fare questo tipo di produzione. Uno
stabilimento che va bene ed è stato in crescita almeno fino al 2006. Nel 2008,
poi, la crisi, in coincidenza con la crisi economica mondiale. E così, da
allora fino ad oggi, ci sono stati 2 piani di esuberi che hanno interessato 115
lavoratori e 7 piani di ammortizzatori sociali, con cassa integrazione e messa
in mobilità. Ma la fabbrica, comunque, continua a fare utili ed a produrre
circa 700.000 turbocompressori l’anno. Ora c’è il rischio che chiuda i
battenti, lasci a casa quattrocentoventi lavoratori e vada a fare lo stesso
prodotto in Slovacchia, dove nel frattempo dovrebbe nascere uno stabilimento
che nelle intenzioni dell’azienda dovrà essere un clone di quello di Atessa.
Eppure ad Atessa la
Honeywell non stava dando di certo segni di cedimento, né economico, né
produttivo. Nel frattempo l’azienda ha goduto di soldi pubblici. Qualcosa come:
1 miliardo di euro di esenzioni di tasse beneficiate dal 1992 al 2002;
ammortizzatori sociali avviati da settembre 2008; finanziamenti concessi per
1.110.692,21 € con la Legge 488 terzo bando e 1.928.935,53 € con Legge 488
ottavo bando. Insomma, non si può certo affermare che lo Stato italiano non sia
stato generoso con la Honeywell, in questi anni. E poi, ancora, da parte dei
lavoratori: flessibilità per andare incontro alla flessibilità della
produzione, sacrifici per ottenere il premio come migliore stabilimento europeo
per organizzazione del lavoro secondo i parametri Honeywell di produzione
snella ed efficiente.
Ma tutto questo non è
bastato ai vertici della Honeywell: lo stabilimento di Atessa deve essere
chiuso; i lavoratori lasciati a casa nonostante i sacrifici imposti quando si
diceva loro che servivano flessibilità e dedizione per mantenere in efficienza
lo stabilimento. In una sorta di crescente prova di resistenza stile “Ballata
dell’amore cieco” di De André, la Honeywell ha imposto nel tempo ai lavoratori
sacrifici crescenti in termini di flessibilità, ed ora, come la cinica donna
della “Ballata”, l’azienda vuole dai lavoratori il sacrificio lavorativo
estremo: il licenziamento. In questo caso i dipendenti Honeywell non hanno
accettato di “morir contenti”, ma hanno risposto con lo sciopero ad oltranza,
che ha coinvolto praticamente tutto il personale dello stabilimento.
Soprattutto dopo i primi,
infruttuosi, incontri al Ministero dello Sviluppo Economico, i lavoratori,
compatti, si sono organizzati con lo sciopero ad oltranza e presidi 24 ore su
24 davanti i cancelli della fabbrica e nei magazzini di smistamento merci. È
così che sono state bloccate merci in partenza, che se avessero lasciato i
magazzini avrebbe in parte vanificato lo sciopero e probabilmente compromesso
l’intera vertenza.
Ancora una volta, la
circolazione delle merci si rivela un anello debole della catena di produzione
del valore capitalistico. Così, al presidio giunge voce che linee di
stabilimenti produttivi dove i turbocompressori Honeywell devono essere
assemblati rischiano di fermarsi. E si tratta di produzioni di grandi case
automobilistiche che non possono permettersi arresti del ciclo produttivo. Non
è un caso che anche in questa vicenda le istituzioni intervengano a muso duro
per tentare di far rientrare lo sciopero. Sulla vertenza Honeywell aveva
provato a fare la voce grossa il ministro Calenda che, con una odiosa forma di
ricatto, esigeva la sospensione dello sciopero e del blocco dei cancelli prima
di convocare il tavolo ministeriale con la multinazionale. Un ricatto che non
ha scoraggiato, ma semmai ancora più compattato i lavoratori che avevano
mandato una risposta al ministro Calenda con uno striscione sui cancelli ancora
bloccati: “Noi ci siamo, e tu?”. Un messaggio chiaro: lo sciopero continua fino
a quando non ci saranno risposte che garantiscano un futuro allo stabilimento Honeywell
di Atessa.
