comunicato stampa
5 ottobre 2017
info 347-1102638
lo slai cobas per il sindacato di classe Cementir aveva già deciso e
annunciato nella conferenza stampa di questa settimana che dal 9 ottobre
sarebbe partito lo stato di agitazione
“Ai sensi e per gli effetti della Legge n. 223 dei 23 luglio 1991 (e
s.m.i.), con la presente Vi comunichiamo che in scrivente società Cementir
Italia S.p.A. con sede legale in Roma al Corso di Francia 200 deve procedere al
licenziamento collettivo di complessivi n. 72 (settantadue) dipendenti,
compreso il personale addetto al locale ufficio vendite, (di cui n. 12
impiegati e n. 60 fra intermedi ed operai) tutti in organico allo stabilimento
di Taranto e ritenuti strutturalmente eccedenti rispetto alle esigenze
aziendali“. Arriva così, attraverso una raccomandata a mani, inviata ai
sindacati di categoria, alla Regione Puglia, alla Provincia, all’Ispettorato
del Lavoro e a Confindustria Taranto, l’annuncio della società Cementir Italia
spa del gruppo Caltagirone: pochi giorni dopo la chiusura delle indagini da
parte della Procura di Lecce che ha sequestrato il sito del gruppo di Taranto
(oltre che il parco loppa dell’Ilva e la centrale Enel di Cerano), all’interno
di un’inchiesta per utilizzo di ceneri e loppa d’altoforno non a norma, e prima
ancora che scada l’anno di cassa integrazione a zero ore il prossimo 22
gennaio, l’azienda decide di procedere direttamente al licenziamento collettivo
dei 72 lavoratori di Taranto.
a fronte della comunicazione aziendale
lo conferma e indice per mercoledì 11 ottobre uno sciopero per tutta la
giornata dei dipendenti Cementir e dei lavoratori dell’indotto Cementir con
manifestazione presidio alla Prefettura dalle ore 9
vogliamo
che l’Italcementi assorba da subito tutti i dipendenti Cementir e faccia
ripartire il lavoro al più presto possibile e coprire con la cassaintegrazione
il tempo necessario alla ripresa del lavoro in Italcementi
vogliamo
la bonifica integrale dello stabilimento e dell’area
vogliamo
che l’inchiesta della Magistratura vada fino in fondo e che proprietà e
management locale paghino per le loro responsabilità – accertando anche
le eventuali complicità istituzionali e sindacali rispetto ai reati contestati
i
lavoratori devono essere tutelati per lavoro, salute e reddito, e risarciti per
gli eventuali danni alla salute subiti
RSA
Cementir Slai Cobas
Slai
Cobas per il sindacato di classe provinciale
slaicobasta@gmail.com
347-5301704
Il dl Mezzogiorno garantisce la proroga di
un anno per la cig per le aziende in aree di crisi complessa di cui fa parte
anche Taranto: i sindacati mirano alla proroga dell’accordo del 2016. L’11
ottobre a Roma si incontreranno con i rappresentanti della Italcementi dopo la
cessione dei siti in Italia del gruppo Caltagirone. E la bonifica della falda e
i lavori alla banchina della calata IV del porto di Taranto che fine faranno?
“Ai sensi e per gli effetti della Legge
n. 223 dei 23 luglio 1991 (e s.m.i.), con la presente Vi comunichiamo che in
scrivente società Cementir Italia S.p.A. con sede legale in Roma al Corso di
Francia 200 deve procedere al licenziamento collettivo di complessivi n. 72
(settantadue) dipendenti, compreso il personale addetto al locale ufficio
vendite, (di cui n. 12 impiegati e n. 60 fra intermedi ed operai) tutti in
organico allo stabilimento di Taranto e ritenuti strutturalmente eccedenti
rispetto alle esigenze aziendali“. Arriva così, attraverso una raccomandata
a mani, inviata ai sindacati di categoria, alla Regione Puglia, alla Provincia,
all’Ispettorato del Lavoro e a Confindustria Taranto, l’annuncio della società
Cementir Italia spa del gruppo Caltagirone: pochi giorni dopo la chiusura delle
indagini da parte della Procura di Lecce che ha sequestrato il sito del gruppo
di Taranto (oltre che il parco loppa dell’Ilva e la centrale Enel di Cerano),
all’interno di un’inchiesta per utilizzo di ceneri e loppa d’altoforno non a
norma, e prima ancora che scada l’anno di cassa integrazione a zero ore il
prossimo 22 gennaio, l’azienda decide di procedere direttamente al
licenziamento collettivo dei 72 lavoratori di Taranto.
