venerdì 1 dicembre 2023

1 dicembre - info solidale: Gli operai della Prosus da 50 giorni occupano la fabbrica. Sabato una manifestazione a Cremona

 

Dal 17 ottobre, da ormai cinquanta giorni, una ventina di operai del macello ProSus di Vescovato (CR) sono arrampicati sulle giostre (la giostra è la catena con ganci a cui si appendono le mezzene di carne da lavorare) per protestare contro i licenziamenti, mentre un’altra cinquantina presidia giorno e notte i cancelli.

Questo impianto, leader mondiale nella produzione di prosciutto crudo (quello di Parma proviene in realtà da qui), sta vivendo una situazione oggettiva di crisi aziendale dovuta ad investimenti “arditi” che non hanno potuto essere remunerativi a causa della peste suina, un evento che ha bloccato le esportazioni sul mercato orientale – e segnatamente in Cina – che è il principale consumatore al mondo di carni suine. L’esposizione debitoria ha quindi consegnato il macello nelle mani delle banche e il management dell’azienda ha attivato le procedure di vendita che vedono un fondo di investimento olandese particolarmente interessato oltre ad una serie di marchi nazionali del settore. Come spesso avviene in questi casi, per rendere più “appetibile” l’affare i padroni hanno provveduto ad operare un “dimagrimento” del numero di addetti, incentivandone l’esodo, per offrire a chi subentrerà nella proprietà un prodotto a basso costo del lavoro (potenziale produttivo fratto quantità di lavoratori). Il cinismo padronale si è quindi esercitato nell’astuto gioco di far scappare i dipendenti diretti di ProSus (non integrando la cassa integrazione e nemmeno anticipandola col risultato di far arrivare nelle tasche degli operai stipendi dai 400 ai 650 € mensili) e non rinnovando i contratti di appalto che riguardavano un’ottantina di lavoratori. Ovviamente le coop interessate hanno risolto la questione con procedure di licenziamento collettivo o ricollocazioni in appalti lontani che rendevano di fatto impossibile il trasferimento. In questo modus operandi sta tutta la cifra di un capitalismo del terzo millennio che, pur in presenza di una composizione tecnica estremamente avanzata, fonda le prospettive di profitto principalmente sul lavoro vivo, sull’incremento della produttività individuale portata all’estremo e sui meccanismi di dominio che derivano da quella precarizzazione del rapporto di lavoro che il sistema degli appalti garantisce. I licenziamenti dei fornitori di servizi, non ci riguardano, non sono nostri dipendenti” ha dichiarato con una rivoltante dose di cinismo la manager ad interim di ProSus; lavoratori che da decenni hanno dedicato la loro vita ad arricchire questi signori, sono considerati al pari di un fazzoletto kleenex usa e getta. Questa volta, però, il giochino non ha funzionato e gli operai hanno alzato la testa. 

Pertanto il 17 ottobre sono saliti sulle giostre tanto i soci lavoratori degli appalti fatti fuori con un colpo di mano, quanto alcuni dipendenti diretti che rivendicavano, oltre alla solidarietà anche l’integrazione degli ammortizzatori sociali per poter arrivare a dar da mangiare ai loro familiari. Si tratta di una lotta che comprende una serie di fattori interessanti: intanto la determinazione e la radicalità delle pratiche e poi la ricomposizione solidale e tattica tra figure produttive tenute divise nell’organizzazione del lavoro afferente le catene del lavoro ossia i dipendenti dei committenti con quelli dei fornitori. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto va sottolineato il fatto che da anni i lavoratori degli appalti rivendicano l’applicazione dello stesso contratto di lavoro dei dipendenti diretti.

I soci delle coop sono infatti inquadrati nel CCNL multiservizi che rispetto quello applicato in ProSus (alimentari) comporta una differenza salariale in difetto di 350€ medi al mese. Negli scorsi anni una serie di vertenze altrettanto dure ha portato all’internalizzazione di una parte dei lavoratori grazie alla lotta congiunta di tutti i soggetti degli appalti. Oggi il meccanismo solidale si riproduce nella pratica dell’occupazione e del presidio delle giostre. Abbiamo in comune l’obiettivo di avere un salario dignitoso, un lavoro dignitoso, di affermare il principio che a lavoro uguale deve corrispondere uguale salario” sostengono i lavoratori in lotta e anche i dipendenti diretti riconoscono: “ieri avete lottato per noi, oggi è il nostro turno anche per voi”. Se analizziamo questa situazione con le lenti della “composizione politica” non sono indifferenti le radici culturali degli attori sociali in campo, sono in gran parte migranti punjabi di provenienza Sikh, il loro nome comune è Singh (“leone” in sanscrito), fu ordinato che così fosse nel 1699 da Guru Gobind, fu un atto costituente del rito Sikh, fu un principio religioso, ma con un importante risvolto di carattere sociale: il fatto di chiamarsi tutti Singh rappresentò un atto di rifiuto del sistema delle caste, fu un’affermazione di egualitarismo.

L’incontro dei Leoni Sikh col sindacalismo di classe di USB nel nome dell’egualitarismo, della resistenza conflittuale alle ingiustizie è fattore che contribuisce all’assalto delle giostre in ProSus. E’ una lotta che ha un carattere esemplare, però, per tutta la classe operaia del nostro paese poiché dice che anche nelle situazioni più difficoltose solo la lotta, il rifiuto della rassegnazione, offre una prospettiva di vittoria. I padroni di ProSus possono chiudere tutte le porte al confronto e alla mediazione, la determinazione operaia non lascia scampo; chiunque arriverà ad acquistare la fabbrica deve sapere sapere che i tanti Singh non scenderanno dalle giostre se non per riavere il loro posto di lavoro. Sabato 2 dicembre a Cremona alle ore 15.00 al parcheggio ex Foro Boario di Via Mantova si ritroveranno in tanti, i lavoratori della logistica cremonese, i membri della comunità punjabi, gli studenti di OSA e Cambiare Rotta, i lavoratori dell’industria e i dipendenti pubblici non rassegnati alle sconfitte per dire che IL POSTO DI LAVORO SI DIFENDE CON LA LOTTA, MICA CON LE CHIACCHIERE.

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 * USB Categoria Operaia – Settore Logistica


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