venerdì 4 giugno 2021

4 giugno - ancora sulla sentenza Ilva: PROCESSO ILVA DALL'INTERVISTA ALL'AVV. GIANLUCA VITALE DI TORINO: "...sotto processo è il sistema capitalista imprenditoriale, il sistema di sfruttamento imprenditoriale dei lavoratori e del territorio..."

 

D - Siamo con l’avvocato Vitale, uno dei tre avvocati del foro di Torino, insieme agli avvocati Bonetto e Pellegrin, che svolgono il ruolo di patrocinanti delle parti civili autorganizzate degli operai Ilva, lavoratori del cimitero, abitanti del quartiere Tamburi e familiari al processo "Ambiente svenduto". Secondo te qualè la differenza dal punto di vista  giudiziario, politico, tra questo processo e i precedenti processi cui voi come avvocati avete partecipato, Eternit, Thyssen ecc.

R - A me sembra che in questo più che negli altri sia sotto processo il sistema imprenditoriale allargato, per così dire. Cioè non solo il padrone, non solo chi inquina, chi non garantisce le misure sicurezza sul lavoro, chi fa morire gli operai ma tutto ciò che ci sta intorno. Al processo ambiente svenduto non sono imputati solamente i Riva ma lo sono anche il Comune, la Regione l'ARPA, tutto quello che stava intorno all’Ilva e ai Riva soprattutto. Quello che è stato individuato dalla Procura è il sistema capitalista imprenditoriale, il sistema di sfruttamento imprenditoriale dei lavoratori e del territorio che non riguarda solamente l'imprenditore, non riguarda solamente il padrone ma riguarda tutto quello che sta intorno, tutto quello che consente all'imprenditore di operare in quel modo e sfruttare in quel modo, sia i lavoratori che le risorse ambientali. Voglio dire, ad esempio: io posso fare il processo a un mafioso per un omicidio posso o fare il processo alla mafia per l'associazione mafiosa. Qui, ricordiamo, è contestata non solo il disastro ma anche l'associazione per delinquere che vede sostanzialmente i vertici dell'Ilva associati per fare quello che poi hanno fatto con quello che in altre situazioni, ad esempio di mafia, si sarebbe chiamato un concorso esterno di tutto quello che ci stava intorno: della politica, dell'ARPA, ecc.

D - Se questo è il tipo di processo credi che possiamo considerare che la sua durata, in fondo, non sia stata tanto lunga, per un processo di queste dimensioni e nonostante si sia dovuta fronteggiare l'attività ostruzionistica quasi sistematica della difesa.

R - Sicuramente fare un processo di queste dimensioni con tutti questi imputati comporta uno di quelli che una volta si sarebbero chiamati un maxi-processo. È un maxiprocesso all'imprenditoria inquinante. È una scelta che ovviamente porta con sé delle conseguenze che sono le lungaggini del processo. Come dicevi, giustamente, il processo è durato molto intanto perché ci sono state alcune battute di arresto specialmente all'inizio. È un processo nel quale ovviamente i difensori gli imputati hanno utilizzato tutto quello che il codice consente, forse anche di più, per tentare in qualche modo di ostacolare il prosieguo del processo.

D - Al di là delle osservazioni critiche che si possono sempre fare ai processi, alla giustizia borghese in un sistema capitalistico, l’orientamento della Procura sia di voler colpire un sistema, questo mi pare sia emerso dalle arringhe finali…

R - Direi assolutamente di sì. La procura ha ha fatto sostanzialmente un buon processo. Lo ha concluso molto bene, credo. Devo dire che dopo il cambio di procuratore c’era stata forse una sorta di battuta di arresto, quando la Procura aveva accettato sostanzialmente un patteggiamento delle imprese di Ilva Spa, [tra l’altro il procuratore dell’epoca è ora inquisito, ndr]. C'è stata quella battuta a vuoto, qualcosa che ci ha molto preoccupato perché sembrava che potesse smentire l'impegno della Procura. Fortunatamente, invece, poi il processo è andato avanti. la corte di Assise ha resistito a tutti i tentativi di “sabotaggio” del processo portati avanti dalle difese degli imputati, la procura è andata avanti.