I dati negativi della crisi del settore del cemento in Italia
Cementir Italia S.p.A., all’interno della
raccomandata, ricorda di essere “una società attiva nel settore della
produzione e vendita di cementi ed attualmente occupa complessivamente n. 321
(trecentoventuno) dipendenti (di cui n.1l dirigenti, n.l9 quadri, 74 impiegati
e 217 fra intermedi ed operai)“. Ripetendo ancora una volta il mantra di
sempre: ovvero che i motivi della crisi del gruppo vanno ricercati a causa “della
grave e stabilizzata recessione che in Italia si è rivelata particolarmente
negativa nel settore dell’edilizia che ha registrato, negli ultimi anni una
significativa contrazione della domanda di materiali da costruzione e quindi
anche della domanda di cementi“. A conferma della tesi sopra esposta,
Cementir sciorina anche altri dati: “Lo scorso mese di febbraio
l’associazione confindustriale di categoria AITEC ha prospettato alla
Commissione Lavori Pubblici del Senato una situazione complessiva del settore
della produzione di cementi per la quale la crisi iniziata nell’ormai lontano
2008 non è ancora terminata. Rispetto ai valori registrati nove anni fa nel
2017 è prevista una diminuzione di oltre ii 60% in termini di volumi di
produzione, di mercato e di valore aggiunto. Questo drastico ridimensionamento
ha sinora determinato la chiusura sul territorio nazionale di ben 25
stabilimenti“. Alla luce di questa gravissima situazione di crisi
settoriale di mercato, Cementir poi ricorda che lo scorso maggio è stato creato
un tavolo intermininisteriale (Ministero del Lavoro, Ministero dello Sviluppo
Economico, Ministero dell’Ambiente) per affrontare la crisi dei settore cemento
“il quale evidenzia purtroppo ancora una capacità produttiva di gran lunga
superiore alla richiesta del mercato con gli stabilimenti che marciano in media
al 60% delle loro potenzialità produttive. In definitiva, in base alle
dinamiche registrate dal mercato è possibile ad oggi prevedere, quale scenario
più probabile, una sostanziale stagnazione nel breve-medio periodo“.
Il lungo ridimensionamento del sito di
Taranto sino alla chiusura del forno
Per quanto riguarda l’intera Cementir
Italia. S.p.A. “solo negli ultimi esercizi (2011-2016) i volumi di vendita
sul mercato domestico si sono ridotti di circa il 43 percento. A conferma di
quanto rilevato in ordine alla mancanza di segnali di miglioramento dello
scenario di mercato che facciano intravedere una possibile inversione di
tendenza, le consegne di cementi dallo stabilimento di Taranto alla data del 30
giugno 2017 registrano un decremento del 18 per cento rispetto a quanto
consegnato sul mercato nel primo semestre del 2016 – si legge nella nota
aziendale -. Al pari di tutte le altre aziende del settore la società ha
dovuto adeguare l’offerta alla domanda, programmando una riduzione delle
produzioni ed attuando una pluralità di azioni mirate al contenimento dei costi
ed ai recuperi di efficienza, adeguando e razionalizzando progressivamente
l’apparato organizzativo, amministrativo ed industriale ai mutati volumi di
produzione e vendita“. “Nello specifico, presso lo stabilimento di
Taranto tale situazione ha già da tempo costretto la società ad un
significativo ridimensionamento delle attività, con chiusura nel dicembre del
2013 dell’area di produzione “a caldo” e con la conseguente ridefinizione degli
organici necessari alla conduzione del ciclo industriale ridotto (c.d. centro
di macinazione); in tal modo, limitando l’attività alla sola macinazione del semilavorato
denominato clinker acquisito da produttori terzi, unitamente alla loppa di
altoforno fornita a mezzo nastro trasportatore dal limitrofo stabilimento
dell’Ilva, si consente la realizzazione a costi sostenibili di prodotti
specializzati ed altamente tecnici – si legge ancora -. Infatti, come è
noto, la trasformazione delle materie prime nel semilavorato clinker avviene
nel corso del processo produttivo “a caldo” all’interno di complessi ed
articolati impianti industriali di grandi dimensioni ,la cui conduzione,
controllo e manutenzione richiede l’impiego di un numero ben più elevato di
maestranze rispetto alla sola macinazione del clinker. Presso lo stabilimento
stesso sono stati quindi adottati tutti i meccanismi di gestione transitoria e
non traumatica della crisi tant’è che sino al 21 dicembre 2017 il personale
fruirà del trattamento straordinario di integrazione salariale concesso alle
imprese operanti in un’area di crisi industriale complessa“.
