MORTI
D'AMIANTO ALLA BREDA/ANSALDO
Dal
quotidiano Il Giorno
"Morti da amianto? Forse
è il fumo": la sentenza fa infuriare le famiglie.
Caso Breda, i giudici: "Non esiste una tangibile
prova scientifica"
di MARIO CONSANI
25 ottobre 2017
Milano, 25 ottobre 2017 - Si sa che il fumo
fa male. E allora potrebbero essere state le sigarette a causare la morte
per mesotelioma pleurico di una decina di operai dell’ex Breda, che
per decenni hanno respirato fibre di amianto. Sembra paradossale, ma è
uno dei motivi per i quali il tribunale lo scorso giugno ha assolto otto ex
manager della Breda Termomeccanica-Ansaldo accusati di omicidio colposo per la
morte degli operai esposti all’amianto nello stabilimento milanese di viale
Sarca tra gli anni ’70 e il 1985. «Non è possibile accertare inoltre, e sempre
nel caso singolo - scrive il giudice Simone Luerti nelle motivazioni del
verdetto, depositate ieri - se l’insorgenza di un carcinoma polmonare sia stata
condizionata dall’esposizione all’asbesto ovvero se l’insorgenza di un
mesotelioma pleurico sia stata condizionata dal fumo di sigaretta».
Non esiste,
ricorda, una «legge scientifica» che possa descrivere l’ipotesi,
formulata dall’accusa, di un «nesso di causalità tra una determinata condotta
ascrivibile a un imputato e la malattia insorta in un preciso lavoratore,
successivamente deceduto». La sentenza, emessa dalla nona sezione penale, è in
linea con tutti i recenti verdetti di assoluzione del tribunale milanese nei
processi che vedono imputati manager di aziende, più o meno grandi, per le
morti di operai causate dall’amianto respirato sui luoghi di lavoro in assenza
di protezioni. Anche nel caso Breda, si legge nelle motivazioni, «le molteplici
variabili ambientali e soggettive giocano un ruolo determinante, imponendo di
esplorare il fenomeno reale e non solo l’andamento percentuale di un gruppo»,
come avrebbe fatto la Procura. Per la pubblica accusa, in questo genere di
processi non c’è solo la difficoltà di ricostruire, dopo tanti anni, le storie personali
dei lavoratori e della loro malattia. Per alcuni giudici (ed esperti
scientifici) è solo il momento in cui insorge la malattia - che ha
periodi di latenza anche di 30 anni - a contare in termini di eventuali
responsabilità per chi all’epoca dirigeva una fabbrica. E fissare quel
momento è difficilissimo. Per altri, invece, il protrarsi
dell’esposizione all’amianto aggrava comunque la malattia che porta alla morte:
dunque le responsabilità andrebbero estese. Ma questa tesi sta perdendo forza
anche in Cassazione.
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