La denuncia sulla rivista InMarcia. Mercoledì 4
febbraio il tribunale del lavoro di Roma discuterà la sospensione di Bruno
Bellomonte, il cui proscioglimento dalle accuse di associazione eversiva con
finalità di terrorismo è stato confermato dalla Cassazione. Ferrovie, però, lo
tiene senza lavoro.
“In Ferrovie i dirigenti
rinviati a giudizio vengono promossi, i ferrovieri sospesi o
licenziati”. La holding controllata dallo Stato sarebbe garantista solo con i colletti
bianchi: è questa l’accusa lanciata dai macchinisti sulla rivista InMarcia.
Ilfattoquotidiano.it ha chiesto un commento a Ferrovie dello Stato
e a Rete Ferroviaria Italiana, ma ad oggi non ha ricevuto una risposta.
Il caso Antonini: ferroviere e
sindacalista a fianco dei familiari delle vittime della strage di Viareggio
Il caso più famoso è probabilmente quello del ferroviere viareggino Riccardo Antonini, 63 anni, di cui 40 passati con Fsi. Fu licenziato a un anno dalla pensione il 28 ottobre 2011, dopo che Mauro Moretti, allora amministratore delegato di Ferrovie, lo aveva querelato per delle ingiurie che il ferroviere non ha mai detto, come hanno dimostrato i video che ritraevano i due alla festa del Pd di Genova nel settembre 2011. A marzo 2014 il gip ha archiviato il caso. Ma Antonini, sindacalista schierato da sempre con i familiari delle 32 vittime della strage ferroviaria di Viareggio, è ancora senza lavoro. Il licenziamento è stato confermato in secondo grado dal tribunale d’appello di Firenze lo scorso luglio e si discuterà in Cassazione. “Il garantismo e il principio dell’innocenza – scrivono i macchinisti – fino all’ultimo grado di giudizio, nelle grandi aziende si applica solo per gli amministratori e i dirigenti, non certo per i semplici lavoratori. I primi non vengono né licenziati né sospesi, anzi promossi. Un esempio? Michele Elia, fino a pochi mesi fa amministratore delegato proprio di Rfi Spa, già condannato con reato prescritto ed oggi imputato per la strage ferroviaria di Viareggio, il quale è stato insignito dell’onorificenza di ‘maestro del lavoro’ e nella primavera scorsa addirittura promosso amministratore delegato dell’intero gruppo Fs“.
Il caso più famoso è probabilmente quello del ferroviere viareggino Riccardo Antonini, 63 anni, di cui 40 passati con Fsi. Fu licenziato a un anno dalla pensione il 28 ottobre 2011, dopo che Mauro Moretti, allora amministratore delegato di Ferrovie, lo aveva querelato per delle ingiurie che il ferroviere non ha mai detto, come hanno dimostrato i video che ritraevano i due alla festa del Pd di Genova nel settembre 2011. A marzo 2014 il gip ha archiviato il caso. Ma Antonini, sindacalista schierato da sempre con i familiari delle 32 vittime della strage ferroviaria di Viareggio, è ancora senza lavoro. Il licenziamento è stato confermato in secondo grado dal tribunale d’appello di Firenze lo scorso luglio e si discuterà in Cassazione. “Il garantismo e il principio dell’innocenza – scrivono i macchinisti – fino all’ultimo grado di giudizio, nelle grandi aziende si applica solo per gli amministratori e i dirigenti, non certo per i semplici lavoratori. I primi non vengono né licenziati né sospesi, anzi promossi. Un esempio? Michele Elia, fino a pochi mesi fa amministratore delegato proprio di Rfi Spa, già condannato con reato prescritto ed oggi imputato per la strage ferroviaria di Viareggio, il quale è stato insignito dell’onorificenza di ‘maestro del lavoro’ e nella primavera scorsa addirittura promosso amministratore delegato dell’intero gruppo Fs“.