Intanto, l’umore al
presidio è alto; lo sciopero va avanti da giorni, a oltranza, con piena
adesione; c’è fiducia e solidarietà. E i lavoratori sono determinati affinché
da lì non esca nemmeno un bullone. La lotta va avanti contro una multinazionale
che vorrebbe imporre la chiusura dello stabilimento per andare a produrre in
cosiddetti Greenfield, cioè prati verdi dove più facile è lo sfruttamento dei
lavoratori, dove i salari sono più bassi, dove la conflittualità è praticamente
inesistente e dove di solito le aziende possono accaparrarsi nuovi incentivi
pubblici.
Ma i lavoratori sono
decisi a non lasciarsi rubare il futuro da chi per realizzare un X% di profitto
in più, vorrebbe lasciare a casa, ad Atessa, lavoratori per sfruttare più intensamente
altri lavoratori in Slovacchia. Intanto, cresce la solidarietà dei lavoratori
di altri stabilimenti, che nei giorni scorsi hanno manifestato insieme davanti
ai cancelli della Honeywell. E una cassa di resistenza è stata attivata per
sostenere i lavoratori in sciopero.
Salviamo la Honeywell
IBAN IT50H0896877750000160300431
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From: La Città Futura noreply@lacittafutura.it
To:
Sent: Sunday, October 15,
2017 9:19 PM
Subject: NON E’ LAVORO,
E’ SFRUTTAMENTO
di Eliana Como
14/10/17
Il libro appena edito di
Marta Fana va dedicato alla classe operaia, perché legga sé stessa in quelle
pagine, esca dal senso di colpa in cui l’hanno relegata e tiri di nuovo su la
testa.
“Non è lavoro, è
sfruttamento” è il libro di una giovane ricercatrice militante, Marta Fana,
recentemente uscito in libreria per Laterza. Il libro è una sorta di viaggio
oltre la frontiera dei diritti, lì dove si sperimentano le nuove e più radicali
forme di sfruttamento, dai voucher al cottimo fino al lavoro gratuito, passando
dall’alternanza scuola-lavoro. Un viaggio dentro il reality del nuovo mercato
del lavoro, dove non ci sono diritti, non c’è orario e non c’è luogo di lavoro,
non c’è malattia e non ci sono ferie, a volte non c’è nemmeno salario. Insomma,
lì dove il concetto di lavoro si dissolve in quello di sfruttamento.
Il libro è da leggere,
scorre via veloce, scritto in una prosa semplice e gradevole. Mi permetto
quindi una riflessione che va un po’ oltre. E un passo indietro. Cosa è lavoro
e cosa è sfruttamento? Nel 1978 nel suo Dizionario di Sociologia, Luciano
Gallino li definiva così. Lavoro: attività intenzionalmente diretta, mediante
un certo dispendio di tempo e di energia, a modificare in un determinato modo
le proprietà di una qualsiasi risorsa materiale o simbolica, onde accrescerne
l’utilità per sé o per altri, con il fine ultimo di trarre da ciò, in via
mediata o immediata, dei mezzi di sussistenza. Sfruttamento: vedi Capitale.
In una società
capitalistica, di fatto, il lavoro è sfruttamento, cioè appropriazione più o
meno indebita di parte del plusvalore prodotto. Però c’è stato un tempo in cui
il lavoro era anche identità, integrazione, riconoscimento sociale e persino
dignità. Efficacemente, un altro sociologo, Aris Accornero, aveva definito il
Novecento il secolo del Lavoro (con L maiuscola), descrivendone poi la parabola
che, sul finire degli anni ‘90 lo stava trasformando nel più prosaico termine
di lavori (al plurale e con la L minuscola). Proprio quei lavori di cui parla
Marta Fana 20 anni dopo, nel mercato usa e getta della precarietà assoluta.
Non è che l’operaio del
Novecento fosse meno sfruttato del lavoratore precario di oggi.
L’organizzazione taylor-fordista del lavoro nelle fabbriche di quei decenni non
era certo meno massacrante. E nemmeno la classe operaia degli anni ‘70 andava
in paradiso. Ma era protagonista, nella società, nella politica, nella
cinematografia, appunto e in generale nell’immaginario collettivo. C’era una
centralità del lavoro, in particolare una centralità operaia, conquistata anche
con le lotte degli anni ‘70, che lo rendeva soggetto sociale e politico. A
fronte di una condizione per definizione monotona e ripetitiva, la classe
operaia aveva in cambio le garanzie del posto fisso, l’accesso al welfare e
alla società dei consumi, la costruzione di un sistema di tutele e diritti di
cui lo Statuto dei Lavoratori fu l’architrave. Piacesse o meno, alla base
esisteva un compromesso, tutto interno alla società capitalistica: sfruttamento
in cambio di diritti, salario e inclusione sociale.