D - La procura ha messo sotto accusa un intero sistema che ruotava intorno all’azione criminosa dei padroni, secondo noi ne discende un messaggio forte, che va ben oltre la dimensione del processo e riguarda quello che occorre fare fuori dal processo, nel senso che se è un sistema sotto accusa, evidentemente il processo può colpire alcuni esponenti di questo sistema in termini di giustizia penale, ma il sistema resta.

R - Certo. Mettere sotto accusa, processare, un sistema imprenditoriale allargato anche all'ambiente politico, all'ambiente economico che sta intorno alla fabbrica, all'imprenditore inquinante, sicuramente può portare certezze processuali per quella specifica vicenda ma non può e non credo che debba, in quanto processo, istituire un nuovo sistema imprenditoriale. Ricordo la fase storica cosiddetta di Mani Pulite, in cui si è sostanzialmente demandato alla magistratura l'abbattimento di un sistema. Questo ha comportato il fatto che dopo non c'era nulla, perché non era una rivoluzione quella, erano dei processi. La Magistratura può processare, mandare in carcere una persona, può chiudere una specifica vicenda ma non può cambiare un sistema. C'è un messaggio sicuramente positivo che può dare il processo “ambiente svenduto” ed è quello che abbiamo tentato di veicolare in questi giorni con le nostre conclusioni. Cioè gli imprenditori devono sapere che sfruttare, inquinare, uccidere non solo ti può portare un processo ma ti può portare a un costo e sappiamo che per l’imprenditore il costo è il fulcro della sua attività. Però questo messaggio positivo non sarà la rivoluzione, non sarà il cambiamento di passo di un sistema. Lo abbiamo visto con Mani Pulite che ha processato una classe politica, ma la generazione successiva ha fatto esattamente quello che faceva la precedente, proprio perché non era un movimento politico di massa che cambiava le cose, era un processo. Ambiente Svenduto è un processo assolutamente importante e fondamentale, credo, nella vita di Taranto, nella vita degli operai, dei lavoratori e dei cittadini ma questo processo non potrà portare il nuovo. Stiamo processando il vecchio, il nuovo credo che sia compito dei lavoratori e dei cittadini costruirlo, non possiamo demandare questo alla Magistratura

D - Recentemente in processi che hanno riguardato morti sul lavoro e disastri ambientali ci sono state sentenze abbastanza negative, con proteste di lavoratori, familiari. Tu pensi che questo processo possa essere un segnale importante per i gli altri processi in corso nel paese o purtroppo rimarrà a sé stante?

R - Sicuramente l'esempio che potrebbe arrivare dal processo "Ambiente svenduto" è proprio la possibilità di andare oltre la responsabilità imprenditoriale, di andare a guardare a 360° tutti gli altri denti di questo ingranaggio che ha consentito questo disastro. Purtroppo per Taranto, stiamo parlando di una vicenda che ha comunque delle peculiarità. Quello dell'Ilva, ricordiamolo, che forse è uno degli casi più gravi di disastro avvenuti Italia, più grave perché più continuato. In questo senso ricorda forse più il processo Eternit che quello Thyssen. Stiamo processando un giorno per giorno, decenni di sversamenti, di uccisioni. In questo senso sì, forse qualcosa potrà restare ed essere seguita anche negli altri negli altri processi, però devo dire che perché questo si possa ripetere è necessario che ci sia un procuratore, un pubblico ministero, che vogliano andare avanti, è necessario che ci sia una polizia giudiziaria che supporti il pubblico ministero, è necessario che ci sia un giudicante, dal gip al Gup alla corte, che segua o ascolti quelle che sono le richieste del pubblico ministero. Purtroppo sappiamo benissimo che da una parte c'è l’aspetto soggettivo: chi ha più coraggio, chi ha meno coraggio, chi ha più voglia di apparire chi meno voglia di apparire; dall’altro c'è l'aspetto politico: nonostante la costituzione dica che il giudice è soggetto soltanto alla legge, non tutti i giudici sono disposti a mettere sotto processo un sistema che è un sistema nel quale in qualche modo loro vivono. C'è un problema nella giustizia che io definisco di classe. Il giudice è soggetto soltanto alla legge e la legge è quella che viene dai rapporti di forza nella società. Dovendo obbedire soltanto alla legge, il giudice deve avvenire ai rapporti di forza che ci sono nella società. Quindi, in questo senso, è una giustizia di classe, perché applica necessariamente una legge che è anche espressione di classe che è una legge di classe. Questo significa che bisogna essere molto coraggiosi come giudici per affrontare un discorso che in qualche modo va contro gli interessi di quella stessa classe che ha fatto le leggi che è chiamato ad applicare.

