Alla Stellantis di Melfi il presente è sempre peggio e il futuro è a rischio.
Partiamo da quest'ultimo punto. L'Anfia (Associazione nazionale della filiera industria automobilistica) inserisce le fabbriche del Sud Italia fra quelle più a rischio nel futuro prossimo nella prospettiva della trasformazione elettrica; e aggiunge: molti stabilimenti saranno letteralmente fuori almeno per ora, da qualsiasi ipotesi di riconversione del gruppo Stellantis.
Questo contrasta con le assicurazioni date da Stellantis per lo stabilimento di Melfi. E' inutile dire quanto sia in contrasto con i piani, presenti e futuri, di un milione di auto e di assicurazioni fatte negli incontri Governo/Stellantis. Al di là del contrasto messo in luce dalla stampa tra i due interlocutori, guardando dal punto di vista dei lavoratori, le cose sono comunque senza futuro.
Parlare del futuro è importante per contrastare la campagna, più o meno alimentata anche dalle posizioni sindacali, per cui il presente nero sia un passo necessario da percorrere, riducendo i danni soprattutto con
gli ammortizzatori sociali, e la cosiddetta "area di crisi complessa".
Anche su questo le cose non stanno così. Le due ditte dell'appalto messe in cassintegrazione ora come ora non hanno un futuro lavorativo e quello che succede all'interno dello stabilimento resta all'insegna di un costante peggioramento sia salariale, sia delle condizioni di lavoro, sia del futuro.
L'ultimo scippo, scrive la pagina di Potenza del giornale "L'Edicola", è quello compiuto da Stellantis dove "tra annunci e smentite il lavoro notturno è stato tolto e a doverci fare i conti a fine mese sono gli operai turnisti a cui vengono meno 300 euro in busta paga. Meno ore, soldi in meno, con la cassintegrazione che già pesa di suo. Lo stop agli impianti di Melfi, secondo Stellantis, oltre che dal calo della domanda è stato determinato anche dalla "crisi dei semiconduttori" che sta toccando il settore dell'automobile a livello mondiale. Fca - sempre secondo l'articolo - non dispone dei componenti sufficienti (microchip) a garantire la produzione dei suoi modelli..."
Chiaramente non è che agli operai fa piacere fare il turno di notte, si fa per portare a casa qualche soldo in più.
Scrive poi ancora il giornale: "In fabbrica, si sa, qualsiasi turno si segua il numero di auto o pezzi da produrre pro capite è sempre lo stesso. I numeri non cambiano o sul turno pomeridiano o di mattina o di notte... Nell'arco della giornata più pezzi e auto servono più turni la direzione fa fare; meno pezzi meno turni. Se la produzione si abbassa il management toglie le notti perchè in questo modo non paga le maggiorazioni; anzi, se si abbassa ancora, toglie anche il pomeriggio non pagando le maggiorazioni previste anche per alcune ore del pomeriggio".
Quindi, la ricaduta sul salario è significativa.
Il giornale solleva poi il rapporto tra turni e salute: "Di fatto esistono prove crescenti che il lavoro articolato su turni ha un impatto significativo sulla salute e sulle prestazioni del lavoratore a causa dell'alterazione dei processi naturali del sonno che possono compromettere la sicurezza, aumentando il rischio di errori e soprattutto di incidenti sul lavoro".
Tutto questo se si lavora. Perchè, è chiaro, tuttora il problema principale sono le fermate per cigo che già riducono il salario, e quindi i lavoratori accettano quello che vuole il "convento" per qualche ora in più.
C'è poco da aggiungere. Il problema è come si contrasta quotidianamente, qui ed ora questa situazione.
Con il sindacato impegnato più negli incontri che nel contrasto quotidiano a questa realtà. Su questo per noi solo la lotta "spontanea" è l'arma necessaria, come altri stabilimenti, vedi Pomigliano, hanno dimostrato. E' su di essa che si può innestare la risposta operaia che condizioni anche parzialmente la posizione sindacale, a partire da quella della Fiom, e che è l'unico modo, nella sua estensione e generalizzazione, per affrontare i problemi dell'ora e costruire forza e coscienza necessarie per affrontare i problemi del prossimo futuro.
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