Il punto è questo. Oggi è
rimasto soltanto lo sfruttamento. Non ci sono più i diritti e lavorare non è
più garanzia di inclusione, né tanto meno di benessere. Si può lavorare, ma
essere comunque poveri. E oggi a nessuno verrebbe in mente di cantare “chi non
lavora, non fa l’amore”, perché il lavoro non garantisce di per sé alcuno
status. La parabola è iniziata a cavallo degli anni 80 e 90, preparata nelle
fabbriche, nella politica e nell’immaginario collettivo dalla sconfitta del
movimento operaio ai cancelli di Mirafiori nel 1980.
Da allora, profezie tanto
apocalittiche quanto affrettate hanno portato l’opinione comune a credere che,
con l’innovazione tecnologica e organizzativa, la classe operaia fosse in via
di estinzione. In realtà, non sono mai spariti gli operai. Non c’è mai stata
alcuna evidenza statistica di questo tipo. Sono diminuite di sicuro le grandi
fabbriche fordiste e aumentate le micro-imprese artigiane. Sono entrate in
massa le donne nel mercato del lavoro e sono aumentate le professionalità a
basso valore aggiunto nei servizi. Ma non è mai sparito il lavoro operaio, né
tanto meno lo sfruttamento. Soltanto che non aveva più il volto dell’operaio
interpretato da Gianmaria Volonté nel film del 1971.
Non capire in tempo
questo passaggio è stato un errore, anche da parte di molta sinistra. Quella di
governo e i sindacati confederali, certamente. Ma anche parte di quella
sinistra radicale e dei centri sociali, caduti in preda alle fascinazioni di
concetti tanto inconcludenti quanto insidiosi, come cognitariato, reddito di cittadinanza,
liberazione dal lavoro. Con l’illusione del post-fordismo e il pretesto della
flessibilità positiva, mentre si blaterava di privilegi e lavoratori di serie A
e serie B, fantasticando di futuri scenari di liberazione dalle catene del
posto fisso, si è finito per non accorgersi (o far finta di non accorgersi) che
l’obiettivo del mercato era contrapporre gli interessi di generazioni di
lavoratori, rompere la solidarietà di classe e dare spazio a un paradigma
economico feroce.
Così, non è mai sparita
la classe operaia in quanto tale, ma la sua centralità sì. E con essa il suo
essere soggetto politico e sociale. Questo ha corrisposto a una necessità
politica precisa: marginalizzare il conflitto nei luoghi in cui concretamente
si produceva valore e si confrontavano capitale e lavoro. E, infatti, questa
retorica ha accompagnato un decennio intero di accordi di concertazione, quelli
che ci hanno portato poi in caduta libera per i successivi 15 anni. La
conclusione è che nelle fabbriche, anche in quelle 4.0, la catena di montaggio
non è tanto meglio di quella degli anni ‘70, nei centri commerciali le cassiere
non hanno il tempo di andare al bagno, nei poli della logistica i migranti sono
trattati come carne da macello e torna il cottimo tra i riders di Deliveroo.
Può consolarsi chi negli
anni Novanta lamentava i privilegi dei padri contro le aspettative dei figli.
Oggi siamo tutte e tutti precari, non ci sono più garanzie né posto fisso,
nemmeno nel settore pubblico. E di privilegi nemmeno l’ombra. E’ sparito il
Lavoro. E’ rimasto lo sfruttamento, sempre lì dove era, alla voce Capitale.
Anche la classe operaia è ancora lì, dove è sempre stata. Solo che ha più
paura, è più sola. Non ha più l’articolo 18 né la pensione di anzianità. Ha in
mano un contratto che vale meno di niente o peggio ancora una partita IVA. Non
ha alcuna garanzia per il futuro e spesso si chiede perché lavora visto che non
è nemmeno pagata.
E’ a questa classe
operaia che il libro di Marta va dedicato. Perché legga sé stessa in quelle
pagine, esca dal senso di colpa in cui l’hanno relegata parlando di
bamboccioni, neet e choosy e riaffermi la propria esistenza e la propria
centralità. Tiri di nuovo su la testa, anche nell’immaginario collettivo e
simbolico, ma soprattutto nella politica e nel sindacato. Partendo dalle lotte
di chi, pur nell’isolamento e nella riprovazione generale, non ha mai smesso di
pensare che ribellarsi fosse necessario.
