L'APPROVAZIONE DEL JOBS ACT UNISCE AL VIA LIBERA AI
LICENZIAMENTI, AL PESANTE ATTACCO ALLE CONDIZIONI DI LAVORO, AI DIRITTI, UN
ATTACCO IDEOLOGICO.
Come era prevedibile il testo del Jobs act come era
stato fatto e voluto da Renzi-Poletti così è sostanzialmente rimasto, neanche
il timido tentativo di togliere l'estensione della cancellazione dell'art. 18
anche ai licenziamenti collettivi è passato.
I padroni sono soddisfatti. Il Jobs act pone i
rapporti tra capitale e lavoro, tra capitalisti e lavoratori nella loro forma
pura e dura, senza lacci e lacciuoli. I lavoratori sono una merce che i padroni
possono usare come e per quanto vogliono, possono quindi liberarsene in ogni
momento e per qualsiasi motivo (ora non devono neanche più fare tutta la
lungaggine della procedura dei licenziamenti collettivi, con fastidiosi
incontri sindacali... - certo, poi, "fammi causa", ma male che vada
ti devo dare un risarcimento di qualche mensilità...). Inoltre questa questione
dell'art. 18 funziona bene per tutti come ricatto e minaccia.
I lavoratori per tre anni non hanno diritti, ma per
far capire subito cosa ai giovani significa, i padroni tolgono i diritti già ai
"vecchi", con un metodo da "tutela decrescenti". Chi ha
ancora dubbi, guardi alla Fiat di Marchionne: per poche centinaia attualmente
di giovani assunti alla Sata di Melfi, presi da "agenzie interinali"
e poi per altri 3 anni a "contratto a tutele crescenti", i 5mila
operai e operaie non ce la fanno più per i ritmi, i carichi di lavoro, per la
riduzione delle pause, gli straordinari imposti (e concordati con i sindacati
filopadronali o padronali direttamente).
I sindacati confederali Cisl, Uil, Ugl hanno già da tempo
dato il loro assenso convinto al Jobs act. Le lamentele della Cgil sono fiato
sprecato.
Serve ora più che mai un vero sciopero generale,
costruito dal basso nelle fabbriche, nei vari settori di lavoratori e sociali.
Occorre che tutte le realtà sindacali di base e di classe, le forze che non ci
stanno presenti nella Fiom, Cgil, le realtà di lotte sociali, ecc. lavorino per
questo sciopero generale.
Slai Cobas per il sindacato di classe
coordinamento nazionale
febbraio 2015
dal blog proletaricomunisti.blogspot.com
il 20 settembre 2014
E' VERO, IL JOBS ACT HA UN SIGNIFICATO
IDEOLOGICO...PER TUTELARE L'ULTRAMATERIALE PROFITTO DEI PADRONI
Il significato del jobs act, con al centro la cancellazione
dello Statuto dei lavoratori e dell'art. 18, è voluto dai commis del capitale
per una ragione prettamente di salvaguardia del profitto padronale: tagliare il
costo del lavoro per i padroni, dare a loro, dando una nuova e pesante stangata
ai diritti dei lavoratori, ancor più il potere di utilizzo selvaggio della
forza lavoro - quando e dove serve - in entrata e soprattutto in uscita e
chiaramente durante il rapporto di lavoro.
Chiamano - e se non fosse tragico sarebbe da ridere -
questa riforma del rapporto di lavoro "a tutele crescenti", lì dove
una volta arrivati (ammesso che si arrivi...) alla soglia in cui dovrebbero
"crescere" queste tutele, l'azienda si libera di quel lavoratore
senza problemi e ricomincia con le "tutele inesistenti".
Se il Ddl passa il capitalista farà legalmente quello
che in buona parte già fa (con qualche fastidio a volte di controlli, vertenze,
sentenze della magistratura); quindi il governo Renzi (la cui famiglia di
"truffe" è ben esperta - lasciatecelo dire...) non sta facendo altro
che innalzare a "dignità di legge" il basso banditismo, l'andazzo
truffaldino dei padroni grandi o piccoli.
Ma tutto questo Renzi e la sua corte lo sta facendo
vestendolo di roboanti frasi ideologiche, dell' "alto significato
sociale" che avrebbe il jobs act...; portando avanti un finto
"scontro ideologico" che cerca di coprire solo e soltanto questo
basso (ma per loro "alto") interesse del capitale e dell'Italia
capitalista che sgomita con molta difficoltà nella concorrenza sul mercato mondiale.
Detto questo, l'operazione politico-ideologica, però,
non va sottovalutata.
E in questo, l'attacco allo Statuto dei lavoratori, e
all'art. 18, sia pur ormai ampiamente svuotato, mostra, più di altri punti
della controriforma, come la questione al centro sia la rideterminazione del
rapporto capitale/lavoro salariato.
Questa "riforma" trasuda tutto il disprezzo
delle condizioni dei lavoratori,come dei giovani (mai così nominati
impropriamente) come persone, della loro fatica, delle loro disperazioni, delle
loro angosce, delle loro vite, ma viene portata avanti con un'operazione verso
l'opinione pubblica, e gli stessi lavoratori e i giovani, di inganno, che
rovescia le questioni, che vuole far passare il "male" per
"bene" e il "bene" per "male".
La salvaguardia di residui diritti, che non sono mai
per sè ma per l'intera classe dei lavoratori attuali e futuri - basti vedere le
lotte degli anni '70 che hanno strappato diritti di cui per almeno un paio di
decenni hanno usufruito le nuove generazioni, viene chiamata
"egoismo", "ideologismo"; di contro, la riduzione del
salario e delle condizioni di lavoro al livello più basso possibile per tutti,
viene innalzata a "uguaglianza tra vecchi e nuovi lavoratori"; la
condizione ultraprecaria dei giovani - che dalla Legge 30 in poi, da Biagi a
Treu, ecc., i vari governi (siano stati di centrosinistra o di centrodestra)
hanno voluto e creato, viene addebitata ad una sorta di corporativismo
ideologico dei lavoratori; e via di questo passo.
Dentro il mondo del lavoro sta avvenendo quello che
Marx descriveva, l'uso dei disoccupati per ricattare gli operai, per togliere
loro diritti, per dequalificarli, per abbassare il salario di tutti, per poter
liberamente licenziare questa forza lavoro e sostituirla con quelli che bussano
alle porte delle aziende.
Addirittura vogliono coprire l'attacco a diritti
intoccabili - come le ferie, per cui uno dovrebbe rinunciare alle sue ferie per
aumentare quelle del suo compagno di lavoro - strumentalizzando vigliaccamente
il normale senso di unità tra i lavoratori.
Ma dietro queste false parole, appare senza orpelli la
realtà nuda e cruda, ineliminabile, dell'antagonismo di classe, da un lato la
classe dei padroni, con i loro governi, le loro leggi che per la difesa di un
pugno di persone sta portando ad un moderno schiavismo gli operai, i
lavoratori, e ha reso il lavoro un "privilegio" e il futuro dei
giovani un buco nero; dall'altra la classe dei proletari (lavoratori,
licenziati, disoccupati, giovani, donne) che per difendere o avere un lavoro e
un salario minimamente decente, per avere una vita dignitosa per sè e per le
generazioni future non ha altra strada che liberarsi delle catene dei padroni e
del loro sistema.
Pubblicato da fannyhill a 12:07
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