martedì 5 dicembre 2023

5 dicembre - Le grandi fabbriche - necessità della lotta sindacale, sociale e politica contro padroni e governo - Da Controinformazione rossoperaia del 4/12

 

Il Sole 24 ore del 3 dicembre in un trafiletto scriveva: “Stellantis si avvia a chiudere il 2023 con quotazioni da record in borsa, più 50% da inizio dell'anno, per una capitalizzazione che supera i 60 miliardi di euro e con utili in forte aumento che permetteranno di remunerare gli azionisti, oltre che con un rialzo dei dividendi, anche con un buy back da un da un miliardo e mezzo”.

I padroni cioè dichiarano profitti, utili, e soprattutto i padroni delle grandi multinazionali, le multinazionali dell'auto come la Stellantis. Sono questi profitti a livello internazionale che hanno permesso di fronteggiare, ad esempio negli Stati Uniti d'America, il più grande sciopero degli operai dell'auto degli ultimi anni, uno sciopero che ha portato a dei risultati concreti tra i lavoratori, anche se inferiori a quelli che i lavoratori avevano richiesto con la loro piattaforma molto avanzata centrata sul salario - il 45% in più era la richiesta -centrata sul ripristino sulla scala mobile per fronteggiare il crescente aumento del costo della vita e centrata sulla riduzione della precarietà, un'arma nelle mani dei padroni per ricattare l'insieme dei lavoratori.

Questa piattaforma degli operai dell'auto era - ed è - indicativa per tutto il movimento operaio e lo sarebbe ancor più per la Stellantis in Italia.

Quindi i padroni dichiarano profitti ma intanto continuano nello scaricare sui lavoratori la crisi generale e lo scontro generale che vi è nel mercato mondiale e nello stesso tempo intensificare lo sfruttamento e l'estorsione del plusvalore di tutti gli operai. E’ la condizione attuale nelle fabbriche Fiat, da Mirafiori a Melfi, sta lì a dimostrarlo.

C'è da aggiungere che Stellantis in particolare considera l'Italia una sorta di anello debole del sistema multinazionale che la mantiene. Infatti, nonostante queste avanzate generale del gruppo Stellantis la produzione di auto nel nostro paese è scesa nel 2022 sotto le 500.000 unità. L'ottava posizione in Europa, dietro anche Romania, Slovacchia e Repubblica Ceca. Da mesi, sia la Stellantis che il governo dicono che vogliono approntare un piano per raddoppiare la produzione in Italia a 1 milione di

autovetture. Però il centro è ancora una volta lo Stato: Stellantis chiede che sia lo Stato, con adeguati incentivi, a permettere questa operazione.

C'è da dire che lo stesso Sole 24 Ore dice che questo piano è solo un proposito.

Naturalmente questo fa sì che le prospettive occupazionali, in particolare nell'appalto negli stabilimenti della Stellantis, siano molto gravi.

Nella giornata di mercoledì si aprirà un ennesimo tavolo presso il Mimit dove governo, Stellantis, sindacati e Regioni si incontreranno e, ancora una volta, riteniamo che le speranze dei lavoratori di trovare in questi tavoli una soluzione sia del tutto infondata come finora si è dimostrata.

Per noi nel gruppo Stellantis la linea è quella che stiamo portando a Melfi come a Mirafiori ogni qualvolta ci andiamo. Lo Slai Cobas propone innanzitutto di difendere i salari, di difendere l'occupazione, di contrastare i peggioramenti delle condizioni di lavoro, di contrastare i trasferimenti da stabilimento a stabilimento. Questo è possibile innanzitutto con l'unità dei lavoratori, i lavoratori devono costruire la loro unità alla base e su questo la loro lotta può cambiare le cose.

I sindacati confederali, che pure a parole si oppongono agli effetti più gravi del piano della Stellantis, per ora, con i loro scioperi, non sono stati in grado di cambiare le cose.

Servirà non tanto in questi giorni, ma in tutto l'anno a venire un duro lavoro di organizzazione di classe, degli operai, delle grandi fabbriche, un lavoro che faccia riferimento alla grande lotta dell'auto di questi mesi in America, perché solo da una Piattaforma operaia è possibile ripartire. Lavorare di rimessa rispetto agli attacchi padronali e ai piani padronali sostenuti a piene mani dal governo, finora non ha pagato per i lavoratori.

Il 6 dicembre è una giornata anche importante per i lavoratori dell’ex ILVA.

L'ennesimo consiglio d'amministrazione dovrebbe decidere le sorti dello stabilimento. Questo consiglio d'amministrazione è centrato, come dice la stampa, sul problema, se ArcelorMittal metterà la sua parte in investimenti per rilanciare la produzione e gli stabilimenti stessi, in un quadro in cui lo Stato si dovrebbe occupare in generale dei processi di transizione ecologica e di ambientalizzazione.