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From: Medicina
Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Monday, October 16,
2017 4:50 PM
Subject: APPELLO PER
L’ADESIONE AL FORUM INTERNAZIONALE PER IL DIRITTO ALLA SALUTE E L’ACCESSO
UNIVERSALE ALLE CURE
Appello per l’adesione al
Forum Internazionale per il diritto alla salute e l’accesso universale alle
cure (4 e 5 novembre a Milano)
Il 5 e il 6 novembre 2017
si svolgerà a Milano l’incontro dei ministri della salute del G7, ultima tappa
di una serie di riunioni ministeriali che in questi mesi hanno visto le
rappresentanze dei potenti della terra discutere su tematiche come l’ambiente,
i trasporti, l’industria, la scienza, il lavoro, l’agricoltura, il cibo.
Anche se l’agenda
dell’incontro non è stata ancora resa nota, sembra che i principali temi al
centro del dibattito saranno le ricadute sulla salute dei cambiamenti climatici
e le politiche sui farmaci.
L’11% della popolazione
mondiale ha problemi di alimentazione, soprattutto in zone coinvolte da
conflitti e da situazioni ambientali disperate. Negli ultimi decenni l’aumento
delle concentrazioni di carbonio, conseguenza della deforestazione e della
combustione di carbone, petrolio e gas, ha provocato gravissime conseguenze
come il surriscaldamento del globo e pericolose alterazioni all’ecosistema con un
susseguirsi di eventi climatici estremi, il cui impatto sulla salute è di
proporzioni disastrose. Si stima che, a livello globale, nel 2000 si siano
verificati circa 150.000 morti a causa del cambiamento climatico. In assenza di
cambiamenti decisivi nelle politiche ambientali l’OMS prevede che entro il 2040
si raggiungeranno i 250.000 morti all’anno.
La desertificazione di
vaste aree, la privatizzazione e il dirottamento di risorse idriche a beneficio
del profitto delle multinazionali privano dell’accesso all’acqua intere
popolazioni.
Quasi 700 milioni di
persone al mondo, secondo l’OMS e l’UNICEF, non possono usufruire di acqua
pulita. La disuguaglianza nella disponibilità e nel consumo di acqua tra paesi
ricchi e paesi poveri è enorme e sta continuamente aumentando.
L’accesso ai farmaci è
determinato dalle logiche di mercato imposte dalle multinazionali che governano
il settore e non certo da priorità decise in base a obiettivi di salute
pubblica.
Mentre viene incentivato
il consumismo di prodotti inutili, è ostacolata la diffusione dei più economici
farmaci equivalenti e a milioni di malate e malati è negato il diritto di
assumere i farmaci necessari perché troppo costosi. In questo quadro va
sottolineato il ruolo del capitale finanziario che spinge l’acceleratore sulla
commercializzazione della salute a danno di tutte le donne e gli uomini,
soprattutto di quelli più poveri. Il prezzo dei farmaci innovativi è in
continua ascesa, in quanto le aziende titolari dei brevetti stabiliscono in
regime di monopolio prezzi non giustificati dai costi di produzione. Questa
situazione è destinata a peggiorare ulteriormente se gli accordi commerciali
internazionali allungheranno la durata dei brevetti, già garantiti per 20 anni
dagli accordi TRIPs e porranno ulteriori vincoli al potere già debole degli
stati di regolare il mercato.
I governi della maggior
parte dei paesi, anche di quelli che si sono dotati di un servizio sanitario
nazionale, da anni riducono le risorse assegnate alla tutela della salute nei
loro bilanci, perseguono politiche di privatizzazione dei servizi e di
riduzione dell’accesso universale e gratuito alle cure.
In tutte le regioni sono
attivi processi di privatizzazione della sanità. In Lombardia ad esempio è in
atto uno dei più feroci tentativi di privatizzazione dei servizi sanitari che
raggiunge l’apice con la proposta di sostituire, per 3.350.000 concittadine e
concittadini affetti da una patologia cronica, il Medico di Medicina Generale,
con un “gestore” rappresentato spesso da società private finalizzate al
profitto.