Le intenzioni future e gli interventi
“esterni”
La verità, come sempre, sta nel mezzo. Nel
senso che la Cementir, nel proseguo della nota, chiarisce senza nemmeno
indugiare poi tanto, sul fatto che gli ultimi eventi che hanno riguardato il
sito di Taranto, hanno ‘costretto’ la società a stravolgere il piano studiato
da tempo. Ovvero un progressivo ridimensionamento del piano occupazionale, in
funzione della trasformazione del sito. “La società era pervenuta alla
determinazione di procedere, al termine del periodo di CIGS, ad una definitiva
riduzione degli organici di Taranto, strutturalmente esuberanti rispetto alle
concrete necessità lavorative in considerazione della complessiva ed oramai
stabilizzata riduzione di tutte le attività dello stabilimento stesso, sia
dirette sia indirette alla produzione. L’intenzione iniziale della società, da
tempo resa nota, era quella infatti di allineare definitivamente gli organici
alla struttura industriale configurata solo come centro di macinazione, come da
organizzazione produttiva già da anni concretamente operativa a Taranto,
nonostante le difficoltà proprie di tale tipologia di impianto connesse ai più
alti costi di gestione e di approvvigionamento del semilavorato. Tale atteso
programma di significativo seppur parziale ridimensionamento degli organici
dedicati, in funzione del quale erano stati previsti n.47 (quarantasette)
esuberi di cui n. 4 impiegati e 11.43 fra “intermedi ed operai, è stato
tuttavia stravolto dei recenti avvenimenti di seguito descritti, seppur
ampiamente noti in quanto oggetto di vasta attenzione anche mediatica” si
legge nella nota. Poi però l’intervento della magistratura la scorsa settimana,
ha cambiato gli scenari. “Il 28 settembre la Guardia di Finanza, su
richiesta della Procura della Repubblica di Lecce, ha sequestrato in via
preventiva la loppa ricevuta dall‘ILVA nonché i parchi di stoccaggio e gli
impianti dedicati, sull’assunto che tale sottoprodotto del processo di fusione
della ghisa non sarebbe asseritamente conforme agli standard richiesti dalle
attuali normative. Fermo restando che la scrivente società confida di dimostrare
nel corso delle indagini la correttezza dei propri processi produttivi nonché
la propria estraneità ad ogni comportamento astrattamente perseguibile
penalmente, è noto che l’utilizzo della loppa d’altoforno nella produzione del
cemento e comunque ammesso e disciplinato da una Autorizzazione Integrata
Ambientale“.