Finora quello che si è visto è che il governo, lo Stato, sono disponibili a mettere soldi in un pozzo senza fondo: dopo 680 milioni di euro dati poco fa, ora si parla di cifre astronomiche, sull'immediato 350 milioni, in prospettiva oltre 4 miliardi che lo Stato dovrebbe versare nel gruppo Acciaierie d'Italia affinché ne venga garantita la sopravvivenza e la ripresa.

In sostanza, siamo all'interno della logica di sempre, quella di socializzazione delle perdite e di privatizzazione dei profitti. In questa situazione la posizione sindacale insiste perché lo Stato e questo governo in particolare si facciano carico della crisi che attraversano gli stabilimenti e in particolare il più grande di essi, situato a Taranto.

Lo sciopero generale degli stabilimenti con la manifestazione a Roma non ha avuto finora alcuna risposta dal governo né lo sono state le trattative aziendali che si limitano a gestire l'esistente, dove anche qui, però, ArcelorMittal, attraverso la sua amministratrice delegata, la Morselli, conduce il gioco e ogni giorno questo si riflette contro i lavoratori perfino non pagando gli straordinari e con gli annosi e permanenti problemi di sicurezza sul posto di lavoro.

In queste ore Acciaierie d'Italia ha stabilito un premio di 150 € per gli operai, legato alla sicurezza. Chiaramente si tratta di una mancia discrezionale, per di più con criteri corrispondenti esclusivamente ad "algoritmi" piuttosto che alle condizioni effettive di salute e sicurezza che vi sono negli stabilimenti.

Ma il punto chiave è se attualmente gli operai saranno in grado di rovesciare il tavolo attraverso la loro lotta e imporre una Piattaforma operaia incentrata sulla difesa di tutti i posti di lavoro degli stabilimenti, in particolare a Taranto e dell'appalto - e si tratta di una platea che arriva a 15.000 lavoratori - e se a partire da questo sarà possibile imporre la difesa salariale, anche attraverso l'integrazione alla cassa integrazione.

Sul fronte sicurezza, invece, è chiaro che se si lotta si è in grado di difendere la sicurezza in fabbrica, cercando anche misure nuove di organizzazione e di gestione delle condizioni quotidiane di insicurezza, se non si lotta le richieste non hanno alcun seguito e la situazione della sicurezza continua ad essere a rischio nella fabbrica.

Sono giorni in cui gli operai e alcune parti sindacali hanno innanzitutto la preoccupazione che l'annunciata chiusura della fabbrica, che in qualche maniera viene anticipata dal fermo dell'altoforno 2, cosa che comporterebbe evidentemente il funzionamento della fabbrica a Taranto intorno a un solo altoforno, possa essere una chiusura pilotata dello stabilimento o un'arma di ricatto nelle mani della Morselli e di ArcelorMittal per imporre in condizioni di emergenza il finanziamento che richiede al governo senza alcuna contropartita.

L'USB ha annunciato una manifestazione nazionale per il 20 gennaio. Una manifestazione nazionale a Taranto che richiami l'attenzione sulla situazione esistente in quella che resta la più grande fabbrica di questo paese, è giusta e necessaria e in un certo senso tardiva - da tempo era una delle proposte dello Slai Cobas che però non ha la forza materiale per organizzarla - e fatta proprio sotto le feste, sia pur in una situazione di grande preoccupazione e di snodo importante della situazione in fabbrica, certo non è la soluzione migliore; l'importante è però che questa manifestazione sia effettivamente partecipata dagli operai di Taranto, perché da questo dipende anche il peso nazionale che la manifestazione potrà avere.

Noi da tempo proponiamo una lotta ad oltranza che preveda il blocco della produzione per più giorni e il blocco della città, la creazione di un'emergenza reale che costringa padroni e governo a rispondere non alle esigenze di ArcelorMittal ma alle esigenze salariali, di lavoro, di sicurezza e di tutela dell'ambiente, di operai e masse popolari della città di Taranto in particolare di quelle nei quartieri a più alto intensità inquinante.

Rispetto alla situazione effettivamente esistente nelle fabbriche, all'emergenza che c'è di lavoro e salario, appaiono del tutto su un altro pianeta obiettivamente le manifestazioni indette, in un quadro di uno sciopero a tappe, da Cgil e Uil.

Certo, siamo per lo sciopero generale, per un vero sciopero generale contro il governo che ne ponga anche la caduta rispetto alla linea antioperaia, antipopolare che esso segue e che contrapponga il fronte unito dei lavoratori al fronte unito dei padroni che oggi ha questo puntello importante che è il governo Meloni.