Questi elementi, presi
nel loro insieme, configurano un vero attacco alla salute delle popolazioni di
cui le politiche neoliberiste, portate avanti dai potenti della terra
rappresentati nel G7, sono la causa determinante. Difendere il diritto alla
salute, il libero accesso alle cure e la conservazione del territorio significa
contrapporsi in modo chiaro e deciso a queste politiche, a questi trattati,
allo strapotere delle multinazionali, assumendo senza ambiguità una posizione
di contrasto nei confronti di chi è parte integrante di questo sistema
economico.
La soluzione al problema
non sta, come hanno tentato di farci credere anche qui in Italia,
nell’aumentare di qualche migliaia il numero di malate e malati che possono
accedere a terapie specifiche, mentre diverse migliaia di altre cittadine e
cittadini ne restano esclusi. Garantire la salute per tutte e tutti significa
anche mettere in discussione il ruolo di Big Pharma e la complicità delle
politiche che ne tutelano, a tutti i livelli, gli interessi.
Per questo il GUE, Gruppo
parlamentare “Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica” in
collaborazione col gruppo consiliare “Milano in Comune” e con il Comitato
“Salute senza padroni e senza confini”, costituitosi in questa occasione
attraverso l’adesione di decine di realtà collettive, chiamano a raccolta
associazioni e movimenti operanti nel settore dell’ambiente e del diritto alla
salute per organizzare un Forum internazionale per diritto alla salute e
l’accesso universale alle cure sabato 4 novembre a Milano presso Base Milano,
in via Bergognone 34 (MM2 Porta Genova, MM Sant’Agostino) in concomitanza con
la riunione dei ministri della salute del G7 e in contrapposizione
all’ipocrisia dei partecipanti a questa riunione che anziché proporre soluzioni
al bisogno di salute delle popolazioni, confermerà le politiche liberiste che
sono la causa reale dello sfruttamento di donne e uomini e del territorio.
L’obiettivo è quello di
realizzare, due giornate di riflessioni e confronti non solo per denunciare l’attacco
durissimo condotto alle condizioni di salute degli esseri umani e del nostro
pianeta da parte di chi è al vertice della politica, dell’economia e della
finanza mondiale, ma anche per mostrare quali sono le reali priorità nel campo
della tutela della salute, indicare le scelte da compiere, mostrare le buone
pratiche sperimentate sui territori e organizzare un’agenda globale di lotta
con obiettivi precisi contro la privatizzazione della sanità.
In questo contesto non si
può prescindere dall’enorme sviluppo della produzione di armi e dalle guerre in
corso, che hanno, come prima conseguenza, la diffusione in tutto il globo di
malattie e morte, ingiustizie e miseria, povertà e migrazioni di massa.
Il 4 Novembre si terrà un
Forum con la presenza di esperte, esperti, attiviste e attivisti provenienti da
tutto il mondo che, intrecciando le loro comunicazioni con le testimonianze
provenienti dai territori, affronteranno, tra gli altri, i seguenti temi:
la disuguaglianza sociale
e la povertà come determinanti di malattie;
l’accesso ai farmaci e
alle cure;
la privatizzazione dei
servizi sanitari;
le cause, le conseguenze
e le responsabilità dei cambiamenti climatici, la difesa dell’acqua e della
terra come beni comuni.
Il 5 novembre è previsto,
sempre a Milano, un incontro nazionale tra le reti, le organizzazioni e i
movimenti attivi sui diversi temi della tutela della salute e dei cambiamenti
climatici operanti in Italia. L’incontro si svolgerà c/o il “Residence sociale
Aldo dice 26x1” in via Oglio 8 (MM3 Brenta)
Tutte le realtà
interessate a partecipare a tale incontro e ad aderire al Comitato “Salute
senza padroni e senza confini”, sottoscrivendo questo appello, possono
contattarci all’indirizzo e mail dirittoallasalute2017@gmail.com.
Il presente appello può
essere inoltre visionato e letto collegandosi alla pagina evento Facebook Forum
diritto alla salute e accesso universale alle cure
Rivolgiamo un appello ai
movimenti, alle associazioni, alle organizzazioni non governative, alle/ai
rappresentanti delle/dei lavoratrici/lavoratori, alle realtà di base della
società civile e alle forze politiche che si riconoscono nella lotta per
affermare il diritto alla salute affinché aderiscano al Forum internazionale,
partecipandovi attivamente, e diffondendone la notizia attraverso tutti i
canali di comunicazione a loro accessibili.