D - Una caratteristica particolare di questa vicenda sta nel fatto che riguarda una fabbrica che è tuttora aperta, è tuttora, per numero di operai impiegati direttamente e nell’appalto, la più grande fabbrica del nostro paese, dopo che le altra grandi fabbriche si sono notevolmente ridimensionate. il più grande centro siderurgico d'Europa e uno dei primi, 30 o 40, al mondo. Per questo è decisamente diverso da altri processi. È quindi evidente che è impossibile separare il processo da ciò che sta realmente avvenendo fuori, in questa fabbrica.

R - Sì. Devo dire che forse questo è uno dei pochissimi casi in cui abbiamo visto, soprattutto all'inizio, uno scontro aperto tra gli inquirenti, una parte della magistratura Tarantina e il potere politico nazionale. Ricordiamo che a ogni mossa della Magistratura seguiva subito una contromossa il che, in un sistema classico, in un Stato fondato sulla ripartizione dei poteri. è abbastanza bizzarro che possa accadere. Così come abbiamo assistito, per neutralizzare l'intervento della magistratura, che è un intervento demolitivo e non può essere un intervento costruttivo, all'introduzione dell’immunità penale, un evento straordinario in un paese che si basa su regole democratiche. In questo senso, devo dire che è vero, senza queste contromosse forse il processo sarebbe proseguito a Ilva sospesa, a lavoro sospeso. Le contromosse hanno fatto in modo che continuasse il lavoro. Ma credo che le contromosse non fossero studiate nell'interesse della salvaguardia dei livelli occupazionali ma per qualcos'altro. Proprio questo sistema, questo paradosso che ci si è trovati a vivere durante il processo dimostra i limiti di questo processo. Questa magistratura non avrebbe mai potuto dire: riconvertite alla produzione ambientalmente compatibile, poteva solo chiudere, questo è il limite. La Magistratura non dice: ti impongo di fare in quest'altro modo che io ritengo più corretto. Avevamo da una parte l'Ilva che voleva continuare a lavorare, a produrre come aveva sempre fatto, dall'altra parte la Magistratura che voleva chiudere quella vicenda, fare una cesura giudiziaria, processare i responsabili di quelli che, essendo dei reati, non si poteva permettere si continuasse a perpetrare. Una parte della della politica nazionale in qualche modo seguiva la prima tesi, cioè continuiamo a fare come abbiamo sempre fatto, una parte della politica locale e nazionale premeva per la chiusura tout court, chiudiamo e basta, è mancata, o meglio c'è stato in alcuni settori come voi, ma è mancata a livello di massa l'ipotesi realmente alternativa: tenere insieme salvaguardia degli operai con una produzione fatta diversamente.