Ma il percorso di queste manifestazioni se non parte dalla acutizzazione dello scontro sui posti di lavoro, se non chiama in prima fila le grandi fabbriche, il cuore centrale della classe operaia, sembra più servire a una campagna di stampo politico-elettorale piuttosto che alla conquista di risultati concreti per i lavoratori.

Per noi lo sciopero generale è un percorso che nasce dall'acutizzazione dello scontro di classe in tutti i posti di lavoro, nelle fabbriche e in tutti i luoghi dello sfruttamento come sono la logistica e i settori precari e che abbia la capacità di unire le masse precarie e disoccupate, le masse povere che vengono attaccate dal governo anche attraverso la negazione del salario minimo, la sostanziale eliminazione di fatto del reddito di cittadinanza. Masse popolari che sono colpite dal carosanità, dal caroscuola e dalla permanenza continuità della precarietà e disoccupazione e che non trovano tutt'ora la possibilità di una battaglia generale che possa portare risultati concreti e invertire la rotta che finora permette ai padroni di continuare a dichiarare profitti, sia quelli industriali che quelli della finanza, profitti fondati sullo sfruttamento, sulla precarietà, ma anche sulla evasione fiscale; sul fatto che lo Stato borghese e il suo governo mentre diventano sempre più vessatori nei confronti delle masse proletarie, dei settori più poveri del commercio e dell'artigianato e della piccola industria, favorisce invece l'evasione fiscale dei grandi padroni mentre porta avanti un grande drenaggio finanziario dalle tasche dei cittadini in generale alle tasche dei padroni.

L'esigenza di uno sciopero generale e l'acutizzazione dello scontro sui posti di lavoro, grandi e piccoli, sono gli obiettivi che ci dobbiamo porre. Le due cose vanno insieme ma l'anello chiave è la ripresa attiva delle lotte operaie e proletarie.

Il fronte della chiusura delle fabbriche resta un problema. Alcune fabbriche stanno opponendo una resistenza come alla Lear di Torino, con forme di lotta, occupazione, presidi permanenti. Altrove, invece, i lavoratori non sembrano in grado di opporre la stessa resistenza ai piani dei padroni che uniscono delocalizzazione, chiusura mirate, che lasciano i lavoratori in mezzo alla strada o alla mercè di banditi industriali che usano i soldi pubblici con l'obiettivo esclusivo della crescita dei loro profitti, non garantendo nè occupazione né condizioni di conservazione dei diritti dei lavoratori-

E' il caso della Tessitura Albini di Mottola, con gli operai e operaie in presidio permanente da alcune settimane, un presidio che ha l'obiettivo di impedire che lo stabilimento venga svuotato dal gruppo Albini per essere poi consegnato a un'altra attività industriale, in questo caso il gruppo Ekasa che non ha garantito finora alcunché ai lavoratori sul fronte dell'occupazione - propone l'assunzione dalla naspi di una parte di essi a tempo determinato - mentre giustamente i lavoratori rivendicano l'assunzione di tutti con contratti a tempo indeterminato.

Questo scontro attualmente vive una fase cruciale da cui i prossimi giorni decideranno l’effettiva realtà. Lo Slai Cobas - oltre che partecipando attivamente alla lotta - comunque impugnerà i licenziamenti e continuerà nelle forme necessarie la lotta.

Le lotte operaie, lo sviluppo della lotta sociale sono il brodo di cultura necessario dell'opposizione politica al governo fascio-padronale della Meloni.

È chiaro che esiste un intreccio tra lo sviluppo delle lotte che producono anche una dinamizzazione della coscienza dei lavoratori, l’uscita dalla passività, dalla divisione e dall'accettazione delle condizioni esistenti imposte da padroni e governo e la lotta contro il governo Meloni. La ripresa della lotta operaia permette di sviluppare l'agitazione e la propaganda politica per la costruzione di una vera opposizione politica al governo, che certamente non può fare affidamento sui partiti parlamentari che in parte provengono dai precedenti governi dei padroni e oggi non sono assolutamente in grado di opporsi al governo Meloni, che unisce l'elemento di continuità con l'elemento di discontinuità rappresentata dalla natura fascista, imperialista, sessista, razzista, esplicita dei suoi partiti e dei suoi rappresentanti principali.

Questo tipo di intreccio tra le lotte sociali e l'opposizione politica resta un problema grave che domanda, nel nostro paese, la ricostruzione del Partito dei lavoratori, la costruzione di un Fronte unito e opporre una lotta reale all'altezza dei tempi al governo reazionario della Meloni.


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