Bellomonte, indipendentista e sindacalista
sospeso fino a data da destinarsi
Un altro caso è quello di Daniele Seglias, che,
come direttore di Rete Ferroviaria Italiana a Cagliari, figura
tra gli imputati nel processo per la morte del macchinista Giuseppe Solinas,
49 anni, avvenuta nel 2009 per un masso finito sui binari. Seglias non è mai
stato rimosso dall’incarico. Scrivono i macchinisti: “Paradossale: è lui il
dirigente che ha firmato la sospensione di Bruno Bellomonte”. Quest’ultimo,
ferroviere di 66 anni, capostazione a Sassari, fu accusato di
associazione eversiva con finalità di terrorismo. Incarcerato preventivamente
nel 2009, fu prontamente licenziato da Rete Ferroviaria Italiana dopo
oltre 30 anni di servizio. Un anno fa la Cassazione ha stabilito la sua
innocenza, proclamata in tutti e tre i gradi di giudizio: i fatti non
sussistevano. Nel frattempo, si è fatto 905 giorni di carcere duro e
l’azienda ferroviaria è stata costretta a riassumerlo per ordine del tribunale
di Roma nel 2012. Ma lo ha sospeso di nuovo nel giugno 2014 quando è
stato rinviato a giudizio nel procedimento Arcadia con le stesse accuse,
in un nuovo filone della stessa indagine sul terrorismo internazionale
degli indipendentisti sardi che lo vide assolto. “E’ di nuovo accusato
sulla base delle stesse intercettazioni ambientali che lo fecero
arrestare ingiustamente nel 2006. Fu intercettata una conversazione non
telefonica alla quale, è stato dimostrato, non ha mai preso parte perché si
trovava in vacanza all’estero. Infatti era già stato assolto. Lo
conferma il fatto che è a piede libero mentre gli altri imputati del
nuovo processo sono in carcere. Difficile che sia un terrorista:
la pericolosità sarebbe un elemento per tenerlo in custodia cautelare”
dice a ilfattoquotidiano.it l’avvocato Pierluigi Panici. Intanto,
però, Ferrovie lo tiene senza lavoro. La sospensione, che dovrebbe
durare al massimo 60 giorni, è iniziata a giugno. L’azienda infatti si è
riservata di svolgere ogni necessario accertamento per valutare la posizione di
Bellomonte. In poche parole, vuole attendere la fine del processo.
Un tempo biblico, se si pensa che è iniziato nel giugno 2014
dopo 12 anni di indagini e che l’udienza dello scorso ottobre è
stata rimandata al gennaio 2015. Intanto Bellomonte continua a stare senza stipendio,
ma, risultando occupato (la sospensione non è un licenziamento),
non può cercare un altro lavoro né ricevere il sussidio di
disoccupazione. E anche i contributi, necessari alla pensione, non vengono
più versati da tempo. Mercoledì 4 febbraio il tribunale del lavoro di Roma
discuterà la sospensione del capostazione, difeso da Panici per la causa di
lavoro. Simonetta Crisci, che difende il ferroviere nel procedimento
penale, spiega a ilfattoquotidiano.it: “Sto preparando la richiesta di
ingiusta detenzione e risarcimento, speriamo che gliela riconoscano. È
diventata una cosa normale rispondere alle richieste di risarcimento dicendo
che, frequentando indagati, il soggetto ha dato luogo a comportamenti che hanno
confuso il giudice, inducendolo in errore”. Bellomonte, dipendente di RFI
dal 1977, è capo stazione superiore. Noto nell’ambiente per le sue lotte
sindacali, è conosciuto in Sardegna anche come dirigente di
un’organizzazione indipendentista che si professa pacifica, il movimento
comunista A’ Manca pro s’Indipendentzia (A Sinistra per
l’Indipendenza). Bellomonte, insieme ad altri compagni, è finito più volte
nel mirino della Digos nel corso di indagini sul terrorismo
rosso che però, nel suo caso, si sono sempre concluse come un buco
nell’acqua. Fu arrestato per la prima volta nel 2006, quando si fece 19 giorni
di carcere preventivo per terrorismo, per una conversazione ambientale
intercettata alla quale, è stato dimostrato, non ha mai partecipato: in quei
giorni era in vacanza in Tunisia. Il secondo arresto preventivo
avvenne nel 2009 e durò più di 900 giorni, nelle carceri di Viterbo e Catanzaro
(la compagna doveva prendere le ferie per andarlo a trovare). Il motivo
era un presunto piano terroristico ai danni del G8, che
quell’anno era previsto alla Maddalena ma fu spostato a L’Aquila.
In realtà Bellomonte, con altri militanti dell’indipendentismo sardo, stava
organizzando il controvertice delle “Nazioni senza Stato”. Uno dei suoi
conoscenti, Luigi Fallico, 59 anni, corniciaio di Roma, durante
la detenzione preventiva è morto d’infarto. Era il 2011 e da alcuni giorni
accusava forti dolori al torace e pressione sanguigna anomala. “Non ha
importanza ciò che ciascuno di noi pensa dell’autonomismo o dell’indipendentismo,
di sicuro – scrivono i ferrovieri di InMarcia – quello che Bruno
Bellomonte ha subito e sta tutt’ora subendo è una enorme ingiustizia che,
nonostante la sua forza d’animo, deve essere fermata”.
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