D - Passiamo alla funzione svolta da voi come patrocinanti di parti civili. Noi ci siamo mossi secondo una logica che voleva contribuire il più possibile a che il processo facesse giustizia e incarnasse questa giustizia nei risarcimenti alle parti civili che abbiamo presentato. Lo Slai Cobas ha partecipato per rappresentare la battaglia che aveva fatto in tutti gli anni precedenti. Se ne parla poco ma ci sono stati altri processi che hanno riguardato il sistema Riva e lo Slai Cobas ne è stato protagonista. Ricordiamo, ad esempio, che la coordinatrice Margherita Calderazzi è stata a sua volta processata, alla presenza di Emilio Riva in persona, e fu l’unica volta che Riva ha assistito di persona a un’udienza, perché ritenuta la mandante di una scritta “Riva assassino” (e oggi possiamo il processo "Ambiente svenduto" le dà ragione). Noi ci siamo costituiti parte civile non certo per i risarcimenti, che in questo caso possono giusto avere il valore di sostegno alla nostra azione, niente di più, ma proprio per l'attività che avevamo fatto. Le associazioni, per non dire i sindacati, hanno scelto la via di presentare la propria sigla come parte civile, senza cercare di far vivere questo processo attraverso la partecipazione diretta di operai, lavoratori, abitanti, familiari. Noi invece abbiamo anche organizzato questi settori, certo nei numeri per noi possibili e in forma rappresentativa, proprio perché in questo processo si sentisse la voce diretta di questi soggetti. Noi abbiamo pensato che questa era la dialettica che doveva emergere nel processo. Che ne pensi di come ha vissuto il processo la città?

R - Mi sembra che il processo nel suo corso, tranne forse la primissima fase, quella dell'incidente probatorio che è stata in qualche modo partecipata dalla città e dai lavoratori, sia apparso quasi come un un corpo estraneo rispetto a Taranto. Questo processo si sarebbe potuto svolgere a Venezia piuttosto che a Madrid e sarebbe cambiato ben poco. Taranto ovviamente è coinvolta per la gestione dell'Ilva, per l'inquinamento provocato dall'Ilva, per il fatto che l'Ilva dia o no del lavoro, e quindi la vicenda fa parte integrante della vita della città. Ma il processo in sé è stato qualcosa di totalmente estraneo alla città salvo, come dicevi tu, la sparuta partecipazione di una pattuglia di lavoratori, cittadini che hanno scelto, grazie anche al vostro supporto, alla vostra organizzazione, di partecipare direttamente al processo. In un processo si può essere spettatori o attori. Loro sono stati attori, attori come parti civili, attori perché alcuni di loro sono anche stati sentiti processualmente, sono stati interrogati, hanno potuto raccontare le cose e se non fosse stato per il vostro supporto, ciò sarebbe mancato. Ad esempio, noi abbiamo fatto vedere durante la discussione una foto aerea in cui si vede una parte dell'Ilva, i famosi e parchi minerari, il cimitero e il quartiere Tamburi. Ecco, se non fosse stato per la presenza, l'organizzazione per la costituzione di parte civile che avete fatto voi, potremmo dire che ci sarebbe stato un buco, il cimitero non sarebbe esistito, non sarebbe stato significativo processualmente. Invece significativo processualmente lo è stato perché ci consente di dire che l'attività criminosa di Riva e di tutti gli altri imputati non ha colpito solamente dentro l'Ilva i lavoratori né ha colpito solamente i cittadini che a Tamburi. Ha colpito altri lavoratori, tutti quelli lavorano nei dintorni dell'Ilva, per primi quelli operanti nel cimitero, che sono vittime tanto quanto i lavoratori dell'Ilva, Questo è stato possibile solo grazie al vostro intervento perché probabilmente nessuno si sarebbe mai sognato di introdurre in un procedimento di questo tipo i lavoratori di San Brunone. Purtroppo, come dicevi tu, i numeri sono stati ridotti. Oggi mi veniva in mente una cosa: la fase delle discussioni si sta svolgendo in un processo a porte chiuse. È vero che c’è la pandemia, è giusto che si dovevano prendere le misure necessarie. Ma il diritto a un processo pubblico è un diritto fondamentale di cui la Corte europea dei diritti dell'uomo in decine di pronunce ha detto che non si può essere privati, salvo l’accordo di tutte le parti. Si è potuti arrivare ad un processo sostanzialmente a porte chiuse. Perché è stato possibile? Perché nel processo la città e o lavoratori non hanno veramente partecipato. Tranne forse le primissime udienze, per il resto le presenze nel pubblico si contavano sulle dita di due mani e quasi tutti erano lavoratori organizzato dallo SlaiCobas. Se per tutto il processo ci fossero state 50, 100, 200 persone ad assistere, a partecipare, a rumoreggiare quando era il caso di rumoreggiare, probabilmente, si sarebbe cercata un'aula più grande, si sarebbe cercata una soluzione, si sarebbe trovato un modo. Quindi, al di là del problema della pandemia, è diventato  un processo non pubblico, ma perché il pubblico ha accettato che fosse così.

