Il prossimo
13 gennaio otto ex braccianti della azienda agricola Lazzaro, che protestarono
contro le condizioni di lavoro, saranno chiamati in tribunale per rispondere
dell'accusa di violenza privata e tentativo di occupazione. Con l'oro anche il
sindacalista Olivieri. “La vicenda Lazzaro non è isolata. Altri cinque a
Guazzora in attesa di un permesso per motivi umanitari”
CASTELNUOVO
SCRIVIA - Furono licenziati tramite un cartello appeso ad un albero,
davanti all'ingresso dell'azienda agricola Lazzaro. Ora saranno trascinati
in tribunale con l'accusa di violenza privata e tentativo di occupazione.
Non si è ancora conclusa l'intricata vicenda dei braccianti dell'azienda del
tortonese, iniziata nell'agosto del 2012 con un presidio di una quarantina
di lavoratori che chiedevano migliori condizioni di lavoro. Alcuni di questi,
una decina, erano irregolari. Pagati pochi euro all'ora per la raccolta di
ortaggi nei campi, “erano sottoposti a ritmi di lavoro disumani, costretti a
portarsi il cibo e l'acqua da casa. E se l'acqua finiva, venivano invitati a
bere quella per l'irrigazione”, ricordano Daniela Cauli e Antonio Olivieri
dell'associazione Presidio Permanente, nato in quell'occasione per
sostenere la lotta dei braccianti.
“La mattina del 17 agosto trovammo un
cartello che diceva 'i marocchini dipendenti dell'azienda agricola Lazzaro
Bruno e Lazzaro mauro cessano l'attività presso suddetta azienda e non lavorano
più'. Oltre al contenuto razzista, il licenziamento era illegittimo – racconta
ancora Olivieri – Otto braccianti e il sottoscritto ci presentammo il giorno
dopo sul luogo di lavoro, come accade in questi casi, per la formalizzazione
del licenziamento. La moglie di Lazzano iniziò ad inveire contro di noi. Era da
parte nostra un atto dovuto e pacifico. C'era una sbarra e ci avvicinammo
solamente per la formalizzazione del licenziamento”. Dopo novanta giorni
arrivò però la denuncia ai braccianti e ad Olivieri. Il 13 gennaio si
terrà la prima udienza e il Presidio Permanente sta organizzato una
manifestazione davanti al tribunale. Nel frattempo la Lazzaro è passata di
mano. La società si chiama ora Castelfresco Srl e la vecchia proprietà risulta
ora alle dipendenze della Srl. A tredici dei quaranta braccianti, quelli irregolari, è stato riconosciuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ma la causa penale per sfruttamento è ancora ferma in procura. Per tutti è invece attesa tra oggi e domani la sentenza della Corte di Cassazione per il riconoscimento in sede civile delle spettanze economiche. Non è l'unico caso di presunto sfruttamento della forza lavoro nelle campagne del tortonese. A Guazzora cinque cittadini marocchini sono in attesa di vedersi riconosciuto il permesso umanitario. Stesse modalità, più o meno, otto/dieci ore di lavoro retribuite con un salario al di sotto di quello stabilitito per legge. “Non solo, venivano corrisposti solo acconti settimanali, di importi variabili”. E il saldo non si vedeva. “I cinque sono in questo momento nel limbo, in attesa del permesso. Vivono come possono, grazie all'aiuto di amici e familiari", dice Daniela Cauli. Qualche mese fa la Guardia di Finanzia denunciò altre due aziende. Anche in quel caso erano stati trovati lavoratori ai limiti della sussistenza, alcuni non regolari. “Il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento non è solo al Sud, ma anche qui, nel silenzio e nell'indifferenza. Abbiamo chiesto più volte un incontro in Prefettura, ma non siamo mai stai convocati. Ci è stato risposto che non risultano situazioni denunciate di sfruttamento”, conclude Olivieri.
13/12/2016
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