(leggi l’articolo sull’inchiesta sul
traffico illecito di rifiuti http://www.corriereditaranto.it/2017/09/28/47352/)
Ma come abbiamo scritto per anni (anche se
solo adesso qualcuno se ne accorge soltando adesso, come sempre del resto, dopo
l’intervento della magistratura e le carte da cui ‘apprendere’ una realtà che
invece dovrebbe conoscere alla perfezione) il legame tra la Cementir e l’Ilva,
in termine di materie prime e produzione è indissolubile. Come ha gioco facile
ad affermare anche la stessa società del gruppo Caltagirone. “Il sequestro
ha comunque determinato, per causa di forza maggiore, la sospensione a tempo indeterminato
di tutte le attività dl produzione e commercializzazione sviluppate presso lo
stabilimento di Taranto. Di conseguenza la scrivente società ha condotto
un‘approfondita analisi della situazione determinatasi, all’esito della quale
ha dovuto prendere atto che lo stabilimento di Taranto, privo della fornitura
di loppa da parte del limitrofo stabilimento dell’ILVA, non può ulteriormente
agire sul mercato a costi competitivi. Peraltro si evidenzia che lo
stabilimento stesso è certificato solo per la produzione e commercializzazione
dei cementi d’altoforno, cioè quei cementi prodotti con un elevato utilizzo
della loppa. Essendo quindi emersa l’impossibilità di effettuare interventi
tecnico-produttivi e commerciali atti ad operare utilmente in un mercato
altamente concorrenziale la scrivente si vede costretta a sospendere sine die
l’attività anche solo come centro di macinazione“. E così, cogliendo la
palla al balzo, con il sito sotto sequestro è ‘impossibile’, per la società,
portare avanti qualsivoglia attività: e quindi a pagare, come sempre, è
l’ultimo anello della catena, i lavoratori, che in realtà restano ancora oggi
l’essenza vera sulla quale ogni azienda si poggia. “Si precisa che la
società non è in grado di adottare ulteriori misure per evitare, anche solo in
parte, l’attuazione del presente programma di licenziamento collettivo previsto
dall’art.4 della Legge n.223/91, essendo i licenziamenti susseguenti alla
sospensione sine die delle attività residue in corso presso lo stabilimento di
Taranto. I licenziamenti avverranno nel rispetto dei termini della presente
procedura e non sono prevedibili attribuzioni patrimoniali aggiuntive rispetto
a quelle proprie della risoluzione dei rapporti sul piano individuale e
previdenziale“.
(leggi anche http://www.corriereditaranto.it/2017/09/30/inchiesta-araba-fenice-grande-preoccupazione-per-i-72-dipendenti-della-cementir/)
Le verità nascoste….
Ora. La scelta della Cementir Italia, è
inutile nasconderlo, è un colpo basso inferto ai lavoratori ed al territorio.
Per di più, sembra un voler accelerare quel processo di lento abbandono che
l’azienda ha intrapreso nel corso degli ultimi anni, almeno dal 2013, quando
decise, dopo gli eventi che colpirono l’Ilva, di deporre nel cassetto il
progetto di 150 milioni di euro per il revaimping dell’intero sito di Taranto.
Seguì lo spegnimento del forno il 1 gennaio 2014, con la sola attività di
macinazione. La cassa integrazione a rotazione, i tavoli con i sindacati, la
Regione e il ministero dello Sviluppo economico, gli strani tentativi di
ottenere dall’Autorità Portuale di Taranto un rinnovo di 20 anni della
concessione di utilizzo della calata IV del porto di Taranto, che invece non fu
concessa rendendo la banchina in questione ‘pubblica’. Sino ad arrivare
all’accordo del dicembre del 2016 per la cassa integrazione di un anno, che
terminerà il prossimo 22 gennaio, con all’interno un percorso di formazione per
i lavoratori, insieme alla Regione Puglia, per ricollocare gli stessi in altri
settori e altre aziende del territorio, e la cessione di tutti i siti presenti
in Italia al gruppo tedesco Italcementi avvenuto lo scorso 19 settembre. (leggi
anche
http://www.corriereditaranto.it/2017/09/19/2-cementir-italia-acquista-dalla-italcementi-quale-futuro-sito-taranto/)
Un lento, inesorabile declino, che è
arrivato al classico punto di non ritorno che prevedemmo già diversi anni fa.
Restando però nell’ambito dei lavoratori, è chiaro che la decisione
dell’azienda cozza con quanto previsto dal decreto legge sul Mezzogiorno. La
Legge 3 agosto 2017, n. 123, di conversione, con modificazioni, del Decreto
legge 20 giugno 2017, n. 91 – pubblicata in Gazzeta Ufficiale n. 188 del 12
agosto 2017, ha introdotto, al Capo I, l’articolo 3-ter che prevede la
concessione, per le imprese operanti in un area di crisi industriale complessa,
di un ulteriore trattamento di integrazione salariale straordinaria sino al
limite massimo di 12 mesi “per ciascun anno di riferimento”. Alla luce di
questo intervento normativo – si legge sul sito del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali – le imprese che nel 2016 abbiano beneficiato del
trattamento di integrazione salariale straordinaria ai sensi dell’articolo 44
comma 11-bis del D.lgs. n. 148/15, possono richiedere, anche per il 2017, la
concessione del medesimo trattamento, sino a un massimo di 12 mesi, a valere
sulle risorse assegnate per questa annualità. Dunque, anche per la Cementir
Italia di Taranto la copertura per un ulteriore anno di cig è prevista per
legge. E non si capisce perchè la Cementir preferisca non usufruirne, avviando
la procedura di licenziamento per tutti i lavoratori.