GUE, Gruppo parlamentare
“Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica”
Milano in Comune, Gruppo
consiliare al Comune di Milano
Comitato “Salute senza
padroni e senza confini”
prime adesioni:
Medicina Democratica
movimento di lotta per la salute;
37,2” la trasmissione di
Radio Popolare sulla salute;
AIEA Associazione
Italiana Esposti Amianto;
Rete per il diritto alla
salute di Milano e Lombardia;
Forum Diritto alla
Salute;
NAGA;
Comitato per l’acqua
pubblica;
Il sindacato è un’altra
cosa opposizione CGIL;
CONUP Coordinamento
Nazionale Unitario Pensionati di oggi e di domani;
Comitato Nascere a
Latisana;
AIUTO Associazione
Italiana Umanitaria Tutela Ospedali;
CNS Comitato Nazionale
Sanità
Milano, 5 ottobre 2017
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From: Medicina
Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Monday, October 16,
2017 4:50 PM
Subject: DICIAMO NO ALLA
COMMERCIALIZZAZIONE DELLA SALUTE
Con due delibere, la n.
6164 del 3 gennaio e la n. 6551 del 4 maggio 2017, la Giunta Regionale
Lombarda, senza nemmeno una discussione in Consiglio Regionale, sta modificando
totalmente l’assistenza sanitaria in Lombardia e cancellando alcuni dei
pilastri fondativi della legge di riforma sanitaria la n. 833 del 1978, nello
specifico quello della medicina generale o di base.
Medicina Democratica e
alcuni sindacati medici, hanno presentato ricorso al TAR per incostituzionalità
delle delibere: una delibera non può modificare una legge! Allo stato il TAR ha
risposto negando per la sospensiva della delibera, dicendo che il problema era
troppo complesso per poter intervenire in sede di urgenza. Da parte nostra e di
altri sindacati medici è stato chiesto di fissare l’udienza di merito al più
presto. Restiamo in fiduciosa attesa.
La vicenda riguarda,
secondo le stime della Regione, circa 3.350.000 cittadini “pazienti cronici e
fragili” che sono stati suddivisi in tre livelli a seconda della gravità della
loro condizione clinica. Costoro riceveranno in autunno una lettera attraverso
la quale la Regione li inviterà a scegliersi un “gestore” (la delibera usa
proprio questo termine) al quale affidare, attraverso un “Patto di Cura”, un
atto formale con validità giuridica, la gestione della propria salute. Il
gestore potrà essere loro consigliato dal medico di base o scelto autonomamente
da uno specifico elenco. Il gestore, seguendo gli indirizzi dettati dalla
Regione, predisporrà il Piano di Assistenza Individuale (PAI) prevedendo le
visite, gli esami e gli interventi ritenuti da lui necessari; il medico di
medicina generale (MMG) può eventualmente integrare il PAI, provvedendo a darne
informativa al Gestore, ma non modificarlo essendo il PAI in capo al Gestore.
Il MMG viene quindi
privato di qualunque ruolo, sostituito da un manager e da una società; ed è
questa una delle ragioni che ha fatto scendere sul piede di guerra diversi
sindacati medici. La Regione si sta mettendo sulla strada di cancellare la
figura del medico di base, per ora svuotando nei fatti la sua operatività.
Probabilmente, dopo il referendum sull’autonomia regionale, procederà ulteriormente.
Sulla sanità (già oggetto di numerosi tagli) ne abbiamo già sentite molte, da
Renzi alla Lorenzin e questa non sarà l’ultima.
Una “legge eccezionale”,
sostiene la Regione, perché eviterà che cittadini malati, in maggioranza
anziani, debbano impazzire con le ricette, le telefonate interminabili ai
centralini regionali per fissare le visite, le code agli sportelli, le liste di
attesa ecc.. Senza considerare però che la scelta degli esami cui sottoporsi
contiene esami inutili, mentre altri utili, non ci sono. Il cittadino che
aderisce al sistema dovrà pagarseli.
La Regione Lombardia non
dirà che tutti questi disagi sono stati costruiti ad arte, prima da Roberto
Formigoni e poi da Roberto Maroni, per spingere i cittadini verso la sanità
privata che li aspetta con gioia per lucrare ulteriormente sulla loro pelle.
Se il TAR non cancellerà
queste delibere e se i cittadini e le organizzazioni della società civile non
si ribelleranno è forte il rischio che molti nostri concittadini accetteranno
quasi con riconoscenza il piano della Regione; salvo poi accorgersi che ad
essere trascurata sarà proprio la loro salute. Ma allora potrebbe essere troppo
tardi.