D - A nostro giudizio in processi di questo tipo si sta affermando una sorta di malcostume per cui associazioni, sindacati, soggetti più disparati si costituiscono parte civile. In questo processo sono oltre 900 le parti civili, indipendentemente dal fatto che abbiano o no una loro presenza storica o pratica dentro la dimensione di questo processo, che abbiamo o no intenzione di svolgere un ruolo in questo processo. Noi abbiamo avuto centinaia di associazioni parti civili ma nessuna presenza. Basta pensare che la FIOM ha formalmente costituito parti civili circa 200 operai ma mai nessuno di questi operai ha partecipato al processo, mai ne ha parlato in fabbrica, mai ha costruito un movimento intorno ad esso.

R - Storicamente, in processi di questo genere c'è sempre stato il fenomeno del “ci devo essere anch'io”, anche se non so nulla di quella vicenda, se non ci ho mai avuto parte, non ci ho mai lavorato, perché si devono invece piantare delle bandierine per poter dire “in tutti i processi per reato contro i lavoratori noi ci siamo, in tutti i processi sull'ambiente noi ci siamo". Parliamo di sindacati, associazioni ambientaliste, di tanti soggetti. Poi però, soprattutto in un processo di questo genere, il senso della presenza è altra cosa. Se dietro quella bandierina non c'è un momento di lotta, un momento di riflessione, un momento collettivo, credo che quella bandierina sia sostanzialmente inutile ai fini processuali. Sicuramente c'è anche un altro problema, un problema politico e di relazioni industriali. Credo che determinate scelte non siano state solo scelte processuali. Io posso decidere di non portare dei testimoni, di non portare degli argomenti perché lo decido politicamente, o mi viene detto di decidere di non farlo. Probabilmente, questa è la mia idea, a un certo punto da qualche parte si è pensato che questo processo poteva andare avanti quasi alla deriva da solo e che una volta che quella bandierina era stata piantata, non c'era bisogno, non era così importante, farla sventolare più di tanto e farla vedere più di tanto.

D - Questo processo vedrà opposizione alla sentenza. Sicuramente gli imputati la impugneranno, quindi non è prevedibile una conclusione a breve termine.

R - Assolutamente. Questo metterà in gioco la l'accuratezza della sentenza, perché ovviamente una sentenza può essere modificata in appello, o in Cassazione, sia perché è sbagliato quello che dice, sia perché è scritto male perché il ragionamento logico non è stato fatto correttamente, non sono stati presi in considerazione tutti gli elementi. In questo senso, la partita, soprattutto dalla sentenza in poi, si giocherà in parte sul terreno squisitamente giuridico, sulle sfumature giuridiche, in parte si giocherà, e mi immagino che continueranno ad essere argomenti portati fino in Cassazione, su tutte quelle decine e decine questioni, di opposizioni che hanno fatto i difensori degli imputati durante il processo. Sono una mole enorme di questioni che continueranno a vivere in questo processo fino alla sentenza definitiva


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