(leggi anche http://www.corriereditaranto.it/2017/09/11/cementir-si-punta-formare-ricollocare-lavoratori-la-bonifica-falda-banchina-resta-silenziosa/) Inoltre, pur essendo
vero che l’azienda ha sempre dichiarato nei vari incontri con istituzioni e
sindacati che i 72 lavoratori non potevano essere ricollocati all’interno del
sito di Taranto, è altrettanto vero che è appena partito il percorso di
formazione redatto proprio dalla stessa Cementir, ed approvato dai sindacati di
categoria: dunque, perché abbandonare al proprio destino 72 lavoratori che
hanno da poco intrapreso un percorso di formazione che al momento non da alcuna
garanzia su un futuro occupazionale in altre aziende del territorio? Perché
abbandonarli al proprio destino, subito dopo aver concluso un’operazione di
vendita che ha fruttato alla società del gruppo Caltagirone oltre 300 milioni
di euro (anche se l’intera operazione è condizionata all’autorizzazione da
parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato prevista per
l’inizio del prossimo anno)? Infine, ma non certamente per ultimo, il tema
ambientale: che ne sarà del progetto TAF afferente la falda (attraverso un
piano di trattamento delle acque), per il quale la società presentò un progetto
attraverso un lavoro di concertazione con ARPA Puglia, di cui però non sappiamo
se la fase sperimentale sia finita o meno? Allo stesso tempo, è bene sempre
ricordarlo, ci chiediamo: la calata IV del porto di Taranto, per anni in
concessione alla Cementir, attende ancora i lavori di bonifica e
ristrutturazione che l’azienda, come denunciato anche tempo addietro dalla
stessa Autorità Portuale di Taranto, non ha mai realizzato: chi li realizzerà
adesso? Siamo proprio sicuri che la Italcementi si vorrà accollare tutto
questo? Il dubbio è senz’altro legittimo.
L’11 ottobre l’incontro tra sindacati e
Italcementi
Alla notizia dell’avvio della procedura di
mobilità, il livello della tensione è subito tornato ad alzarsi tra lavoratori
e sindacati. La Fillea Cgil, tramite il segretario generale Francesco
Bardinella, esprime tutto il suo disappunto e la sua preoccupazione per quanto
sta avvenendo in queste ore: “Abbiamo subito inoltrato una richiesta di
incontro urgente alla società Cementir, in quanto ci sono tutte le carte in
regola per ottenere una proroga delal cig per un anno, come previsto anche dal
Dl Mezzogiorno, evitando quindi i licenziamenti. Su questo le istituzioni
locali, ed in primis la Regione Puglia, devono garantirci il loro sostegno e il
loro impegno. Inoltre, questa decisione improvvisa, altera di fatto le prime
interlocuzioni che avevamo avviato con i nuovi proprietari del sito di Taranto,
i tedeschi della Italcementi“. Con i quali, come comunica lo stesso
Bardinella, ci sarà un incontro a breve: “Ci vedremo con i rappresentanti
della nuova azienda e il governo il prossimo 11 ottobre al ministero dello
Sviluppo economico a Roma per conoscere i loro piani sul sito di Taranto“.
Un confronto non solo sul piano occupazionale e il processo produttivo, ma
anche su quello ambientale: “Tenteremo anche di capire cosa vorrà fare
Italcementi in merito alla bonifica della falda e ai lavori in banchina della
calata IV: al momento la situazione è molto critica“.
(leggi anche
http://www.corriereditaranto.it/2016/12/28/cementir-un-accordo-meta-un-altro-anno-cigs-bastera-la-calata-iv-diventa-pubblica/)
Preoccupazioni, queste ultime, che non
sembrano toccare il gruppo Caltagirone, che conclude la nota con cui avvisa
dell’avvio della procedura di licenziamento, con un quanto mai laconico “Vogliate
gradire i nostri migliori saluti“….
(leggi qui tutte le notizie sulla Cementir
http://www.corriereditaranto.it/?s=cementir)
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