RESPINGIAMO LA LETTERA
DEL GESTORE E TENIAMOCI IL MEDICO DI BASE!
Medicina Democratica
Milano 12 ottobre 2017
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From: MicroMega newsletter@micromega.net
To:
Sent: Monday, October 16,
2017 4:54 PM
Subject: ILVA, IL DRAMMA
(ANNUNCIATO) DI TARANTO
di Antonia Battaglia
Si svolge a Taranto in
queste ore quello che sembra essere il più grande dramma occupazionale che
abbia mai investito la città. E che riguarda non solo Taranto ma anche gli
stabilimenti ILVA di Genova Cornigliano e di Novi Ligure.
La nuova proprietà
dell’ILVA, la cordata Am Investco, formata dal leader mondiale della siderurgia
Arcelor Mittal e dal gruppo Marcegaglia, ha infatti annunciato un piano di
ristrutturazione aziendale che prevede 4.000 esuberi sui 14.200 lavoratori
totali del Gruppo, di cui 3.330 a Taranto.
L’adesione allo sciopero
indetto da FIM, FIOM, UILM e USB contro i tagli annunciati e contro le nuove
condizioni di inquadramento contrattuale dei lavoratori, è stata quasi totale e
ha coinvolto anche le aziende dell’indotto.
Il Gruppo ILVA era stato
ceduto alla cordata Arcelor Mittal-Marcegaglia, divenuto appunto Am Investco,
pochi mesi fa. Arcelor Mittal, il gruppo mondiale leader nell’approccio
combinato tra estrazione di minerali e produzione siderurgica, è al momento il
più grande produttore nelle Americhe, in Africa e in Europa, dove vanta una
presenza molto importante in diverse aree (ricordiamo il reportage realizzato
per MicroMega sulla riconversione delle acciaierie di Belval in Lussemburgo,
dove Arcelor Mittal ha avuto un ruolo centrale).
La strategia ambientale e
industriale della Am Investco per Taranto sembrava molto dubbia già al momento
della cessione del Gruppo. Ma come si è potuti arrivare a una crisi così grave,
e tuttavia annunciata, senza che il Governo sia stato coinvolto nei piani di
ristrutturazione che la cordata aveva già progettato? Quello che accade adesso
è davvero una sorpresa?
Mittal aveva dichiarato
già prima dell’estate di esser pronto ad investire a Taranto circa 4 miliardi
di euro. L’obiettivo delineato nelle linee guida del piano industriale era di
operare un veloce rilancio delle attività dell’ILVA attraverso il ripristino
della capacità produttiva. Da 5.7 milioni di tonnellate di bramme prodotte da
ILVA nel 2016, AM Investco prevedeva di arrivare a 8 milioni nel 2024 con
ricavi raddoppiati, che da 2.2 miliardi di euro annui dovrebbero passere a 4.
Le linee guida che erano
circolate parlavano di una “profonda ristrutturazione dell’area a caldo” (la
parte la più inquinante), il mantenimento in vita di tre altoforni e la messa a
nuovo dell’AFO5, l’altoforno più grande d’Europa.
Ma nel documento si
illustravano anche i punti salienti di quello che veniva chiamato il
“mantenimento dei livelli occupazionali” e che in realtà prevedeva migliaia di
esuberi: infatti, solo pochi giorni dopo FIOM, FIM e UILM dichiaravano che i
piani industriali e occupazionali presentati erano inaccettabili. ILVA oggi
impiega oltre 14.000 addetti, mentre Mittal stimava nel 2018 di avere 9.407
dipendenti, cifra che nel 2023 sarebbe dovuto scendere a 8.480 addetti. Quello che
accade oggi è, quindi, davvero inaspettato?
Dal punto di vista
ambientale, il Gruppo scriveva di voler investire circa 1,14 miliardi circa per
realizzare l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), ma la data prevista per
il completamento delle prescrizioni è il 2023, una data spaventosa perché vuol
dire procrastinare ulteriormente una situazione già molto pericolosa al momento
attuale. Ed inoltre, la somma indicata per i lavori di adeguamento appare assai
esigua rispetto alla natura e all’urgenza degli interventi previsti. Si ricorda
che la somma stimata dal GIP Todisco nel 2013 per porre rimedio al disastro
ambientale ammontava a circa 8,1 miliardi di euro.
