Da Sole 24 ore
Per i lavoratori gli incrementi salariali, il salario minimo a 106 euro non bastano. Scoppiano agitazioni: una donna perde la vita. È la terza vittima in una settimana d’incidenti
Aveva 23 anni, un marito e due figli, Anjuara Khatun, la donna rimasta uccisa negli scontri avvenuti in un sobborgo di Dacca tra migliaia di lavoratori del settore tessile e la polizia bengalese. Gli incidenti, che vanno avanti da una settimana e sono già costati la vita ad altri due manifestanti, sono scoppiati quando i lavoratori hanno respinto l’offerta del governo di aumentare il loro salario minimo di oltre il 56%, a 12.500 taka mensili, poco più di 106 euro.
Bangladesh, violente proteste dei lavoratori nell’industria tessile, chiuse centinaia di fabbriche: “Non ce la facciamo con 70 euro al mese”
Le fabbriche tessili producono 55 miliardi di dollari e impiegano più di 4 milioni di persone. Altissimi i profitti delle Grandi marche della moda che appaltano il lavoro per produrre abbigliamenti di lusso alle fabbriche del Bangladesh, comprese imprese italiane.
PROFITTI FATTI SULLO SFRUTTAMENTO, SULLA MISERIA, SUL SANGUE DEGLI OPERAI E OPERAIE - Ricordiamo anche le tantissime morti, per incendi, crolli, in particolare di operaie, in queste fabbriche tessili dove le condizioni di lavoro sono terribili, sempre a rischio vita.
Da Repubblica
ROMA – Nel corso dei cortei ci sono stati scontri con la polizia e già due persone hanno perso la vita. I lavoratori manifestano da giorni e chiedono che il loro salario minimo mensile sia triplicato. Chiedono
un salario minimo mensile di 23.000 taka (190 euro), quasi tre volte maggiore rispetto agli attuali 8.300 taka (70 euro). La lotta delle operaie e degli operai del tessile, che sono più di 4 milioni in un Paese con quasi 170 milioni di abitanti, è sostenuta da Organizzazioni Non Governative locali e dai sindacati.
Le testimonianze di due sarte. Una giovane di 22 anni ha riferito di partecipare alle proteste perché stanca di “lottare per sostenere la famiglia con così poco: come possiamo arrivare alla fine del mese con appena 8.300 taka quando dobbiamo già pagare dai 5.000 ai 6.000 taka solo per l'affitto di casa, che tra l’altro ha una sola stanza?”. Aggiunge un’altra operaia di 30 anni: “Produciamo vestiti costosi, che vengono venduti a prezzi alti all’estero dai proprietari delle fabbriche che guadagnano un sacco di soldi. Perché non possono pagarci meglio?”. I salari, ma soprattutto le condizioni di lavoro, sono disastrosi per gran parte dei quattro milioni di lavoratori del comparto settore.
In Bangladesh ci sono circa 3500 industrie tessili di marchi famosissimi in tutto il mondo, che rappresentano l’85 per cento dei 55 miliardi di dollari di esportazioni annuali del paese dell’Asia meridionale. Le persone nelle catene di montaggio dell’abbigliamento sono per lo più analfabete e non hanno mai avuto altre occasioni di lavoro, se non quelle legate all’industria tessile. Nonostante queste condizioni, dunque, non possono che continuare a svolgere il loro lavoro anche se si trovano in un ambiente infame, malsano, pericoloso per la propria vita.
Nella capitale Dhaka e in diverse altre città industriali decine di fabbriche sono state assaltate dai lavoratori e alcune anche date al fuoco, tanto che circa 250 stabilimenti sono stati chiusi. Ad Ashulia – una città a Nord della capitale Dhaka – una cinquantina di insediamenti industriali che impiegavano più di 15mila lavoratori sono state chiuse. La polizia ha reso noto che nel corso degli scontri con i lavoratori, due di loro sono stati uccisi e decine di altri feriti.
Dieci anni dopo la tragedia del Rana Plaza, un fabbrica tessile crollata a Dhaka nel 2013, quando rimasero uccisi sotto le macerie 1.138 lavoratori, i salari e la sicurezza sono stati parzialmente migliorati anche grazie all’azione dei sindacati e alle pressioni delle diverse Organizzazioni umanitarie, ma i progressi oggi si mostrano evidentemente insufficienti, tanto che due giorni fa, diverse migliaia di lavoratori hanno bloccato anche le strade nei distretti industriali intorno a Dhaka. Una scelta, questa, che è costata una violenta repressione da parte della polizia. A Mirpur, a Ovest di Dhaka – si legge su Internazionale – gli agenti hanno sparato proiettili di gomma, granate stordenti e gas lacrimogeni per disperdere circa i lavoratori che stavano impedendo il passaggio lungo una strada.
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