sabato 23 ottobre 2021

23 ottobre - UN'ALTRA STORIA DI DELOCALIZZAZIONE PERMESSA DAL GOVERNO E ACCETTATA DAI SINDACATI CONFEDERALI - TESSITURA DI MOTTOLA SRL

ALTRO CHE LEGGE CONTRO LA DELOCALIZZAZIONE, DA PARTE DEL GOVERNO SOLO MISERABILE CASSINTEGRAZIONE, PER PERMETTERE AI CAPITALISTI DI BUTTARE IN MEZZO AD UNA STRADA CENTINAIA DI OPERAI.

UNICA CONTROTENDENZA, ANCHE QUI NASCE LO SLAI COBAS SC

Il caso in provincia di Taranto - Tessitura di Mottola srl - Gruppo Albini

Riportiamo, di seguito, l'ultimo verbale dell'incontro convocato il 14 ottobre dalla Task force della Regione sulla situazione occupazionale dei lavoratori della Tessitura di Mottola srl.

Come si può leggere, l'unica prospettiva per i 118 lavoratori e lavoratrici, che dall'inizio dell'estate sono anche in presidio davanti alla fabbrica per impedire che l'azienda la smantelli, è la cassa integrazione, che tra cig covid e nuova cigs consentirà un minimo di reddito per sopravvivere (non per vivere), fino ad ottobre 2022.

Per il resto, niente. La sorte di questi lavoratori, come di tantissimi in questa Regione, solo a Taranto vi ci sono i 1600 operai ex Ilva, i 51 della Cemitaly, è di fare corsi di "riqualificazione" e colloqui per una ricollocazione di singoli lavoratori.

Entrambe le cose negative.

Perchè i corsi, senza una finalizzazione ad un progetto reale di prospettiva occupazionale sono totalmente inutili e generici (come già l'esperienza per Ilva e Cemitaly ha dimostrato) - tenendo conto, poi, che stiamo parlando di operai e operaie già con una buona, a volte alta professionalità nel settore. Perchè le eventuali ricollocazioni dividerebbero i lavoratori, indebolirebbero la forza di trattativa e contrattuale, diventerebbero di fatto un ricatto per i singoli lavoratori (o accetti o rischi di perdere anche la cig), che potrebbero trovarsi a dover accettare lavori precari, contratti a tempo determinato, demansionamento, perdita di tutto quello che hanno conquistato in tanti anni di attività (livelli, indennità, ecc.).

Intanto, come si legge sempre nel verbale della Regione, continuerebbe la ricerca sul mercato, per verificare le possibilità occupazionali di aziende, anche di altri settori produttivi, esistenti nell'arco di 50 Km dall'attuale luogo della Tessitura.

Anche qui, quindi, con una, bene che vada, prospettiva di frammentazione dei lavoratori e di assoggettamento a condizioni lavorative peggiori. Tra l'altro, come sottolinea il Presidente della Sepac, Leo Caroli, anche questa prospettiva avrebbe tempi lunghi, tanto che alla fine l'appello oltre che alla parte aziendale è ai lavoratori ad accettare "riqualificazione in funzione dei bisogni reali del mercato lavorativo", che tradotto vuole dire: non fate i pretenziosi, prendete tutto quello che eventualmente il mercato offre...

Unico, differente spiraglio sembra l'attività della Agenzia Vertus per una prospettiva di acquisizione della fabbrica e quindi degli operai da parte di un'altra azienda. Qui si è partiti dal contattare ben 450 aziende (!?), anche di differenti settori produttivi, e si è arrivati per ora solo a: due che hanno presentato progetti e una che ha manifestato interesse; mentre si sta cercando ancora qualche altro possibile investitore. Su questo un aggiornamento sarà a fine anno.

Ma purtroppo, primo, questa "storia" l'abbiamo già vista in altre realtà (vedi vicenda Whirpool), in cui dopo anni di ricerca i lavoratori sono a rischio licenziamento; secondo, non si spiegano i motivi del mancato interesse da parte di altre aziende, nè si dice se anche quelle che avrebbero manifestato interesse prenderebbero tutti i 118 lavoratori della Tessitura e a quali condizioni.

Però, ciò che è più inaccettabile di questa "vertenza", ben espressa dal verbale del 14 ottobre, sono due.

L'azienda, il gruppo Albini, che interviene e viene trattata come se non fosse la prima, principale responsabile di questo attacco al posto di lavoro! Una azienda multinazionale che ha campato e ha fatto profitti sul lavoro dei 118 operai e operaie per anni, che ha usufruito di fondi pubblici, gravi fiscali, contributivi; un'azienda che non chiude perchè in crisi ma semplicemente perchè altrove, soprattutto all'estero, può fare più profitti, per taglio dei costi della manodopera, meno diritti per i lavoratori, ecc.

A questa, come ad altre aziende che licenziano per delocalizzazione, però non succede nulla, anzi viene trattata con tanto di "guanti bianchi", quasi ringraziata perchè ha "concesso" di richiedere la cassintegrazione - di cui una parte, quella covid, è peraltro totalmente gratuita per Albini.

Una cosa inaccettabile!

Come inaccettabile è l'atteggiamento dei sindacati confederali, che richiedono solo "informazioni", non fanno richieste, non portano loro proposte, non mettono in discussione l'andamento attuale.

Sindacati che continuano, grazie al grande sforzo di lavoratori e lavoratrici, a tenere in piedi un presidio, purtroppo sempre più inutile, da cui non partono iniziative di lotta che possano pesare nella trattativa e rendere visibile questa realtà lavorativa, ai più anche a Taranto, sconosciuta; sindacati che hanno accettato la lettera di minaccia/ricatto dell'azienda di entrare in fabbrica per fare manutenzione e atti amministrativi, vanificando, quindi, lo scopo del presidio.

Soprattutto per questa realtà sindacale, un gruppo di lavoratori e lavoratrici ha deciso di organizzare lo Slai Cobas. E QUESTA E' L'UNICA VERA NOVITA' che comincerà a pesare!




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