Meno di 700 dipendenti quasi 200 positivi al tampone, decine operai
che hanno dovuto recarsi al lavoro mentre erano in attesa del tampone
senza nessuna sospensione cautelare. L’Aia, multinazionale delle
carni, nello stabilimento del trevigiano, a Vazzola, ha deciso di
mantenere la produzione a pieno regime nei giorni scorsi quando era
chiaro che il contagio era partito e oggi si limita ad una riduzione
della produzione: certo un terzo dei dipendenti sono in quarantena! A
marzo scorso e nei mesi successivi abbiamo imparato che le grandi
aziende hanno molto più a cuore i propri profitti che la vita di
lavoratrici e lavoratori e del resto della popolazione che entrerà
in contatto con loro. A distanza di mesi, dopo aver visto la tragedia
di Alzano e Nembro e l’arroganza di Confindustria che ha scelto a
proprio rappresentante proprio un industriale Bergamasco in prima
fila in difesa degli utili aziendali prima della salite pubblica, non
possiamo accettare questa situazione sopratutto in aziende che sono
ad alto rischio come hanno dimostrato i numerosi casi nei macelli
tedeschi. Se è vero che la maggior parte dei contagiati all’Aia
oggi è asintomatico, questo non significa che lo saranno tutti e che
sopratutto non possa diffondersi attraverso questi lavoratori ad
altri segmenti della popolazione locale magari più anziani e più
esposti a rischi gravi. Già alcuni lavoratori di altre fabbriche
della zona sono risultati positivi. A tutto ciò si sommano le
dichiarazioni del dg dell’Usl 2 del Veneto, Francesco Benazzi,
dichiarazioni assolutamente senza senso: “il virus c’è ma è
indebolito e esterno all’impianto” e razziste “una parte
consistente dei positivi è di origine straniera e Africana, più
reticente alla prevenzione in ambito esterno”, sembrano
dichiarazioni di chi vuole sollevare l’azienda dalle proprie
responsabilità per scaricarle sui lavoratori e farlo senza nessuna
prova!
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