La situazione ambientale
a Taranto rimane ancora drammatica. Ciò che preoccupava e preoccupa maggiormente
è lo stato di attuazione dell’AIA, le cui prescrizioni sono state dilazionate
nel tempo, man mano che sono arrivate alla scadenza prevista per la loro
attuazione e gli interventi di proroga hanno periodicamente salvato la
produzione dello stabilimento, facendo venire meno la certezza dello stato di
diritto.
Ad oggi, purtroppo, non
vi è ancora alcuna evidenza che sia venuto meno l’impatto sanitario delle
emissioni dell’ILVA e che l’inquinamento della falda superficiale e profonda
non prosegua. Nessun intervento cospicuo e risolutivo è stato fino ad ora messo
in atto per arginare il fenomeno, nonostante l’AIA preveda la decontaminazione
del suolo e della falda e una serie di altre misure da sempre urgenti.
Si attende anche il
parere europeo in merito all’acquisizione di ILVA da parte di AM Investco,
manca infatti l’OK definitivo dell’Antitrust europeo.
La politica europea in
materia, infatti, si articola intorno a due nodi centrali definiti dal Trattato
EU:
l’articolo 101, che
stabilisce che sono incompatibili con il mercato interno europeo tutti gli
accordi tra imprese, le decisioni di associazioni e le pratiche che possano
pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per
effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza;
l’articolo 102, che
stabilisce che è incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura
in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo
sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante
sul mercato interno o su una parte sostanziale dello stesso.
Oggi Arcelor controlla,
secondo le ultime stime, circa il 35% del mercato europeo. L’Antitrust, quindi,
farebbe scattare un’investigazione per regime di monopolio sul mercato nel caso
in cui venisse superata la soglia del 40%, il che vorrebbe dire che AM Investco
non potrebbe produrre a Taranto più di cinque o sei milioni di tonnellate
d’acciaio, e che quindi, restando sotto la soglia permessa dal diritto europeo,
si potrebbero mettere a rischio la produttività e la sopravvivenza stessa
dell’impianto tarantino.
Considerati tutti questi
elementi, ci si chiede quando arriverà il momento della presa di coscienza del
fatto che lo stabilimento di Taranto è una bomba a cielo aperto per motivi
sanitari, ambientali, e anche per ragioni di sostenibilità economica e
produttiva e, di conseguenza, occupazionale.
Taranto è un boomerang
politico per il governo attuale e per quelli futuri e, restando in un’ottica di
realpolitik, anche volendo tralasciare le fondamentali questioni sanitaria ed
ambientale, una gestione cosi tentennante, con orizzonti sempre brevi e piani
poco vincenti, si conferma inadeguata.
Vista la gravità della
situazione ambientale e sanitaria e considerata anche l’impossibilità di
raggiungere un equilibrio economico produttivo in grado di assicurare una
stabilità occupazionale, non sarebbe arrivato il momento di un cambio di
paradigma profondo, che veda rinascere Taranto orientando su altre direttrici
di sviluppo la realtà del comprensorio?
Vista l’impossibilità o
la non volontà di dotare lo stabilimento di impianti e processi di produzione
moderni e non inquinanti ed economicamente competitivi, appare improrogabile un
intervento profondo e risolutivo che possa ridare speranze e respiro alla
città.
Progettare un futuro
nuovo per Taranto deve essere un’operazione da affrontare allontanandosi dal
modello che ha portato alla disastrosa esperienza di Bagnoli, lasciata in mano
alle mafie per troppo lungo tempo. La situazione di quella che era la
ricchissima mitilicoltura appare anche difficile, e a soffrire della questione
inquinamento e dei conseguenti danni causati all’immagine sono anche le
numerose ed eccellenti aziende del settore turistico e dell’agroalimentare, di
cui la regione è ricchissima.
E’ il momento di
immaginare e disegnare un futuro diverso e completamente nuovo. L’ILVA può
ancora davvero definirsi un asset strategico nazionale a cui sacrificare lo
sviluppo della città?
Ci si augura che il
Governo voglia dar vita ad un gruppo di riflessione sul futuro di Taranto e
cominciare a raccogliere idee e contributi per costruire un progetto valido,
economicamente vincente e che possa rendere la città di nuovo protagonista del
proprio destino a partire dalle ricchezze già presenti e non valorizzate.
9 ottobre 2017
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